Temi di «Si può vivere così?» – 1a parte

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ABCDEFGILMNOPRSTUV

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Lettera «A»


Abbandonare

(220) – La vita che s‘abbandona alla forza del destino che si è rivelato in Cristo, che si abbandona alla forza di Cristo, è una vita dove la letizia domina: «Siate lieti, torno a ripetervelo» (Fil 4,4).

(269) – (Frase di san Francesco) «Dopo Dio e il firmamento, Chiara»: una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla. Infatti non è una questione di misura, ma ultimamente di compagnia contestuale – l’oggetto Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’Universo – non è una questione di misura, ma di compagnia e ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé, dono di sé. È meglio dire abbandono di sé perché chiarisce l’idea di dono; nel dono uno riserva sempre il diritto di essere stimato perché ha dato, il diritto alla gratitudine, e questo fa perdere tutto; mentre dell’abbandono di sé, no, è puro. L’abbandono di sé: quanto più si ama tanto più uno abbandona sé stesso, afferma soltanto l’altro.

(281) – Qual’è il primo corollario, la prima conseguenza di questo affidarsi a uno? Un altro modo di dire la stessa cosa: è la parola abbandono. Abbandono richiama ancora la parola povertà, come se uno dovesse privarsi di qualche cosa, invece non è un privarsi: l’abbandono è come il bambino con la madre, è la sicurezza.


Equivoco di abbandono

(297) – Non sono pessimista perché è vero che in tutti i giorni passati dall’ottobre fino a ieri sera … quanti buchi di dimenticanza, quanti equivoci di abbandono, di appoggio a qualcosa che era vissuto com non Suo, quanta speranza risposta in qualcosa che fissavamo noi o ci era promessa dal primo che passava, dal primo cartellone che vedevamo o dalla prima pubblicità che vedevamo alla televisione: dalle storie umane piene di bugia, eccetto che la fotografia della forma.


Segno dell’abbandono

(282) – Il segno dell’abbandono è come se a uno si prosciugassero tutte le sorgenti dell’orgoglio; non si inorgoglisce più, gli diventa impossibile inorgoglirsi perché niente è suo, e tutto diventa suo se niente è suo. Se tu sei il Signore e quindi tutto è tuo, se io riconosco questo, diventa tutto mio: ti seguo e diventa tutto mio.


Abramo

(211) – Quando è incominciata la promessa di Dio? con Abramo, gli ha detto che: «Ti prometto che….». Leggete il quindicesimo capitolo del Genesi, quando Abramo cammina, cammina, cammina e una sera sotto il cielo stellato dice: «Signore, qui non si conclude niente, eccetto che la mia vita. Non raggiungo quello che mi hai promesso […] la vita si fa breve»( Gen 15, 2). [—] questa è la prova di Abramo, la prima grande prova di Abramo.

(217) – Melchisedek, essendosi imbattuto in Abramo, ha riconosciuto d’istinto, cioè per suggerimento di Dio, che Abramo era mandato da Dio. E Abramo rispetta Melchisedek perché Melchisedek aveva intuito la necessità che l’uomo dipendesse dall’unico Dio per conoscerlo e poterlo servire con una vita dignitosa. […] (218) Il popolo ebraico, la discendenza di Abramo ha mostrato la sua superiorità rispetto a tutti gli altri popoli; perché il popolo che è venuto dopo Abramo ha avuto un seguito di profeti e di geni religiosi che hanno parlato del Dio ultimo e del destino ultimo.


Accettare

(99) – Gesù fu ucciso ingiustamente: come ha fatto ad attuare la sua libertà lì? Accettando! Accettando il progetto di un Altro, che è la volontà di Dio

(245) – La speranza è che io domani abbia la capacità, la forza di abbracciare quello che accade. […] Che io abbia la forza di accettare quello che accadrà o riaccadrà domani, in modo tale che io possa abbracciarlo e renderlo costruttivo.


Aderire / adesione

(75) – Per aderire basta essere sinceri, affermare la corrispondenza e, perciò, essere ragionevoli: la ragionevolezza è affermare la corrispondenza tra quello in cui si è imbattuti e se stessi e il proprio cuore.

(120) – Come è definita la libertà? Capacità di aderire all’Essere, capacità di adesione al fine, al destino. allora se la libertà è questa capacità di adesione, c’è tanta più libertà quanto più uno possiede l’essere, possiede la realtà. Per questo la verginità è un possesso più grande per la totalità della dedizione. [..] La ragione è aderire alla realtà: aderire alla realtà vuol dire affermarla: è l’inizio del possederla.


Aderire Vs negare

(75) – Per negare occorre un preconcetto: occorre essere attaccati a qualcosa che si vuol difendere; se si ha qualcosa da difendere di fronte all’evidenza, non si vede più la verità, si è accanitamente tesi a salvare quello che si può salvare.


Affermare / affermazione

(350)Affermazione dell’altro perché c’è: non per un tornaconto nostro, per un calcolo nostro; o come vorremmo noi. Affermazione dell’altro come è, perché c’è: questa è la vera stima dell’uomo.

(394) – Il sacrificio più vero è riconoscere (affermare) una presenza. Cosa vuol dire riconoscere una presenza? L’io, invece di affermare sé, afferma te. […] Affermare te per affermare l’io, per far vivere l’io, affermare te come scopo dell’agire dell’io, affermare te, è amore a te. […] È il sacrificio totale di sé: affermare l’altro implica il dimenticare se stessi; che è il contrario di essere attaccati a se stessi. Il sacrificio più vero è riconoscere una presenza, vale a dire il sacrificio più vero è amare.

(395) – Qual’è il vero sentimento che il sacrificio afferma come il sentimento più forte della vita? Il sacrificio afferma come il sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non riesco ad affermarla. Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco: muore, due giorni dopo muore. non riesci ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compiutamente, adeguatamente: perciò non può essere che tristezza il rapporto umano. È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta, che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: «Vieni, Signore Gesù» […]puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice me, ma come conseguenza.

(411ss) – Domanda: «Cosa significa che il sacrificio più vero è riconoscere una presenza: invece che affermare me affermo te, amo te? Cosa significa che il sacrificio più vero è amare?»

La grande questione è questa: il fenomeno del sacrificio raggiunge il massimo della intensità, della ferita, ma anche dell’utilità al mondo, nel riconoscere (affermare) una presenza. […] Se uno ci riflette, è costretto a farlo, ad agirlo secondo il temperamento e la volontà della persona amata: è costretto a far tutto come vuole un altro.

Allora non c’è nessuna sorgente di sacrificio più grande che riconoscere (affermare) una presenza. […] La grandezza dell’uomo-Cristo è che ha vissuto riconoscendo (affermando) che il valore di ogni cosa sta nella volontà di un Altro.

Per Cristo riconoscere la presenza del mistero del Padre costituiva la sorgente più dura di dolore nella sua vita, di sacrificio di sé.


Affermare/afferrare

(393) – Identifichiamo l’affermare una cosa con l’afferrarla: affermare una cosa è amore, è affermare l’altro; afferrarla vuol dire piegarla a te, renderla schiava. […] il sacrificio non è sospendere la volontà di qualche cosa, ma arrestare la volontà che non è secondo la natura della cosa. Per questo tutti i rapporti prematrimoniali sono sbagliati, tutti; e impongono strade storte che non si raddrizzano mai più; affermano un egoismo come ultimo criterio – «quel che pare e piace» come ultimo criterio del rapporto – che non si redime mai più.


Afferrare

(393) – Vedi paragrafo sopra e sotto


Affetti

(160) […] rimane la gerarchia degli affetti come Dio te l’ha suscitata. Soltanto che, quanto più hai affetto, tanto più hai la tentazione di fermarti lì, afferrando, possedendo, e così perdi e la cosa e te stesso: perdi. Il sintomo che un’amicizia è sbagliata è che gli altri sono estranei.


Affettività / affezione

Cfr. attaccamento

(131) (La fede è un atto di conoscenza) Che tipo di di affettività genera? Ad ogni conoscenza consegue un’affettività: che tipo di affettività consegue alla conoscenza per fede? L’affezione è un atteggiamento verso l’oggetto conosciuto. […] l’atteggiamento giusto verso l’oggetto conosciuto, l’affezione giusta che nasce da un oggetto conosciuto si chiama virtù.

(165) La compagnia autentica è quella che nasce quando uno incontro un altro che ha visto qualcosa di giusto, bello, […] I primi cristiani hanno convertito il mondo per questo, creando questa compagnia. […] Questo fa nascere l’affezione, questo ha fatto nascere l’affezione: e l’affezione è come il cemento per la compagnia. In questo cemento la compagnia cresce e diventa una costruzione, il tempio di Dio in questo mondo a cui Dio sarebbe ignoto.

(269) La povertà appartiene dunque al dinamismo della conoscenza, per cui occorre un distacco per vedere le cose e quindi usarle e goderne di più. Allora capite come si può parlare di distacco intelligente e pieno di affezione. Senza questo distacco non ci sarebbe tale intelligenza e affezione.

