Riassunto di “Perché la Chiesa”



E.Hopper – Ufficio in una piccola città – 1953 (ingrandisci)

Capitolo secondo

2° Cap. “DAL FRUTTO SI RINOSCE L’ALBERO (273)


  1. Unità
  2. Santità
  3. Cattolicità
  4. Apostolicità

(273) Se, dunque, la Chiesa è una vita, bisogna coinvolgersi con la vita per poterla giudicare.

Possiamo ravvisare, traendole dal patrimonio della tradizione cristiana, quattro categorie, di “frutti“ della presenza di Cristo nella vita della Chiesa, attraverso i quali Egli continua la sua azione nella storia, e che costituiscono sintomi della efficacia della Chiesa sulla vita e sulla storia dell’uomo.

La Chiesa ce li ricorda ad ogni celebrazione eucaristica, quando viene recitato il Credo:

«Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica»


1 – Unità (274)


a) Unità della coscienza

(275)

Questa l’uomo che cerca con rettitudine deve poter trovare nella Chiesa: una sperimentata lucidità sul senso dell’esistenza, per cui il principio da cui si giudica sé stessi e il mondo è un’unica Presenza inequivocabile.

È una unità di atteggiamento che valorizza tutto, senza scandalizzarsi di nulla.

«La Chiesa è nuovamente viva e noi comprendiamo che essa è veramente l’Uno e il Tutto»

R. Guardini – Il senso della Chiesa

La Chiesa è chiamata ad affermare, ed a dimostrare che

il valore di un gesto sta nella misura in cui esso si connette con il tutto.

E per questo occorre un criterio chiaro, come appare dalle parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita»”.

Tali parole, destinate a ricapitolare in un atteggiamento unitario tutta l’esistenza dell’uomo, portano con sé una profonda possibilità di pace.


UNITA’ in:


b) Unità come spiegazione della realtà

(277) Tale unità di coscienza, venendo a contatto con le cose, gli avvenimenti, gli uomini, organicamente tende a comprenderli, in modo aperto a tutte le possibilità e adeguato ad ogni incontro.

In modo aperto: perciò tutto proteso a collegare ogni cosa al proprio fondamento, poiché – dice Paolo – «Da Lui, grazie a Lui e per Lui sono tutte le cose» [Rm 11,36].

Il suo criterio di interpretazione unitaria del reale, che non è un principio intellettuale, ma una PERSONA, lo rende particolarmente adeguato all’incontro, anche con realtà apparentemente distanti.

Quella del cristiano è infatti una vera personalità partecipe del divino.

È questa la radice che in quella unità di coscienza matura diventa unità di comprensione e di inclusività, diventa atteggiamento e principio di cultura, nella quale è possibile fare esperienza della novità.

È da tale unità culturalmente valevole che l’uomo viene educato a una maturità critica vera, mirabilmente esplicitata dall’espressione di Paolo ai Tessalonicesi:

1Ts 5,21

VALORE in:


c) Unità come impostazione di vita

(279). Scaturisce il concetto di “merito”.

La vita riceve valore in ogni minimo dettaglio dalla grazia che Dio fa all’uomo d’essere collaboratore alla sua presenza nella azione salvifica della sua comunità.

Così ogni gesto acquista una dimensione comunitaria: l’azione è il fenomeno della personalità,

il movente è quel nesso profondo con la presenza di Cristo nel mondo.

La comunità diviene così sorgente dell’affermazione della personalità.

E la Chiesa attribuisce proprio valore – «merito» – alla proporzione tra il gesto del singolo e la «gloria» di Cristo, cioè il senso del mistero comunitario vissuto come movente.

Ogni gesto ha così valore eterno, in quanto gesto responsabile per il destino del mondo, in quanto espressione dell’individuo che diventa fattore decisivo per il senso dell’universo.

Mai la vita e la responsabilità personale sono così valorizzate come in questa visione dell’uomo e della comunità.


MERITO in:


In questa unità di personalità e comunità viene assunta anche la natura fisica.

Paradigma supremo di tale assunzione è nella Chiesa la liturgia, che, scrive Guardini «è integralmente realtà».

Eco della liturgia, del mistero vissuto in tutta la nostra giornata, è il concetto di cristiano di lavoro, espansione del mistero della salvezza in ogni momento e attività, nel contesto della propria personale funzione e situazione.

La collaborazione dell’uomo all’opera della comunità che comunica l’opera redentrice di Cristo nei sacramenti è il lavoro.

Il lavoro, nel suo sforzo lento e faticoso, è prezzo che l’uomo paga alla sua redenzione, è collaborazione al dilatarsi dell’alba della resurrezione a tutti i rapporti creativi che l’uomo vive col tempo e con lo spazio.

Il lavoro è una strada tutta punteggiata dalla documentazione della presenza di Dio, che la tradizione della Chiesa chiama miracoli.

