
AVVERTENZA. Gli incontri e i colloqui con i giovani, che verificavano un percorso la loro vocazione, registrati in questo libro, fanno riferimento al precedente “Si può vivere così“. Tra le parentesi quadre [ ] ed evidenziate in verde si trovano le pagine e i relativi brani del libro di riferimento. Entro le parentesi ( ) sono riportate le pagine di questo libro.
INDICE GENERALE DEI CAPITOLI
NB: Alla successiva apertura dei capitoli troverete l’indice, a sua volta linkati, di tutti i titoli e sottotitoli
- La ragionevolezza del cominciare
- Lezione commentata
- Dialoghi
- Touché, o della conoscenza
- L‘ordine condizione della meta
- Parole che legano a Cristo
PARTE PRIMA – FEDE
- Capitolo primo LA FEDE
- Dalla ragione alla fede
- Fede: sintesi
- Commenti e dialoghi Fede e razionalità)
- Capitolo secondo LA LIBERTA’
- Natura della libertà
- Commenti e dialoghi
- Capitolo terzo L’OBBEDIENZA
- Natura e ragionevolezza dell’obbedienza
- Mendicanza non investigazione
- Commenti e dialoghi
PARTE SECONDA – SPERANZA
- Capitolo quarto LA SPERANZA
- Speranza: sintesi
- Dialoghi
- «Già similmente mi si stringeva il cuore»
- Capitolo quinto LA POVERTA
- Povertà: sintesi
- Commenti e dialoghi
- Capitolo sesto LA FIDUCIA
- (Fiducia: ripresa sintetica
- Dialoghi
- Memoria, coscienza di una Presenza)
PARTE TERZA – CARITA’
- Capitolo settimo LA CARITA’
- Commenti e dialoghi
- Carità: sintesi
- Capitolo ottavo IL SACRIFICIO
- Un popolo pieno di canti
- Natura del sacrificio
- Dialoghi)
- Capitolo nono LA VERGINITA’
- La parola colma di eternità d’amore
- L’Annuncio a Maria
- Elogio della semplicità
- Il centuplo quaggiù
- Dialogo sul cammino dell’anno
- Avvenimento e dimora
La ragionevolezza del cominciare (11)
Indice linkato ai titoli
1 – Lezione commentata
La ragione per cui uno è voluto venire qui oggi e incomincia una strada, può essere perché l’ha incominciata un amico.
«È una cosa ragionevole?» Sì perché nella misura in cui io voglio bene a un amico – lo stimo – mi interesso, mi informo: prudentemente ma mi informo….ma non è mai così prudentemente, perché se sei destinato – tac – il colpo viene. Perché
La vita è nostra, ma la sua consistenza, il suo svolgimento non è nostro, ciò di cui è fatta la vita non è nostro.
Come la vita , ciò di cui è fatta la vita è di un Altro, così tutta questa strada la farà un Altro, la svolgerà un Altro.
[In questo senso il gesto che compite non ha un valore ipotetico cioè “Vediamo se…”, ma è profondamente ragionevole perché quello che capite che ci deve essere dentro qui è qualcosa che corrisponde profondamente all’esigenza del vostro cuore, alla sete e alla fame del vostro cuore, al destino della vita.]
Questo vi lega al destino e all’ultima sponda a cui attraccherete, vi lega al misterioso momento della morte.
E quindi vi lega al contesto in cui camminate, al mondo intero: qualsiasi cosa succeda al mondo, qualsiasi uomo ci sia nel mondo, senza che lo conosciate, è vostro, vi interessa.
Ogni giorno penetrerete in questo viaggio dentro il mondo, di interesse verso il mondo, di pietà verso gli uomini:
«Questa strada è un miracolo».
Guardate che non c’è niente che sia fondamento dell’umano se non ciò che è ragionevole, vale a dire la corrispondenza alle esigenze del cuore, la corrispondenza di ciò che è alle esigenze del cuore.
Ma noi non vogliamo la vita perché la vita sia più bella.
Questo è un motivo a mezza strada. Lo scopo è l’amore a Dio e agli uomini, la pietà per il mondo.
Il sentimento umano incomincia come sentimento della ragionevolezza: ha bisogno della ragionevolezza, ha fame e sete della ragionevolezza, perché al di sotto della ragionevolezza sta il cane.