(330) Perché l’affezione è un sentimento; essere «affezionato a» è un sentimento ma è un valore. Nella misura in cui ha ragione, è valore; se non ha ragione alcuna, non è valore qualsiasi affezione perché manca di metà dell’io, è l’io tranciato a livello dell’ombelico: rimane il resto, quello basso.

(341) La verità della vita è, dunque, affermare l’essere e questo porta con sé un‘affezione, un attaccamento, che può essere duro come una pietra. Questa affermazione dell’essere, questa affezione all’essere può essere dura come la pietra.

(350) Attaccamento all’altro, affezione all’uomo; sia come devozione (rispetto), sia come fedeltà (continuità del rispetto).

(382) […] L’amore a Cristo è una cosa non diversa, è diversa nel senso che è più profondo, più mordente, che neanche l’affezione che può provare con l’una o l’altra delle persone che conosce…ma questi sono sviluppi che vengono dopo.


Affettività/affezione e compagnia

(165) La compagnia autentica è quella che nasce quando uno incontro un altro che ha visto qualcosa di giusto, bello, […] I primi cristiani hanno convertito il mondo per questo, creando questa compagnia. […] Questo fa nascere l’affezione, questo ha fatto nascere l’affezione: e l’affezione è come il cemento per la compagnia. In questo cemento la compagnia cresce e diventa una costruzione, il tempio di Dio in questo mondo a cui Dio sarebbe ignoto.


Affettività/affezione e conoscenza/ragione

(131)La fede è un atto di conoscenza; la libertà è condizione perché essa avvenga. Questo atto di conoscenza, come ogni atto di conoscenza, che sentimento genera? Che tipo di di affettività genera? Ad ogni conoscenza consegue un’affettività: che tipo di affettività consegue alla conoscenza per fede? Quale virtù è la virtù propria della fede?

Dove la parola “virtù” spiega la parola affezione o affettività.

L’affezione è un atteggiamento verso l’oggetto conosciuto. […] l’atteggiamento giusto verso l’oggetto conosciuto, l’affezione giusta che nasce da un oggetto conosciuto si chiama virtù.

Perciò la virtù è un atteggiamento verso l’oggetto conosciuto, un atteggiamento abitualmente giusto verso l’oggetto conosciuto.


Affettività/affezione e obbedienza

(158) L’attaccamento a Gesù nasce proprio dall’atteggiamento di attenzione, di sguardo fisso, di domanda di capire, di adesione a quello che ti dice di fare: da qui nasce l’affezione e non è vero che occorre l’affezione per poter seguire. […] Se la persona a cui sei affezionato ti chiede qualcosa di contrario a quello cui tieni, è molto probabile che tu perda la fiducia in questa persona e ti stacchi da lei per seguire altre idee. Invece è vero il contrario: se tu aderisci all’indicazione che l’altro ti dà, che l’autorità ti dà, se cerchi di capirla, scopri la verità e la vita più di prima e questo ti rende ammirato dell’altro e ti fa affezionare all’altro.


Affettività/affezione e possesso

(160) Quanto più ha affetto, tanto più tu hai la tentazione di fermarti lì, afferrando, possedendo, e così perdi e la cosa e te stesso: perdi. Il sintomo che un’amicizia è sbagliata è che gli altri sono estranei.


Agire/azione

(cfr. Atto o gesto)

(305) (La fiducia) rende l’io principio di una nuova storia nel mondo, lo fa agire; solo una certezza fa agire, anzi solo una certezza finale fa agire contro tutti e contro tutto. Solo una certezza finale dà coraggio, la forza e la fedeltà di creare per generare.

(324) La ragione di un azione è il ritorno che l’azione ha. È un ritorno: facendo quella azione, guadagno i soldi al ventisette del mese. […] Ecco, la carità abolisce totalmente, nel senso assoluto del termine, ogni ritorno. Vale a dire: la carità agisce per puro amore, nel senso che: dato, fatto.


Aldilà/aldiquà

(167) Quando Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l’aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualcosa che era come un paradiso, un pezzo di paradiso: era un pezzo di qualcosa d’altro.

(425/426) Per capire che c’è l‘aldilà, occorre un’esperienza nell’aldiquà; non un sogno, non una immagine (l’aldilà), ma un’esperienza dell’aldiquà, più precisamente l’esperienza della incompletezza delle cose che si fanno, che sarebbe rabbia impotente, se non fosse speranza e dolcezza di abbandono.


Alienazione

(61) Per giudicare che cosa devi usare? Le esigenze che hai dentro; se usi un’altra cosa ti alieni, diventa un’alienazione; se usi altri criteri, sono i criteri della cultura che ti circonda e perciò sei alienata, sei schiava dei criteri altrui.


Alleanza

(210ss) Qual’è la forza che questo popolo (ebreo) ha avuto nel camminare per quarant’anni verso un destino che non conosceva? Che Dio era con loro, la forza era Dio con loro, la forza di Dio con loro si chiamava Alleanza. Il termine della speranza sotto che forma era stato reso noto a loro? Come promessa. […] la fede di Abramo è che ha creduto nella parola di Dio, si è abbandonato alla parola di Dio. È in quel capitolo che avviene il compimento dell’alleanza, il rinnovarsi della promessa. L’Alleanza è un’espressione sensibile, fisica, sperimentabile della promessa di Dio ad Abramo.

Cosa vuol dire che la speranza che Abramo ha posto nell’Alleanza di Dio è ragionevole? È ragionevole la speranza di Abramo perché Colui che ha fatto la promessa era Dio e Dio non può ingannare. La promessa di Dio corrispondeva al cuore di Abramo e la promessa era fatta da Dio: per questi due motivi era ragionevole.

(287) Salmo 119, 45-48 «Sarò sicuro nel mio cammino, perché ricerco Te, i Tuoi voleri. -davanti ai re parlerò della Tua alleanza senza temere nessuna vergogna, e sarò pieno di letizia per i Tuoi comandi che ho amati….»


Amare/amore

(81) O non si ama niente o, quanto più si ama, tanto più è necessario Cristo per salvaguardare quel che si ama, per mantenere quel che si ama, altrimenti lo perdiamo, dopodomani non c’è più.

(232) L’uomo scopre, quindi conosce, e crea ciò che ama; dove, allora, capisci che l’amore non è un sogno solo in quanto è un anticipo giusto della felicità finale. Per questo la parola «Ti amo» è al novantanove per cento una bugia.

(263) Se tu hai qualcosa che dura per l’eternità, allora l’amore, l’amore dell’uomo alla donna, l’amore al compagno, l’amore al genitore, l’amore al sole che sorge…..

Nell’amore vero c’è letizia tanto quanto manca il possesso. […] In un rapporto amoroso, affettivo è la prospettiva dell’eterno che lo rende lieto e mentre lo rende lieto, lo rende libero dalle condizioni: quanto più c’è questo distacco dentro, tanto più diventa lieto.

(265) La legge dell’uomo è l’amore, cioè l’affermazione di un Altro come significato di sé.

(269) San Francesco: «Dopo Dio e il firmamento, Chiara»: una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla.

L’oggetto, Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo; non è una questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé perché chiarisce l’idea di dono. L’abbandono di sé: quanto più si ama tanto più uno abbandona se stesso, afferma soltanto l’altro. […] Di questi fattori è costruita la vocazione.

(281) Un gusto e un amore: sono solo da questo ottimismo, solo da questa fiducia che si attua come abbandono. Giovanni e Andrea si sono abbandonati a quell’uomo lì.

(324) Carità deriva del greco charis, che vuol dire gratis, gratuità. La carità, dunque, richiama la forma suprema dell’espressione amorosa.

La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno insomma. Ecco la carità abolisce totalmente – totalmente nel senso assoluto del termine – ogni ritorno. Vale a dire: la carità agisce per puro amore, solo per amore.

E infatti, cos’è l’amore se non volere il bene dell’altro? Non per avere qualcosa io, ma per il bene dell’altro, e il bene dell’altro è il rapporto col suo destino. Il rapporto col suo destino è il rapporto con una Presenza.

(325)La carità è amore puro, si esaurisce nel volere il bene dell’altro, cioè il suo destino, cioè il suo rapporto con Cristo.

La ragione che sostiene la carità è totalmente ed esclusivamente l’oggetto dell’amore, l’oggetto autentico dell’amore. L’oggetto autentico dell’amore cos’è? Il bene dell’altro, il destino dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo.

(346ss) L’amore è vero quando è eterno, quando è concepibile, accettato, desiderato come eterno: «Nessuno ama tanto come colui che dà la vita per i propri amici». Quando, quindi, uno applica la legge dell’amore nel rapporto con un altro in modo autentico, vero, cioè disposto ad andare fino in fondo, aperto al fondo, aperto all’ultimo, aperto alla morte e quindi all’eterno, quando uno si dona all’altro così, per l’altro egli è tutto, tutto.

Ma l’amore all’altro non è una cosa generica, […] è una cosa molto concreta.

