Temi di “Generare tracce nella storia del mondo”

Edizione di riferimento

«La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale».

Don Luigi Giussani – Senso religioso – pag. 119 capitolo ottavo – terzo paragrafo

Indice linkato

ABCDEFGILM/NO PRSTUV


Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani

Lettera «A»



ABBANDONARE/ABBANDONO

(183) – La valorizzazione del poco o del tanto bene che c’è in tutte le cose impegna a creare una nuova civiltà, ad amare una nuova costruzione così nasce una cultura nuova, come nesso tra tutti i brandelli di bene che si trovano, nella tensione a farli valere e ad attuarli. Si sottolinea il positivo, pur nel suo limite, e si abbandona tutto il resto alla misericordia del Padre.

(210) – L’abbandono dell’uomo alla misericordia del Padre diventa vero e totale abbandono alla croce del Figlio, il quale dice in favore nostro: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno»

L’uomo può solo abbandonarsi.

Il questo abbandonarsi gli avviene di sperimentare l’amore del Mistero come forza che lo «assorbe», che lo ricrea.

È una assoluta fiducia, è un abbandono, un abbandono paragonabile a quello della Madonna nell’istante in cui «L’angelo partì da lei»

Nella spaventosa oscurità dell’abbandono al Padre, Cristo, la misericordia dell’Infinito, offrì la sua vita per ogni uomo, anche per Giuda.

(213) – E’ il dolore per i propri peccati che si impone, come inizio storico dell’amore che attende una riscossa. L’uomo si accetta e si affida, si abbandona, per essere cambiato, a un Altro. Questo è il dolore. L’uomo è lieto perché Dio vive il suo dolore carico di letizia, ma è sempre dolore, un dolore di sé.

ACCETTARE

(41) – L’«eccezionale» connota proprio l’esperienza della corrispondenza.

Poiché il cuore nostro è fatto per questa corrispondenza.

Essa dovrebbe essere normale nella vita: e invece non capita mai; quando capita, ciò costituisce un’esperienza eccezionale.

Avere la sincerità di riconoscere, la semplicità di accettare e l’affezione di attaccarsi a una tale Presenza, questa è la fede.

(110) – La permanenza di questa Presenza è grazia, puro avvenimento, a cui resistiamo nell’aderire qui e ora.

Lo riconosciamo e vi aderiamo.

È grazia, come lo è l’incontro, lo stupore, la sua continuità, l’impeto di adesione: e tale grazia diventa nostra perché l’accettiamo.

Accettare questa novità assoluta, che riaccade mille volte al giorno, è l’aspetto supremo della libertà.

(219) – Uno dei più grandi peccati che l’uomo può commettere [ … ] è perdere la fiducia in Dio.

Egli, come misericordia, tutto vince.

Certo, il cristiano deve accettare questa vittoria.

Per vivere l’amore, non occorre che faccia somme, addizioni di virtù e di perfezioni.

Deve, nonostante quel che è, accettare il disegno di un Altro, deve essere disponibile al volere di Dio.

(214s) Accettare sé stessi

[….] il miracolo della misericordia è il desiderio di cambiare. E questo implica l’accettarsi, perché altrimenti non sarebbe desiderio di cambiamento, ma pretesa e presunzione e non diventerebbe domanda a un Altro, non sarebbe affidarsi a un Altro.

ADESIONE

(46) – La fede è razionale, in quanto fiorisce sull’estremo limite della dinamica razionale come un fiore di grazia, cui l’uomo aderisce con la sua libertà.

E come fa l’uomo ad aderire con la sua libertà a questo fiore incomprensibile come origine e come fattura?

Aderire con la propria libertà significa, per l’uomo, con semplicità riconoscere quello che la sua ragione percepisce come eccezionale, con quella immediatezza certa, come avviene per l’evidenza inattaccabile e indistruttibile di fattori e momenti della realtà, così come entrano nell’orizzonte della propria persona.

(49) – La risposta dell’uomo alla richiesta di Cristo è domanda di poter rispondere alla Sua richiesta, poiché niente riesce ad avvenire se non per grazia.

Se non si chiarisce questo inizio, si rimane nella pretesa di essere in grado di rispondere.

E di essere noi capaci di aderire.

(108) – [ … ] Perché il bene non è il «bene», ma è l’adesione a Lui, è il seguire quel volto, la sua Presenza, il portare la sua Presenza ovunque, ili dirlo a chiunque, perché questa Presenza domini il mondo.

(191) – La libertà non è l’attività che l’uomo svolge prendendo sé stesso come misura di tutte le cose, come uno spazio in cui essere padrone, ma è adesione a una realtà che non ha mai finito di essere inquisita, in cui l’occhio non finisce mai di penetrare, vivessimo anche mille anni.

ADORARE

(94) – La persona che ho davanti, chiunque essa sia, è e segna la strada seguendo la quale io arrivo a Cristo, al Tu di cui ogni cosa è fatta, e perciò di essa ho stima, r spetto, l’adoro, posso adorarne il volto.

Ma io adoro questo volto se è cammino verso la fonte di ogni cosa, la fonte dell’Essere.

Altrimenti è come disegnare una figura senza prospettiva: è una percezione infantile, primitiva.

AFFECTUS

(90) – La conoscenza nuova nasce dall’adesione ad un avvenimento, dall’affectus a un avvenimento cui si è attaccati, a cui si dice sì.

Questo avvenimento è un particolare della storia: ha una pretesa universale, ma è un punto particolare.

(92) – E’ la lealtà dello sguardo all’avvenimento che porta lontano: è un affectus, come quello che aveva Simone, così puramente e profondamente affezionato a Gesù, ciò che porta lontano la capacità di giudicare adeguatamente la realtà.

(94) – Parlare dell’intelligenza nuova del reale, introduce il concetto di affectus, significa arrivare alla soglia del problema morale.

AFFERMARE CRISTO

(80) – Ma il battesimo che cosa implica? Lo si comincia a capire nell’incontro con una compagnia cristiana viva.