Custodire il seme vuol dire essere premurosi e attenti nel cercare le ragioni di ogni cosa,
di ogni cosa, in cui ci si impegna, senza pretendere di esaurire il cammino nel primo istante.
Ci vuole una necessaria approssimazione nell’affrontare la strada con ragione.
L’approssimazione non è irrazionalità perché la ragione pre-sente, anticipa, ha il presentimento di qualcosa di serio.
Questa strada non è una ricerca scientifica, non è un qualsiasi interesse, ma è l’interesse della vita, del compimento della vita; perciò è una strada di speranza, per sua natura è di speranza, della speranza per cui val la pena vivere.
Per fare questa strada bisogna andare di ragione in ragione.
È la ragione che stabilisce il sostegno, la colonna di sostegno del cielo – cioè del divino – che sta sopra la terra,
[Quale coraggio occorre avere per sostenere lo sviluppo di questa speranza, di questa attesa! La vocazione è la ricerca di una risposta alle esigenze del cuore.]
Il coraggio è il miracolo dell’essere nel tempo, indica la capacità di vittoria dell’essere sul tempo.
La vocazione è la ricerca di una risposta alle esigenze del cuore.
La vocazione assicura una corrispondenza alle esigenze del cuore, assicura una corrispondenza alle esigenze di questa vita:
«Pur vivendo nella carne, vivo nella fede»
Gal. 2,20
(25)La vocazione non segue qualcosa di astratto, di strappato fuori, di teorico, di spirituale.
Non esiste uno spirituale se non dentro il carnale, come non può sussistere il carnale se non dentro lo spirituale (perché la carne non si fa da sé, perciò deriva da un altro principio).
(26) Senza che la ragione cresca, l’uomo resta rattrappito, è rattrappito il gusto della bellezza, è rattrappito il gusto dell’amore, è rattrappito il gusto dell’amicizia, è rattrappito il gusto del buono, del vero, del giusto: è rattrappito tutto.
(27) Perciò l’antefatto (il compagno che andava alla verifica) e il presentimento del contenuto di questa strada sono due fattori che creano la ragione che sostiene umanamente l’inizio di questa strada: non li potete togliere mai più.
(28) Fare questa strada significa rimetterci la vita, giocarci la vita: è il senso della vita che si raggiunge, è il destino della vita che si attua, ciò che il cuore aspetta.
Il cuore aspetta solo questo: l’uomo è quel livello della natura in cui la natura aspetta questo; perciò è quel livello della natura che si chiama io.
Mai il vostro io è stato così io: finora mai, in nessuno di voi.
Sei tu: qui sei tu, è il tuo passo; inopinatamente, non avevi pensato a questo, non potevi neanche immaginartelo.
Invece, che il tuo amico abbia fatto questa strada, finalmente ti ha reso te, e dici io come non l’hai mai detto fino ad ora, mai!
2 – Dialoghi (28)
Chi afferma il dubbio sembra un saggio, mentre è il più satanico di tutti.
Il dubbio impedisce di capire, è ingiusto perché pone un preconcetto,
pone in un assetto non spalancato e aperto, così che se il vento dello Spirito arriva, trova la porta chiusa.
Quali erano invece i sentimenti di un ebreo devoto? Prima di tutto che la vita è una promessa, la realtà appare promettente.
Dio infatti crea l’uomo come promessa e l’uomo attende come risposta.
(30) una tensione e una promessa che costituisce la nostra carne, le nostre ossa, il nostro cuore e la promessa è l’ultima parola dell’Essere: l’ultimo volto della realtà è la risposta a una promessa, Dio è la risposta a una promessa.
Ma chi tra gli uomini oggi vive ricordando questo destino per cui è stato fatto?
(31) I profeti, nella tenebra in cui si muove tutta questa umanità nostra, è come se lanciassero razzi di luce nella notte.
Infatti, non è pensiero, quello degli uomini; è reazione, di fronte alle cose che capitano, in cui si esprime l’attesa.
L’attesa si esprime, ma si esprime confusamente, come reazione alle cose che accadono, perciò, al fondo, come delusione di fronte alle cose che accadono o come mortificante gioia (mortificante perché è gioia che finisce: più mortificante di questo c’è solo la morte).