Se la legge dell’amore è darsi, è l’amore come darsi all’altro, darsi all’altro significa muoversi per un altro.

L’amore vero, cioè l’attuarsi vero della legge dell’uomo, che è lo scopo del vivere, è affermare l’Essere, è affermare l’Altro, è «affermare Te o Dio». Analogamente, dedicarsi a un fratello […] commuoversi per un altro, è amore vero in quanto desidera che l’altro conosca la verità e viva la verità del suo essere in modo compiuto; cioè l’amore vero è guardare l’altro e trattare l’altro con desiderio che si avveri, che si compia il suo destino. Senza amore al destino non c’è amore, senza amore al destino dell’altro non c’è amore all’altro. (Qualsiasi madre che) non abbia mai, con un sussulto, percepito che tutto questo lo fa per la felicità del bambino, cioè per il destino eterno di quel bambino, non ha mai amato da vera donna, da vero essere umano il figlio.

Volere il destino tuo: tanto che che ha amato di più gli uomini, è morto in croce per il loro destino.

Si ama quando, in qualche modo, si desideri il destino.

(364) Ma chi già conosce quella prospettiva senza fine a cui si può applicare con verità la parola amare (l’amare puro, senza calcoli, senza tornaconti, senza misure)? È Dio che è diventato uomo, è Cristo e coloro che Cristo ha messo vicino a te per seguire Lui, illuminandoli perché ti facciano seguire Lui.

(395) Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco: muore, due giorni dopo muore. Non riesci mai ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compiutamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.

È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta, che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: «Vieni, Signore Gesù», vieni Tu, perché Tu che sei morto in croce, solo Tu, puoi rendere felice – puoi essere il destino compiuto -, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice anche me, ma come conseguenza!

(397) L’amore che ognuno di noi ha per l’altro, l’interesse che ha per il destino dell’altro, è per Cristo che è tra noi, è attraverso Cristo che è tra noi, è una affermazione di Cristo è tra noi.

(420) Per pensare alla tua vita, per amare il tuo destino, per amare la tua felicità, per amare la tua contentezza, per amare l’eternità della tua vita, per trattarti così debbo sacrificare qualche cosa: che cosa devo sacrificare? Devo sacrificare la reazione immediata, di piacere o dispiacere, di simpatia o antipatia; devo sacrificare l’impressione immediata. L’impressione immediata vedendo una bella donna…eh? Devo sacrificare questo.

(421) Per amare veramente una persona occorre un distacco.

(441) (Amando quest’uomo Cristo, in ogni cosa e sopra ogni cosa») La profezia di questo sta nell’amore che una madre ha per il figlio e nell’amore che un uomo ha per una donna, quando sono veri; quando sono veri c’è il presentimento di questo, non saprebbe dirlo però, umanamente la ragione non saprebbe dirlo: soltanto quando è venuto Cristo, l’uomo ha capito.


Amore a Cristo e in Cristo

(339) Che cosa è questa carità senza della quale non siamo nulla? È che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Gesù Cristo. Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo si chiama «Dio fatto carne per noi», ed è perché c’è questo Cristo che non c’è più nessun uomo che non mi interessi.

(340) Amare Cristo in Lui, cioè secondo il suo modo, i fratelli; dedizione di sé (dono di sé) e commozione per gli altri, per l’altro. Insomma, è l’io che afferma il tu, è l’io che si esaurisce nell’affermare il tu, è l’io che muore per il tu. Il dramma è risolto.


Amore alla donna

(65) Amico mio la ragazza a cui vuoi bene di che cosa è fatta? Non è mica fatta di polenta. […]È un altro mondo quello in cui viviamo, per cui siamo uomini, sorgente della felicità e della pace, sorgente dell’attrattiva e della creatività: è un altro mondo. Noi dobbiamo abbordare questo altro mondo. Dio ci ha spinti sulla soglia. […] le cose diventano cento volte più belle. Così la ragazza a cui vuoi bene è fatta di un Altro, è fatta di Cristo – «Tutto in lui consiste» -, le montagne, il corpo di questa ragazza è fatto di un
Altro, perché da sola sarebbe nulla, nulla. Chi te l’ha fatta trovare? Chi te la dà per sempre? Chi assicura l’eternità del rapporto, senza della quale uno o non ci pensa (ed è scemo) o muore e soffoca. Perché un rapporto amato, se tu ti immagini che finisca, questa fine diventa come un muro davanti alla tua faccia, che si avvicina sempre più alla tua faccia fino a soffocarti: ti soffoca quella presenza, è una disperazione.

(268) Oltre al paragone del quadro (A cui bisogna star distanti per vedere l’insieme), questo vale per tutti: tra la madre e il bambino, tra un’amica e un amico, tra uomo e donna, vale per chiunque. […] Senza un certo distacco non conosci, non usi e non godi; tanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più conosci, usi e godi.

(411) Devi seguire le circostanze che non fissi tu. se sapeste…quando lo saprete capirete! Non si può voler bene a una persona, un uomo non può amare una donna senza passare attraverso le condizioni, non può; infatti vuol amare la donna come vuol lui e così la distrugge o la perde, che è lo stesso. È più sano il perderla, perché almeno si accorge! Si può distruggere senza accorgersi.

(420) Per amare il tuo destino[…] devo sacrificare qualcosa. […] Devo sacrificare la reazione immediata. L’impressione immediata vedendo una bella donna….eh? Devo sacrificare questo

(421) Adora di più la sua donna un uomo che la guarda a un metro di distanza, meravigliato dell’essere che ha davanti, quasi inginocchiato, anche se in piedi, quasi inginocchiato davanti ad essa; o quando la prende? No! No, quando la prende, finisce.

(424/25) Insomma un uomo non può guardare una donna e dire: «Che bella!», e desiderarla, se non desiderando di essere perfetto come essa è bella; se non desidera di essere perfetto come essa è bella, non è vero che la ama; ne abuserebbe e basta.

(441) (Amando quest’uomo Cristo, in ogni cosa e sopra ogni cosa») La profezia di questo sta nell’amore che una madre ha per il figlio e nell‘amore che un uomo ha per una donna, quando sono veri; quando sono veri c’è il presentimento di questo, non saprebbe dirlo però, umanamente la ragione non saprebbe dirlo: soltanto quando è venuto Cristo, l’uomo ha capito.


Amore e contentezza

(368) (In risposta a una domanda) Il modo per corrispondere meglio alla corrispondenza che lei ti documentava, era dimostrare che anche tu eri preoccupata di rivederla, cioè di essere lì puntuale. La tua contentezza è valida per la metà, manca quel sacrificio di sé che la compie, che la rende utile, e per cui la tua contentezza coincide con il puro amore.


Amore e generosità

(376) (Domanda di una Memores Domini) «Cosa fa sì che la donazione di sé nelle cose che ci vengono chieste tutti i giorni, non sia un gesto di generosità, ma sia veramente carico di commozione?». Il gesto di generosità parte da te stessa, e la sua ragion d’essere è di esprimere qualcosa che è in te. L’atto d’amore nasce fuori di te, nasce dalla presenza che hai davanti e s’arrende alla emozione, alla commozione che essa desta. […] Fare per amore ha una origine esattamente opposta, nasce dal di fuori, nasce da una presenza che hai lì, che ti colpisce, che ti commuove chiedendoti; e tu – con più fatica, magari con molta fatica, magari dopo molte tergiversazioni – finalmente dai.

(379) […] un conto è l’amore, che è un’esigenza imposta da una Presenza, dettata da una Presenza. Per generosità, se non sei un nevrastenico, a un certo punto ti fermi, ma di fronte a una presenza vai fino a dover morire.


Amore e sacrificio

(393ss) Senza sacrificio non ci può essere verità in un rapporto. […] Senza sacrificio non c’è rapporto vero, che vuol dire che l’altro – l’oggetto qualsiasi o la persona – non è valorizzato secondo la sua natura. […] Identifichiamo l’affermare una cosa con l’afferrarla: affermare una cosa è amore, è affermare l’altro; afferrarla vuol dire piegarla a te, renderla schiava. Perciò il sacrificio non è sospendere la volontà di qualche cosa, sospendere l‘amore a qualcuno o a qualcosa, non è eliminare niente, ma arrestare la volontà che si sta comportando contro la natura della cosa.

[…] Qual’è il sacrificio più vero. Il sacrificio più vero è riconoscere una presenza. […]L’io, invece, che affermare sé afferma te. […] Affermare te per affermare l’io, per far vivere l’io, affermare te come scopo dell’agire dell’io, affermare te, è amore per te.

È il sacrificio totale di sé: affermare l’altro implica affermare se stessi; che è il contrario di essere attaccati a se stessi, allora ci si sacrifica all’altro. Il sacrificio più vero è riconoscere una presenza, vale a dire il sacrificio più vero è amare.

Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco: muore, due giorni dopo muore. Non riesci mai ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compiutamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.

È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta, che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: «Vieni, Signore Gesù», vieni Tu, perché Tu che sei morto in croce, solo Tu, puoi rendere felice – puoi essere il destino compiuto -, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice anche me, ma come conseguenza!

