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7° Cap. LA CARITA’ (321)
Links ai singoli titoli e sottotitoli
- L’intimità di una presenza che la fede riconosce
- Carità: dono di sé commosso
- Perfetti come il Padre vostro
- La morale è imitare Dio nella carità
- Assemblea/carità
La coscienza dell’uomo è quella capacità che l’uomo ha di radunare tuttte le cose al loro destino,
alla loro origine e al loro destino: unisce, per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera.
1 – L’intimità di una presenza che la fede riconosce (322)
La carità, questa terza colonna che tiene in piedi il grande tempio di Dio che è il mondo, indica il contenuto più profondo, scopre l’intimità, scopre il cuore di quella Presenza che la fede riconosce.
Siamo di fronte al FATTORE che corrisponde alle esigenze del nostro cuore.
E’ nell’esperienza, perché lo si sente e, seguìto, produce effetto, cambia le cose, ma soprattutto dialoga imperiosamente col cuore e risponde all’una, all’altra esigenza: le esigenze costitutive del nostro animo.
Non si può capire né come né quando, ma è lì la sua fisionomia eccezionale, la sua Presenza eccezionale; se non lo riconoscessi presente perchè non lo capisco, perchè non capisco come fa ad essere presente, andrei contro la ragione.
Perché la ragione dice: «È» oppure «Non è».
Dire « È» e aggiungere «Non so spiegarlo», lascia la ragione perfettamente e onorevolmente coerente con se stessa.
Altra cosa è che, dal momento dell’incontro, la cosa che la ragione più desidera di riuscire a capire è quella cosa lì.
Senza ragioni (324)
Carità vuol dire gratis, richiama la forma suprema dell’espressione amorosa.
La carità implica l’assenza di ragioni, di calcolo: un ritorno insomma.
La ragione di una azione è il ritorno che l’azione ha.
Ecco, la carità abolisce totalmente - totalmente, nel senso assoluto del termine - ogni ritorno.
La carità agisce per puro amore nel senso che: dato, fatto.
Dato, fatto; non c’è più nessuna aggiunta, non c’è più nessuna appendice.
Non per avere qualcosa io, ma per il bene dell’altro, e il bene dell’altro è il rapporto col suo destino.
La carità è amore puro, si esaurisce nel volere il bene dell’altro ed è il bene-bene che vuole dell’altro, cioè il suo destino, cioè il suo rapporto con Cristo..
Le ragioni della carità (325)
La ragione che sostiene la carità è totalmente ed esclusivamente l’oggetto dell’amore, l’oggetto autentico dell’amore.
L’oggetto autentico dell’amore cos’è?
Il bene dell’altro, il destino dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo.
La ragione della carità, cioè della gratuità, è solo questa, che è la ragione più umana che esista, perchè i calcoli li può fare anche una bestia.
2 – Carita’: dono di sé commosso (325)
Perchè la carità è il concetto vero dell’amore?
Perché la sua ragione è la ragione esauriente unica, esauriente dell’amore che identifica l’oggetto che vuole con il bene dell’altro, il destino dell’altro.
Due sono le cose che costituiscono la caratteristica cristiana della carità.
1)Puro dono di sé (326)
Il Mistero appare all’uomo come gratuità, cioè come carità: la natura stessa di Dio è carità.
La natura di Dio appare come gratuità in quanto si è donata all’uomo.
DONO: questa è la prima parola in cui s’affissa il termine gratuità o il termine carità o il termine amore.
È puro dono, abbiamo detto: senza ritorno.
Che cosa ti dà Sé stesso, vale a dire l’Essere, l’Essere perché senza di Lui nulla è stato fatto di quello che è stato fatto.
La natura di Dio appare all’uomo come dono assoluto: Dio si dà, dà sé stesso all’uomo. E Dio cos’è? La sorgente dell’essere.
Dio dà all’uomo l’essere: dà all’uomo di essere; dà all’uomo di essere sempre di più, di crescere; dà all’uomo di essere completamente sé stesso, di crescere fino alla sua compiutezza, cioè dona all’uomo di essere felice.
E quando l’uomo non pensava più a Colui dal quale aveva ricevuto l’essere, questo rientra nella vita dell’uomo, ridà sé stesso morendo per l’uomo.