Intendiamo qui per miracolo […] la quotidianità che provoca l’ambiguità della natura (conseguenza del peccato originale) a tornare con chiarezza al suo fine.

Miracolo è un avvenimento, una mossa della realtà che di fatto, irresistibilmente richiama l’uomo creato al suo destino, a Cristo, al Dio vivente.


LAVORO in:


2 – Santità (283)

La santità cristiana è agli antipodi del concetto di santità proprio a tutte le religioni, dove essa è intesa come una separazione dal quotidiano normale.

Nella concezione cristiana invece non c’è nulla di profano, che stia davanti o fuori del tempio, perché tutta la realtà è il grande tempio di Dio: nulla è profano e tutto è “sacro”, perché tutto è in funzione di Cristo.

Così la santità non è una abnormità:

essa è nient’altro che la realtà umana che si realizza secondo il disegno che l’ha creata.

Se uno realizza sé stesso, compie l’idea per cui è stato creato.

La personalità caratterizzata dalla santità, si modula tutta nella chiarezza della coscienza del vero e nell’uso della propria libertà, cioè del governo di sé.

«I santi sono la dimostrazione della possibilità del cristianesimo»

Adrienne von Speyr – Mistica oggettiva

Il santo nella Chiesa rende la presenza di Cristo attuale in ogni momento, perché in lui Egli determina, in modo trasparente, l’agire.

I santo è padrone del suo gesto perché lo innesta nella oggettività del disegno di Dio, governa coerentemente ogni sua azione in quanto il più possibile cerca di aderire alla realtà ultima delle cose.

(Racconto di Ermanno lo storpio che nacque deforme e visse felice)

Diceva don Gnocchi, che alla sofferenza altrui ha dedicato la vita, che

la felicità del mondo è data dal dolore umano offerto a Dio.

Tale offerta è chiave di volta per il senso dell’universo.


SANTITA’ in:


a) Il miracolo (287)

Si può definire miracolo come un avvenimento, quindi un fatto sperimentabile, attraverso cui Dio costringe l’uomo a badare a Lui.

Il miracolo è perciò il metodo di rapporto quotidiano di Dio con noi, la modalità con cui Egli diventa oggettivo nel contingente.

  1. Da questo punto di vista tutte le cose sono miracolo: quanto più un uomo è consapevole e vivido nella sensibilità del suo nesso con l’Altro che continuamente lo crea, tanto più tutto tende a diventare miracolo per lui. La sorgente dell’estetica del vero è la totalità.
  2. Vi sono poi momenti particolari in cui Dio straordinariamente richiama il singolo ad attendere alla Sua Presenza, a togliersi dalla distrazione. È questo un miracolo in un senso più determinato: come un accento particolare degli avvenimenti che richiama inesorabilmente a Dio. E’ un accento degli avvenimenti che richiama una persona a Dio e, richiamandola, richiama anche il prossimo, chi le è vicino. Senza una precedente, almeno implicita simpatia per Dio, non si può cogliere un avvenimento come miracolo.
  3. Questa simpatia è necessaria anche per cogliere il miracolo nel suo senso più ristretto e proprio, là dove Dio interviene sulla sua creazione con un fatto oggettivamente inspiegabile a qualunque disanima, a qualunque procedimento indagativo della ragione. È il caso in cui Dio vuole richiamare non solo il singolo, ma la collettività alla sua presenza, offrendo all’edificazione della comunità religiosa fattori oggettivi documentabili per tutti.

b) L’equilibrio (294)

L’equilibrio che può essere assunto come tratto distintivo della presenza della santità nella Chiesa è una ricchezza […]

ciò che viene dato da Dio a colui che assume la misericordia del Padre come criterio di vita.

L’origine di tale ricchezza è una coscienza decisamente orientata a Dio.

Vivere il mistero della comunione con Dio in Cristo fa imparare a vedere tutte le cose riferite a un valore unico per cui tutti i giudizi e le decisioni incominciano a partire da una misura unica.

[ … ] Una sola Realtà come criterio e misura e modi investe della sua luce tutte le cose, per cui l’io si sente uno con tutte le cose e in tutte le cose, perfino di fronte alla morte.

L’origine dell’equilibrio della santità cristiana è dunque la straripante ricchezza dell’Essere che, per così dire, si impossessa dell’umanità e che all’umanità è donata per venire liberamente accolta come unico criterio di vita.

L’equilibrio realizzato dalla santità cristiana ricava perciò la sua originalità da una ricchezza che non è dell’uomo, ma di Dio, che ha voluto farne partecipe l’uomo.


c) L’intensità (297)

«Se furono beati coloro che vissero nei primi tempi e videro tracce recenti del Signore, e udirono l’eco della voce degli apostoli, siamo beati anche noi che abbiamo avuto in sorte di vedere il Signore rivelato nei suoi santi.