(411ss) (Domanda di una Memores Domini) «Cosa significa che il sacrificio più vero è riconoscere una presenza: invece che affermare me affermo te, amo te? Cosa significa che il sacrificio più vero è amare?».

La grande questione è questa: il fenomeno del sacrificio raggiunge il massimo della intensità, della ferita, del peso, ma anche dell’utilità per il mondo, nel riconoscere una presenza.

Se uno vuol bene a una donna […] capisce che tutto quello che fa, in casa, in casa o nei rapporti, è costretto a farlo, ad agirlo secondo il temperamento e la volontà della persona amata: è costretto a far tutto come vuole un altro. […] Allora non c’è nessuna sorgente di sacrificio più grande che riconoscere una presenza.

Ma questa è semplicemente una avvisaglia.

La grandezza dell’uomo-Cristo è che ha vissuto riconoscendo che il valore di ogni cosa sta nella volontà di un Altro. Per Cristo riconoscere la presenza del mistero del Padre costituiva la sorgente più dura di dolore nella sua vita, di sacrificio di sé.

Il sacrificio più grande è riconoscere una Presenza, questa è una cosa, è la cosa «dell’altro mondo». Tutto il gioco della persona, o si riconduce a questo punto sacrificale oppure…tutto si sfascia: non si può più riprendere da nessuna parte, lo prendi da una parte e sfugge dall’altra.

Non c’è sacrificio più grande che il rapporto con una persona, riconoscere una persona.

Perché non diventi connivenza, ma amicizia reale tra di noi, deve prima passare attraverso Cristo, bisogna prima riconoscere che Cristo è la sorgente più grave di dolore della nostra vita, di sacrificio della nostra vita: come Lui è morto anche noi dobbiamo morire. Eppure il riverbero umano ed esistenziale di questo sacrificio è una gioia, come Lui ha detto: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11).


Oggetto autentico dell’amore

(325) La ragione che sostiene la carità è totalmente ed esclusivamente l’oggetto dell’amore, l’oggetto autentico dell’amore. L’oggetto autentico dell’amore cos’è? Il bene dell’altro, il destino dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo. La ragione della carità, cioè della gratuità, è solo questa, che è la ragione più umana che esista, perché i calcoli li può fare anche una bestia.


Amicizia/amico

(65) L’amicizia vera è quella che ti ricorda, in modo tale che riempia il più possibile il tuo tempo, il pensiero della grande Presenza, di Cristo. Perciò, quelli che andavano con Cristo si sono messi insieme tra di loro, non si conoscevano neanche, sono diventati amici.

(150ss) «Guarda, per favore, che per la tua vita questo è importante. Se tu mi segui, lo capisci; e allora, dopo, segui te stesso, seguire me è come seguire te stesso».

(punto d) Il vero seguire è amicizia. Questa è l‘amicizia. La vera obbedienza è quando si giunge a questo livello di amicizia: altrimenti non è obbedienza, è schiavitù, è roba da bambini e da “signora maestra”.

È il desiderio di vivere che ti fa domandare: «Come fai a farlo tu, come fai a realizzare quel che capisci?»

Se io ti faccio capire che quel che ti dico, te lo dico perché corrisponde alle esigenze del tuo cuore, tu mi dice: «Grazie che me lo hai detto! Grazie che me lo dici!», e questo diventa tuo, e tu devi seguire te stesso. Questo è il seguire la propria coscienza: la vera propria coscienza è la propria coscienza resa grande e matura da un incontro. E questo fa diventare amici.

(151) Se si è amici, allora si capisce di più; se ci si mette sotto il punto di vista dell’amicizia, si capisce che si ha più voglia, si capisce di più che si ha voglia di domandare: «E tu come fai a farlo, come realizzi questa cosa qui?».

Ecco, l’amicizia si svolge così, questa è amicizia. Perciò, il vero seguire è amicizia, la vera obbedienza è amicizia.

(152) Ad ogni modo io volevo dire chela parola obbedienza è identica alla parola amicizia. Una amicizia che non sia obbedienza è una cosa sentimentale, senza frutto né storia, senza scopo e senza durata, senza volto.

(153) Ma l’amico da che cosa è caratterizzato? È caratterizzato innanzitutto e soprattutto dalla serietà del vivere, dalla affermazione che la vita è una cosa seria.

Seria di fronte all’universo e seria di fronte al destino: niente corrisponde al tuo cuore più di queste due cose.

Un io solitario è un io perduto. Così l’io che non è solitario viene creato in una compagnia, da una compagnia che è amicizia e l’amicizia è creata da una obbedienza.

La parola obbedienza non è niente altro che la virtù dell’amicizia.

(160ss) Ma l’amicizia, cos’è? L’amicizia, allo stato minimale, è l’incontro di una persona con un’altra persona di cui desidera il destino più che la propria vita: io desidero il tuo destino più di quanto desideri la mia vita. L’altro ricambia questo e desidera il mio destino più di quanto desideri al sua vita.

Così è l‘amicizia, e il sintomo che questo è vero è che chiunque si incontra, nella diversità delle circostanze, si vorrebbe capisse questo, così che tutti si abbracciassero.

Il sintomo che una amicizia è sbagliata è che gli altri sono estranei.

(161) (Domanda: «Allora l’amicizia non è un optional, ma è quasi necessaria per la comprensione di me e della realtà»). La parola che chiarisce tutta la questione è la parola optional. L’amicizia non è un optional. Se è un optional non è amicizia; non è qualcosa che può avere o non avere: senza amicizia uno non è più se stesso.

(162) In che senso l’amicizia non è un optional, ma è necessaria, cioè uno non può averla o non averla? Se non ha amicizia non è neanche un uomo, non è se stesso, è smarrito, non può apparire che triste: oppure non gli daresti da trafficare neanche cento lire, non ti puoi fidare.

In che senso l’amicizia è necessaria? Perché è »una compagnia guidata al destino». Ma guidata da chi? Se siete in due, da chi è guidata? Da un’altra cosa: ci vuole un terzo. Questo che segui è qualcosa di inerente alla tua persona con cui ti metti insieme e che è così bello che vi fa mettere insieme, è così giusto che vi fa mettere insieme

(328) Si dà tutto, dono di sé totale, fino a: «Nessuno ama tanto gli amici come chi dà la vita per gli amici» (Gv 15,13).

(346) […] quando uno si dona così all’altro, per l’altro egli è tutto, tutto. Se l’altro sapesse riflettere, guardando l’amico in questa disposizione amorosa verso di lui, gli direbbe: «Ma tu sei tutto per me». È esattamente quel che diceva san Paolo a Gesù: «Vivo, non io, sei Tu che vivi in me» (Gal 2,20).


Amicizia e compagnia

(159) Se tu aderisci all’indicazione che l’altro ti dà, che l’autorità ti dà, se cerchi di capirla, scopri la verità e la vita più di prima e questo ti rende ammirato dell’altro e ti fa affezionare all’altro. Capire questo vuol dire incominciare a capire come nasce la nostra compagnia, come nasce una comunità, come nasce l’amicizia.

Una compagnia positiva in questo senso può nascere solo da un’amicizia; l’amicizia è la virtù, l’energia che costruisce la compagnia.


Amicizia e connivenza

(102) Sono cinque anni che siete insieme e c’è una estraneità totale, non c’è un’amicizia tra voi, c’è soltanto connivenza: una connivenza ad andare a fare le malefatte o una connivenza per andare in montagna insieme il sabato e la domenica, ma non c’è amicizia perché l’amicizia è un rovesciare la propria esistenza nella vita dell’altro.

(415) Perché non diventi connivenza, ma amicizia reale tra di noi, bisogna passare attraverso Cristo, bisogna prima riconoscere che Cristo è la sorgente più grave di dolore della nostra vita, di sacrificio della nostra vita: come Lui è morto, così noi dobbiamo morire.


Amicizia e obbedienza

(150ss) (punto d) Il vero seguire è amicizia. Questa è l‘amicizia. La vera obbedienza è quando si giunge a questo livello di amicizia: altrimenti non è obbedienza, è schiavitù, è roba da bambini e da “signora maestra”.

(151) Il vero seguire è amicizia, la vera obbedienza è amicizia. Quella che si chiama obbedienza è veramente l’amicizia e in fatti san Paolo, parlando di Gesù, ha detto che, volendo bene al Padre, si è fatto obbediente fino alla morte (Fil 2, 8), […] imitava il Padre che aveva creato per amore.

(152) Ad ogni modo io volevo dire che la parola obbedienza è identica alla parola amicizia. Una amicizia che non sia obbedienza è una cosa sentimentale, senza frutto né storia, senza scopo e senza durata, senza volto.

(153) Un io solitario è un io perduto. Così l’io che non è solitario viene creato in una compagnia, da una compagnia che è amicizia e l‘amicizia è creata da una obbedienza. La parola obbedienza non è niente altro che la virtù dell’amicizia.