Si dà tutto, dono di sé totale, fino a: «Nessuno ama tanto gli amici come chi dà la vita per gli amici».
Dono totale.
Il concetto fondamentale che dispiega tutto il valore del termine carità o gratuità – che delinea così la natura di Dio, il modo di agire di Dio, che noi dobbiamo imitare perché è il Padre – è il dono di sé.
La moralità è il dono di sé.
2) Commosso (329)
Perché questo dono di sé fino all’estremo concepibile, al di là dell’estremo concepibile?
La carità di Dio per l’uomo è una commozione, un dono di sé che vibra, si agita, si muove, si realizza come emozione, nella realtà di una commozione, Dio si commuove! «Che è mai l’uomo perché te ne ricordi?»
Dio si è commosso per il nostro niente.
Non solo Dio si è commosso per il nostro tradimento, per la nostra rozza povertà, dimentica e traditrice, per la nostra meschinità – Dio si è commosso per la nostra meschinità – che è più ancora di essersi commosso per il mio niente.
«Ho avuto pietà del tuo niente, ho avuto pietà del tuo odio a me, mi sono commosso perché tu mi odi».
Come un padre o una madre che piangono di commozione per l’odio del figlio, del destino del figlio, che si salvi: vale a dire un pianto totalmente determinato dal desiderio del bene del figlio, del destino del figlio: che il figlio cambi, per il suo destino; che si salvi.
È una compassione, una pietà, una passione.
Il peccato è la meschinità della distrazione e della dimenticanza che non traduce in novità quello che facciamo.
Lo lasciamo opaco, così come viene; senza colpir nessuno, ma senza donarlo allo splendore dell’Essere.
Mi ha scelto perché commosso dalla mia meschinità.
Da un giudizio una commozione (335)
Questa commozione e questa emozione veicolano, portano con sé un giudizio e un palpito del cuore.
È un giudizio, perciò è un valore razionale nel senso che dà la ragione, porta in sé la sua ragione.
E diventa palpito del cuore per questa ragione.
Non è carità, l’emozione o la commozione, se non ha dentro di sé questo giudizio.
Qual è la ragione? «Ti ho amato di un amore eterno, perciò ti ho fatto parte di me, avendo pietà del tuo niente».
Il palpito del cuore è la pietà del tuo niente, ma la ragione è che tu partecipassi all’essere.
(Il dono di sé di Dio) di fronte all’uomo, non può essere chiamato che commozione, perché l’uomo è chiamato alla felicità, perché è grande come Dio ed è chiamato alla felicità di Dio.
Che sia schiacciato dalla meschinità, distrutto dalla distrazione, svuotato e ridiventato niente per una pigrizia senza misura, questo genera proprio compassione.
La morte di Cristo rivela, svela a noi, la totalità della dedizione con cui il mistero di Dio si dedica alla nostra salvezza.
3 – Perfetti come il padre vostro (337)
«Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che sta nei cieli».
La perfezione è questa commozione in atto verso il bisogno dell’uomo: bisogno di felicità, di essere, di destino.
È la commozione verso il bisogno ultimo dell’uomo: il «per che cosa» l’uomo nasce.
La misericordia è questa commozione con cui Dio si dà all’uomo, da se stesso all’uomo fino a morire per lui, questa misericordia ha nella storia un nome: Gesù Cristo. ha il nome di Gesù Cristo.
Cosa è questa carità senza della quale non siamo nulla?
E’ che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Cristo.
Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo si chiama “Dio fatto carne per noi”, ed è perché c’è Cristo che non c’è più nessun uomo che non mi interessa.
Amare Cristo e in Lui, cioè secondo il suo modo, i fratelli; dedizione di sé e commozione per gli altri, per l’altro.
Insomma, è l’io che afferma il tu, è l’io che si esaurisce nell’affermare il tu, è l’io che muore per il tu.
Il dramma è risolto.
La verità della vita è affermare l’essere e questo porta con sé un’affezione, un attaccamento, che può essere duro come la pietra.
Non esiste attaccamento a sé se non è pieno di commozione.