[p. 11] – «Oggi iniziate una cosa che non conoscete ancora. Allora è giusto ricominciare domandando a Dio che ci aiuti, perché è un cammino che non conosciamo».
Da che cosa parto se non so neanche domandare? (33)
Si inizia conoscendo confusamente e parzialmente.
Si procede conoscendo sempre di più, perciò sempre più compiutamente e sempre più chiaramente.
Perciò, amica mia, la risposta alla tua domanda è che, con pazienza e con coraggio, ci aiuteremo di settimana in settimana a capire cosa vuol dire chiedere Dio, chiedere a Dio.
E’ così che scopriremo che la domanda a Dio non è nient’altro che l’estrema espressione di questa aspirazione del cuore: il cuore – che è aspirazione alla felicità – chiede la felicità.
(34)«Si capisce l’aldilà in forza di una esperienza dell’aldiquà»:
l’esperienza del limite delle cose, che è essenziale all’esperienza dell’aldiquà.
Negare questo “oltre“ è negare la natura.
Hai detto che incominciando è giusto domandare, ma noi possiamo “solo” domandare? (34)
L’unica cosa da cancellare è la parola “solo”: infatti più di così l’uomo non può fare, è il “massimo” che si può fare.
Il massimo che può fare l’uomo che prenda coscienza del suo essere creaturale è il grido a Dio che ciò sia per cui è stato destato.
(35) La suprema moralità è il grido che mendica la forza dell’Essere nella propria vita.
[p.11] – «Di fatto, di questa cosa nuova potete avere confuso desiderio, ma non basta, allora occorre domandare che questo desiderio sia illuminato, assecondato».
Commentando questa frase Lei ha detto che se noi riconosciamo le ragioni di una cosa, siamo incastrati, dobbiamo seguirla. Però questo non è automatico in me. Penso, per esempio alla fatica che faccio nel seguire le indicazioni della regola, oppure che ho fatto quando mi è capitato di innamorarmi. Allora, c’erano le ragioni, ma è come se qualcosa di me fosse trattenuto. (36)
Hai detto giustamente che le ragioni non ci incastrano nel senso meccanico e matematico del termine.
Perché l’uomo è libertà! C’è nell’uomo la libertà.
La libertà è una capacità infinita; infatti, la libertà è rapporto con l’infinito.
È dunque la libertà il valore della ragione.
La libertà è il luogo dove il valore della ragione si attua.
O la ragione viene seguita adeguatamente o la risposta è il nichilismo.
Il nichilismo: tutto è niente
(37)Infatti le ragioni possono non costringere quando la libertà agisce ingiustamente contro sé stessa.
Dio con noi ci invita alla sua compagnia e ci costringe ad essere ragionevoli: la fede salva la completezza della ragione dall’abisso della sua perdita.
Per seguire l’invito che arriva e non più fare da soli, ci vuole bontà.
La bontà è una caratteristica della libertà, non dell’intelligenza.
Cosa significa che: ”La bontà è una caratteristica della libertà, non dell’intelligenza?” Se penso a me stesso sono tutto tranne che buono, e la bontà che mi viene, mi viene da una grazia. Allora non riesco a riconoscere il legame tra bontà e libertà. (37)
La bontà è quell’atteggiamento originale dell’uomo per cui i suoi occhi e tutta la sua faccia sono spalancati di fronte a ciò che è dato.
La bontà accetta il dato: non è una questione di intelligenza.
Mi è dato un dono: riconoscere che è buono per me non corrisponde, all’origine, ad un povertà di spirito per cui si accetta? (38)
Non «perché è buono per me». «Perché mi è dato» è buono!
L’origine della questione è molto più drammatica.
La bontà è il risultato di un’attesa e di un’apertura che non oppone nulla a ciò che le viene, le arriva, le vien dato, a ciò che le accade.
Ma il fatto di riconoscere che quello che è dato è positivo, è un’intelligenza? (39)
È un’intelligenza accogliere perché dato dal Mistero (proprio in quanto è dato).
E, per accoglierlo in quanto è dato, non c’entra il riconoscere in che senso è buono, che risultato dà.
Questo lo capisci dopo: dopo aver ubbidito, capisci.
