1997 – Esercizi spirituali «Tu o dell’amicizia»

1997 –  Riassunto esercizi predicati da don Giussani dal titolo: «Tu, o dell’amicizia»


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Introduzione


Introduzione

11 – La morte di Luigi XIV di Francia è un segnale dell’epoca in cui la ragione pretese di occupare tutto lo spazio dell’intervento di Dio sull’uomo, in ogni senso.

Per cui la Chiesa, fonte ultima di luce sull’esperienza dell’uomo, si arroccava a livello pastorale per difendere la moralità del popolo, dando per scontata l’evidenza – per un credente – del contenuto dogmatico.

Fu perciò favorita una mancanza di difesa e di alimento della fede del popolo di Dio, in quanto è attraverso l’attività culturale che la vita di un popolo si approfondisce e diventa storicamente generativa, pro o contro la tradizione cristiana che la costruito la civiltà occidentale.

Noi, ora, è come se fossimo investiti dalle estreme conseguenze della ribellione razionalista al Dio vivente rivelatosi all’uomo.


– «DIO TUTTO IN TUTTO»

1 . Una nuova partenza: l’ontologia

13 – Il tema di questa riflessione è il motto di san Paolo: «Dio è tutto in tutto» (1 Cor 15,28).

«Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi

Salmo 8. 4-5

Eppure noi siamo quel livello vertiginoso della natura in cui la natura vive la coscienza di sé stessa; la realtà, come appare nella sua cosmicità, ha come luogo paradossale, che tutta la contiene nella sua possibilità di coscienza, un punto inafferrabile in cui tutto si riflette: l’io.

«[…] Quanto sono amabili le Sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare […], Potremmo dire molte cose e mai finiremmo; ma per concludere: “Egli è tutto“».

Sir 42,15.21-22; 43,27

14 – Davanti a questo Signore, l’io umano ha sete di Lui.

L’io ha sete di eternità, l’io è rapporto con l’Infinito, cioè con una realtà al di là di ogni limite.

Egli solo è: Dio, tutto in tutto.

Ora, che significa che Dio è l’Essere? Significa che è tutto in tutto.

Tutto è, se Dio è l’Essere, perché è tutto in tutto, tutto ciò che è fatto, è fatto da Dio.


2 – Due tentazioni: nichilismo e panteismo

14 – Ma se Dio è tutto in tutto, io che cosa sono?

La risposta non è la soluzione di preoccupazioni etiche, è la scoperta di una ontologia: l’ontologia della realtà.

Ma la realtà nel suo essere […] come fa ad esserci e di che cosa è fatta? La realtà come appare all’uomo è fatta da Dio, «di» Dio.

15 – L’Essere dal niente crea, cioè partecipa sé. È la percezione della contingenza della realtà, del fatto cioè che la realtà non si fa da sé.

Dalla percezione vertiginosa dell'apparenza effimera delle cose, si sviluppa, come cedimento e negazione menzognera, la tentazione di pensare che le cose siano illusioni e nulla.

Il nichilismo è la conseguenza inevitabile innanzitutto di una presunzione antropocentrica, per la quale l’uomo sarebbe capace di salvarsi da se stesso.

È tanto non vero questo, che tutti coloro che vivono difendendo tale posizione, alla fine, anche apertamente, si sentono dissolti in un dualismo, del quale cercano di fugare l’amarezza in immaginazioni mutuate dal mondo orientale […] che realizzano sempre in fondo un ideale panteista.

Un ideale che si ritrova anche in Thomas Mann, nel suo I Buddenbrook, quando descrive l’ultimo uomo capace di difendere l’enorme, colta ricchezza dei Buddenbrook, egli può concedersi solo dieci minuti, un quarto d’ora di riposo.

Abbandonato sulla poltrona prende sollievo sempre pensando a quell’ultimo momento in cui la sua goccia verrà riassorbita dal «grande mare dell’essere» scomparendo così come goccia, come individualità, immergendosi nella pacificante omologazione universale.

16 – Queste due teorie e posizioni (nichilismo e panteismo) dettano tutti comportamenti di oggi; sono le uniche spiegazioni, soprattutto pratiche, date dalla mentalità comune generale, che investe e ingombra la testa e il cuore di tutti, anche di noi cristiani, anche di molti teologi.

L’una e l’altra, con tutte le loro conseguenze, hanno un gioco comune, un punto di ritrovo comune: la fiducia del potere e l’agognare del potere, comunque concepito, in qualunque versione.

In questa cultura, lo Stato non si può mettere in atto che come totalitarismo culturale.

17 – Ma come si passa dal nichilismo e dal panteismo ad avere come obiettivo il potere?

Se l’io (dell’uomo) nasce come parte del grande divenire, come semplice esito dei suoi antecedenti fisici e biologici, egli non ha alcuna consistenza originale: l’unico criterio che può avere allora è quello di adattarsi, così come viene, all’urto meccanico delle circostanze, e più in esse egli ha potere, più la consistenza sua, che è apparenza, aumenta, sembra aumentare, e perciò aumenta l’illusione, anzi, la menzogna.