Non esiste devozione a se stessi se non è piena di commozione, perché ci si vede in qualchemodo uscire da sé, abbandonare sé e muoversi per amore.
La sorgente di questa commozione, in Cristo come in me stesso, è lo Spirito di Cristo.
E’ lo Spirito di Cristo la sorgente della compassione e della commozione; per questo Cristo lo chiama il Consolatore.
Se è pieno di commozione per Cristo e guarda quindi all’uomo come lo guarda Cristo, con commozione, pensando al suo destino e dando se stesso per il suo destino, per il destino dell’uomo, per il suo destino.
4 – La morale è imitare Dio nella carità (342)
a) – Derivando da Dio, la legge dell’io è l’amore (343)
Se la carità è la legge dinamica che è Dio […] tutto ciò che nascesse da questo mare di dono e di commozione […] sarebbe carità.
«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro»,
dove abbiamo visto che perfetto vuol dire misericordioso: siate anche voi dono di voi stessi, pieno di commozione, come è misericordia il flusso immenso dell’acqua di Dio, il flusso immenso del sangue di Dio.
Se la carità è descritta come dono di sé sotto la pressione di una commozione, dono di sé carico di commozione, così deve essere anche per noi.
Il dinamismo proprio dell’io, che è, dunque, direttamente derivato dal dinamismo di Dio, è amare, cioè dare sé stessi all’altro, commossi.
Non c’è dinamismo dell’io senza questo.
Derivando quindi da Dio, l’io ha come legge l’amore.
Non esiste un’altra legge umana: il Vangelo si capisce che è divino proprio perché è l’unico testo di morale… non è un testo di morale, ma è come se fosse l’unico testo di morale in cui tutta la morale si riconduce all’amore.
La legge dell’io, quindi, è una sola: amare.
E questo si capisce, perché è la legge della fonte stessa da cui nasce: «La fonte è in Te dell’Essere».
Dio, che è la fonte dell’essere, ha una sola dinamica, descrivibile esclusivamente come dono di sé, commosso.
La legge dell'io è l'amore, la legge dell'io è dare sé.
E infatti se non si attua nell’amore, come amore, l’io è insoddisfatto, rabbioso con sé, ostile agli altri, incapace di bere e di assimilare la bellezza della realtà, annoiato.
b) – Dono di sé fino in fondo (346)
La misura di questa legge: la carità è dono di sé fino in fondo. Se non c’è la disponibilità a dare sé fino in fondo, la legge non è applicata, perché l’amore è vero quando è eterno.
Quando uno, quindi, applica la legge dell’amore nel rapporto con un altro in modo autentico, vero, cioè disposto ad andare fino in fondo, per l’altro egli è tutto, tutto.
c) – Muoversi per l’altro (346)
Perciò se la legge dell’io è darsi, è l’amore come darsi all’altro, darsi all’altro significa muoversi per un altro.
Per donarsi agli altri bisogna muoversi per gli altri.
d) – Per far essere, per salvare (347)
Per che cosa vivere per un altro?
Perché si compia, perché sia completamente sé stesso e perciò sia eterno: senza la parola eterno un io non diventa più se stesso e tanto meno si compie.
L’amore vero, cioè l’attuarsi vero della legge dell’uomo, che è lo scopo del vivere, è affermare l’Essere, è affermare l’Altro, è «affermare Te, Dio».
Analogamente, dedicarsi a un fratello, a un altro uomo, esistere per un altro, agire per una altro, commuoversi per un altro è amore vero in quanto desidera che l’altro conosca la verità e viva la verità del suo essere in modo compiuto.
Cioè l’amore vero è guardare all’altro e trattare l’altro con desiderio che si avveri, che si compia il suo destino.
Senza amore al destino non c’è amore, senza amore al destino dell’altro non c’è amore all’altro.
Si ama quando in qualche modo si desideri il destino.
e) – Un tipo di vita diverso (349)
L’applicazione della legge dell’amore, questa suprema imitazione di Dio, presto o tardi determina un tipo di vita diversa che non vuol dire impeccabilità: uno può sbagliare mille volte, ma la sua vita è diversa.