Volevo capire se la mancanza di certezza deriva sempre da un uso scorretto della ragione (41)
La mancanza di certezza, di fronte al problema posto, può non dipendere dall’uso scorretto della ragione, ma dipendere dalla mancanza di cognizione dei fattori che costituiscono il problema e che vi rispondono.
Può dipendere anche da fatto che all’uomo manchino gli strumenti o la conoscenza dei fattori necessari per conoscere la verità, riconoscerla ed abbracciarla con certezza.
3 usi scorretti della ragione
- È quello di pretendere di dare giudizi su cose che non ci si è preparati a conoscere, a cui non si è preparati.
- È quello quando il sentimento, l’affetto, prevale sull’intelligenza della realtà.
- Quando uno pretende di dare un giudizio fissando l’attenzione su una parte della questione o dilatando ad ispirazione per un giudizio sul tutto l’effetto che la considerazione di questa parte gli fa sull’anima: è la dinamica del preconcetto.
Leggendo la lettera del nostro amico di Alessandria che ha perso la famiglia a causa dell’alluvione, mi ha confortato la certezza che aveva in Cristo. Come si fa ad amare Cristo in una circostanza così drammatica? (42)
Per un solo motivo può essere razionale: amare Cristo;
l’aver già riconosciuto Cristo come il senso ultimo della propria vita e della vita del mondo.
Non lo vedo, non posso vederlo ora, perché sono al livello di altezza delle cose che accadono e le vedo come mi appaiono davanti agli occhi, non le vedo nei loro retroscena, nella loro genesi autentica, e, soprattutto, non le vedo nei frutti, negli effetti per cui sono permesse.
Mentre se Cristo è il senso di tutto, il punto adeguato per capire anche la tragedia è Cristo.
Il dolore, fino alla tragedia, non è un’obiezione al fatto che il mondo sia per il bene, che la realtà sia promessa.
Tant’è vero che, venuto tra di noi, è morto per noi, è morto assassinato ingiustamente.
Insomma, l’uso giusto della ragione, l’uso corretto della ragione è là dove l’uomo ha il senso del limite della ragione.
L’alternativa è che tutto sia niente.
Ma che la vita è zero e niente vuol dire che la faccia che stringeresti nella mano perché ami, è niente: stringi e va a finire in niente.
Settimana scorsa, a Scuola di Comunità, mi ha commosso il fatto che ho visto persone totalmente cambiate come è successo per me un anno fa. Però quest’anno, forse perché sono pigro, non la faccio bene. (45)
Il bambino piccolo ti grida; se fosse in mezzo alla strada, con le manine tese, a piangere e a guardarsi in giro, rischieresti la pelle per andare ad aiutarlo.
Così sei tu di fronte a Gesù, Dio fatto uomo.
Renditi bambino di fronte a Lui.
Ti rendi bambino quando mendichi, sapendo che mendicare è domandare a Lui, perché a questa età lo sai.
A differenza del bambino hai il dovere di sapere chi è Colui al quale domandi.
Ma forse la risposta più semplice e più chiara è questa: fare quanto ci è stato fatto incominciare, fare quello che ci è stato chiesto; il più consapevolmente possibile, facendone rinascere le ragioni il più intensamente possibile.
Si è costretti a ritornare sempre daccapo: per capire Dio bisogna essere uomini, e per amare Gesù, bisogna essere uomini.
Essere uomini vuol dire avere verso Dio lo stupore e la dipendenza;
aver verso Gesù lo stupore e la confidenza; avere verso gli altri rassegnazione e la pietà che si ha per sé stessi.
Lei ha sottolineato che è attraverso un’approssimazione che si giunge alla certezza. L’approssimazione è il metodo per conoscere, per immedesimarci? (48)
Approssimarsi vuol dire avvicinarsi.
La parola approssimazione dipende dal tipo di realtà che noi viviamo.
L’uomo vive la realtà come uno che entra nella nebbia e vede da lontano una certa ombra.
Questa nebulosità è propria del rapporto tra la realtà e gli occhi dell’uomo e il cuore dell’uomo.
Il tipo di rapporto tra la realtà e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è nebuloso.
È soltanto attraverso un’approssimazione sempre più grande che ciò che la cosa è, non «si vede totalmente», ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.
