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Capitolo ottavo
8° Cap. IL SACRIFICIO
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- Il valore del sacrificio
- In che cosa consiste il sacrificio?
- Il sacrificio vero è riconoscere una presenza
- Il sacrificio della fede e il carisma
- Assemblea/sacrificio
1 – Il valore del sacrificio (383)
Umanamente, innanzitutto ripugna e, in secondo luogo, appare ingiusto, appare come uno sputar sangue.
Watershed
Watershed è il punto dove confluiscono le acque, è il punto di confluenza di tutto… non esiste né fede, né speranza, né amore, non esiste bellezza, né bontà, né giustizia, non esiste niente senza questo: si chiama sacrificio.
a) – Il sacrificio appare contrario alla natura (384).
Naturalmente non c’è niente che desideri il sacrificio, o sembra che niente desideri il sacrificio: è come contro-natura.
Infatti la nostra natura è fatta per la felicità, è fatta per la completezza, è fatta per la bellezza, è fatta per la verità.
La natura è fatta per la felicità, e il sacrificio ne è il contrario.
b) – Quando è diventato interessante (384).
Quando il sacrificio incomincia a diventare un valore?
Valore vuol dire che vale la pena, vale la pena ciò che non passa, che non è inutile, perciò rimane, cioè che ti mette in connessione con il tuo destino.
La parola sacrificio è incominciata, storicamente, a diventare una grande parola, da quando Dio è diventato un uomo.
Da quando quell’uomo è stato messo stirato sulla croce e inchiodato, da quel momento lì la parola sacrificio è diventata il centro, non della vita di quell’uomo, è diventata il centro della vita di «ogni» uomo.
La parola sacrificio è una parola ripugnante, tant’è vero che i greci, che avevano come culto supremo il culto della bellezza del corpo, loro che credevano soltanto alla bellezza del corpo, la parola che non pronunciavano mai se non con odio era la parola che indicava gli dei in quanto sono sorgente di morte.
Il sacrificio era inconcepibile, ributtante.
Morendo, Gesù non solo ha fatto capire che il sacrificio era interessante per il destino dell’uomo, ma ha rivelato anche, ha fatto vedere che non era una cosa strana, che era una cosa interessante, non strana, perché tutta la tua vita è così.
La croce di Cristo ha rivelato, da una parte, il dominio che il sacrificio ha sulla vita di tutti gli uomini, dall’altra, che il suo significato non era necessariamente negativo, anzi, che aveva un significato misteriosamente positivo: era la condizione perché gli uomini raggiungessero il loro destino.
c) – Quando diventa un valore per la vita dell’uomo (388).
Il sacrificio diventa un valore morale, cioè un valore della vita dell’uomo, quando diventa corrispondenza, cioè corresponsabilità, cioè risposta alla morte di Cristo, per salvare la propria vita e quella degli uomini.
Come? Attraverso i sacrifici che mi fa fare. «La mia vita accetta i sacrifici che mi fai compiere come adesione alla tua morte».
Per questo si chiama anche offerta a Cristo del proprio vivere, come partecipazione alla sua morte.
Così il sacrificio di Gesù diventa nostro valore se noi vi partecipiamo, se noi accettiamo da Cristo il modo che Lui stabilisce per farci partecipare al suo sacrificio.
Per esempio mi manda una malattia, mi fa trattare in modo ingiusto, mi delude nell’affezione, mi fa sacrifica un’affezione.
Se il sacrificio è accettare le circostanze della vita, come accadono, perché ci rendono corrispondenti, partecipi alla morte di Cristo, allora il sacrificio diventa la chiave di volta di tutta la vita – la vita vale per il sacrificio che vive -, ma anche la chiave di volta per capire tutta la storia dell’uomo.
Tutta la storia dell’uomo dipende da quell’uomo morto in croce.
Per il peccato originale (390)
Il dinamismo della vita ha come legge più profonda il sacrificio, ha come scopo la felicità e ha come legge condizionante il sacrificio.