3 – L’esistenza dell’io

17 – Sia panteismo che nichilismo distruggono quello che è più inesorabilmente grande nell’uomo; distruggono l’uomo come persona, il cui più piccolo pensiero, dice Pascal, vale più di tutto l’universo.

18 – L'io è quel livello della realtà in cui il reale vibra come esigenza di rapporto con l'Infinito.

Si chiama «anima», nel vocabolario tradizionale, o «spirito» l’esigenza di un rapporto totalizzante che trascenda la precarietà di tutti i rapporti sensibili.

Nichilismo e panteismo distruggono questo «io» che definisce la dignità dell’uomo, lo degradano all’aspetto della animalità.

Il problema dell’essere uomo, come si risolve? Non è solo un problema filosofico, è innanzitutto un problema di coscienza di sé, cioè un problema dell’io, della persona: è in gioco che cosa essa è, ed è in gioco in ogni essere umano, ini ogni esperienza, nella quale il reale emerge alla ragione,

Ma se l’uomo brucia il contenuto dell’esperienza, dicendo o che non è niente o che è parte indistinta dell’essere totale, allora non c’è niente al di fuori di lui, egli è l’unico padrone di se stesso.

19 – Se però non ha il potere, se non è lui il padrone, è schiavo del potere altrui, chiunque l’abbia.

Torniamo quindi alla domanda: «Se Egli è tutto, io come sono?».

Cioè, se l’Essere è Dio, che «io sono» che cosa vuol dire?

«Egli solo è», e questo identifica Dio come Mistero.

Ma, accanto a ciò, «io ci sono», e questo resta l’unico mistero per la ragione; senza questo mistero, la ragione non ragiona, perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

Quindi, nichilismo e panteismo sono una riduzione, sono negazioni della ragione, sono semplificazioni riduttive e cedono alla immagine quantitativa delle cose: l’immagine quantitativa dell’essere che ci deriva dalla quotidiana esperienza, dalla vita mortale.

20 – L’unico vero mistero dunque è: come mai ci sono io? come io consisto?

Questa domanda identifica il livello ontologico – non etico della questione.

Invece il razionalismo nichilista o panteista ha esasperato l’incidenza etica del problema, riducendo tutto all’affermazione dell’uomo.

Anche la Chiesa, attaccata al razionalismo, ha sottolineato al popolo e nella sua teologia l’etica, dando come presupposta l’ontologia, quasi obliterandone la forza originante.

Fino a che punto la ragione può arrivare, e dove il Mistero è inattaccabile? Dove la ragione è costretta a riconoscere l’esistenza di un’ultima realtà che non può penetrare?

Dove il suo essere (dell’uomo) si «sottrae» alla inevitabilità di essere partecipe dell’Essere?» Dove l’io può concepirsi indipendente dall’Essere da cui deriva? Dove?

Nella libertà.

Tutto il resto è “attaccabile” dalla ragione, comprensibile nella ragione.

Più radicalmente ancora, come fa il Mistero a creare qualcosa che non si identifichi con Se stesso? Questo è il vero mistero!

Tutto, quindi, comprendibile, salvo una cosa che resta ancora fuori, che per la ragione è fuori da Dio: la libertà.

21 – La libertà è l’unica cosa che appare alla ragione come fuori da Dio.

Ma la libertà che cosa è?

La libertà è la soddisfazione di un desiderio.

Il fenomeno che mi fa dire: «Sono libero», è soddisfazione. Il fenomeno che definisce la libertà è, dunque, la soddisfazione totale di me, la risposta alla mia sete.

La libertà è esigenza di soddisfazione totale.

Per questo è adeguazione all’Essere, cioè adesione all’Essere.

Se l’Essere, Dio, è tutto, la libertà è riconoscere che Dio è tutto.

Il Mistero ha voluto essere riconosciuto dalla nostra libertà, ha voluto generare il proprio riconoscimento.

La natura dell’Essere si è rivelata in Gesù di Nazareth come amore in amicizia, cioè come amore riconosciuto.

Così lo specchio del Padre è il Figlio, il Verbo infinito e nell’infinita misteriosa perfezione di questo riconoscimento, in cui vibra per noi l’infinita misteriosa bellezza dell’origine dell’essere, del Padre, procede la potenza creatrice misteriosa dello Spirito santo.

Ora, l’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.


4 . Domandare di essere

22 – Se la libertà è riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera.

Tutto il resto è Dio che lo fa.

La preghiera è domanda, «domanda di essere».

Dio vuole che ci sia uno che domanda di essere, che dica così tanto, così sinceramente che Egli è tutto, da domandargli ciò che già gli ha dato: di partecipare all’Essere.

Se l’essere creato è l’essere partecipato, la libertà pone la preghiera come unica manifestazione di questo essere.

Se è preghiera e domanda, è dentro il Mistero anche la libertà.