Io vivo una specie di schizofrenia, perché vengo qua, sento lei, mi convince il suo metodo. Poi vado a casa e penso: ma i buddisti, i musulmani…..come faccio a sapere che lei ha ragione? No, che noi abbiamo ragione? Mi sembra una cosa impossibile. (49)
(50) L’evidenza porta in sé le sue ragioni. L’evidenza non ha bisogno di intelligenza, ma di moralità:
Tu sei e stai sempre più coscientemente nella posizione in cui ti ha creata la mano di Dio, che è quella del bambino.
Perché il bambino ha gli occhi spalancati e dice «pane al pane e vino al vino», e non si pone il problema se è vero che sia pane, se è vero che sia vino.
In sé, l’evidenza è irresistibile nella sua vittoria sul dubbio.
Il dubbio, infatti, viene dall’introdurre fattori che non appartengono all’evidenza di quella cosa, vengonoda altro.
L’evidenza è sempre e solo ciò che ha in sé, porta in sé, rivela in sé, le ragioni del porsi.
(51)Il dubbio sull’evidenza è immoralità.
Se incontro una persona affascinante, che mi attrae, che mi fa sentire valorizzata, quando vado a casa alla sera non faccio altro che pensarla. Non mi viene in mente che un altro potrebbe colpirmi di più. Penso soltanto a come poter rivedere questa persona. (52)
E’ naturalissimo.
(53) Se l’attrattiva irresistibile apre una prospettiva senza limite, allora è segno di Dio: e una delle frasi che mi avete sentito dire più volte in questi due anni è che
il Mistero infatti si identifica con il segno.
Questo ti fa adorare il segno, vale a dire che ti porta a una esaltazione assoluta del sentimento che hai verso il segno, di stima e di affezione.
Se, invece, la pure evidentissima attrattiva senza limite non ha questa prospettiva è cieca (e seguendola si va nel baratro). (a pag. 53 l’incontro con i buddisti di Nagoya).
La letizia è solo di qualche momento, e a volte invece c’è l’esperienza dolorosa della propria incapacità o della propria inadeguatezza. Io vorrei capire se è un’obiezione o non è un’obiezione questa cosa. (54)
Perché obiezione? Se diciamo «La verginità è il più grande valore cui l’uomo cristiano può capire d’esser chiamato» può produrti una grande malinconia, perché ti eri innamorato di tre ragazze.
Stavi scegliendo tra la prima e la seconda perché la terza era scartata.
(55) Ma rimani e incominci a godere di qualcosa di cui prima avresti riso in faccia a chi te l’avesse detto che ne avresti goduto, capisci? E poi diventi come me.
La verità più la si guarda e più la si capisce per approssimazione, si capisce. Io domando se un giudizio – che può anche essere teorico – lo guardo e lo riguardo, questo non può essere l’inizio di un’esperienza? (56).
Se guardi e riguardi, altro che inizio! È più che un inizio.
Secondo me c’è un problema più sottile: se uno è leale verso la realtà, verso il destino.
(57) Voi leggerete la prima parte del libro per sabato venturo.
Cosa vuol dire leggere? Vuol dire sentire il riverbero di quelle parole su voi stessi, o, che è lo stesso, sentire il riverbero di voi stessi su quelle parole.
si chiama provocazione questo riflesso su di sé o sulle parole: provocazione.
Il primo modo di prepararvi è leggere, per cui occorre mezz’ora di silenzio al giorno.
Come si vede la grande questione è la serietà.
È la serietà, senza serietà non potete immaginarvi com’è la faccia di uno.
3 – Touche’, o della conoscenza
Volevo sapere che cosa vuol dire capire. (58)
Questa domanda è una tentazione troppo grande per resistervi! Per favore chi lo sa lo dica.
Capire una cosa è quando si coglie il nesso della cosa con la realtà
Cogliere il nesso tra una cosa e la realtà: questo è capire. Ma prima di tutto, deve essere la realtà totale.
Il nesso tra una cosa e la realtà totale: questo è capire la realtà.
(59) «Di qui potrebbe dedursi che il mondo, la vita in generale si valorizzano unicamente avendo l’animo a un’altra realtà, ultramondana. Diciamo avendo l’animo a Dio. Possibile?».
Pavese da “Il mestiere di vivere”
Questo interrogativo è l’amarezza della vita di Pavese.