Cristo è morto in croce per la salvezza degli uomini, e ognuno di noi può collaborare alla salvezza del mondo accettando il sacrificio delle circostanze attraverso cui è fatto passare,
perché l’esistenza del singolo e la storia di tutti hanno come un peso enorme all’origine, hanno all’origine come una montagna gigantesca che pesa e frena tutto, tragica.
Come mai? La natura dell’uomo è tragica per questo inizio terribile che si chiama peccato originale, che è un fatto che non possiamo spiegarci, ma senza questo misterioso fenomeno non si spiega più niente.
2 – In che cosa consiste il sacrificio? (391)
La Bibbia ha una parola precisa per indicare qualcosa che l’uomo adora come Dio, mentre non lo è: si chiama idolo.
Affermare o cercare la verità dove essa non è, affermare o cercare l’idolatria insomma, è una menzogna, è una bugia.
Il sacrificio è andare contro la menzogna.
Andare contro la menzogna, fare la cosa in modo vero, reale, sincero, giusto: questo è il sacrificio.
Senza sacrificio non ci può essere verità in un rapporto.
Senza sacrificio non c’è rapporto vero, che vuol dire l’altro – l’oggetto qualsiasi o la persona – non è valorizzato, secondo la sua natura.
Identifichiamo l’affermare una cosa con l’afferrarla: affermare una cosa è amore, è affermare l’altro; afferrarla vuol dire piegarla a te, renderla schiava.
Il sacrificio non è sospendere la volontà di qualcosa, ma arrestare la volontà che non è secondo la natura della cosa.
Per questo tutti i rapporti prematrimoniali sono sbagliati, tutti; e impongono strade storte che non si raddrizzano più; e affermano un egoismo come ultimo criterio – “quel che pare e piace” come ultimo criterio del rapporto – che non si redime mai più.
3 – Il sacrificio vero è riconoscere una presenza (394)
Il sacrificio più vero è riconoscere una presenza: l’io, invece di affermare sé, afferma te.
Cosa vuol dire riconoscere una presenza?
L'io, invece di affermare sé, afferma te.
È amore a te.
È il sacrificio totale di sé: affermare l’altro implica il dimenticare sé stessi,
che è il contrario di essere attaccati a sé stessi, allora ci si sacrifica all’altro.
Tristezza e domanda (394)
Il sacrificio afferma come il sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non mi riesce di affermarla.
Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco.
È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta, che si sprigiona la domanda: « Vieni, Signore Gesù », vieni Tu, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice me, ma come conseguenza!
4 – Il sacrificio della fede e il carisma (396)
Siamo qui perché Cristo è tra noi; Cristo, dopo duemila anni, ti ha messo qui, con me che non conoscevi; non sappiamo come, ma siamo insieme per questo.
L’amore che ognuno di noi ha per l’altro, l’interesse che ha per il destino dell’altro, è per Cristo che è tra noi, è attraverso Cristo che è tra noi, è un’affermazione di Cristo che è tra noi.
Cristo resta presente, dentro le circostanze storiche che il Mistero del Padre stabilisce, le circostanze storiche attraverso le quali il mistero del Padre ti fa riconoscere ed amare la Presenza di qualcosa d’altro, di Cristo.
Queste circostanze storiche attraverso cui il Padre ci fa capire la presenza di un’altra Presenza, di qualcosa d’altro più grande, appartengono a quello si chiama carisma: le circostanze storiche che creano il nostro movimento e il gruppo adulto.
Chi è stato raggiunto da un carisma, non può seguire Cristo abbandonando il carisma: sarebbe un tradimento.
Se Cristo ti ha fatto conoscere sé stesso attraverso queste circostanze rappresentate da quelle facce, è attraverso queste facce, queste circostanze che ti cambia, che ti fa diventare grande il cuore, l’anima e la testa.
Si tocca Cristo attraverso di noi, si vede Cristo attraverso di noi.
Il sacrificio sembra come morte – mortificazione – ed è il principio della vita, il principio della vita vera, quella che vince il tempo e lo spazio, la vita che non cede alla menzogna.
Infatti, non c’è nessuna esperienza di sacrificio che non faccia diventare migliori, se accettata:
«E’ se cambia».
L’io umano, cioè il cuore umano, è il crocevia tra il rapporto con l’eterno e il nulla: non c’è alternativa.