Poiché in esso si desta una memoria che dà pace al cuore, soddisfazione all’animo e che, nello stesso tempo, rende combattiva la vita, fa capire che la vita è un combattimento per l’affermazione di Cristo.

(100) – Quel «sì» (di Pietro) era l’affermazione del riconoscimento di una eccellenza suprema, di una eccellenza innegabile, di una simpatia che travolgeva tutte le altre.

AFFERMAZIONE DI SE’

(88ss) – Perciò, per l’organicità vivente della compagnia cristiana, non esiste niente di più contradditorio che, da un lato, l’affermazione della propria opinione, della propria misura, del proprio modo di sentire come criterio ultimo e, dall’altro, la ripetitività.

È la filiazione che genera….

Così si moltiplica e si dilata il grande Mistero della sua Presenza, affinché tutti Lo vedano dando gloria a Dio.

(92) – La modalità con cui nasce il criterio per giudicare può essere sinteticamente indicata dalla parola sguardo.

Si tratta di stare davanti all’avvenimento incontrato senza troncare a un certo punto la lealtà dello sguardo per la preoccupazione di affermare quel che ci pare e piace o ci «interessa».

(171) –   Da che cosa è caratterizzata la dinamica culturale dell’avvenimento cristiano?

Da una obbedienza invece che da una affermazione di sé, dal vivere totalmente la carne ma nella fede del Figlio di Dio, dal fatto che uno è tutti e in Lui tutti sono uno.

L’uomo non vive più per sé stesso, ma per un Tu.

(178) – La nostra cultura, il nostro culto spirituale è l’offerta.

Se riflettiamo sulla nostra esperienza ci accorgiamo invece di come spesso, invece, tende a prevalere un egocentrismo che decide da sé i fattori costitutivi dell’Avvenimento cui diciamo di appartenere e che non nasce da noi: in luogo dell’obbedienza si impone l’affermazione di ciò che pensiamo noi.

(212) – L’uomo [ … ] si è ribellato dall’inizio al fatto che un Altro, sia pure il Mistero che l’aveva fatto, fosse la ragione di quel che faceva. Adamo ed Eva hanno voluto affermare il loro «io» sull’«Io» divino.

AFFEZIONE (anche “attaccamento”)

(41ss) – Avere la semplicità di riconoscere, la semplicità di accettare e l’affezione di attaccarsi a una tale Presenza, questa è la fede.

Il danno nella considerazione di un oggetto, tanto più grave quanto più quest’ultimo c’entra con la vita, è lasciare subentrare questioni o fattori estranei all’oggetto stesso, che alterano il rapporto con esso e, soprattutto, ci impediscono l’affezione ad esso.

Ultimamente, soltanto quell’apertura viva all’oggetto che diventa affezione, fa sì che esso ci tocchi per quello che è (afficere, essere toccato da).

Come l’uomo cammina con tutto sé stesso, così vede tutto con sé stesso: egli vede con gli occhi della ragione in quanto il cuore è aperto-a, in quanto cioè l’affezione sostiene l’apertura degli occhi, altrimenti davanti all’oggetto l’occhio si chiude, si «addormenta». Fugge via.

L’occhio vede, dunque, sostenuto dall’affezione, che già esprime il gioco della libertà.

(90) – Diventare una «creatura nuova» significa avere una coscienza nuova, una capacità di sguardo e di intelligenza sul reale che altri non riescono ad avere, e una affezione nuova, una capacità di adesione e di dedizione al reale, all’altro da sé, che non è nemmeno immaginabile.

(92) – E’ la lealtà dello sguardo all’avvenimento che porta lontano: è un affectus come quello che aveva Simone, così puramente e profondamente affezionato a Gesù, ciò che porta lontano la capacità di giudicare adeguatamente la realtà.

(139) – Dal riconoscimento dell’ideale nasce dunque una operatività potente che tende a strumentarsi nel migliore dei modi possibili.

Ciò si esprime ultimamente nella carità del popolo per cui uno porta il peso dell’altro.

In questo senso il «noi» entra nella definizione dell’«io»: è il popolo che definisce il destino, la capacità operativa e la genialità affettiva, quindi feconda e creativa, dell’io.

Affezione e memoria

(52) La memoria è la storia tra l’origine e l’ora.

Il contenuto materiale (pensiero, affettività, opera) della parola memoria si chiama anche Tradizione

AIUTO

(147ss) – (Per i cristiani) la vita è concepita come tensione al Destino, come lotta per il bene, così che diventa facile mettersi in comune per aiutarsi.

L’Avvenimento che, di colpo, unisce quelli che vi si imbattono e lo accettano, esprime il suo principio di unità innanzitutto come sussidiarietà realizzata: ognuno aiuta l’altro, ognuno cerca di compiere quello che manca all’altro.

È una sussidiarietà concreta, possibilmente quotidiana, come facilitazione alla vita e come difesa dal nemico (il mondo) che minaccia la vita del popolo.

La coscienza di essere stati scelti per partecipare alla costruzione del Regno di Dio infonde un’onda nuova nel cuore, per cui il sentimento amoroso – attraverso quella strettoia tremenda che si chiama croce, sacrificio – diventa autentica carità vicendevole

(195) – Come non si può nascere e non si può vivere da soli, così non si può rispondere al proprio bisogno (qualunque esso sia, anche quello più personale) se non in compagnia, con l’aiuto di una compagnia

AMICIZIA

(114) – (il sì di Simone) era l’emergere, il venire a galla, di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di Lui (perciò era un atto di ragione) per cui non poteva che dire «sì».

Questo è il «gioco» umano più vero, più autentico, quello che ci rende più amici con chi è più amico, ci fa pieni di tenerezza verso nostra madre e di ammirazione per nostro padre: esso aumenta col tempo, non si ferma mai.

E non è irrazionale: è l’unica cosa razionale.

Per Pietro era un’amicizia che non dipendeva da lui, ma che era stata fatta nascere in lui.