Siccome la realtà tutta non la conosciamo, per capire la cosa bisogna inoltrarsi in una ricerca lunga, lunga, lunga tutta la vita.
Quindi invece di cercare risposte adeguate, dobbiamo cercare di scoprire il fattori della strada alla risposta.
(60) La conoscenza implica un riflesso della realtà sullo specchio della nostra coscienza, e questo è l’inizio della ragione.
La realtà passando davanti ai nostri occhi, non è come se passasse davanti agli occhi di un morto; passa davanti ad occhi vivi, perché ci lascia un segno, shocca la nostra coscienza, dà un colpo alla nostra coscienza.
La conoscenza implica una affezione, implica un contraccolpo che si chiama affezione.
La nostra anima è touchée, toccata: la vera conoscenza è l’insieme di questi due fattori. Allora si capisce meglio.
Hai detto che la realtà colpisce i nostri occhi se l’uomo è vivo. Allora volevo sapere come fare perché i nostri occhi siano vivi. (61)
Sii umana, vivi la verità della tua umanità.
La tua umanità non è quel che fai adesso, è come t’ha fatta Dio
facendoti nascere nel seno di tua madre.
(62) Perché Dio mi possa rispondere, corrispondere, soddisfare, bisogna che io sia ciò che m’ha creato; se poi mi ha chiamato che io sia ciò che m’ha chiamato.
La cosa che dobbiamo imparare è desiderare che il nostro tempo ci tenda verso il nostro destino secondo l’impeto con cui il destino ci ha fatti.
(63) E’ un Altro che ci ha fatti.
Non siamo capaci di essere coerenti con ciò che ci ha fatti: la forza del Mistero ci renderà coerenti con ciò che ci ha fatti, attraverso gli stessi nostri errori, attraverso l’umiliazione dei nostri stessi errori.
Cioè Lui risponderà al grido della nostra umiltà, che ci fa cantare nel “Veni Sancte Spiritus” senza la tua forza di cambiamento, senza la tua forza di essere, niente c’è nell’uomo, tutto ci fa male, anche chi ci ama.
Io volevo capire se la dinamica della ragione è sempre contenuta in un rapporto di affezione con l’oggetto che si conosce. (63)
L’uomo è quel livello della natura in cui la natura comincia a conoscere di che cosa è fatta: autocoscienza.
La natura è fatta, cioè alla natura viene donato l’essere, di essere.
Perciò originalmente, la conoscenza del reale, di ciò che è, ottiene l’interesse attonito della sguardo umano, dell’uomo come un bambino.
Non c’è differenza tra la stoffa di te e di una pianta o di Dio, perché pianta e te siete fatti di Lui. Perciò vedendo una pianta tu guardi con curiosità una parte di te che non conoscevi, una parte dell’essere che non conoscevi.
4 – L’ordine, condizione per la meta (65)
Se in una gara ciclistica uno, per arrivare primo, prende una scorciatoia disubbidendo al percorso dettato dagli organizzatori, viene squalificato.
Ordine è una strana parola.
Perché? Perché viene da un cervello estraneo al tuo: è un altro che l’ha pensato.
L’ordine è la condizione per affermare la meta,
il realizzarsi compiuto della personalità umana, che è il dinamismo più qualificato, complesso e dignitoso dell’universo.
(66) Il valore di una personalità umana è stabilito in uno scopo
che l’uomo raggiunge in un certo modo, un certo modo che chiamiamo ordine.
Che la vocazione è stabilita da un Altro, non è scelta da noi.
L’ordine è stabilito da chi organizza la corsa, di chi crea la vita.
L'ordine del radunarci è la cosa più importante dopo l'ordine di radunarci.
(67) Il raduno è concepito come un certo ordine di cose con cui dovete impegnarvi.
Se noi ci raduniamo ci deve essere detto anche come dobbiamo radunarci.
La libertà si esprime come impegno con ciò che ci è proposto.
Se tu decidi di non impegnarti con quello che noi ti proponiamo è meglio che vai altrove, almeno non sarai incoerente.
Quello che vi proponiamo tendenzialmente deve desiderare e cercare lo sviluppo della vostra mens.
Il valore delle cose, l’ampiezza delle cose, la ristrettezza delle cose, il peso delle cose, la leggerezza delle cose, è con la mens che si definisce, si misura: si chiama mentalità.