Domandare, dunque, che cosa? Domandare di essere: domandare l’Essere, il Mistero.

23 – Ma che cosa può domandare? Di far diventare totale in sé l’essere, in tutto quello che fa.

Nella esistenza, cioè nella quantità di essere che gli è comunicato, di cui è costituito, in tutto quello che fa l’essere partecipato riconosce che Dio è tutto, che tutto è fatto da Dio. Omnis creatura Dei bona: ogni cosa è bene.

Da punto di vista positivo, «Dio è tutto», e la libertà è riconoscere che Dio è tutto; dal punto di vista passivo, per così dire, da parte del nulla, «tutto è Dio».


5 – La scelta dell’estraneità

Il Contrario del vero, del giusto e del buono è il peccato.

Nel rapporto, il peccato è non vivere tutto come affermazione di Dio.

Il peccato è non riconoscere come origine totale, da cui derivano scopo e metodo di ogni azione.

24 – «Egli solo è». Allora niente è nostro.

Se questo diventa obiezione, è per un veleno messo dal «padre della menzogna»: e questa obiezione è idolatria di sé stessi.

Il peccato è qualsiasi azione nella quale diventi obiezione poter dire «Dio è tutto», è qualunque aspetto dell’azione che possa non essere coerente con «Dio è tutto».

25 – L’uomo, ribellandosi, aderisce a una realtà estranea al suo essere, aderisce al «mondo», come dice Gesù, cioè alla somma del potere, che ha una forma normale, ma dentro non è quello che dice di essere, non è quello che mostra di essere, dentro «non è».

Ciò spiega, da una parte, perché chi cammina nel senso di una morale concepita come riconoscimento di Dio è tutto lieto; trova perfino letizia e, comunque, pace anche nelle situazioni più tristi.

Chi cede al padre della menzogna, chi cede a un estraneo è vittima, di un principio che lo odia, che non lo ama, e che è il mondo: diventa schiavo del mondo, e quanto più fa carriera, tanto più questa schiavitù diventa patente.


«CRISTO TUTTO IN TUTTI»

1 . Natura e destino dell’uomo

26 – «Se Dio è tutto in tutto», che cosa vuol dire «Cristo tutto in tutti»?

27 – Innanzitutto «Cristo tutto in tutti», nel suo valore ontologico, il nesso tra il mistero della persona di Cristo e la natura e il destino della persona di ogni uomo: questo è il valore reale, ontologico, di «Cristo tutto in tutti»-

«Mi hai dato potere sopra ogni essere umano perché io dia la vita eterna a tutti coloro che tu mi hai dato».

Gv 17,2

Ma, in secondo luogo, «Cristo tutto in tutti» sta a significare che Cristo, non solo ontologicamente, ma anche per l’autocoscienza dell’uomo, è la fonte originaria, l’esempio ultimo e adeguato perché l’uomo concepisca e viva il suo rapporto con Dio (creatore) e con l’altro uomo (creatura), il suo rapporto con il cosmo, con la società e con la storia.


2. Imitare Cristo

28 – Perché il rapporto con Dio è rapporto con Gesù?

Perché Gesù è lo svelarsi, il rivelarsi di Dio come Mistero, della Trinità come Mistero.

Perciò la «morale» per l’uomo è l‘imitazione del comportamento di Gesù Cristo, dell’uomo Gesù, di Gesù uomo-Dio, uomo in cui Dio è.

L’imitazione di Cristo è la conoscenza del vero, la pratica del vero per tutti gli uomini.

Gesù Cristo prosegue nella storia, in tutti i tempi, dentro il mistero della Chiesa, Corpo suo, formato da tutti coloro che il Padre gli ha dato tra le mani, come dice Egli stesso, e che Egli, con la forza del suo Spirito, ha nel Battesimo immedesimato a sé come membra del suo Corpo.

Il magistero di Cristo è – perciò coincide con – quello della Chiesa, perché da essa è autenticamente letto e sentito.

L‘autorità è la forma contingente che la presenza di Gesù risorto utilizza come espressione operante della sua amicizia con l’uomo, con me, con te, con ognuno di noi.

Questo è l’aspetto più impressionante del mistero della Chiesa, che più colpisce l’amor proprio dell’uomo, la ragione stessa dell’uomo.

La Chiesa è, dunque, la sorgente con cui si paragona tutta la morale, il definirsi della moralità della vita come coscienza del dovere e tensione all’attuazione di esso, alla luce della coscienza di Cristo, unico maestro dell’umanità.

Gesù è l’uomo che lo Spirito di Dio ha fatto nascere – come ogni uomo – da una donna, vivere e morire come figlio di un madre; il suo io, la sua personalità si è identificata con la natura stessa del Mistero, così che quel che del Mistero si è potuto conoscere e si può conoscere è stato immediatamente rivelato da Lui.