Tanti infatti sentivano Gesù e dicevano: «Bello!», ma poi se ne andavano via; in loro attecchiva questa amicizia, questa tenerezza.

(124) – E lì (in parrocchia) anche la comunità, l’amicizia tra di noi, si alimenta nei Sacramenti, si alimenta nella parola di Dio annunciata.

Nella casa, nella famiglia, tra quegli amici, si incontra continuamente continuamente l’Avvenimento di quella Presenza che è riconosciuta, cambia lo sguardo e il sentimento di sé e di tutte le cose.

Nella casa uno vede nell’altro il mistero di Cristo presente come volto.

Uno impara dalle stesse difficoltà del rapporto – illuminate dal giudizio della Sua presenza – a vedere nell’altro il mistero di Cristo.

(139) – Senza amicizia, cioè senza l’affermazione gratuita e reciproca del comune destino, non c’è popolo.

(149) – La nostra responsabilità è quella di essere amici secondo un incontro fatto.

E questa amicizia non può non incidere sui rapporti che si stabiliscono in famiglia, sul lavoro, nella vita sociale e politica.

L’amicizia degli uomini chiamati da Gesù nel Battesimo è l’inizio delle comunità, l’inizio di una cultura nuova, di un sentimento diverso della società e dello Stato, del mondo.

(170) – Perché gli uomini vivano non più per sé stessi ma per Cristo, occorre l’obbedienza.

L’obbedienza esistenzializza il summum ius: il culmine del diritto di Dio sulla nostra vita.

Ed essa è la virtù anche dell’amicizia con l’Essere, il vertice della comunione con il Mistero.

AMORE

(43) – Per poter conoscere occorre infatti una posizione di apertura, cioè di «amore».

In fondo, questo amore è indicato da quell’istinto originale per cui la natura – cioè Dio che ci crea – ci getta nell’universale paragone con curiosità.

L’occhio della ragione vede, dunque, in quanto sostenuto dall’affezione, che già esprime il gioco della libertà.    

(107) – Protagonista della morale è la persona intera, l’io intero.

E la persona ha come legge una parola che crediamo tutti di conoscere e di cui, dopo molto tempo, se c’è un minimo di fedeltà a ciò che è originale in noi, si incomincia a intravvedere il significato: amore.

La persona ha come legge l’amore.

«Dio, l’Essere, è amore», scrive san Giovanni.

L’amore è un giudizio commosso per una Presenza connessa con il destino.

L’amore è un giudizio commosso per una per una Presenza connessa con il mio destino, che io scopro, intravedo, pre-sento connessa con il mio destino.

(119) – Tutto diventa amore: diventa possibile oggetto d’amore che si incontra per strada, chi si incontra per caso su un pianerottolo, colui con il quale ci si urta in metropolitana, e perfino la gente con cui si condivide quel posto e quel gesto per troppi senza senso che è il lavoro.

Tutto può diventare oggetto d’amore partendo da questa dimora.

(173) – Col Battesimo ha avuto inizio una personalità che, quanto più prende coscienza degli altri essere umani che Cristo ha chiamato con essa, tanto più si sente cosa sola con loro.

«Non sapete che siete membra gli uni degli altri?» 1 Cor 12, 12-27

L’amore agli altri diventa appassionante struggimento per loro perché essi sono parte di Cristo e, quindi, di me.

(181s) – L’ecumenismo non è una tolleranza generica che può lasciare ancora estraneo l’altro, ma è un amore alla verità che è presente, fosse anche per un frammento, in chiunque.

Ogni volta che un cristiano incontra una realtà nuova l’abborda positivamente, perché essa ha qualche riverbero di Cristo, qualche riverbero di verità.

Nulla è escluso da questo abbraccio positivo.

(192) – Quanto più uno ama la perfezione nella realtà delle cose, quanto più ama le persone per cui fa le cose, quanto più ama la società per cui realizza la sua opera, di qualunque genere, tanto più è per lui desiderabile essere perfezionato dalla correzione.

È questa la povertà nel possedere le cose, che rende l’uomo artefice, attore, protagonista.

(219) – Per vivere l’amore, non occorre che faccia somme, addizioni di virtù e di perfezioni; deve nonostante quel che è, accettare il disegno di un Altro, deve essere disponibile al volere di Dio.

Questa è la sua vocazione: «La vocazione è una stella che brilla nella notte oscura delle circostanze» (graffiti, in Litterae Communionis – n°4, aprile 1996, pag. 72)

Amore a Cristo

(49) – La risposta dell’uomo alla richiesta di Cristo è domanda di poter rispondere alla Sua richiesta, poiché niente riesce ad avvenire se non per grazia. [ … ]

La risposta di Cristo non fa accadere immediatamente che egli voglia bene a Cristo, cioè che sia automaticamente coerente: Pietro «vuole volere» bene a Cristo.

C’è in lui in riconoscimento di Cristo, perciò come conseguenza, dovrebbe aderire a Cristo, e fare quello che Egli dice. Invece è peccatore.

E anche di fronte alla domanda: «Mi ami tu?», chissà come si sarà sentito pieno di vergogna!

Eppure ha risposto: «Signore, Tu lo sai che io ti amo».

Questa affermazione significa riconoscere che l’orizzonte ultimo di sé e di tutto è la sua Presenza.

(104) – Egli, Gesù, si rivolge a noi, si fa “incontro” per noi, chiedendoci una sola cosa: non «che cosa hai fatto?», ma «mi ami?».

Amarlo sopra ogni cosa, allora, non vuol dire che io non abbia peccato o che io non abbia a peccare domani.

Amore di Cristo

(111s)Noi siamo amati. Ne deriva, come conseguenza, che amare, nella sua forma essenziale, nella sua espressione suprema, è accettare di essere amati, perché tutto il resto fluisce di qui.