SACRIFICIO/Assemblea (401)
Non soffrire più significa non vivere più, nel senso che bisogna essere morti per non soffrire: è inevitabile.
Siamo fatti per la felicità e dobbiamo soffrire.
Dove sta l’equivoco? Sta nel mettere in opposizione il soffrire con la vita,
mentre il soffrire è una condizione della vita e quanto più uno soffre ed è capace di soffrire, tanto più è vita la sua.
A fondamento della nostra vita sta il dolore di Cristo, condizione della gloria di Cristo.
Per rendere il mondo Regno di Cristo, per rendere il mondo edificio di Cristo,
bisogna che la vita nasca dal sacrificio.
Per me la tristezza è dire: «Signore io non sono capace, compi Tu quello che io non sono capace di fare», questa tristezza è buona, perché mi rimette nel rapporto con l’altro; il rapporto con l’altro riparte in un’altra maniera. (403)
La tristezza è una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita tu hai la percezione di qualche cosa che ancora ti manca: la tristezza è un’assenza sofferta.
Cosa rende buona la tristezza? Riconoscerla come significativo strumento del disegno di Dio: implica che la vita sia sempre, in qualsiasi caso, soggetta alla percezione di qualcosa che manca.
La tistezza è la condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perché l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli può bastare.
La ragione vera del nesso tra tristezza e vita è che la tristezza è parte integrante non della natura del destino dell’uomo, ma dell’esistenza dell’uomo, cioè del cammino al destino, ed è presente ad ogni passo.
Noi abbiamo paura del sacrificio perché siamo così astratti dalla realtà che viviamo un po’ come lontani dalla realtà (404)
Appare astratto ciò che tu hai già eliminato come volontà di accettazione, come capacità di valorizzazione, come giudizio di pertinenza.
Ritenere astratto un valore di cui si vede la ragione, contro cui non si ha ragione di andare; ritenerlo astratto perché non si tocca come i capelli. vuol dire essere fallaci, perché è un rinnegare il nesso con il proprio cuore, col senso del proprio destino, che la cosa rivela; perché la ragione è la rivelazione del rapporto della cosa con il proprio destino.
Non dobbiamo avere paura del sacrificio: dobbiamo aver paura dell’astratto.
L’astratto è la condanna della nostra dignità umana.
L’astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino, perciò l’astratto è ciò che elude ciò per cui è fatto il tuo cuore, e tende a identificare il concreto con la punta del naso che si tocca.
L’astrazione è allora una distrazione? (405)
Sì l’astratto è una distrazione voluta, perciò ho parlato di impostura: è una distrazione della ragione, cioè della sua natura, che è esigenza di un destino che nella ragione si affaccia.
Lei dice: «Non bisogna aver paura del sacrificio perché esso è la condizione per la permanenza delle tenerezza e della letizia». Non riesco a capire questo nesso tra la tristezza e la letizia. (406)
Per essere una tenerezza vera deve amare in modo vero l’oggetto e l’oggetto deve essere percepito per quello che veramente è.
Solo se tu percepisce l’eternità della compagnia con questa persona, solo se tu percepisci che il rapporto con questa persona, ciò che essa suscita in te, è segno del rapporto con l’eterno, allora il rapporto con questa persona è un rapporto eterno, l’amore per questa persona è un amore eterno.
È il sacrificio, nel presente, che permette la permanenza della tenerezza
Nel cammino insieme, con tutti i sacrifici del caso, scaturiscono tenerezza e letizia.
Lei ha detto che il sacrificio diventa valore morale quando diventa corrispondenza, cioè risposta, alla morte di Cristo. Allora volevo chiedere: potrebbe anche non diventare risposta della libertà? (407)
Se la libertà non diventa, nel sacrificio, col sacrificio, coincidenza o compagnia con Cristo che chiama, niente c’è di più stupido e bestiale – diceva Pavese – che sacrificio.
Quando diventa sensato abbracciare un sacrificio?
Quando viene accettato perché è nel disegno che Dio ha sulla tua vita.
Seguendo Cristo, tu aderisci alla sua compagnia accettando i sacrifici che essa impone.
