Temi «La convenienza umana della fede» 85-86-87 – 2a parte

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Lettera «N»


Nulla/nullità

25-28 – Questa nullità o questa vanità costituisce obiettivamente, il primo sentimento, il primo pensiero riflesso che l’uomo può avere di sé.

Tutto il nostro orgoglio è come svuotato di contenuto da questa riflessione sul nulla che siamo.

27 – Se leggessimo con attenzione quel mirabile libro della Bibbia che è Giobbe, vedremmo come questa nullità si traduce realmente in morte.

27 – Ma non è per nulla il nulla dell’uomo. Non è per nulla il nulla mio; questa vanità non è per nulla.

Non è per nulla la mia nullità, perché io ho un destino, un filo, un rapporto, una Presenza che mi “aspira” a sé.

28 – «[…] e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga alla natura umana»

G. Leopardi, «Pensieri»

L’uomo è un nulla destinato, un nulla proteso da una forza che non può provenire da lui, perché è niente; ma è proteso da questa forza, quasi uno sprone che continuamente punge:

….«sì che sedendo più che mai son lunge / Da trovar pace e loco»

G. Leopardi «Canto notturno di un pastore errante per dell’Asia»

41-48 – Occorre ripartire dall’esperienza più immediata, prima di ogni atteggiamento riflessivo, che è il brivido del nostro niente.

Eppure, dentro questa nullità […] nell’esperienza della nostra nullità, della nostra fragilità totale, c’è un senso del destino; l’uomo è quel livello della natura in cui la natura percepisce il destino, di essere destinata.

Questo è il peccato: non l’incoerenza e la fragilità, che hanno una consanguineità così grande ed evidente con la nostra nullità, da destare compassione, ma il tentativo di annichilire la percezione di questo qualcosa di grande, cioè l’indifferenza al Destino.

43 – Come redimere l’originale senso del nulla e l’attuale senso del peccato, della sproporzione, dell’ingiustizia, dell’ottusità connivente?

44 – Se volete rendere organico, cioè dare corpo al senso del destino, o al senso religioso, o alle domande ed evidenze originali che costituiscono il cuore, rendere organico questo centro di gravità significa realizzare la liberazione nostra, redimere il senso del nulla e del peccato.

(Mosè) Solo dopo un incontro, l’incontro del roveto ardente, cioè solo dopo una obbedienza, iniziò la sua epopea di liberazione.

Qual è l’incontro che rende possibile la liberazione nostra, che può redimere il senso del nostro nulla, del nostro male, può rendere organico quel centro di gravità che è il cuore nostro, il cuore della natura che pulsa nell’uomo? Qual è questo incontro? «Il Verbo si è fatto carne. […] In Lui è la vita[….]».

46 – Per ognuno di noi, essendo avvenuto questo incontro, deve accadere la grande novità in cui tutto lentamente, pazientemente, umilmente, ma inesorabilmente si organizza: tutto diventa un corpo, il Suo; tutto acquista un significato, il Suo; tutto porta un nome, il Suo. Per ognuno di noi deve accadere questo.

«Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche egli (Zaccheo) è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»: cioè noi, nulla e peccatori; me, nulla e peccatore.

48 – Non c’è nulla che possa dare all’istante un diritto di rispetto o una dignità di contenuto, nulla, perché tutto è vano; vano l’istante passato perché è passato e vano quello futuro perché non c’è ancora.

L’istante è reso vero solo – solo! – dal su rapporto col Destino.

il nulla che è l’uomo

27 – Ma non è per nulla il nulla dell’uomo. Non è per nulla il nulla mio; questa vanità non è per il nulla. C’è un filo a cui è sospesa, c’è una Presenza che la attira, con la quale ha una simpatia inesorabile, invincibile.

Non è per nulla la mia nullità, perché io ho un destino, un filo, un rapporto, una Presenza che mi attira a sé.

un nulla destinato

28 – L’uomo è un nulla destinato, un nulla proteso da una forza che non può provenire da lui, perché è niente; ma è proteso da questa forza, quasi uno sprone che continuamente punge: «Sì che sedendo più che mai son lunge / Da trovar pace e loco».

un nulla proteso

28 – L’uomo è un nulla destinato, un nulla proteso da una forza che non può provenire da lui, perché è niente; ma è proteso da questa forza, quasi uno sprone che continuamente punge: «Sì che sedendo più che mai son lunge / Da trovar pace e loco»

vanità della vita

25-26 – Questa nullità o questa vanità costituisce, obiettivamente, il primo sentimento, il primo pensiero riflesso che l’uomo può avere di sé.

26 – Questa immagine (di Clemente Rebora) delle cose che mentre le afferri ti dicono addio, come suprema forma espressiva della coscienza della vanità della vita, è molto ripresa nella letteratura.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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