30 – Così abbiamo conosciuto che l’uomo Gesù è immanente al Verbo di Dio, Figlio del padre. Per cui l’imitazione di Cristo è possibile se l’uomo riconosce se stesso come «figlio adottivo» di Dio come Padre, misteriosamente partecipe della natura di Dio, scelto da Gesù, uomo-Dio, a essere parte di Lui nel mistero battesimale, fatto membro del suo Corpo.

Se la morale dell’uomo è imitare Cristo, domandiamoci ora: qual è il comportamento di Cristo verso Dio, verso l’uomo come prossimo, cioè verso l’altro creato dal Padre, verso la società e quindi verso la storia, la storia della intera umanità).


3. Dio è Padre

31 – Innanzitutto, il comportamento di Gesù, dell’uomo-Dio verso Dio, è tutto segnato dal riconoscimento che Dio, il Mistero, è paternità.

Gesù introduce l’uomo nel riconoscimento di questa paternità, della , della familiarità suprema col Mistero che lo costituisce, che fa tutte le cose.

«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre. fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

«Chi ha visto me ha visto il Padre».

Gv 14,6-9

32 – Il Signore unico, il Mistero che fa tutte le cose e tutto il tempo in cui le cose esistono, sussistono, diviene a noi familiare attraverso Gesù.


4. il comportamento di Gesù verso il Padre

A)

Di questo Padre, di questo Mistero come Padre, Gesù sottolinea la potenza creativa: è il comportamento verso un padre che è il Creatore.

33 – Cristo si rivolge al padre in quanto Creatore.

Egli è il primo uomo con la coscienza adeguata e perfetta che tutto il suo contenuto d’uomo è presenza del Padre.

Meditando alcuni dei capitoli del Vangelo di san Giovanni si rinviene nelle parole del Cristo un pensiero dominante: Lui fa quello che il Padre vuole.

Lui fa ciò che il Padre vuole. Lui vede il Padre, Lui non fa niente altro che quello che vede fare al Padre.

Per noi imitare Gesù è, dunque, vivere innanzitutto la religiosità di ogni gesto.

«Sia che vegliamo, sia che dormiamo, sia che viviamo sia che moriamo, viviamo insieme con Lui».

1Ts 5,10

«Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio».

1Cor 10,31

34 – La legge dinamica dell’esistenza è per Cristo l’obbedienza (vivere tutto per l’obbedienza di un Altro); per noi essa trova la sua espressione massima nell‘offerta.

L'offerta è riconoscimento che, come Dio, così Cristo è la substantia di tutta la vita, vale a dire, è la consistenza e il senso, cioè il valore, del rapporto tra l'uomo e qualsiasi realtà della vita.

Il senso è Cristo: perciò obbedienza, l’offerta è vivere per le ragioni che si convogliano nella parola Cristo, come Cristo vive per le ragioni del Padre.

B)

Il comportamento di Gesù è verso il Dio Padre come perfezione suprema, e ciò caratterizza la vita come TENSIONE CONTINUA a Lui:

«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro».

Mt 5,48; cfr Lc 6,36

Scopo dell’esistenza è che la creatura viva il più possibile la vita come tensione alla perfezione del Mistero.

La moralità è così vissuta con come una definizione di misura o di leggi, ma come tensione all’imitazione di Cristo e alle sue conseguenze.

35 – La tensione è come l’ultima e permanente espressione della libertà nei confronti del «Dio che è tutto in tutto».

Che questa tensione diventi coerenza, infatti, è una grazia.

Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia.

La domanda sincera è la forma fondamentale della preghiera: è mendicanza.


C)

36 – Da ultimo vediamo il comportamento di Gesù verso Dio Padre come Redentore, e quindi come misericordia.

«Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna»

Gv 3,16

Dunque il significato di questo Figlio, di questo Verbo diventato carne, è di svelare compiutamente l’amore che il Mistero ha verso la sua creatura: è di svelare completamente l’amore di Dio Padre.

Cristo è il nostro Destino fatto presenza e compagnia, è il mistero di Dio fatto presenza e compagnia perenne, per tutto il tempo della creatura sua.

In Gesù si svela il rapporto di Dio con la sua creatura come amore e quindi come misericordia.

La misericordia è la posizione del Mistero, indica la posizione del Mistero verso qualsiasi debolezza, errore e dimenticanza umana:

Dio, di fronte a qualsiasi delitto, ama.

37 – L’accettazione di questa misericordia, il riconoscimento di questa misericordia è la somma moralità, il vertice della moralità.

Non si può mendicare da Dio Padre se non come abbandono a una misericordia.


5. Dall’amicizia, la moralità

Sinteticamente, il comportamento di Gesù con Dio Padre è il riconoscimento e l’accettazione del Mistero come Misericordia.

Quindi il rapporto tra Gesù e il Padre rappresenta l'attuarsi supremo dell'amicizia.

Gesù come uomo riconosce e accetta di essere Lui la misericordia del Padre.