(168) «La fede è un’obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento, alla quale siete stati consegnati» (Ratzinger): l’obbedienza del cuore, vale a dire l’amicizia, perché l’amicizia è la suprema obbedienza.

(169) Perciò: « fede, libertà e obbedienza», o «fede, libertà e amicizia»; capire l’identificazione tra obbedienza e amicizia è molto importante: se l’obbedienza ti indica quello che deve fare per raggiungere il tuo destino, che cosa è l’amicizia? È una compagnia guidata al destino; guidata, cioè devi obbedire.


Analisi

(42) Cristo non lo conosciamo direttamente, né per evidenza, né per analisi dell’esperienza.

(243) (Un memores tenta una domanda: «Dicevo che la strada che lei ci aveva indicato non era quella di rivolgerci allora ad una analisi personale: io che parto all’attacco di queste nuove cose che il Gruppo Adulto mi insegna….» (Giuss) ….cioè mi metto di fronte alle parole, alle frasi, ai nessi logici che il discorso fatto dal Gruppo Adulto ci propone. Questa è l’analisi, resta tutto astratto, chiaro, chiarissimo, «non ho niente da obiettare», ma è astratto.
Invece è «giusto», non è appena chiaro. Bisogna raggiungere il concetto di giusto, cioè che la mia vita senza destino è una vita da cani ed è una vita che va a finire in marciume. Per rendere il «giusto» concreto e non astratto devo fare la fatica di stabilire i rapporti, di vivere dei rapporti.


Andar via

(78) …Quando un nostro desiderio non è soddisfatto c’è almeno un istante di compressione negativa, come una schiavitù. Tutti coloro che vanno via di casa lo fanno per questo.


Andare fino in fondo

(349) Negli appunti dello scorso anno c’è una frase che deve essere cambiata. La frase diceva: «Una persona vuole veramente bene ad un’altra persona quando si stacca da essa e vede in essa il possesso di un Altro, cioè di Dio». Non «si stacca da essa», ma «va fino in fondo ad essa», perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla, neanche un capello del capo, come diceva Gesù, neanche un soffio appena accennato.


Andrea e Giovanni

(42ss) (In questa pagina e nelle successive don Giussani si immedesima nei primi due che lo seguirono: Andrea e Giovanni) Dice di essere il Messia: è vero o no? Qual’è il primo istante della storia in senso cronologico in cui questo problema si è posto?

È un passo dove si parla dei due primi uomini, giovani uomini, nel cui cuore una impressione nuova è entrata: hanno sentito dire da uno che parlava davanti a loro, hanno sentito dire cose dell’altro mondo, più precisamente le cose che a loro non erano estranee come cose, perché nella storia del loro popolo erano abituali; tutto il loro popolo aspettava il Messia.

Ma sentirle da uno che era là davanti a loro, che li aveva invitati a casa sua … Li aveva invitati perché loro gli avevano detto per strada: «Dove stai di casa?», perché lo stavano seguendo con curiosità.

I due uomini che erano lì hanno visto l’uomo verso cui lui (Giovanni Battista) tendeva la mano e allora si erano allontanati anche loro e hanno seguito, pedinato quest’uomo.

Questi due erano semplicioni, i più semplici che erano lì: era la prima volta che ci andavano.

E così quei due sono stati tutto il pomeriggio sentendolo parlare, vedendolo parlare, perché non capivano niente di quel che diceva, ma il modo con cui diceva era così persuasivo, era così evidente che quell’uomo diceva la verità, che uno non sapeva quasi neanche fermare in se stesso le sue parole.

Sono andati via e alla prima persona che hanno trovato hanno detto: «Abbiamo trovato il Messia»; hanno ripetuto una sua parola di cui non capivano veramente il senso.

È il primo istante in cui il problema della fede è entrato nel mondo, non della fede come semplice metodo della ragione, ma come metodo della ragione applicato a qualcosa di sopra-ragionevole: la fede come metodo della ragione applicato a qualcosa di incomprensibile, perché tutto quello che diceva quell’uomo lì era inconcepibile.

(60) In tutte le domande che vi nascono, dovete riferirvi alla prima pagina di san Giovanni, immaginandovi Giovanni e Andrea con Gesù che parla loro e che lo vedono parlare: «È impossibile che ci sia un uomo così», non lo dicevano, ma sentivano così.

Cosa è l’emozione? L’emozione è la reazione psicologica a qualcosa che incontri – l’emozione era il senso di panico dolcissimo e tenero e sorpreso che provavano Giovanni e Andrea – Senza una cosa che c’è nella nota di eccezionalità; l’eccezionalità è un’esperienza che ha dentro una cosa che non c’è nell’emozione: il giudizio della testa, il riconoscimento della testa.

(69) Giovanni e Andrea non lo conoscevano, mai conosciuto. Gli vanno dietro con timore e stanno là tutto il pomeriggio a vederlo parlare, perché non capivano neanche quel che dicesse. Ed era così evidente che quell’uomo diceva cose vere, anche se non le capivano, che, andati via, hanno ripetuto agli altri quel che Lui aveva detto, come se fossero pensieri loro.

Riferitevi sempre lì: in Andrea e Giovanni, vedendo parlare quell’uomo – e quanto più parlava, tanto più questo avveniva – era naturale il desiderio di conoscerlo, di stare con Lui, di sentirlo parlare.

E questo desiderio era una domanda. […] Simone l’ha detto chiaramente con quella frase che rimane per tutta la storia: «Se andiamo via da Te, dove andiamo? Tu solo hai parole che spiegano la vita».

(73) Un fatto che accade e ha la forma dell’incontro. […] Giovanni e Andrea: tutta la vita da bravi ebrei a meditare i profeti, con tutti i difetti e i pregi dei bravi ebrei, hanno visto quell’uomo lì e per l’indicazione di Giovanni Battista l’hanno seguito, quando ha cominciato a parlare, come parlava, tanto più quanto più parlava, erano atterriti: atterriti nel senso di atterrati , atterrati nel senso di vinti.

La più bella cosa del mondo è essere vinti da questi incontri.

L’eccezionale è quello che corrisponde al cuore. Stranamente, quello che corrisponde al cuore è una cosa che non si trova mai: quando si trova è segno di eccezionalità grandissima. […] Stiamo descrivendo quello che Giovanni e Andrea sentivano, che sentivano come giudizio.

(88ss) Pensate a Giovanni e Andrea: da quando hanno incontrato quell’uomo, sono andati alla casa della moglie e dai figli, sono andati a pescare . perché anche l’ultimo capitolo di San Giovanni parla della pesca di notte -, sono andati a pescare, andavano alla sinagoga con gli altri, andavano a Gerusalemme, andavano in giro… facevano tutto come prima, ma non come prima: tra sé e quello che facevano, avevano dentro una figura: quello là. Era tra i loro occhi e quello che vedevano, era tra il loro cuore e quello che facevano, tutto, in tutto.

(90) L’hanno seguito. Se Giovanni e Andrea fossero andati solo quel giorno, avrebbero riportato una grande impressione, dopo dieci anni avrebbero raccontato ai loro figli: «Abbiamo visto un uomo…», ma non avrebbero avuto fede in quell’uomo. E come si fa ad imparare a essere educati nella libertà, così che la libertà diventi veramente forza della nostra vita e perciò la dignità della nostra vita (la dignità dell’uomo sta nella libertà, perché è il rapporto con l’infinito)? Seguendo: seguire la compagnia in cui il Signore, chiamandoci, ci ha messi. Seguire, non c’è niente di più intelligente che seguire.

(167) Giovanni e Andrea hanno trovato Cristo, non capivano l’aldilà, cosa volesse dire il paradiso, ma avevano lì qualche cosa che era come un paradiso: era un pezzo di qualcosa d’Altro. C’è già un presente. Perciò la fede è accogliere un presente, riconoscere che già nel presente inizia qualcosa che ci aspetta oltre tutto: già nel presente esiste qualcosa che appartiene al destino, che ha la forma del destino. ecco, questa è la parola più bella:

l’incontro con un presente nella cui forma esiste già il destino.

(200) Come la prima volta che vi ho letto Giovanni e Andrea: voi non avevate mai immaginato quello che io cercavo di dire, immaginandomi come è stato quel momento. Ma se siete stati attenti, dopo, anche voi avete incominciato a pensarlo così e avete cominciato a imparare a immaginare in quel modo anche altri pezzi del Vangelo, per esempio la peccatrice che bacia i piedi di Gesù piangendo, Zaccheo rannicchiato sull’albero che si sente dire «Zaccheo» da Lui che passa.

(273) Quando Giovanni e Andrea guardavano parlare quell’uomo, sentivano che c’era qualcosa di eccezionale; non se ne potevano rendere conto – non capivano come mai, cioè la loro ragione non era capace di afferrarlo – però, per essere ragionevoli, erano costretti a dire: «C’è qualcosa d’altro». Perché?

Perché essere ragionevoli vuol dire affermare la realtà secondo la totalità dei suoi fattori, e se uno di questi fattori è eccezionale, bisogna dire che c’è, anche se non si capisce come mai.