In tutto quello che fa porta l’accenno di un dolore, porta l’accenno di un cambiamento di cui il dolore, per un amore non realizzato bene, rappresenta l’esempio più mordente, che nessuno al mondo ha.
Aspetti di questa modalità nuova:
- L’affermazione dell’altro perché c’è e come è: non per un tornaconto nostro, per un calcolo nostro; o come lo vorremmo noi. Affermazione dell’altro come è, perché c’è: questa è la vera stima dell’uomo.
- La condivisione dei bisogni: è attraverso il bisogno che l’uomo è spinto al suo destino, attraverso il bisogno impara che gli manca qualcosa. Condividere il bisogno vuol dire sorprendersi presenza amorosa a cui interessa il destino dell’altro come di se stesso.
- Perdono: capacità di perdono, che vuol dire ridare spazio di libertà all’altro in sé stessi. Uno ti ha offeso: viene escluso dal tuo giro. il perdono è farlo rientrare: gli ridai uno spazio e una libertà.
- Attaccamento all’altro: affezione all’uomo sia come devozione (rispetto) sia come fedeltà (continuità del rispetto).
Chi opera così, opera un cambiamento di mentalità, […] una metamorfosi del cuore.
Il frutto principale di questo cambiamento è l’offerta della propria vita:
se l’amore ne è la legge, il vertice è l’offerta della vita.
CARITA’/ Assemblea (352)
Tu hai parlato della commozione che Dio ha per l’uomo e come questa commozione porta in sé un giudizio. Volevo capire meglio cos’è questo giudizio. (352)
Dio vede l’uomo fatto per la felicità in preda a tentazioni e a debolezze e a confusione che glielo impediscono, che gli attardano il cammino, glielo fanno più difficile.
Allora la passione verso l’uomo diventa commozione; gli và la vicino e gli dice: «Dai, coraggio, che vengo anche io con te».
Ma non è dovuto al fatto che la commozione è l’atteggiamento più originale e quindi più ragionevole rispetto alla realtà?
Io dico che il primo sentimento che si ha verso la realtà è la curiosità, non una compassione.
Caso mai è lo stupore di fronte a una cosa più grande; non una compassione, che è verso qualcosa di più piccolo.
Perché lo stupore diventi commozione cosa deve accadere? (353)
Lo stupore diventa commozione quando il cuore di Dio o di chi giudica si immedesima col cuore dell’uomo e risente in sé tutto il desiderio che l’uomo ha. Non è appena stupore, ma è l’emozione di partecipare a un desiderio per cui l’uomo fa una giusta fatica, per cui l’uomo sa aspettare con pazienza.
Lavorando con gente un po’ più vecchia di me succede che se ne approfittano per farmi fare lavori che non gradiscono. Viene da pensare cosa voglia dire per me puro amore dell’altro, cioè amare il suo destino. Mi rendo conto che non è facile aver chiare le ragioni quando succedono queste cose. (355)
È proprio perché non ci sono ragioni che, se lo fai, diventa carità.
Può diventare cretinaggine o può diventare carità.
La carità si situa nel rapporto con un altro, quando non c’è nessuna ragione, non c’è nessun tornaconto, non c’è nessun calcolo – come normalmente accade in ogni iniziativa dell’uomo verso l’altro – ma l’unica ragione è che è un uomo, amato da Dio; questo « amato da Dio» può essere esplicito o implicito, ma è un uomo, il quale è in preda alla pigrizia.
Vorrei capire un po’ meglio cosa vuol dire che il primo oggetto della carità è Cristo (356)
Il primo oggetto della carità, come dono di sé o commozione è prendere coscienza che c’è tra noi una persona che è la più bella del mondo.
E non solo la bellezza più grande, fatta uomo, che si incontra sulla strada, che sta con noi come in compagnia tutti i giorni…..oltre che la bellezza, ha una bontà tale che dà la vita per me, dà la vita per te e dà la vita anche per il tranviere che non conosco e dà la vita anche per l’SS tedesco che ha ucciso i partigiani alle fosse Ardeatine: dà la vita per tutti.
Da una parte, la prima carità è verso di Lui; dall’altra parte, questa carità verso di Lui tende a toccare qualsiasi uomo: qualsiasi uomo fa più facilmente pietà.