Così Egli accetta di morire:

«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»

Lc 23,24

Come per l’uomo Gesù l‘obbedienza al Padre rappresenta la sorgente e il vertice della virtù, così per l’uomo la moralità nasce come simpatia prevalente, irresistibile a una persona presente: a Gesù.

Amicizia vera è ogni rapporto in cui il bisogno dell’altro è condiviso nel suo significato ultimo.

Come per Gesù la moralità nasce nell’accettare di essere il soggetto proprio della misericordia del Padre, così per l’uomo, per ogni uomo, la moralità nasce come amicizia con Lui, con Dio in Gesù.

La moralità nasce come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù.

La moralità, per il cristiano, è adesione amorosa.


6. Luce, forza e aiuto per l’uomo

Vediamo il comportamento di Gesù verso l’altro, cioè verso l’uomo come prossimo.

A)

39 – Come sorgente di luce:

«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo»

Gv 1,9

Il metodo che il Mistero ha usato per darsi, per svelarsi alla sua creatura, è il metodo sacramentale: segno che contiene il Mistero di cui è segno.

La comunità della Chiesa è l’aspetto di questo segno, è l’aspetto visibile di quella faccia; è la veste di quella Presenza.

40 – Ascoltare la voce dell’autorità, perciò del Papa e degli atti ufficiali della Chiesa, è come l’antidoto all’abbeverarsi agli slogan dei mass media.

«Non conformatevi, perciò, alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto»

Rm 12,2

Il giudizio che decide dell’atto e della giornata umani è la conoscenza della verità attraverso la Chiesa in quanto è la presenza della verità.

Non la Chiesa dei «teologi», ma la Chiesa dei sacramenti, della parola del Papa e dei vescovi in quanto uniti a Lui, la Chiesa di coloro che riconoscono, nella umiltà e nella sofferenza della grande attesa, la parola del Papa e dei vescovi, che guidano questa realtà di Chiesa vera.

B)

41 – Gesù come sorgente di forza:

«Senza di me non potete fare nulla»

Gv 15,5

Perciò siamo mendicanti, e la forza della mendicanza illuminata da Cristo sono i sacramenti.

Il sacramento, in quanto forma suprema di preghiera,

«ha da essere la domanda che uno, perfino sepolto nelle proprie miserie, rivolge a Dio come attraverso una piccola fessura di desiderio di essere liberato».

L.Giussani, Perché la Chiesa. Tomo 2. Il segno efficace del divino nella storia

C)

Da ultimo , come sorgente di aiuto:

«Io sto in mezzo a voi come colui che serve»

Lc 22,27

Diventa servo di tutti, proprio perché Egli dà l’energia all’uomo per il cammino verso il suo Destino, cioè verso di Lui.

Così tutti i rapporti con gli altri in Gesù sono condivisione.

Non c’è rapporto giusto se non in funzione del Destino: lì tende, infatti, ogni bisogno dell’essere umano, dell’essere partecipato che si chiama uomo.

42 – L’anima segreta di ogni rapporto è amicizia: volere il destino dell’altro, accettare che l’altro voglia il mio destino.

Se riconosco e accetto che l’altro agisce per il mio destino, questo è amicizia.

Questa è l’amicizia di san Pietro con Gesù quando non sapeva, non si era accorto, non aveva preso pienamente coscienza di quel che Gesù volesse dire sé.

43 – È la carità che genera l’amicizia, ne è come la madre.

La carità è il rapporto in cui si cerca il destino dell’altro con la consapevolezza di chi ne è stato chiamato, nella certezza della coscienza che il destino dell’altro è Gesù, il Dio fatto uomo, in quanto attraverso quell’uomo è Dio che prende rapporto con noi.


7. Dentro la storia del mondo: ecumenismo e pace

Da ultimo il comportamento di Gesù verso la società, proprio come istituzione.

A)

«Non sono stato inviato se non alle pecore perdute della casa di Israele»

Mt 15,24

È qui sottolineato il valore della patria, o della società che esprime il popolo, nelle sue caratteristiche e anche nelle sue delimitazioni.

Ma questo amore alla patria ha un destino di utilità a tutto il mondo:

«Sarà predicato a tutte le genti il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme»

Cfr. Lc 24,47

Un sera Gesù vede la sua città dalla collina e piange su di essa, pensando alla sua rovina.

44 – L‘amore alla patria è una implicazione profonda della pietas cristiana.

Ma lo è in quanto è in funzione del benessere terreno e del bene eterno di tutta l’umanità.

B)

In secondo luogo, l’atteggiamento di Gesù verso la società come potere politico, il potere politico romano e giudaico di allora.

45 – Rispose Gesù (a Pilato):

«Non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato consegnato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande [più grande della tua].»

Gv 18,33-37; 19,8-11

Anche il potere politico trae la sua possibile positività terrena solo in funzione di tutti nel mondo.

Se così non è, allora «chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».

C)

Infine l’atteggiamento e il comportamento di Gesù verso la storia.

