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5° Cap. LA POVERTA’
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- Non sperare la felicità futura da un certo possesso presente
- La povertà legge del dinamismo della conoscenza
Dalla speranza la povertà (255)
La speranza non è nient’altro che l’espandersi della sicurezza della fede nel futuro.
È questo che ci interessa: non ci interessa tanto il presente quanto il futuro, all’uomo non interessa tanto la sua origine quanto il suo destino.
Come il punto di passaggio dalla fede all’obbedienza è la libertà – perché la libertà permette l’obbedienza: l’ostacolo all’obbedienza può venire dalla libertà -, così dalla speranza alla fiducia l’ostacolo che può nascere è attribuire la certezza nel futuro a certe cose che già possediamo.
Allora si tratta di non possedere, almeno in quel modo si tratterebbe di non possedere, e la virtù che tratta del non possedere è la virtù della povertà.
Il discorso cristiano, dalla speranza fa nascere innanzitutto la povertà.
1 – Non sperare la felicità futura da un certo possesso presente (256)
La povertà non ci fa sperare la felicità futura da un certo possesso presente, il certo possesso presente sarebbe contrario alla fede; ci fa sperare nel futuro, nella felicità futura, per la presenza di Cristo per il possesso del Cristo presente.
La non povertà si oppone alla speranza perché colloca la sicurezza nella felicità futura in un certo possesso che può essere presente e futuro: la speranza quindi non è risposta in Cristo che fonda la certezza del futuro.
La speranza non è più riposta in Cristo.
La speranza è la certezza in Cristo che fonda la certezza nel futuro.
Che in nessun possesso tu puoi porre la tua speranza nel futuro
perché ciò che possiedi, domani, il tempo te lo toglie di mezzo.
A) Dalla certezza che “Dio compie” la libertà dalle cose (258)
Il fondamento della poverà sta nella certezza che Dio compie quello che ti fa desiderare
Cristo ti dà la certezza di compiere ciò che ti fa desiderare, e allora sei liberissimo dalle cose.
Non si è schiavi di ciò che si usa, perché si è schiavi solo di Colui che dà la certezza della tua felicità.
La povertà si rivela come libertà dalle cose in quanto è Dio che compie i desideri, non la certa cosa cui si mira.
B) Letizia (259)
Da questa libertà dalle cose che nasce dalla certezza che Dio compie tutto Lui, scaturisce un’altra caratteristica dell’animo povero che è la letizia.
Questo è il « Beati i poveri di spirito!».
Dalla libertà dalle cose – che nasce dalla certezza che Dio compie – una condizione di letizia: è qui che la fede fa nascere la letizia.
La fede non fa nascere la letizia immediatamente, ma mediatamente.
Dalla fede nasce la speranza, nella speranza è la letizia perché la letizia non può essere guadagnata e vissuta se non nella certezza di un futuro.
È soltanto da una storditezza che può nascere una letizia e una gioia da qualcosa che si ha nel presente..e domani?
Un sentimento è vero quando risponde a tutte le domande di tempo: spiega il passato, chiarisce il presente, assicura il futuro.
La consistenza della vita, la felicità che il futuro ci riserva, non sta in quel che appare.
La letizia è qualcosa che sta perché si appoggia a qualcosa che resta.
La speranza non può essere posta nel fatto che uno ha moglie, che uno ha la fidanzata.
La letizia non deriva da quello, da quello deriva la contentezza, più o meno passeggera,
Ma la letizia di appoggia a un possesso la cui prospettiva non termina più.
Non c’è nessuna formula della letizia più bella di questa: chi ha, sia come se non avesse.
In un rapporto amoroso, affettivo è la prospettiva dell’eterno che lo rende lieto e mentre lo rende lieto, lo rende libero dalle condizioni: quanto più c’è questo distacco dentro, tanto più diventa lieto.
C) Libero perché non ti manca nulla (264)
Cosa vuol dire libertà nei rapporti? Che il rapporto è appoggiato sul qualcosa che permane, cioè sul divino che permane, non solo la libertà ti causa letizia, ma ti fa scoprire che non sei privo di niente, non ti manca nulla perché tutto è tuo.
Se sei certo di alcune grandi cose, tutto si appoggia poi alle grandi cose, tutto si sviluppa dalle grandi cose, tutto è commento alle grandi cose.
Perché essere poveri è essere certi? Perché la certezza implica l’abbandono e il superamento di sé.
È questa libertà che rende pieni, liberi, attivi, vivi, perché la legge dell’uomo – il dinamismo stabile di quel meccanismo che si chiama uomo – è l’amore, cioè l’affermazione di un altro come significato di sé.
Questo è un altro modo per esprimere l’essenziale della questione, perché la povertà sta qui, si può definire anche con questa frase:
l’affermazione di un Altro come significato di sé.
L’affermazione di un altro come significato di sé non vuol dire dare cinquecento lire al fondo comune, ma dare tutto, tutto sé al fondo comune.
Ma «tutto sé al fondo comune» uno lo dà donandosi a chi il Signore gli mette davanti, obbedendo, obbedebndo, a Dio, donandosi quindi all’altro.
2 – La povertà legge del dinamismo della conoscenza (267)
La povertà appartiene alla legge dinamica della conoscenza a una legge del dinamismo della conoscenza: per conoscere occorre un distacco.
Quel distacco permette di usare le cose, ma soprattutto di goder di più, di goderne di più.
Per conoscere un quadro non si può andar lì con l’occhio ad un millimetro: quanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più conosci usi e godi.
Senza questo distacco non ci sarebbe tale intelligenza e tale affezione.
San Francesco: «Dopo Dio e il firmamento, Chiara».
L’oggetto, Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo; non è una questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé, di dono di sé
L’abbandono di sé: quanto più si ama tanto più uno abbandona sé stesso, afferma soltanto l’altro.
Una donna che è possessiva e quindi ossessiva fa di tutto per ridurre il figlio alla sua misura.
Se invece la mamma guarda suo figlio chiedendosi: «Chissà che destino avrà questo bambino» lo accoglie tutto, sa che non è suo, lo percepisce nella sua totalità di persona.
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