In questo periodo, mentre lavoravo, ripensavo alle cose sentite qui e avevo come due esiti: uno, una energia esasperata dentro; l’altro, è come se ci fosse un unico criterio di fondo della mia vita, c’ero io con le mie esigenze messo a tema in quel momento nel luogo dove ero. E di questo mi sono realmente stupito.(357)
Il nostro amico ci ha dato una testimonianza bella perché vivere questa memoria di Cristo, primo fa venire voglia di vivere, una voglia intensa di vivere; e, secondo, genera una unità della vita e la vita ha una unità quando ha uno scopo: una strada è fatta di milioni di passi ma è «una» strada se ha «uno» scopo.
Nel seguire Cristo si ha la vita eterna e il centuplo quaggiù, il centuplo quaggiù come affettività e il centuplo quaggiù come ragione, unità di ragione.
Vorrei capire meglio quando Paolo dice: «Senza la carità non sono nulla, senza la carità nulla mi giova!». (358)
Se io non ho questa apertura piena di stupore e quindi di mossa di dono, di offerta, di intensità, di commozione davanti all’Essere che mi ha fatto uomo, se non ho questa emozione profonda, tutto non vuol dire niente, tutto non mi serve; mi può colpire solo per un attimo e basta.
È come se ultimamente la gratuità diventasse per me un non amare, cioè un non affezionarsi, una freddezza quasi. Mentre io capisco che quello che diceva lei era proprio un poter amare più potentemente la persona che si ha davanti, e io di questa cosa qui non sono capace (259)
Nessuno di noi è capace di essere se stesso, cioè di essere vero, se non stende la mano e mendica da Dio che, dopo averlo fatto, lo compia: «Signore, tu che hai iniziato quest’opera buona che porta il mio nome e cognome, portami a compimento».
Perché essere capace di carità vuol dire essere capace di guardare le persone, di guardare le cose, di trattare le cose come le guarda e le tratta Dio, perciò è difficile.
Noi non siamo capaci di carità, se non con l’aiuto di Dio, perciò l’atto più grande che possa fare l’uomo è quello di fare il mendicante.
Come sta il centuplo con il “non” tornaconto: il centuplo lo è (361)
Quello che fai con carità, non lo fai per il tornaconto, lo fai per dono di te e per commozione, per stupore e per commozione.
È giusta la carità, tant’è vero che ti dà il centuplo quaggiù, ma tu non lo fai per avere il centuplo: se lo fai per il centuplo, ti brucia anche quel poco che hai.
Che differenza c’è tra la compassione e la commozione? (361)
- La compassione: è una reazione uguale e contraria a una disgrazia.
- La commozione è qualcosa che tocca te, che piega te e nei limiti del possibile ti fa fare qualcosa.
Lei ci ha detto: il palpito del cuore non è carità senza la ragione e la ragione è che io partecipi all’essere. Che cosa vuol dire partecipare all’essere? (362)
Partecipazione all’essere è l’oggetto di una consapevolezza, di una coscienza perchè esisti.
Esistere vuol dire partecipare all’essere: non ti sei data tu l’esistenza, ti è data, tu sei un dono dell’Essere.
Tu partecipi all’essere, esisti perchè sei fatta partecipe di un’altra cosa che c’è già.…cosa domandavi?.
Volevo capire cosa vuol dire che il palpito del cuore non è carità senza la ragione e la ragione è che io partecipi all’essere (363)
La ragione del vivere è ciò per cui siamo fatti, di cui siamo fatti, la ragione del vivere è un Altro.
«Io sono tu-che-mi fai»
che è la scoperta più grande, più tranquillizzante, più commovente, più stupefacente, più bella che l’uomo possa fare.
Io volevo capire questo: qual è l’esperienza che supremamente ci fa capire questa carità? E poi che cosa vuol dire che la ragione deve seguire quello che questa esperienza porta?(363)
Ciò che fa capire supremamente la carità è l’addentrarci nel mistero e questo ha un lunghezza d’onda che si chiama eternità.
Allora supremamente la carità è un’esperienza che ha come termine l’infinito, l’eterno: la incominci da bambina, non termina più.
La carità infatti misura il tuo destino, ciò per cui sei nata.