Se io sono amato, se “sono” perché “amato, il grande problema del mio esistere, del mio essere al mondo, ciò che rende possibile che il mio soggetto diventi protagonista di un mondo nuovo, in cui l’eterno incomincia sperimentalmente nel tempo, è la mia risposta: la mia risposta al Tu che mi ama, il mio corrispondere, la mia valorizzazione di ciò che Egli ha originalmente creato in me proprio perché potessi accorgermi di Lui.

Dio è amore

(107) – Protagonista della morale è la persona intera, l’io intero. E la persona ha come legge una parola che crediamo tutti di conoscere e di cui, dopo molto tempo, se c’è un minimo di fedeltà a ciò che è originale in noi, si incomincia a intravedere il significato: amore.

La persona ha come legge l’amore. «Dio, l’Essere, è amore», scrive san Giovanni.

(186) – La parola amore è da intendere nel suo senso ultimo, cioè come sinonimo di Cristo, del Dio che si è curvato su di noi e ci ha abbracciato.

(211) – [ … ] perché la vita di Dio è amore, caritas, gratuità assoluta, amore senza tornaconto, umanamente «senza motivi».

Umanamente appare quasi come una ingiustizia, o come una irrazionalità – proprio in quanto senza ragioni-.

(216)Dio è amore, una ipotesi positiva su tutto.

Il punto in cui il Mistero si rivela a noi come misericordia è un Uomo nato da donna.

Questo uomo è Gesù.

La rivelazione di Gesù, che Dio è amore, che la natura di Dio è amore, vuole dire che lo scopo di tutto ciò che c’è è assolutamente positivo.

E’ certo che Dio non può azzerare neanche una sola opera buona – una sola – fatta dall’uomo.

Perché se la natura dell’essere amore, anche una sola azione buona può difendere vite intere.

APERTURA

(43) – Per poter conoscere occorre infatti una posizione di apertura, cioè di “amore”. Senza amore non si conosce.

Ultimamente, soltanto quell’apertura viva all’oggetto che diventa affezione, fa sì che esso ci tocchi per ciò che è.

Come l’uomo cammina con tutto sé stesso, così vede con tutto sé stesso: egli vede con gli occhi della ragione in quanto il cuore è aperto-a, in quanto cioè l’affezione sostiene l’apertura degli occhi, altrimenti davanti all’oggetto l’occhio si chiude, si “addormenta”, fugge via.

(91) – Un giudizio permanentemente aperto e senza pregiudizi è infatti tanto impossibile alle sole forze dell’uomo quanto è l’unico che rispetti ed esalti il dinamismo della ragione (che è apertura alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori).

(95) – Un atto è morale quando mantiene l’originale apertura alla realtà che Dio ci crea continuamente.

(173) – Questa unità umana, in cui Lui è il fondamento come gratuità divina comunicata alla creatura eletta, ha due caratteristiche: è totalizzante e cattolica.

[ … ] Cattolica in quanto è una compagnia aperta a ogni cosa che emerge al proprio incontro, e quindi tesa alla totalità delle cose; essa si protende senza tregua alla scoperta del vero e alla affermazione del bene in tutto.

(185) – L’ecumenicità cattolica è aperta verso tutti e verso tutto, fino alle sfumature ultime, pronta ad esaltare con tutta la generosità possibile ciò che ha anche una lontana affinità con il vero.

[ … ] Questa apertura fa trovare a casa propria chiunque conservi un brandello di verità, a proprio agio dovunque.

(201) –  Se il potere mira esclusivamente all’ottenimento di una propria immagine sul reale, deve cercare di governare i desideri dell’uomo: il desiderio, infatti, è l’emblema della libertà, perché esprime l’apertura originale dell’uomo all’orizzonte della totalità.        

APOLOGETICO

Valore apologetico ed educativo

(53s) – Un avvenimento del passato, che ha una presa di significato per la propria vita, è rinvenibile nell’esperienza di un avvenimento presente, che è l’inizio di una memoria il cui contenuto è spiegato completamente nell’avvenimento del passato.

[ … ] …è importante per contestare qualsiasi tentativo clericale di porsi nel mondo, di imporsi al mondo, o di giustificarsi di fronte al mondo con una pretesa egemonica e ideologica. In questi ultimi decenni, ad esempio, troppo spesso si è tentato di giustificare la validità del cristianesimo secondo i valori dominanti della cultura del momento.

Si è censurato così il dato essenziale che il cristianesimo, dopo duemila anni, è una presenza originale oggi, che veicola in sé la pretesa di un significato per la vita cominciata allora.

La adeguata comprensione del fatto passato si illumina nell’incontro con un avvenimento presente carico di promessa di vita.

Il benessere per il mondo è una conseguenza di questo avvenimento presente, che si compie secondo la volontà di Dio, cioè secondo la misura dei suoi doni.

APPARTENENZA

(85s) – La compagnia concreta, dove accade l’incontro con Cristo, diventa luogo dell’appartenenza del nostro io, da cui esso attinge la modalità ultima di percepire e di sentire le cose, di coglierle intellettualmente e di giudicarle, il modo di immaginare, di progettare, decidere e fare.

Il nostro io appartiene a questo «Corpo» che è la compagnia cristiana e in esso attinge il criterio ultimo per affrontare tutte le cose.

Tale compagnia è perciò l’unica modalità che ci abilita al reale, ci fa toccare il reale e ci rende reali.

L’appartenenza a Cristo è il contenuto di una nuova coscienza.

Nell’appartenenza al Dio che è diventato Uomo, la nostra dipendenza totale, il nostro «essere fatti», diventa chiaro.

La compagnia non è un’idea, un discorso, una logica, ma un fatto, una presenza che implica un rapporto di appartenenza.

Idee, logica, consequenzialità vengono poi tratte da questa appartenenza, ma in primo luogo bisogna essere dentro al fatto della compagnia.

Essa dimostra la Presenza di Dio diventato uomo perché è fatta di gente che, se rimane fedele, nel tempo cambia.