(281) Giovanni e Andrea, mentre erano lì a sentirlo parlare, non potevano avere una paura della vita o un interrogativo se la vita fosse negativa o positiva. Era pieno di ottimismo l’impeto che provavano verso la vita quando parlava quell’uomo, un ottimismo che poggiava su di Lui, la punta di tutto il futuro poggiava sulla sua faccia, sulla sua bocca, sul suo naso, sui suoi occhi, poggiava lì.

Un gusto e un amore: solo da questo ottimismo, solo da questa fiducia che si attua come abbandono. Giovanni e Andrea si sono abbandonati a quell’uomo lì, e infatti quella sera sono andati a casa ed erano diversi, erano diversi perché erano tutti poggiati su quello che avevano visto e il giorno dopo sono andati a rivederlo, poi sono andati a rivederlo, poi sono andati a rivederlo, poi gli sono andati dietro.

(309) (Da una domanda) «Giovanni e Andrea avevano davanti una Presenza e facevano le cose con davanti questa Presenza. La loro fede era la certezza di una Presenza sperimentabile. Allora volevo un po’ capire meglio che cosa vuol dire per noi guardare un faccia Cristo».

Risposta: Giovanni e Andrea avevano fede perché avevano la certezza in una Presenza sperimentabile: quando erano là a guardarlo parlare. Poi per dormire sono andati a casa loro: da sua moglie, Andrea; da sua madre, Giovanni. Sono andati a casa loro, hanno mangiato a casa loro, hanno dormito a casa loro, si sono alzati, sono andati a pescare insieme agli altri compagni.

Quello che avevano visto il pomeriggio antecedente, dominava nella loro testa sì o no? Sì. Lo vedevano? No.

(317) […] quell’uomo che Giovanni e Andrea guardavano parlare in quella casetta della Galilea, non capivano bene cosa dicesse, eppure era evidente che diceva il vero. Tanto è vero che , ritornando a casa, hanno detto agli altri certe cose che Lui diceva: «Abbiamo trovato il Messia». Ma non capivano che cosa volesse dire il Messia, non l’hanno capito neppure dopo che era morto; perché quando è risorto la prima cosa che gli domandano,, dopo lo straordinario impatto iniziale: «Quand’è che ci fa capi del tuo regno?».

(425) Quando Giovanni e Andrea gli sono andati insieme, e lo guardavano parlare, quel pomeriggio, chissà in quale casupola sperduta del paese di Giuda, dicevano: «Nessuno è come quest’uomo». […] Per capire che c’è l’aldilà, occorre un’esperienza nell’aldiqua.


Angelus

(66) L’aiuto in questa storia è la domanda a Dio, quando ti svegli, ogni mattina quando ti svegli.
per questo insisto sull’Angelus – dovete aiutarvi a dire sempre l’Angelus perché ricorda il punto in cui tutto è cominciato, ricorda il punto in cui tutto è incominciato quello che ti incombe in quel momento. Perché l’uomo parte dal presente, non può partire dal passato. Se parte dal presente vede che il passato conferma questo presente e il passato motiva questo presente, e la forza di questo presente rende capaci di giudicare il passato.

Dite bene l’Angelus: «Mi accada secondo la Tua parola»: nei rapporti con tutti gli uomini là al lavoro, nel rapporto con tutta la gente che vedrò sul tranvai o in strada, nei rapporti con le cose, con la pioggia che secca o col sole che è troppo caldo…bisogna domandare.

(72) Ma lAngelus che direte al mattino sarà come una spada che premerà dentro la crepa, farà una crepa dentro il muro della mentalità comune e la allargherà ogni giorno di più.

(220) Ma il prevalere della nostra immaginazione è realmente la grande tentazione contro la fede in Gesù, quindi contro l’obbedienza a Dio.[…] Anche in noi, anche in noi che abbiamo conosciuto il Signore – come dice l’Angelus -, anche in noi che abbiamo conosciuto attraverso di Lui la strada, le condizioni della strada, la direzione della strada, la virtù della speranza può essere vinta dall’attaccamento alle nostre immagini del cammino e del destino. Allora ci lamentiamo quando non accade come vogliamo noi.


Antico

(134) Gesù prendeva sempre quell’occasione (il sabato nella sinagoga di Cafarnao) per alzare la mano e andar fuori a parlare. Quello che incominciò a dire di nuovo, lo disse dentro l’antico: era un nuovo modo di vedere il mondo.

Le parole erano le stesse: era un nuovo modo di vedere le parole antiche. Insisto perché questa è la vita del cristiano, essere cristiani è questo: una novità che si apre sempre il varco dentro le parole antiche.


Apostoli

(219) La moralità è vivere nell’atteggiamento in cui Dio ci ha fatto. Soltanto chi è in questo atteggiamento riconosce la sua Presenza. Tutti gli apostoli erano così, salvo uno che gli andava dietro […] sperando qualcosa d’altro.

Anche gli apostoli speravano qualcosa d’altro, speravano che Gesù portasse finalmente il regno di Israele, il regno del popolo ebraico a dominare il mondo e loro ministri di questo mondo.

(436) La posizione degli apostoli, immaginatevela. immaginiamoci che ci sia qui Gesù, che stiamo tutti sentendolo: non si capisce quel che dice, ma io sto attento, perché lo dice in modo tale che si capisce che Lui vede, Lui sa, che Lui sente, che Lui vive questo.

Allora gli sto attento perché voglio cogliere anche io quella cosa; qualche brano di frase la capisco, qualche brandello di parola la capisco, e alla fine chiedo: «Gesù, fammi capire quello che hai detto». Gli apostoli hanno fatto così per le parabole; le parabole non capivano cosa volessero dire, alla fine lo hanno stretto e gli hanno detto: «Maestro spieigaci cosa vuol dire questa parabole».

Cioè, alla sera non misurare, DOMANDA


Appartenenza/appartenere

(205) Resistere nel rimanere in Cristo, nella fedeltà all’appartenenza, la fedeltà della propria vita come appartenenza, Come riconosciuta appartenenza. (206) La fedeltà nell’appartenenza, che è la stoffa della pazienza o la fatica della speranza, ha un modo di esprimersi. Quale? la domanda: domanda o mendicanza a Cristo presente

L'uomo sarebbe totalmente abbandonato se non si abbandonasse a questa appartenenza.

I nemici di questa fedeltà nell’appartenenza sono la discontinuità […] la schizofrenia è uno rotto dalla testa ai piedi.

(238) (Domanda)« Perché lei ha detto: “I nemici di questa fedeltà all’appartenenza sono la discontinuità, la fatica e il dolore”?»

Giussani: La discontinuità è un errore, è una debolezza di carattere. La fatica è la messa a prova del carattere: anche se fortissimo lo prova, lo mette alla prova. E il dolore poi vince tutto; il dolore, se non ha nessuna speranza di risposta, vince tutto; qualsiasi forzuto Ercole, di fronte al dolore senza risposta, cede.

(240) Noi non vorremmo appartenere se non a noi stessi e allora sbagliamo tutto, ma Colui a cui apparteniamo ci abbraccia lo stesso.

(290ss) Il tempo non ci appartiene.

(291) Il passato, ciò che ci è piaciuto in questi mesi, ciò che ci ha soddisfatto, ciò che ha fatto conoscere e amare di più, ciò che ha reso più soddisfacente la nostra vita […] non ci appartiene, ciò che ci è piaciuto non è stato generato da noi, non è stato deciso da noi. Il fatto che il tempo ci sia piaciuto non è dipeso da noi: è stato nostro e non ci è appartenuto, tant’è vero che è passato.

(292) E del passato che ci è spiaciuto […] anche quello non apparteneva a noi, anzi: è più chiaro ancora che non apparteneva a noi.

Ciò che ci è spiaciuto apparteneva a qualcosa d’altro, di inevitabile.

Ciò che ci è piaciuto e ciò che ci è spiaciuto, niente è appartenuto a noi, fino a un’ora fa, fino a mezz’ora fa, fino a quello che è accaduto un minuto fa.

(302) … anche questa ragazza, come me, appartiene a Cristo, appartiene a un Altro, appartiene al Mistero che fa tutte le cose. Noi rispondiamo così e rispondendo così uno sente che risponde, capisce che risponde, perché questa è una risposta, l’unica risposta. E in questa risposta, il cuore, sia pure ferito, ha paradossalmente un ultimo riposo.

Poi vieni qui e la compagnia richiama il destino, cioè richiama questa appartenenza.

(397) Dentro le circostanze che il Mistero del Padre stabilisce, il mistero del Padre ti fa riconoscere e amare la Presenza di qualche cosa d’Altro, di Cristo. Queste circostanze storiche attraverso cui il Padre ci fa capire la presenza di un’altra Presenza, di qualcosa d’altro più grande, appartengono a quello che si chiama carisma: le circostanze storiche che creano il nostro Movimento o il Gruppo Adulto.