46 – Noi dobbiamo imitare Gesù nel suo comportamento verso la storia, perché la gloria umana di Cristo è da noi riconosciuta come il senso della storia, della nostra esistenza personale e del suo contesto totale che si chiama storia.

Per l’uomo il senso della storia è Cristo, la gloria umana di Cristo; imitare Gesù è quindi lo scopo di ogni azione come affermazione del senso della storia, che è Gesù Cristo stesso, la gloria umana di Cristo.

Vivere per la gloria umana di Cristo si chiama testimonianza.

Ogni tempo nella storia, ogni misura di tempo «merita», cioè si proporziona all’eterno, nella misura in cui vive la memoria di Cristo.

Perciò la moralità cristiana implica che l‘impegno sociale, culturale e politico sia educato, quindi maturi, nell’ideale concreto di un richiamo e di un aiuto alla memoria di Cristo, e quindi al senso della storia come significato del tempo e dei rapporti.

47 – L’offerta è riconoscere che la substantia, la consistenza dell’essere, che vive e si esprime in un rapporto, è Cristo; riconoscimento che non può che essere sotteso alla preghiera, che Egli si faccia vedere, si m ostri, si dimostri.

Esortatevi a vicenda ogni giorno: richiamatevi la memoria di Cristo ogni giorno.

«Per questo siamo diventati, infatti, partecipi di Cristo: a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio».

Cfr Eb 3,13-14

Da qui l’obbedienza che salva l’ordine nella società.

Ma chi salva l’ordine nella società è l’autorità:

«Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, perché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio.[…] I governanti, infatti, non sono da temere quando si fa il bene»

Rm 13,1-3

«Siate sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore».

1Pt 2,13

Non può essere contraddittorio quello che si vive.

Nasce così l’impegno a servire la comunità umana fino alla cultura, alla economia, anche alla politica, secondo tutta la capacità della nostra gratuità, non solo nel tempo libero, ma innanzitutto nel lavoro.

48 – Ecumenismo e pace sono l’esito favorito da tutto questo.

Ciò significa che l'amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale del popolo.

Dall’attuarsi di tale amicizia, cioè, nasce un popolo, perché solo nella reciprocità un uomo diventa padre, acquista una paternità, cioè genera.

La paternità è quel livello dove la natura è autocosciente, è il livello umano.

L’animale è generatore-riproduttore, non padre.

E questo è il nostro contributo, il contributo della morale della Chiesa alla pace qui e dovunque.

Invece il contenuto mondano del rapporto è violenza, urge alla violenza, insinua la violenza.

Invece, dall’avvenimento dell’amicizia cristiana vissuta come ecumenismo e pace, nasce un popolo: è l’accadere di una concezione della vita, di un sentimento del reale, di una onestà di fronte alle circostanze, di una risposta intesa di fronte a una provocazione secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità.

49 – La contraddizione a tutto questo sta nell’identificare in un potere terreno gli ideali che si raccolgono nelle parole ecumenismo e pace. Il potere fa diventare questi stessi ideali violenza: l’ecumenismo diventa affermazione della propria posizione chiusa, violenta, e la pace diventa una formula eretta a parola d’ordine per vincere la propria guerra.

La violenza implica sempre il tentativo di distruggere un popolo: la violenza degli eserciti, dei magistrati o anche delle realtà religiose in cui la religiosità non trovi aperta adesione e reale consequenzialità.

50 – Ma il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia.

Il Mistero come misericordia.

Questo è l’abbraccio più irresistibile, nella sua evidente pietà, dell’essere, sorgente, scopo, natura di tutto l’essere; è il rapporto dell’Essere con il mio nulla, con me, che ha fatto e cui ha dato partecipazione a Sé.


ASSEMBLEA

52 – Giancarlo Cesana: «Si può riprendere la questione della libertà spiegando cosa significa che la libertà è l’unico punto non attaccabile dalla ragione

Stefano Alberto (don Pino): L’unico punto non attaccabile dalla ragione significa, innanzitutto, che è l’unico punto in cui il Mistero resta mistero.

Che le cose non si facciano da sé è evidente alla ragione. La ragione non capisce come questo accade, non lo può capire, ma che le cose in questo istante siano da un Altro, questo è evidente.

Ma c’è un punto che dalla ragione è proprio inattaccabile: la ragione non può capire il fatto proprio della libertà come possibilità di riconoscere o non riconoscere il Mistero. È in questo punto che il Mistero resta inattaccabile.

Luigi Giussani: All’Essere come tale non si può aggiungere niente, né togliere niente: ma la libertà sembra sottrarre qualcosa al Mistero dell’essere, a Dio, perché la libertà è anche la possibilità che la creatura, l’essere partecipato, diventi diavolo, menzogna, sia rinnegato l’aspetto del ricevere, si ponga contro Dio, e il suo essere partecipato divenga contrasto, negazione e contrasto di Dio come sorgente, come sorgente comunicativa dell’essere.