L’appartenenza alla compagnia, comunque essa sia, nasce da un avvenimento, da un incontro, dal quale scatta l’inizio di una creazione nuova di me che non può essere ricondotta a quello che io penso e sento di me.

In questa appartenenza tutto della nostra persona si gioca e, con l’andare del tempo, cambia …..

Nell’appartenenza la persona compie l’esperienza di una coesione dei particolari entro cui la sua vita si situa: la vita così acquista un nuovo significato e una nuova unità.

(88s) – Questo è dunque il dinamismo implicato dall’appartenenza, questo è il bisogno di una compagnia vera, perché essa sia sorgente di missione in tutto il mondo: non discepolanza, non ripetitività, ma figliolanza.

L’appartenenza rappresenta la parola più importante per definire la natura della creatura nuova attraverso cui si veicola l’ontologia dell’Avvenimento.

Perciò, approfondire la coscienza di sé come appartenenza è la prima linea di sviluppo di una coscienza matura, cioè di una antropologia cristiana.

Quanto più l’io si percepisce come appartenenza, tanto più l’azione si sprigionerà da lui in una forma giusta, adeguata al Destino.

Dalla percezione del valore ontologico dell’appartenenza nasce la formula morale più intensamente riassuntiva e più indicativa per la prassi della nostra vita: «il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro»

(139ss) – L’idea di appartenenza, di essere di proprietà di Dio, che definiva l’autocoscienza del popolo ebraico, si ritrova come contenuto della coscienza dei primi cristiani

Tuttavia, l’appartenenza alla Chiesa comporta una bruciante novità: i cristiani sono il Popolo di Dio, ma il criterio di appartenenza a esso non è più stabilito da una origine etnica o da una unità sociologica.

Il nuovo popolo è formato da coloro che Dio ha scelto e ha messo insieme nella accettazione del suo Figlio, morto e risorto.

Gli eletti, coloro che Cristo ha voluto chiamare, ricevono come compito la missione, affidata loro per lo svolgersi del disegno del Padre nel mondo.

Si nasce e si è battezzati per la missione: la grazia dell’incontro e l’educazione all’appartenenza ci sono date per la missione.

C’è una pagina del Vangelo che documenta esistenzialmente l’irruzione del Popolo nuovo nella storia, con il suo compito nuovo di appartenenza a Cristo e di partecipazione alla sua missione.

Dal «sì» di san Pietro a Cristo inizia un popolo nuovo.

L’appartenenza di Pietro a Cristo diventa così partecipazione al disegno universale di Dio.

(167s)Appartenendo come natura nuova alla missione di Cristo, cambia l’autocoscienza della nostra persona in modo tale che il principio dell’azione non è più l’io ma un Tu.

Vivere per un Altro indica la genesi di una cultura nuova: non vivere più per sé stessi, ma per Colui che è morto e risorto per noi.

Questa coscienza nuova giudica tutti i rapporti della vita e rende capaci di amare ogni brandello di verità rimasto in chiunque, con una positività e criticità sconosciute al mondo.

Cosa vuol dire per noi questo mistero di appartenenza alla missione di Cristo, di cui il Padre ci fa partecipi affinché il suo scopo venga attuato?

L’Apostolo san Paolo definisce la missione, nei suoi termini sostanziali, come lo struggimento che nasce dalla memoria dell’amore di Cristo.

APPROSSIMARSI

Al Destino

(118) – il tempio è il luogo dove l’uomo incontra, udendone la voce e il messaggio, la compagnia del suo Signore, è il luogo dove il Signore indica la strada, il pezzo di strada che a Lui interessa segnalare e dove tutto (la compagnia tra gli uomini e le cose) richiama l’approssimarsi del Destino.

Un Altro ci ha fatto incontrare ciò che è decisivo per introdurci nel rapporto certo e definitivo col nostro destino.

Al carisma

(134) – Il carisma assume una flessione varia e approssimativa nella misura della generosità della generosità di ognuno. L’approssimazione è misurata dalla generosità, dove si fondono capacità, temperamento, gusto, ecc…..

ASCESI

(102) – L’inizio di ogni nostra mossa non è un’analisi di ciò che gli occhi vedono, ma un abbraccio di ciò che il nostro cuore attende, così la perfezione non è l’espletare delle leggi, ma l’adesione a una Presenza.

Solo l’uomo che vive questa speranza in Cristo continua la sua vita nell’ascesi, nello sforzo per il bene.

L’uomo che vive questa speranza in Cristo continua nell’ascesi.

(155s) – Il nostro programma quotidiano e la domanda quotidianamente espressa a Dio, specialmente nell’ Angelus; uno sforzo quotidiano – ascesi – ripreso nella consapevolezza dei propri limiti e di una fatica che è parte della Croce di Cristo.

«Lotta» è la nostra parola.

Questa è la concezione della vita, della vita morale: lotta o ascesi, come dicevano i nostri padri, una ascesi vera e propria, una tensione a diventare migliori.

La vita come ascesi, come dramma, come lotta per il bene, è introdotta nel mondo solo da Cristo.

Siamo ben consapevoli della nostra fragilità umana, che ci accumuna a tutti gli uomini, ma anche nella certezza in Cristo.

ASTRATTEZZA

(86) – La compagnia ci colpisce e ce ne sentiamo attratti perché essa rende concreta esperienza l’incontro con quest’Uomo, Lo toglie dall’astrazione e Lo fa sperimentare come una realtà di cui si può vivere adesso.

(92) – (La mentalità nuova) nascendo da un luogo presente essa giudica il presente, altrimenti non è: se non entra nell’esperienza presente, la conoscenza nuova non esiste, è una astrazione.

In questo senso, non dare giudizi sugli avvenimenti è mortificare la fede.

(116) – (Nella compagnia) Il mistero di Dio, che sarebbe stato altrimenti percepito lontanissimo, astratto, diventa così urgenza della vita di ogni giorno, suggerimento per guardare il cielo e la terra, emozione e commozione nello spalancare il cuore a una preferenza, che è vera se apre al bisogno di tutto il mondo, partecipando così alla grande pietà di Cristo.