Appartenenza e possesso

(228) (domanda) «La speranza si appoggia su una presenza, si poggia su un possesso»

Giussani: Si poggia su una presenza che tu possiedi, una presenza che ti appartiene (se la possiedi ti appartiene). Ma un presenza che ti appartiene, una presenza che è tuo possesso è anche presenza cui tu appartieni. Il bambino appartiene a sua mamma, si può dire che il bambino possiede sua mamma: sua mamma gli appartiene e lui le appartiene. Dove uno appartiene a un altro è sempre vero l’inverso, che l’altro appartiene a lui, altrimenti è una terribile bugia.


Arduo

(198) Il desiderio di un bene arduo. Cosa vuol dire un bene o un valore che si desidera, ma che è arduo? Che si desidera un bene o un valore, l’avere il quale costa. In qualche modo costa, è arduo, è faticoso, esige una pena e una fatica.

(202) Il compimento del nostro destino implica sempre una modalità di cammino che è fatica, perché il compimento del destino, il cammino al destino è una prova. […] è una prova da superare: in questo senso si dice che è arduo. Superare un fiume in piena è arduo; ogni prova è ardua, ogni prova ha dentro in sé questo aggettivo.


Arduo e semplice

(252) Arduo non si contrappone a semplice. Semplice indica la modalità con cui puoi affrontare l’arduo. Senza semplicità non affronti l’arduo perché, se tu guardi l’arduo senza semplicità dici: «Ma, se, però, forse, chissà», che sono tutte le parole più sordidamente e satanicamente nemiche della percezione del vero.


Armonia

(335) In qualsiasi religione panteistica, Dio si unisce all’uomo e al mondo per compiere l’ordine del mondo, per compiere l’ordine, l’armonia del tutto. È la frase che mi sono sentito dire dai bonzi di Nagoya, in Giappone, quando sono andato a fare una conferenza con i buddisti: «per compiere l‘armonia del mondo». Allora io ho fatto la conferenza e ho descritto il concetto di armonia – che esaltava tutti i particolari, perfino i capelli del capo -, che è in comune con il cristianesimo, che il cristianesimo capisce e afferma. Però gli ultimi tre minuti ho detto che quest’armonia è entrata nelle viscere di una ragazza e ne è uscito un uomo: un uomo. Un uomo è l’armonia di tutto.

In tutte le altre concezioni questa unità di Dio con il mondo e con l’uomo è detta in modo arido e meccanico.


Arte

(265) La fede è certezza di una “grande Presenza”, che permette la costruzione del mio rapporto con la realtà, della mia opera e del mio intervento nella società, che permette al mio lavoro di erigersi ai miei occhi come una cosa utile e “bella”. Bella, perché se non diventa opera d‘arte, il tocco dell’uomo sulle cose non è umano. Il tocco dell’arte introduce nella manipolazione meccanica del reale un riverbero ideale; “l’arte che a Dio è nepote”, diceva Dante, poiché solo da Ciò che salva deriva una bellezza buona, che non teme il tempo, la morte e il dolore.


Ascensione

(313) Il Signore è così amante dell’uomo, è così amoroso verso di noi che, dovendo attendere la fine del tempo per mostrarsi in tutta la sua evidenza, essendo adesso nascosto – come abbiamo detto all’Ascensione – alla radice delle cose, ha dato come sostegno a noi e come aiuto alla nostra fedeltà a Lui, aiuto alla nostra fiducia in Lui, il suo Spirito.


Assemblea

(cfr. domande)

(58) Nei raduni in cui non c’è lezione, che cosa si fa? L’assemblea. Ma cosa si fa per fare l’assemblea? Domande. Domande su quello che è stato detto.


Astratto/astrazione

(229) (Domanda). «Dicevi che queste parole sono chiare e astratte e questo di p er sé è apparentemente una contraddizione. Volevo chiedere se mi spiegavi, perché capisco chele parole risultano chiare, ma è come se poi rimanesse una distanza.

Giussani: Non è una contraddizione. Chiaro e astratto può stare benissimo insieme. Hegel è chiaro e astratto; ma forse non sai chi è Hegel. Una parola chiara […] per sentirla astratta ti deve non interessare; prima ti deve non interessare, poi la senti astratta. Perciò quando si sentono queste cose e sembrano astratte, prima di tutto non bisogna meravigliarsi, perché è parte della tentazione che il peccato originale ha lasciato perennemente in noi.

(378)Ciò che è prodotto dalla memoria dei secoli , sostenuto dai millenni, se appare astratto è perché noi siamo vuoti.

(379) Di fronte alla vita non c’è più teoria o astrazione; l’astrazione è dettata dall’esigenza di astratta giustizia che c’è nella gente, (di fronte a uno che annega si mettono a discutere) per cui per gli uni occorreva il gabbiotto, per altri occorreva la strada più larga, per altri occorreva…tutti ragionando immaginavano che cosa occorresse perché uno non cadesse nel Naviglio.

(404) Appare astratto ciò che hai già eliminato come volontà di accettazione, come capacità di valorizzazione, come giudizio di pertinenza.

(405) Ritenere astratto un valore di cui si vede la ragione, contro cui non si ha ragione di andare; ritenerlo astratto perché non si tocca come i capelli, vuol dire essere fallaci, perché è un rinnegare il nesso col proprio cuore, col senso del proprio destino che la cosa rivela.

Non dobbiamo aver paura del sacrificio: dobbiamo aver paura dell’astratto; l’astratto è la condanna della nostra dignità umana.

L’astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino, perciò l’astratto è ciò che elude ciò per cui è fatto il tuo cuore, e tende a identificare il concreto con la punta del naso che tocca […] e tutto questo è così ironicamente concreto da finire nel marcio della tomba.

L’astratto è una distrazione voluta, perciò ho parlato di impostura; è una distrazione della ragione, cioè della natura, che è esigenza di un destino che nella ragione si affaccia.

(431) Ciò che sentiamo astratto, è qualcosa a cui abbiamo detto di no.

(432) Una cosa è vera o non è vera di una cosa vera dire che è astratta, vuol dire che ha già detto di no: appare astratto ciò che abbiamo rinnegato. Se ti dicono una cosa che ti appare astratta, devi impegnarti a vedere come la si può rendere concreta e in questo tentativo di renderla sperimentabile tu la impari.

Quello che ti sembra astratto è una promessa, non una minaccia[…] è una promessa che avrai di più.


Astrazione e ragione

(405) Ritenere astratto un valore di cui si vede la ragione, contro cui non si ha ragione di andare; ritenerlo astratto perché non si tocca come i capelli, vuol dire essere fallaci, perché è un rinnegare il nesso col proprio cuore, col senso del proprio destino che la cosa rivela.

Non dobbiamo aver paura del sacrificio: dobbiamo aver paura dell’astratto; l’astratto è la condanna della nostra dignità umana.

L‘astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino, perciò l’astratto è ciò che elude ciò per cui è fatto il tuo cuore, e tende a identificare il concreto con la punta del naso che tocca […] e tutto questo è così ironicamente concreto da finire nel marcio della tomba.

L’astratto è una distrazione voluta, perciò ho parlato di impostura; è una distrazione della ragione, cioè della natura, che è esigenza di un destino che nella ragione si affaccia

(434) Se dico una cosa che ti sembra astratta, dovresti cercare le ragioni d non dire: «È astratta».

Trovar le ragioni, implica un lavoro. Invece che dire che è astratta una cosa che noi diciamo, senza questo lavoro di ricerca delle ragioni, è affermare un sentimento, uno stato d’animo, è una reazione puramente sentimentale.

È la ragione che ti fa scoprire di più la realtà, non il sentimento di astrattezza o di non astrattezza.

(435) La ragione è il crocevia del vero, la miniera della verità. Dire che sono astratte le cose che diciamo è affermare una propria immaginazione, dare privilegio a una reazione psicologica, non a una ragione.


Astratto vs chiaro, giusto

(229) (Domanda). «Dicevi che queste parole sono chiare e astratte e questo di p er sé è apparentemente una contraddizione. Volevo chiedere se mi spiegavi, perché capisco chele parole risultano chiare, ma è come se poi rimanesse una distanza.»

Giussani: Non è una contraddizione. Chiaro e astratto può stare benissimo insieme. Hegel è chiaro e astratto; ma forse non sai chi è Hegel. Una parola chiara […] per sentirla astratta ti deve non interessare; prima ti deve non interessare, poi la senti astratta. Perciò quando si sentono queste cose e sembrano astratte, prima di tutto non bisogna meravigliarsi, perché è parte della tentazione che il peccato originale ha lasciato perennemente in noi.

(242) (Domanda) «Lei ci ha ricordato che il problema più urgente per noi è che queste cose rischiano di rimanere chiare ma astratte. L’aiuto per uscire da questa astrazione è vivere un rapporto».

Di fronte a questi problemi che vi appaiono chiari ma astratti, io ho risposto prima al nostro amico che gli sembravano astratti nonostante fossero chiari, perché li aveva rifiutati prima; non gli interessavano prima.