È con il suo sacrificio che Cristo salva il mondo: tu c’entri con il salvare il mondo.
Perché nella lezione sul sacrificio parli di carisma?(408)
Se la vita è storicamente un carisma – cioè dono dello Spirito, cioè partecipazione al mistero dell’Essere, partecipazione all’anima creatrice del cosmo, partecipazione alla felicità di ogni singolo uomo come supremo destino della storia – in quanto implica un sacrifico (croce), lo implica proprio in quanto richiesto dal carisma stesso: cioè l’opera dello Spirito è un disegno drammatico e il sacrificio è inevitabile, parte di questo dramma.
Cos’è il carisma? Carisma è una parola che viene dal greco, vuol dire dono.
E il dono è la comunicazione dell'Essere, del mistero dell'Essere alla nostra vita.
Carisma si chiamano le circostanze attraverso cui lo spirito comunica la conoscenza di Cristo a me e a te in modo tale che a me e a te lo fa conoscere secondo una determinata modalità; all’altro e all’altro lo fa conoscere in modo giusto, ma attraverso un altro metodo.
Il carisma è il metodo con cui lo Spirito – attraverso le circostanze della vita, di temperamento, di istruzione, di compagnia, di suggerimenti immediati, di scoperte immediate – fa capire che cosa è Cristo a me e a te; perciò, se Cristo è tutto nella nostra vita, niente ci lega più del carisma, perché è la cosa più importante che c’è: attraverso il carisma puoi riconoscere te stesso, attraverso il carisma io riconosco me stesso, attraverso il carisma io riconosco chi sei tu.
Il carisma rappresenta il primo spazio dove il Mistero di Dio diventa dono per l’uomo, uno spazio investito da Cristo caratterizzato da circostanze particolari, costitutive dell’io, costitutive del contesto in cui l’io è, creative sempre di una compagnia, cioè di un pezzo di Chiesa: la Chiesa è fatta di tanti pezzi che sono tanti carismi.
Tu puoi essere, dallo Spirito, assegnata ad una situazione circostanziale in cui la compagnia di un parroco sciatto e vecchio, con la voce stentata, con la gente villana e distratta in chiesa, può essere quella la strada che per te assegna.
Voi dovete adeguarvi a queste circostanze e adeguarvi a queste circostanze è sacrificio, è rinunciare alle vostre.
Perché dunque il sacrificio è inerente ad ogni carisma? Perché il carisma è un complesso di circostanze che non fissi tu e devi seguire quelle e valorizzare quelle.
Cosa significa che il sacrificio più grande è riconoscere una presenza: invece di affermare me, affermo te, amo te? Cosa significa che il sacrificio più vero è amare? (411)
Non c'è sorgente di sacrificio più grande che riconoscere una presenza.
La grandezza dell’uomo-Cristo è che ha vissuto riconoscendo che il valore di ogni cosa sta nella volontà di un Altro.
Per Cristo riconoscere la presenza del mistero del Padre costituiva la sorgente più dura di dolore nella sua vita, di sacrificio di sé.
Riconoscere che è là, nel pane, sotto l’aspetto di un pane, nel segno di un pane; riconoscere questo: vi sfido a trovare un sacrificio di sé (della propria intelligenza, del proprio obbligo di amore, della propria passione perché tutto il mondo lo conosca) più grande.
Il sacrificio più grande è riconoscere una Presenza, questa è una cosa, è la cosa «dell’altro mondo».
Tutto il gioco della persona, o si riconduce a questo punto sacrificale oppure…. tutto si sfascia: non si può più riprendere da nessuna parte, lo prendi da una parte e sfugge dall’altra.
Non c’è sorgente di sacrificio più grande che il rapporto con una persona, riconoscere una persona.
Perché non diventi connivenza, ma amicizia reale tra di noi, deve prima passare attraverso Cristo, bisogna prima riconoscere che Cristo è la sorgente più grave di dolore della nostra vita, di sacrificio della nostra vita: come Lui è morto, così noi dobbiamo morire.
Eppure il riverbero umano ed esistenziale di questo sacrificio è una gioia, come Lui ha detto: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»
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