Ciò che vince l’astrattezza

(153) – Il pericolo mortale oggi nella Chiesa è infatti l’astrattezza (anche nel dire «Cristo»); e su una parola astratta si possono fare tutti i discorsi possibili e immaginabili.

Ciò che vince l’astrattezza è solo il presente: il presente è il vero oggetto della conoscenza.

Un uomo di duemila anni fa non può essere presente qui: se è presente qui è Dio.

ATTACCAMENTO

(vedi anche “affezione)

(113s) – Lo stupore iniziale era un giudizio che diventava immediatamente un attaccamento: era un giudizio ch’era come una colla, un giudizio che incollava Pietro e i suoi discepoli a Lui.

Non era un attaccamento sentimentale, un fenomeno emozionale; era un fenomeno di ragione, una manifestazione di quella ragione che ti «attacca» alla persona che hai davanti, in quanto è giudizio che ti stima: guardandola nasce una meraviglia di stima che ti fa attaccare a essa.

ATTENDERE/ATTESA

(47) – La domanda è il punto di connubio, di unità sponsale, fra la libertà dell’uomo e Cristo …

L’opera dell’uomo è la domanda: il pianto della mendicanza, cioè dell’attesa, o il gusto del desiderio.

(150) – Tale minaccia (cultura secolarista) investe soprattutto due cose: in primo luogo, l’anticipo della felicità dell’uomo, che si chiama con un termine biblico «eredità», e l’attesa certa di essa che compone e definisce l’uomo vero; in secondo luogo, l’esistenza del popolo.

Il potere sembra avere come scopo l’eliminazione del popolo.

Attesa originale del cuore

(116) – L’incontro poteva essere con centomila altri temperamenti o altri fascini umani: ma egli ha avuto questo.

Ha incontrato una determinata compagnia e ha percepito il soffio nuovo di una promessa di vita, ha presentito una Presenza corrispondente alla attesa originale del cuore.

ATTRATTIVA

(29) – Intravedere nel rapporto con ogni cosa qualcosa d’altro significa che il rapporto stesso è un avvenimento, e se l’uomo non guarda il mondo come «dato», come avvenimento a partire cioè dal gesto contemporaneo di Dio che glielo dà, esso perde tutta quanta la sua forza di attrattiva, di sorpresa e di suggestione morale, vale a dire di suggerimento di adesione a un ordine e a un destino delle cose.

(37) – [ … ] è il palesarsi dell’avvenimento del Mistero presente dentro la precarietà della di una fattispecie umana.

Questo incontro è ciò che continuamente polarizza il nostro vivere, dà significato e sintesi alla nostra esistenza.

(116) – Anche solo per un soffio, anche solo per un momento, l’uomo avverte un’attrattiva, un suggerimento, ha l’intuizione di qualcosa di più bello, di più corrispondente, di migliore.

E dice sì.

Attrattiva vs Istinto

(190)Sant’Agostino osserva che l’uomo segue sempre la delectatio victrix, l’attrattiva vincente, l’attrattiva più forte.

Ma per la mentalità dominante, seguire questa attrattiva significa di solito seguire l’istinto.

Normalmente infatti l’istinto è più forte, la reazione è più forte, sempre favorita dalla scelta che l’intelligenza compie in funzione del proprio comodo o del proprio interesse.

AUTOCOSCIENZA

(167ss) – Appartenendo come natura alla nuova missione di Cristo, cambia l’autocoscienza della nostra persona in modo tale che il principio dell’azione non è più l’io ma un Tu.

Vivere per un Altro indica la genesi di una cultura nuova: non vivere più per sé stessi, ma per Colui che è morto e risorto per noi.

La missione nasce dallo struggimento che genera in noi il pensiero dell’amore che Cristo ha avuto per noi.

Lo struggimento segnala il cambiamento radicale del contenuto dell’autocoscienza.

Si potrebbe anche dire che lo struggimento di cui parla san Paolo è il dramma di una «dimenticanza» di sé, di un annullamento di sé per una metanoia reale che giunge a porre come contenuto dell’autocoscienza, invece dell’io, il Tu.

AVVENIMENTO

(22ss) – Un avvenimento, non i pensieri nostri.

Il primo capitolo del Vangelo di Giovanni documenta la modalità semplicissima e profonda con cui il cristianesimo è emerso nella storia: il porsi di un avvenimento umano.

Non esiste nessuna parola nel vocabolario che identifichi meglio di «avvenimento» la modalità con cui la «questione» si è fatta reale, carnale, temporale.

Il cristianesimo è un «avvenimento»: qualcosa che prima non c’era e a un certo punto è sorto.

Non esiste altra parola per indicarne la natura: non la parola legge, né le parole ideologia, concezione o progetto.

Il cristianesimo non è una dottrina religiosa, un seguito di leggi morali, un complesso di riti.

Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento: tutto il resto è conseguenza.

La parola «avvenimento» è dunque decisiva.

La modalità con cui dio è entrato in rapporto con noi per salvarci è un avvenimento, non un pensiero o un sentimento religioso.

La modalità che Dio ha scelto per salvarci è un avvenimento, non i nostri pensieri.

Il cristianesimo è un avvenimento in cui l’io si imbatte e che scopre essergli «consanguineo», è un fatto che rivela l’io a sé stesso.

Albert Camus: «Non è a forza di scrupoli che un uomo diventerà grande. La grandezza arriva, a Dio piacendo, come un bel giorno».

È un avvenimento – l’irruzione di una novità – ciò che dà inizio al processo per cui l’io inizia a prendere coscienza di sé, a prendere nota del destino verso cui sta andando, del cammino che sta facendo, dei diritti che ha, dei doveri che deve rispettare, della sua fisionomia intera.

La dinamica dell’avvenimento, peraltro, denota la modalità della conoscenza in ogni suo passo.

Senza un «avvenimento» non si conosce nulla di nuovo, cioè nessun nuovo elemento entra nella nostra consapevolezza.