53 – Cesana: «Che cosa hai voluto dire quando hai affermato che dobbiamo obbedire alle autorità (alle autorità civili penso)? E in che senso questo non contraddice quanto hai detto prima circa lo Stato come Dio-idolo

Don Pino: Non c’è contraddizione nei due passaggi, perché quello che si voleva colpire è la pretesa idolatrica di ogni autorità che voglia fondare la sua autorità in se stessa, cioè essere l’unica fonte esclusiva a decidere dell’io.

Ogni autorità ogni potere che pretenda di fondarsi solo su se stesso ha dentro – poco o tanto – una menzogna, quindi inevitabilmente, proprio perché tende ad essere pretesa assoluta, è una violenza.

L’autorità vera, invece, è il punto che ha a cuore il destino dell’altro; l’autorità è buona in quanto ha a cuore il bene comune e la possibilità del destino, quindi in quanto accetta che il destino dell’io sia costituito da un Altro, sia rapporto originale con il Mistero.

54 – Cesana: «Che cosa vuol dire che il peccato è seguire un estraneo?»

Don Pino: Il peccato è seguire un estraneo, cioè seguire una attrattiva che non porta al destino, una risposta che è fuori strada. L’estraneità è proprio rispetto al destino, rispetto alla meta, rispetto alla felicità: qualche cosa che sta fuori, sta fuori dalla nostra felicità, non la si può compiere.

Cesana: «L’imitazione di Cristo coincide con l’imitare il carisma?»

Don Pino: L’imitazione di Cristo è l’imitazione di Cristo, della sua persona. Ma questo resterebbe, per me, ultimamente il contenuto di una devozione o di un sentimento se non passasse attraverso il qui ed ora di un volto, di un temperamento, di una storia. Per me l’incontro con Cristo è stato con un volto, con una persona. Cristo, l’uomo Gesù, nella sua contemporaneità, nel suo qui ed ora è, per noi, il carisma, il putno storico attraverso cui Cristo dice: «Vieni e vedi»

55 – Cesana: 1a domanda «Ci ha particolarmente colpito il giudizio dato sul fatto che il punto di riscossa dell’io sia innanzitutto ontologico d non etico, come il potere cerca di farci credere. È possibile approfondire questo?».

2a domanda: «Sembra che quello che ci spetta sia la preghiera definita come domanda di essere. Prego per tante cose che mi stanno a cuore, ma cosa vuol dire “domanda di essere”?».

Giussani: l’ontologico: si dice ontologico quello per cui una cosa è reale, come è di fatto, come è reale una cosa.

L’etica deriva dalla considerazione o dalla coscienza della realtà, da una cosa nella sua realtà, perché ci fa comportare come essa richiede, altrimenti una cosa possiamo trattarla male, prendere lucciole per lanterne, prendere un buco invece che l’essenza della questione.

(Sulla seconda domanda) Ciò che ti sa a cuore – amico mio – ciò che ti sta a cuore è una risposta che non avrà definitiva compiutezza se non alla fine.

56 – Ciò che ti sta a cuore è una modalità con cui tu riconosci una realtà parziale ed effimera, passeggera, non definitiva, non completa, quello che è il tuo desiderio unico, o la somma del tuo desiderio, che è la felicità.

Perciò, la domanda di essere sottolinea il fatto che quello che vuoi, quello che tu desideri, quello per cui tu domandi, non è nient’altro che una richiesta della soddisfazione che tu aspetti totale in un aspetto particolare della tua persona, della tua vita.

Se aspetti il toto, il tutto dal particolare, dall’avere in mano il particolare, sbagli.


CRISTO NELLA VITA

1. «Fece e insegnò»

57 – Il punto di partenza è ontologico, si parte dalla realtà come è. Per l’uomo, Dio è tutto!

Fuori di Dio c’è il nulla, non altro, non qualcosa d’altro.

Ogni azione è domanda a Dio di essere, cioè è preghiera, perché ogni azione dell’io, come fenomeno per cui si avvera, cerca di avverarsi l’esistenza dell’essere creato, è tentativo di affermare il proprio compimento.

«Voi cristiani toccate Dio dappertutto»

Péguy – Veronique. Dialogo della storia e dall’anima carnale.

58 – La seconda risposta trae dalla scoperta ontologica una questione di coscienza etica, cioè di comportamento.

Infatti, se Dio per l’uomo è tutto e appare alla ragione come sorgente dell’essere, ma l’uomo non vuole capire e non se ne ricorda, è come se Dio non ci fosse.

Come facciamo a conoscerlo?

Bisogna prenderne coscienza.

59 – La ragione, accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò di scoprire gli itinerari da cui conseguono le leggi morali.

Il Mistero ha voluto che ci fosse un uomo nato da donna, che ha fatto la carriera dell’umano come ogni uomo, l’uomo Gesù di Nazareth, e volendo comunicarsi agli uomini attraverso questo uomo, lo ha fatto suo fin dal primo istante del suo concepimento, assumendo misteriosamente il suo io nel Verbo, nella seconda persona della Santissima Trinità, rendendolo perciò direttamente partecipe alla natura di Dio: supremo mistero della storia dell’uomo e del cosmo.