Volevo capire perché in questo caso la ragione deve seguire (364)
L’obbedienza ti rende cosciente di una Presenza così misteriosa che tu, per saperla, per conoscerla dovrai seguire chi la conosce, passo dopo passo, per sempre; così l’obbedienza, come seguire colui che già conosce, è un’intelligenza.
Hai detto: la verità della vita è affermare l’essere e questo porta con sé affezione, un attaccamento che però può essere duro come la pietra, ma non può non diventare commovente. (365)
Man mano che si diventa grandi si capisce che tutto quello che c’è di vero è dato: rimane la grande incombenza: che la libertà lo accetti; lo accetti secondo tutte le conseguenze cui porta che si rivelano adagio adagio.
Perché tu puoi voler bene a una persona, anche entusiasticamente e in modo puro e giusto, ma man mano che vai avanti, l’implicazione di sacrificio emerge, si impone fino a un certo punto, quando Dio vuole, a coprire la scena, a coprire tutta la scena.
È il momento in cui è vicina la resurrezione, vale a dire la stabilità, tutta fruibile, tutta godibile del vero reso sicuro.
È ciò che dicevi sulla filosofia di oggi che rinnega la concretezza dell’essere, la concretezza della realtà e quindi la butta nel sogno, perché la realtà appare come nemica?(366)
Certo. Se la realtà può essere diversa da come si presenta con evidenza a noi, essa è una bugia, è un nemico. Quello che appare con evidenza, e non è vero, è un inganno e l’inganno è il prodotto di una inimicizia.
Arrivata in ritardo al lavoro ho trovato un biglietto di una collega che scriveva che il suo buongiorno inizia quando mi incontra al mattino. Ero rimasta commossa perché capivo che c’era la possibilità di una corrispondenza più profonda del nostro rapporto, perché io so che questo, anche se lei non lo riconosce e magari non lo capisce bene, è l’inizio di una possibilità più vera di un rapporto, di una corrispondenza (366)
Il modo per corrispondere meglio alla corrispondenza che lei ti documentava, era dimostrare che anche tu eri preoccupata di rivederla, cioè di essere lì puntuale.
La tua contentezza è valida per metà, manca quel sacrificio di sé che compie, che la rende utile, e per cui la tua contentezza coincide con il puro amore.
Lei ci aveva detto «se uno appartiene a un Altro, la vita è drammatica». Io volevo capire meglio che cosa vuol dire drammatica. (368)
Drammatico indica un fenomeno preciso, il fenomeno per cui un io si rivolge a un altro io e dice tu.
Un io che dice tu a un altro deve superare tutte le differenze per poter mettere piede dentro la beatitudine iniziale; la gioia dell’essere in rapporto deve purificare il rapporto da ciò che non è corrispondente.
Siccome la mancanza di corrispondenza è normale tale corrispondenza deve essere voluta per poter entrare nella amicizia e nella pace del rapporto con l’altro.
Il volere tale corrispondenza è una lotta, una fatica; in questo senso ogni rapporto tra l’uno e l’altro è drammatico e il contenuto più duro di questa drammaticità sta nella differenza, che deve essere riconosciuta, lealmente, ma accettata e bruciata dentro la volontà amorosa.
Drammatica è l’esistenza dell’uomo come origine e drammatica nel suo incedere verso il destino; solo nel destino questa drammaticità si placa.
Com’è possibile la carità verso sé stessi? Perché se uno riconosce che Cristo è stato così amoroso, che è morto per me, c’è un passaggio che dovrebbe essere immediato, mentre io faccio fatica ad avere carità verso me stessa. (369)
Per essere virtuosi e per lottare nella drammaticità dei rapporti occorre avere dentro di sé l’esito di una gioia.
Cos’è questa gioia e donde ti viene? Questa gioia è il desiderio della felicità, donde ti viene? Ti viene dalla tua origine stessa, da Colui che ti crea.
Perciò il desiderio della felicità in te si fonda sul fatto che sei stata creata per la felicità.