Alain Finkielkraut: «Un avvenimento è qualcosa che irrompe dall’esterno. Un qualcosa di imprevisto. È questo il metodo supremo della conoscenza. Bisogna ridare all’avvenimento la sua dimensione ontologica di nuovo inizio. È una irruzione del nuovo che rompe gli ingranaggi, che mette in moto un processo».

Cesare Pavese: «Occorre un intervento dall’esterno per mutare direzione».

L’avvenimento è, dunque, capitale in ogni «scoperta», per ogni conoscenza.

Ora, quel Fatto, l’avvenimento di quella presenza umana eccezionale, si pone come metodo scelto da Dio per rivelare l’uomo a sé stesso, per risvegliarlo a una definitiva chiarezza riguardo ai propri fattori costitutivi, per aprirlo al riconoscimento del suo destino e sostenerlo nel cammino a esso, per renderlo, nella storia, soggetto adeguato di una azione che porti il significato del mondo.

È tale avvenimento, dunque, che mette in moto un tale processo per cui l’uomo prende compiutamente coscienza di sé, della sua fisionomia intera, e inizia a dire io con dignità.

Dio è diventato un avvenimento nella nostra storia quotidiana, affinché il nostro io si riconosca con chiarezza nei suoi fattori originali e raggiunga il suo destino, si salvi.

Fu così per Maria e per Giuseppe.

Fu così per Giovanni e Andrea, che andarono dietro Gesù per il cenno di Giovanni il Battista.

Dio entrava come avvenimento nella loro vita.

Che l’abbiano sempre tenuto presente o l’abbiano a tratti dimenticato, specialmente nei primi giorni o primi mesi, tutta la loro vita dipese da quell’avvenimento: nella misura della sua importanza, da un avvenimento non si può tornare indietro.

Fu così per loro. È così per noi: un avvenimento può segnare un inizio di cammino.

L’avvenimento può segnalare un metodo di vita.

Si tratta comunque di una esperienza da fare.

Tale cammino richiede l’impegno dell’uomo, colpito dall’avvenimento, fino a sorprendere il significato vero di quanto egli ha incominciato a intravedere: è un cammino dello sguardo.

(30s) – «Avvenimento» è, però, la parola più difficilmente capita e accettata dalla mentalità moderna e perciò anche da ciascuno di noi.

Di tutto il linguaggio cristiano niente è percepito con più resistenza, salvo da chi è puro di cuore e bambino nell’animo, della parola «avvenimento».

La parola più difficile da accettare è che sia un avvenimento ciò che ci risveglia a noi stessi, alla verità della nostra vita, al nostro destino, alla speranza, alla moralità.

La parola avvenimento indica una «coincidenza» fra il reale sperimentabile e il Mistero.

L’avvenimento è qualcosa di nuovo che entra nell’esperienza che la persona sta compiendo.

«Avvenimento» indica la «coincidenza» tra realtà e Mistero, tra esperienza normale e Mistero.

L’incomprensione e l’ostilità della mentalità moderna verso la parola «avvenimento» si riflettono nella riduzione operata riguardo alla concezione della «fede».

(181ss) – L’ecumenismo parte dall’avvenimento di Cristo, che è l’avvenimento della verità di tutto ciò che è, di tutto il tempo e lo spazio, della storia.

E l’avvenimento della verità del mondo: il Verbo si è fatto carne, la verità si è fatta presenza umana nella storia e resta presente.

L’avvenimento di Cristo è la vera sorgente dell’atteggiamento critico, in quanto esso non significa trovare i limiti delle cose, ma sorprenderne il valore.

È l’avvenimento di Cristo ciò che crea la cultura nuova e dà origine alla vera critica.

La valorizzazione del poco o del tanto di bene che c’è in tutte le cose impegna a creare una nuova civiltà, ad amare una nuova costruzione: così nasce una cultura nuova.

Avvenimento cristiano ha la forma di un incontro

(36s) – L’avvenimento cristiano ha la forma di un «incontro»: un incontro umano nella realtà banale di tutti i giorni.

Il volto di Gesù nell’avvenimento cristiano ha la fattispecie di facce umane, di compagni, degli uomini che Egli ha scelto, proprio come, nei villaggi di Palestina dove non poteva arrivare.

L’avvenimento ha la forma di un incontro: è qualcosa che penetra i nostri occhi, che tocca il nostro cuore, che si può afferrare con le nostre braccia.

L’avvenimento cristiano ha la forma dell’incontro con una realtà fisica, corporale, fatta di tempo e di spazio, in cui è presente Dio fatto uomo e che Lui è segno.

Perciò l’incontro è l’imbattersi in una realtà sacra, è il palesarsi dell’avvenimento del Mistero presente dentro la precarietà di una fattispecie umana.

Questo incontro è ciò che continuamente polarizza il nostro vivere, dà significato e sintesi alla nostra esistenza.

Fuori di esso non c’è nessuna sorgente di coscienza di novità nella vita.

In esso l’avvenimento del Mistero presente tocca la nostra vita e la rende parte di un flusso continuo di novità.

Ontologia dell’avvenimento o caso

(27 fino a pag. 30) – Boezio, richiamandosi ad Aristotele, definisce il caso come un effetto superiore alle cause note.

«Caso» rimanda ad accadere: la parola caso è l’avvenimento espresso nel modo più vicino al linguaggio normale, nel modo più comune: caso indica cioè qualcosa di non previsto, di non prevedibile, di non deducibile dall’analisi degli antecedenti.

La parola più vicina ad avvenimento, il cui sinonimo perfetto è la parola evento, è dunque la parola caso: evento significa «venire da» (e-venio); avvenimento «venire a» (ad-venio); evento e avvenimento richiamano più il caso che la necessità, sono parole che lambiscono il Mistero.

Anche la creazione è un avvenimento; anzi è il primo fondamentale avvenimento.