Vedere, ascoltare e seguire questo uomo è tutta la sorgente della morale cristiana.

Il Mistero ha voluto l’uomo Gesù affinché fosse innanzitutto strumento di insegnamento a tutto gli uomini e quindi esempio in quello che faceva di ciò che diceva magistralmente, che comunicava come insegnamento: fece e insegnò.

Il Signore Gesù fece e insegnò.

60 – Quello che Gesù ci insegna è che in ogni azione, come rapporto con Dio, con Gesù, con l’umanità del singolo e della società, è amicizia.

Ogni rapporto umano infatti è amicizia o è mancante, deficiente, menzognero.

Ogni rapporto è amicizia in quanto è un dono, rappresenta o ha la possibilità di essere dono, che ci arriva da Dio, o da Cristo, o dalla Chiesa, o dalla storia dell’uomo: è un dono, l’amicizia che noi ospitiamo.

E accettare e ospitare questo dono rende reciproco l’amore che chi ha donato possiede, dimostra: accettarlo è l’amore che dimostriamo noi a chi ci ha dato il dono.

In questo senso l‘amicizia è un reciprocità di dono, di amore, perché per essere creato come l’uomo, la forma suprema dell’amore a Dio è accettare di essere fatto da Lui, accettare di essere, accettare l’essere che non è proprio: ti è dato.

2. Un Avvenimento presente

61 – La presenza di Gesù Cristo, che è di ogni giorno e di ogni ora nella vita del battezzato, è un avvenimento.

Se io sono stato battezzato è perché la forza del Mistero che mi ha trasformato nel Battesimo, attraverso di me voleva passare, per tanti itinerari e occasioni ad altri.

Questa è l’ontologia del rapporto nuovo con tutto: il rapporto tra il battezzato e tutti gli uomini scaturisce da questo fine che il Mistero, nel Battesimo, ci ha comunicato.

E il Mistero ha incominciato a farci conoscere, con l’energia che ci ha dato nel Battesimo, lo scopo che aveva di sceglierci.

Il suo scopo attraversa tutto l’organico del fenomeno umano, del gesto e dell’impegno dell’uomo, li supera da tutte le parti.

In questo senso abbiamo sempre detto che l’istante ha un valore eterno, è rapporto con l’Infinito attuato.

Ora, la presenza di Gesù è un avvenimento, è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo.

62 – Soprannaturale è una realtà umana in cui è presente il mistero di Cristo.

È la Chiesa che emerge accanto a me.

È la compagnia «vocazionale», vale a dire, la compagnia che ci implica, in quanto genera l’esperienza ed p generata dall’esperienza in cui il carisma ci ha toccato.

La presenza di Gesù è alimentata, confortata, dimostrata dalla lettura dei Vangeli e della Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi attraverso una fatto, attraverso fatti come presenze.

63 – Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.

Cristo, questo è il nome che indica e definisce una realtà che ho incontrato nella mia vita.

Cristo si è imbattuto nella mia vita, la mia vita si è imbattuta in Cristo, proprio perché io imparassi a capire come Egli sia il punto nevralgico di tutto, di tutta la mia vita.

È la vita della mia vita, Cristo

«Io penso che non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare»

J.A. Möhler, Dell’unità della Chiesa

Cristo, vita della vita, certezza del destino buono e compagnia nella vita quotidiana, compagnia familiare e trasformatrice in bene: questo rappresenta l’efficacia di Lui nella mia vita.

La morale non solo parte di qui, ma solo qui il filo della moralità si attesta e si salva.

San Pietro ha messo come motivo del suo amore a Cristo il fatto di essere perdonato in tanti suoi difetti.

Quando si è trovato di fronte a Lui, dopo la sua resurrezione, Cristo gli ha chiesto: «Simone, tu mi ami?», gli ha detto: «Sì».

È il rapporto con questa Sua parola, che è la più umana e più divina, che fa abbracciare, nella nostra esistenza quotidiana, tutto.

Cristo è il sì a Lui: questo paradossalmente, è l’aspetto umanamente più facile o, comunque, più accettabile di tutto quanto il dovere morale che abbiamo nel mondo.

Perché Cristo è la parola che tutto dispiega: Cristo è un uomo vissuto duemila anni fa come tutti gli altri, ma che, risorto da morte, con l’invadenza della potenza del Mistero in Lui, di cui partecipava nella sua natura, ci investe giorno per giorno, ora per ora, azione per azione.

65 – Sia il Mistero che la sua fisica presenza nella nostra vita sono sorgente del rapporto che abbiamo con la verità e con la realtà tutta, e tutto questo diventa sorgente ance di quello che abbiamo detto essere amicizia.

La parola amicizia è l’unica che possiamo usare per il rapporto tra noi e Lui.



Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO



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