(68) Svilupperemo il lavoro tenendo conto di:
- Dicendovi le ragioni per cui uno vive lui queste cose, dicendovi che cosa significano per lui.
- Rileggere quanto diciamo e scriviamo
- Se non si capisce si invoca Dio e si stende la mano e si mendica: si mendicano da Dio, dalla Verità, tutte le verità. Si mendica da Dio che anche il nostro cuore lo conosca e conosca la verità di tutte le cose. La preghiera, il chiedere, questa sì è la cosa più semplice che ci sia.
- Domandare alla persona che ha già fatto il percorso: domanda a lui! Perché domandare a lui è dimostrare che quando si chiede a Dio, si chiede seriamente. Perciò: ascolto, dialogo e obbedienza a uno di quelli che vi son messi vicino; il quale, rispondendoti, può benissimo sbagliare.
(70) Allora si capisce il tema generale della vita: la vita è un cammino.
A mia esperienza è la cosa più difficile da far passare perché riassume il bisogno di tutte le altre: che la vita dell’uomo sia un cammino.
Mentre per i medioevali era chiarissimo – tanto è vero che l’uomo era chiamato homo viator, l’uomo viandante -, a noi sembra che quello che abbiamo nell’istante possa durare sempre.
Vale a dire, la dinamica che accade di più nella vita è il distacco, non esiste niente che sia quantitativamente paragonabile al contenuto di questa dinamica.
La dinamica più copiosa, sorpresa della vita, è la dinamica del lasciare.
Ma non è la dinamica più illuminante della vita: la dinamica più illuminante della vita è l’arrivare, lasciare per arrivare.
Questo fenomeno della vita è come un dinamismo che si strappa da per andare a.
Noi non sentiamo tanto un andare a, ma sentiamo molto di più lo strapparsi da.
Tanto che questo esige un bell’allenamento, altrimenti non ci si strappa mai e si perde sempre; si perde senza strapparsi, cioè non si è mai decisi, non si è decisi.
(71) Questo allenamento, nell’ordine dei nostri raduni, è molto importante ed è richiamato sempre.
C’è uno strapparsi da sé che si chiama obbedienza, e c’è una figura dello strapparsi da per andare a – il liberarsi da ciò che è più ristretto per andare verso qualcosa di più largo – che si chiama povertà.
Il sacrificio dello strappo per andare più avanti, per possedere di più, si chiama obbedienza; l’allenamento a questo strappo si chiama povertà.
Aveva detto: «Si mendica da Dio che anche il nostro cuore lo conosca e conosca la verità di tutte le cose» (71)
Che anche il nostro cuore lo conosca e lo conosca come la verità di tutte le cose.
Perché l’uomo non può sapere la verità di quel che fa, di tutto quel che fa, o tutta la verità di tutto quel che fa, se non andando oltre.
5 – Parole che legano a Cristo (73)
Ci troviamo per riflettere sul cammino in cui Dio ci ha messo, per comprenderne le ragioni, per sorprenderne cioè il valore.
E il suo valore ti renderà soggetto di missione e testimonianza, cioè utile alla costruzione del mondo per il regno di Cristo, che è l’unica ipotesi di unità tra gli uomini e le cose, cioè l’unica ipotesi di unità tra gli uomini e le cose, cioè l’unica premessa, l’unico fattore creativo per un concezione unitaria ed organica di tutto, dove ogni cosa serva all’altra e non ci sia niente di superfluo nel senso cattivo del termine.
Il superfluo, infatti, ingombra la purità dell’ordine. Fare ciò che si giudica più giusto è superfluo, per cui l’obbedienza basta, è più sicura; la povertà non solo è utile, ma necessaria, per spazzar via il superfluo.
Ma essendo la vocazione la chiamata che Dio fa alla suprema amicizia di Sé, per introdurci a un lavoro che durerà tutta la vita, quest’anno dobbiamo renderci conto dei fattori fondamentali, delle premesse inevitabili che permettono questo lavoro.
(74) Tre punti fondamentali che non ho da scegliere io: fede, speranza e carità.
Capir bene cosa vogliono dire queste tre parole significa creare già l’impalcatura che tutta la vita riempirà, tutta la vita renderà luminosa e attraente.
In qualsiasi momento del tempo guardando il vero, tu scopri che nasce.
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