La dinamica dell’avvenimento descrive ogni istante della vita (il fiore del campo, gli uccelli, i capelli numerati ecc…)

Anche i cieli e la terra che ci sono da milioni di secoli sono un avvenimento, un avvenimento che sta accadendo ancora oggi come novità, in quanto la loro spiegazione non è esauribile.

Intravedere nel rapporto con ogni cosa qualcosa d’altro significa che il rapporto stesso è un avvenimento; e se l’uomo non guarda il mondo come «dato», come avvenimento, a partire cioè dal gesto contemporaneo di Dio che glielo dà, esso perde tutta quanta la sua forza di attrattiva, di sorpresa e di suggestione morale, vale a dire di suggerimento d’adesione a un ordine e a un destino delle cose.

Dunque un bambino che nasce è un avvenimento, la creazione è avvenimento: tutte le «realtà» hanno come denominatore comune il fatto che l’uomo non può ultimamente spiegarsele, non può definirle esaurientemente.

Perciò l’avvenimento si può indicare come l’emergere nell’esperienza di qualcosa che non può essere analizzato in tutti i suoi fattori, che ha in sé un punto di fuga verso il Mistero e che mantiene il riferimento a un’incognita, a tal punto che potremmo chiamarla «caso».

Possiamo a questo punto definire l’ontologia di un avvenimento come la trasparenza del reale emergente nell’esperienza in quanto proveniente dal Mistero, cioè da qualcosa che noi non possiamo dominare.

In questo senso, aggiungiamo, l’avvenimento è per sua natura una novità.

Nell’avvenimento qualcosa entra nella nostra vita: non previsto, non definito prima…

Quando accade, un avvenimento è quello che è, è lì, sperimentabile, visibile, tangibile.

In questo senso il mistero dell’Incarnazione è un Avvenimento che, sebbene non previsto, imprevedibile, inimmaginabile dall’uomo, si rivela supremamente «conveniente», corrispondente cioè alle esigenze più proprie della sua natura.

Se non comprendiamo e non usiamo il termine «avvenimento», non comprendiamo nemmeno il cristianesimo, che viene a ridursi così immediatamente a parola, a opera dell’uomo, a risultato di una attività umana.

Avvenimento indica dunque il contingente, l’apparente, lo sperimentabile in quanto apparente, come nato dal Mistero, come un dato, non nel senso scientifico, ma nel senso profondo e originale della parola: «dato», ciò che è dato.

Avvenimento è perciò un fatto che emerge nell’esperienza rivelando il mistero che lo costituisce.

Passato e presente dell’avvenimento

(56) – Gesù cristo è presente qui e ora: Egli permane nella storia attraverso la successione ininterrotta degli uomini che per l’azione del suo Spirito gli appartengono, quali membra del suo Corpo, prolungamento nel tempo e nello spazio della sua Presenza

Passato e presente dell’avvenimento di Cristo

(53) – La dinamica dell’avvenimento cristiano [ … ] è sintetizzabile nelle seguenti formulazioni:

  1. Un avvenimento del passato, che ha una pretesa di significato per la propria vita, è rinvenibile nell’esperienza di un avvenimento presente, che è l’inizio di una memoria il cui contenuto è spiegato completamente nell’avvenimento passato.
  2. Un avvenimento presente, che pretende di avere un significato definitivo e totalizzante per la propria vita, si può spiegare solo in forza di un avvenimento del passato in cui tale pretesa è iniziata e alla quale si arriva per una memoria del contenuto di allora che ora si compie.

È in un avvenimento presente che l’uomo scopre oggi un avvenimento del passato che la stessa pretesa di significato; così l’avvenimento presente stabilisce una memoria che ha il suo contenuto in quell’avvenimento passato.

Permanenza dell’avvenimento di Cristo

(55)L’avvenimento permane nella storia attraverso la compagnia dei credenti, che è un segno, come tenda nella quale sta il sancta sanctorum, il Mistero diventato uomo. [ … ] E’ il corpo di Cristo che si rende presente, tanto che Lo si tocca e Lo si vede.

(157) – Se Cristo è un avvenimento presente, Lo incontriamo tutti i giorni; eppure non ce ne accorgiamo, perché siamo distratti.

Una Avvenimento presente.

(95) – Conoscenza nuova e moralità nuova hanno la stessa origine.

Per Simone figlio di Giovanni e per Paolo l’origine della conoscenza nuova è identica all’origine della loro moralità: un Avvenimento presente.

AZIONE

(95) – Ogni azione dell’uomo è morale quando è in funzione della totalità.

L’azione vera, è morale, solo se corrisponde al disegno totale; se ne lascia via una parte non è più morale.

(170) – In san Paolo è la coscienza di una obbedienza, come metodo, la sorgente dell’azione: invece dell’io, il soggetto creatore dell’azione diventa un Tu; l’io si sacrifica per un Tu.

(188s)Un’azione, qualsia azione (mangiare, bere, dormire ecc…), è per la gloria di Cristo.

Non si può educare se non rivolgendosi alla libertà, impegnandola alla responsabilità e all’azione.

(216) – E’ certo che Dio non può azzerare neanche una sola opera buona – una sola – fatta dall’uomo.

Perché se la natura dell’essere è amore, anche una sola azione buona può difendere vite intere.

Io in azione

(32s) – In ogni «io» umano che osserva sé stesso in azione nel suo vivo e attivo presente, il senso religioso identifica il carattere ultimo dell’esperienza esistenziale, il livello cioè di quegli inestirpabili desideri, di quelle irriducibili esigenze che ogni uomo sorprende come costitutive del proprio essere.

Il senso religioso non è nient’altro che la domanda di totalità costitutiva della nostra ragione presente in ogni azione, in quanto a ogni azione l’uomo è provocato da un bisogno.

(194s) – Un uomo conosce sé stesso soltanto in azione, durante l’azione, mentre è in azione.

Perciò se la vita non ha lavoro, l’uomo conosce meno sé stesso, tende a smarrire il senso del vivere.


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