Volevo capire bene che cosa vuol dire «Il frutto principale del cambiamento di mentalità è l’offerta della propria vita»…….perchè nella mia giornata o vado dietro alle mie illusioni oppure sono davanti a Cristo(370)
Il cambiamento di mentalità vuol dire comprendere di più la natura di un fenomeno, i fattori costitutivi di un fenomeno, e percepire più chiaramente la funzionalità di tutti questi fattori a uno scopo ultimo.
L’uomo offrendo la sua giornata, prima di tutto dimostra di aver raggiunto una conoscenza più approfondita dei fattori che costituiscono la realtà e dell’unico destino per cui son fatti.
Quanto più diventi maturo, tanto più capisci che l’unico scopo di questi fattori è l’affermazione di Cristo.
Quello che faccio consiste in Te, è fatto da qualcosa d’Altro, tutto è gloria di questo Tu: la gloria vuol dire riverberare la faccia di questo Tu.
Il cambiamento di mentalità è quell’avvenimento di maturità per cui nel tempo che passa la coscienza di ciò per cui tutte le cose sono fatte e dello scopo per cui sono fatte diventa abituale.
Il cambiamento di mentalità, nel suo valore supremo, sta proprio nell’offerta di tutto a Cristo, che vuol dire: riconosco che tutto è fatto di Te e che tutto è fatto per svelare Te.
Non c’è niente che faccia capire la verità del mondo e godere di essa come l’offerta.
Ha detto che la legge dell’io è l’amore. E l’io non è astratto e si muove come atto, quindi il darsi a un altro vuol dire muoversi per un altro. A me veniva da chiedere: quando questo sforzo può essere vissuto come moralismo, cioè come misura, come sforzo? (375)
Quando il motivo per cui fai l’atto non è l’amore dell’altro, ma è una legge che ti hanno fatto imparare, è una legge che hai imparato, è una formula che hai imparato.
Se l’atto che compi proviene da un dettato è una cosa da bambini, se proviene dalla commossa coscienza della presenza di un uomo che ha un destino eterno, allora non è più una cosa da bambini.
Cosa fa sì che la donazione di sé nelle cose che ci vengono chieste di fare tutti i giorni, non sia un gesto di generosità, ma sia veramente carico di commozione? (376)
Il gesto di generosità parte da te stessa, è un impeto che parte da te stessa e la sua ragion d’essere è di esprimere qualcosa che è in te.
L’atto d’amore nasce fuori di te, nasce dalla presenza che hai davanti e s’arrende all’emozione, alla commozione che essa desta.
Fare per amore ha una origine esattamente opposta, nasce dal di fuori, nasce da una presenza che hai lì, che ti colpisce, ti commuove chiedendoti; e tu – con più fatica, magari con molta fatica, magari dopo molte tergiversazioni – finalmente dai.
Tante volte la frase «Cristo è morto per gli uomini» è come se non c’entrasse con me.(377)
Perché è astratto. Che Cristo sia morto per gli uomini è una parola astratta.
Che Cristo sia morto per me è una cosa così concreta che mi obbliga a fare tutto per Lui; mi obbliga a capire che tutto nasce da Lui.
Ciò che non colpisce l’io non è né mistero, né niente: è niente, ma quel niente che non è neanche il niente ontologico.
Invece è morto per me, è tutt’altra questione: pone la questione in termini esistenziali, non teorici ma esistenziali.
Quando si era introdotto il tema della speranza, si era detto come la speranza si appoggia sulla fede. Come invece la carità si appoggia sulla fede? (379)
Cos’è la fede? Il riconoscimento di una Presenza, una Presenza su cui appoggiare tutto quello che tu fai, tutto quello che sei e tutto quello che sarai.
Come è fatta questa Presenza? Questa è la carità.
Perciò senza giungere alla carità non si capisce cos’è veramente l’oggetto della fede.
Questa Presenza è fatta di amore.
Pensate, in questa risposta come diventa chiaro che un conto è la generosità – che è un’esigenza tua, esigenza espressiva tua – e un conto è l’amore, che è una esigenza imposta da una Presenza, dettata da una Presenza.
Per generosità, se non sei nevrastenico, a un certo punto ti fermi, ma di fronte ad una presenza vai fino a dover morire.
Una presenza non ha più nessuna teoria davanti, ha soltanto il fatto.
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