(243) E infatti c’è una categoria che rifiutava. «Chiari ma astratti» non è dire «giusti ma astratti». «Chiari» vuol dire che parlo in termini logici, «giusto» vuol dire che è pertinente alla vita, che aiuta la vita, che sostiene la vita. Questa cosa è giusta per la mia vita anche se mi appare astratta.

Bisogna raggiungere il concetto di giusto, cioè che la mia vita senza destino è una vita da cani ed è una vita che va a finire nel marciume.

Giusto, una cosa giusta ci vuole! Anche se è astratto, però mi è necessario; riconosco che mi è necessario, soltanto che è astratto, non capisco ancora, non sento ancora, non vedo ancora: questo è umano.

Per rendere «giusto» concreto e non astratto devo fare la fatica di stabilire rapporti, di vivere dei rapporti.

(244) Nel rapporto, lentamente, il giusto – di cui non capisci bene ancora come si fa a farlo e sembra astratto – incomincia a diventare concreto. L’amore come gratuità e come tenerezza lo impari da una persona che vive l’amore come gratuità e tenerezza, non lo impari teoricamente. La vita la impari nel concreto, non teoricamente.


Astratto vs concreto

(310) L’ultimo – come sono astratti tutti quelli che vogliono essere troppo certi – l’ultimo pensiero che sarebbe venuto in mente a quei due (Giovanni e Andrea), non l’avessero più visto per sei mesi, sarebbe stato il dubbio che fosse un’illusione

(376) Le mie risposte sono l’espressione di una maturità di esperienza che voi non avete ancora, per cui resta in voi un residuo di impressione di astrazione, di quel che dico rimane in voi un residuo astratto. Ma ripetendo continuamente quel che vi dico, col tempo che passa, passa anche l’astrazione e si capisce che era astratto quello che ci sembrava prima concreto.

(405) Ritenere astratto un valore di cui si vede la ragione, contro cui non si ha ragione di andare; ritenerlo astratto perché non si tocca come i capelli, vuol dire essere fallaci, perché è un rinnegare il nesso col proprio cuore, col senso del proprio destino che la cosa rivela.

Non dobbiamo aver paura del sacrificio: dobbiamo aver paura dell’astratto; l’astratto è la condanna della nostra dignità umana.

L‘astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino, perciò l’astratto è ciò che elude ciò per cui è fatto il tuo cuore, e tende a identificare il concreto con la punta del naso che tocca […] e tutto questo è così ironicamente concreto da finire nel marcio della tomba.

L’astratto è una distrazione voluta, perciò ho parlato di impostura; è una distrazione della ragione, cioè della natura, che è esigenza di un destino che nella ragione si affaccia


Attaccamento

cfr. Affezione

(219) E loro (gli apostoli) sono così bambini vicino a Gesù che lasciano cadere, non stanno attaccati alla pretesa che Lui risponda alle loro questioni così come le immaginano, ma gli stanno attaccati più profondamente di quanto fossero attaccati alla loro opinioni, con una semplicità più grande.

(220) Perché l’essere attaccati alla propria opinione esige la perdita della semplicità, l’introduzione di una presunzione e il prevalere della proprio immaginazione sull’attesa.

(350) Attaccamento all’altro, affezione all’uomo; sia come devozione (rispetto), sia come fedeltà (continuità del rispetto)


Attaccamento e commozione

(341) Non esiste attaccamento a sé se non è pieno di commozione. La verità della vita è affermare l’essere e questo porta con sé un affezione, un attaccamento, che può essere duro come la pietra. […] è dura come una pietra e non può non diventare commozione.


Atteggiamento di Cristo

(142) Con che parola si può definire l’atteggiamento di Cristo verso il Padre? È quello che dice san Paolo qualche riga dopo: fatto obbediente fino alla morte». Simone e gli altri si sono fatti obbedienti a Cristo anche di fronte all’incomprensibile. Come l’atteggiamento di Cristo verso il Padre è stato l’obbedienza anche quando il Padre ha deciso di farlo morire, così anche noi, l’atteggiamento che dobbiamo avere verso Cristo è lo stesso: l’obbedienza a Cristo anche quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non comprendiamo.

Perciò seguire Cristo significa, spiegato in modo più preciso, avere lo stesso sentimento che Cristo uomo ebbe verso Dio: anche noi dobbiamo avere verso Cristo uomo Dio, l’atteggiamento della adesione, della obbedienza. L’obbedienza definisce l’atteggiamento di Cristo di fronte al Padre.

(158) L’attaccamento a Gesù nasce proprio dall’atteggiamento di attenzione, di sguardo fisso,, di domanda di capire, di adesione a quello che ci dice di fare; da qui nasce l’affezione e non è vefro che occorre l’afezione per poter seguire.


Attenzione

(61) Se tu non ti guardi in giro e non stati attento…ma stai attento se sai già che c’è qualche cosa di pericoloso; se non lo sai non stai attento. Gesù è proprio venuto per dirci: «state attenti, stare all’erta».


Attesa


Attesa di Dio

(301) Lo struggimento che il tema fondamentale (Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61 Beethoven) genera, questo struggimento è l’emblema dell’attesa di Dio che ha l’uomo.


Attesa vs immaginazione

(220) È esattamente il grande pericolo che tutti corriamo: il prevalere delle nostre immagini sull’attesa che Dio ci ha destato nel cuore e che Cristo ci ha rinnovata, anzi ci ha precisata.


Atto

cfr. agire, gesto

(55) Ragazzi, in qualunque atto veramente umano, ma soprattutto quando l’atto umano sta di fronte al suo destino, qual’è la caratteristica suprema dell’atto umano? Ricordate Péguy: Dio non obbliga nessuno, la libertà!

(376) Se l’atto che compi proviene da un dettato è cosa da bambini, se proviene dalla commossa coscienza della presenza di un uomo che ha un destino eterno, allora non è più una cosa da bambini.


Attrattiva

(85) L’attrattiva o l’emozione suscitata da una creatura che esercita un influsso, immediatamente più forte di un’altra cosa che porterebbe la libertà più avanti, che farebbe camminare la libertà, questo è l’errore: non è un errore l’attrattiva che si sente, è un errore preferire questa attrattiva all’attrattiva più debole, ma più attiva e sicura verso il destino che qualche cosa inoltra nel cuore, propone al cuore.

(86) Quanto più camminate, tanto più diventeranno attraenti le cose che rappresentano il vostro destino: quanto più camminate, tanto più la vocazione sarà magnifica. È l’inverso di quello che avviene per le cose mondane: l’attrattiva ha il massimo all’inizio e poi finisce.

Di fronte alla scelta di una cosa che ti attira di meno ma che ti fa andare di più verso il destino, ragionevolmente sei obbligato a seguire la seconda, non la prima; se fai così, questo è il peccato, l’errore.


Attrattiva e compagnia

(170) Sentirsi insieme a Dio e a Cristo significa sentirsi insieme a della gente con cui ci mette! Nella compagnia in cui Dio ci mette noi camminiamo verso di Lui guidati, perciò sicuri, e partendo dall’attrattiva che umanamente le singole persone opera su di noi. È potenziato ciò che naturalmente ci attira, è assicurato e fa frutti: altrimenti ciò che naturalmente ci attira ci ferma, ci fermerebbe.


Autocoscienza

(224) L’uomo può dire: «Io ho il diritto di essere soddisfatto. Io ho il diritto di non essere distrutto; io ho il diritto di essere, di raggiungere il mio destino, ho il diritto di essere trattato con giustizia». Questo diritto è la natura di cui è fatto: l’uomo è autocosciente, è cosciente di sé. Cosa vuol dire che io sono cosciente di me? Che io conosco le cose principali di cui la mia natura è fatta. La mia natura è fatta inmodo tale che capisce di avere il diritto di poter giungere al termine della strada


Automatico

(189) (Domanda): «Siccome non c’è niente di automatico, come dalla fede nasce la speranza? C’è una condizione per cui, se uno vive la fede, ne deriva la speranza?

Giussani: La domanda è molto giusta e acuta: siccome non c’è nulla di automatico che abbia valore umano – nulla di automatico che cosa vuol dire? Nulla che non sia libero.


Autorità

(159) Se tu aderisci all’indicazione che l’altro di dà, che l’autorità ti dà, se cerchi di capirla, scopri al verità e la vita più di prima e questo ti rende ammirato dell’altro e ti fa affezionare all’altro. Capire questo vuol dire incominciare a capire come nasce la nostra compagnia, come nasce una comunità, come nasce l’amicizia.


Avvenimento

(276) Con Lui anche il futuro è sicuro, perciò la fede diventa speranza, in quanto riguarda non più la sorpresa di una Presenza, la sorpresa di un avvenimento – avvenimento: è un presente -, ma la conseguenza di quello che si attende da ultimo, di quello che si attende fino in fondo: la fede diventa speranza.


Avvenimento e conoscenza

(364) Come dice il commentatore Peguy parlando di avvenimento: l’avvenimento è una novità, e l’avvenimento è fondamentale per il conoscere: si conosce quando si sa qualcosa di nuovo.


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