I prodigi della grazia nel cuore dell’uomo, la sua potenza creativa, le sue risorse inestinguibili, i suoi molteplici effetti, noi li conosciamo come i primi cristiani non poterono conoscerli».

Newman – Apologia pro vita sua

Questa intensità è documentabile nella Chiesa cattolica in senso quantitativo e qualitativo.

«Senza dubbio, nell’ambito del cristianesimo, la Chiesa cattolica si è dimostrata il terreno più ferace e produttivo di santi. I santi costituiscono la più gloriosa pagina del cattolicesimo, il che va riconosciuto senza restrizioni»

W. Nigg – Grandi Santi

3- Cattolicità (298)

La Chiesa possedeva un titolo di onore, che tutti erano d’accordo nel riconoscerle […] era inteso che sulla piazza del mercato e usato nel palazzo imperiale, che anche il primo venuto conosceva e che era usato negli atti ufficiali dello Stato, era quello di Chiesa cattolica.

«Katholicós, in greco classico, era usato dai filosofi per indicare una proposizione universale: ora l’universale è un singolare, e non deve essere confuso con la somma. La Chiesa non è cattolica perché attualmente è diffusa su tutta la faccia della terra e conta un gran numero di aderenti.

[…] Essa era già cattolica il mattino della Pentecoste, quanto tutti i suoi membri erano contenuti in una piccola sala.

[…] Essenzialmente la cattolicità non è questione di geografia o di cifre.

[…] Essa, prima di tutto è qualcosa di intrinseco alla Chiesa.

La Chiesa, in ogni uomo, si rivolge a tutto l’uomo, comprendendolo secondo tutta la sua natura».

H. de Lubac – Aspetti sociali del dogma

La cattolicità è dunque una dimensione essenziale della Chiesa ed esprime fondamentalmente la sua pertinenza all’umano in tutte le variabili delle sue espressioni.

La Chiesa reclama per sé la prerogativa dell’umano genuino per cui qualsiasi cultura e mentalità può sperimentare la verità che la Chiesa proclama e l’esperienza che essa propone come il più adatto completamento di sé, come l’adempimento più adeguato.

Il cattolicesimo, infatti, dichiara di corrispondere semplicemente a ciò cui è destinato l’uomo.

E quando la Chiesa nella sua ufficialità si assunse il compito di dirigere l’attività missionaria con una apposita istruzione – la Congregazione de propaganda fide, nel 1622 – essa nelle istruzioni che invia ai missionari mostra di aver colto l’importanza di quelle esperienze: impone infatti la conoscenza della lingua e della cultura del luogo in cui si va a predicare e a vivere, e ricorda accoratamente che i missionari sono sul posto per proporre la fede, non per imporre una cultura particolare.

La cattolicità, come qualità intrinseca della Chiesa, deve essere dimensione personale di ogni cristiano, anche non chiamato ad una specifica vocazione missionaria.


4 – Apostolicità (303)

L’apostolicità è la caratteristica della Chiesa che indica la sua capacità di affrontare in modo organicamente unitario il tempo: è la dimensione storica.

La Chiesa afferma la sua autorità unica a essere depositaria di una tradizione di valori e di realtà che deriva dagli apostoli, [ … ]indicando uno di essi come punto di riferimento autorevole, così la Chiesa è legata ai successori di Pietro e degli apostoli, papa e vescovi.

Tale successione, storicamente documentabile per il vescovo di Roma, è unitaria e ininterrotta proprio attraverso l’azione del vescovo di Roma.

Il valore di tale successione apostolica sta nel carattere di miracolo che conferisce al fenomeno stesso della Chiesa.

La resistenza costruttiva nel tempo è, nella dimensione storica della Chiesa, il miracolo più grande.

La Chiesa afferma la sua capacità di affrontare il tempo non solo come forza di conservare un passato, ma, forte delle promesse di Gesù, come sfida all’avvenire.

La superiorità della Chiesa sul tempo, infatti, è un sfida inimmaginabile, è dono che la Chiesa accoglie come tale, frutto della presenza di Gesù nel mondo fino alla fine dei tempi, realizzato dal suo Spirito che non cessa di assistere il segno in cui quella Presenza vive.

Gli apostoli sono gli intermediari tra Cristo e la Chiesa perché è a loro che Cristo ha ufficialmente affidato il messaggio.

Ciò che è privilegiato non sono dunque i tempi apostolici, né la trasmissione nei tempi apostolici.

Ciò che egli pone in rilievo è che gli apostoli hanno trasmesso la dottrina del Signore a persone scelte appositamente per questo.

Il valore di tale successione apostolica sta nel carattere di miracolo che conferisce al fenomeno stesso della Chiesa.

La Chiesa afferma la sua capacità di affrontare il tempo non solo come forza di conservare un passato, ma, forte delle promesse di Gesù, come sfida all’avvenire.


APOSTOLI in:


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