Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani
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Lettera «P»
Links ai singoli temi
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- Padre
- Paradiso
- paragone con il carisma
- parrocchia
- passato
- paternità/maternità
- peccato
- perdono
- permanenza dell’avvenimento
- personalità nuova
- pietà di Cristo
- politica
- popolo
- positività
- posizione originaria
- potere
- povertà di spirito
- preconcetto
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- presenza di Cristo
- profezia
- prudenza
- punto di fuga
PACE
(105) -Da questa letizia sorge la pace, la possibilità della pace.
Anche tutte le nostre sfortune, in tutte le nostre cattiverie, in tutte le nostre incoerenze, in tutta la nostra debolezza, in quella debolezza mortale che è l’uomo, possiamo realmente respirare e sospirare la pace, generare pace e rispetto per l’altro.
(180) – La Chiesa stessa era designata come oikumene o come eirene (pace).
(184) -Sembra che il mettersi insieme tentando di rispettare ognuno il volto dell’altro possa rappresentare la realizzazione della eirene.
Ma questa non è pace, è un equivoco.
Essa risulta essere nel migliore dei casi tolleranza, cioè, radicalmente, indifferenza.
(198s) – in una società libera la giustizia vera è fonte di pace, che è segno di una appartenenza giusta a Dio.
(199) Perché ci sia la pace nella vita sociale occorre una giustizia che sia attivata seriamente e lealmente, rispettando innanzitutto quei diritti del singolo, della persona, che hanno caratterizzato la storia della giurisprudenza nella civiltà.
Misericordia e pace
(215) – La misericordia appare storicamente come il contrario della rivoluzione con tutte le sue caratteristiche.
Il suo frutto esistenziale e storico nella persona si chiama pace, come ricostruzione di un soggetto in tutte le sue forze per il nuovo lavoro.
La strada nuova è fatta di misericordia e di pace: questa è la più bella definizione di speranza.
PADRE
(vedi anche Mistero)
(67ss) – La grande elezione, che Dio ha operato per il suo disegno nel mondo, è la chiamata di Cristo, l’Uomo che diceva: «Quello che vedo fare dal Padre mio, io lo faccio sempre. Io non faccio altro che quello che vedo fare dal Padre mio» (Gv 5,19-21,30).
Se un uomo qualsiasi, vissuto ai tempi di Cristo, incontrandolo, gli avesse rivolto la domanda: «Ma tu chi sei? Che nome hai?». Gesù avrebbe potuto rispondere: «io sono mandato dal Padre» (Eb 3ss).
(68)Io sono il «mandato dal Padre», l’espressione tra gli uomini del mistero del Padre, la presenza tra gli uomini del Mistero che fa tutte le cose, cui tutti gli uomini sono soggetti.
Nei suoi dialoghi più drammatici, Gesù ha spesso usato questa definizione di sé come contenuto di risposta: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero», «io non posso fare nulla da me», «le opere che il Padre mi ha dato di compiere testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me» (Gv5,17.19.30.36-37).
«Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,38-39.44)
«Ecco io non sono solo, io e il Padre che mi ha mandato siamo una cosa sola», «non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me, non mi lascia solo».
(69) La medesima coscienza d’essere il mandato dal Padre si esprime, come accennavamo, nei capitoli del tredicesimo al diciassettesimo.
«Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava..» (Gv 13,3): è l’inizio del capitolo tredicesimo del Vangelo di Giovanni, che apre la narrazione della sua passione.
«Se conoscete me, conoscerete anche il Padre», «Chi ha visto me, ha visto il Padre»; «io sono nel Padre e voi in me»; «bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,7.9.20.31).
«Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi», «hanno visto le mie opere e hanno odiato me e il Padre mio» (Gv 15,15.24).
«Tutto ciò che il Padre possiede è mio»; sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo»; «voi vi disperderete, ma io non sono solo perché il Padre è con me» (Gv 16,15.28.32).
«Padre è giunta l’ora, glorifica il figlio tuo, perché il Figlio glorifichi Te. Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano»; «come tu, Padre, hai mandato me nel mondo, anch’io mando loro nel mondo»; «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto e questi sanno che tu mi hai mandato perché ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale hai amato me sia ini essi e io in loro» (Gv 17,1-2.6-7.10.18.25-26)
Sorprendere nel Vangelo di Giovanni, ogni espressione in cui Gesù traduce la sua coscienza d’essere mandato dal Padre genera una profonda commozione di fronte al Mistero; perché nella persona di Cristo il Mistero si rivela come il senso della storia umana e della realtà tutta.
(88s) – Non discepolanza, non ripetitività, ma figliolanza.
L’introduzione di una eco e di una risonanza nuova è propria del figlio, che ha la natura del padre.
Ha la stessa natura del padre, lo stesso ceppo del padre ma è una realtà nuova.
Tant’è vero che può fare meglio del padre e questi può guardare tutto felice il figlio che è diventato più grande di lui.
Ma ciò che il figlio fa è più grande proprio e solo in quanto realizza di più quello che dal padre ha sentito e visto.
(89) È la filiazione che genera: il sangue dell’uno, il padre, passa nel cuore dell’altro, il figlio, e genera una capacità di realizzazione diversa.
(168) – «Come il Padre ha mandato me io mando voi» (Gv 20,21; cfr Gv 17,18)
Per noi è diventato più limpido il pensiero del «donde», dell’origine misteriosa si questo compito, giacché nessuno può dire come noi diciamo: «Abbà Padre» ((Galati 4,6; Rm 8,15).
Cosa vuol dire per noi questo mistero di appartenenza alla missione di Cristo, di cui il Padre ci fa partecipi affinché il suo scopo venga attuato?
In quanto afferrati nel Battesimo, siamo infatti un’altra cosa rispetto a ciò che eravamo e sentivamo prima; siamo un’altra cosa, che viene dal Padre ed è per la gloria umana del Figlio.
(208ss) – Se ogni ora della storia è ora della gloria umana di Cristo che avviene attraverso l’offerta cosciente dei credenti, verrà un giorno che nessuno sa (né gli angeli di Dio né il Figlio, ma solo il Padre), in cui si compirà il definitivo svelarsi del Mistero come valorizzazione di qualsiasi bene che il Padre ha generato, il Figlio assunto e lo Spirito ha fecondato
Sarà il giorno del trionfo di Cristo che consegnerà tutto al Padre, cosicché il Padre sarà tutto in «tutto».
Questa vittoria finale di Cristo è certa, anche se il come di essa rimane assoluto mistero che l’umile cuore del credente accetta cantando gloria a Dio, nel riconoscimento carico di timore della impossibilità che ha di concepire come il perdono del Padre abbracci il figliol prodigo.
(209) Nel famoso quadro di Rembrandt, il figliol prodigo è lo specchio del Padre.
Il volto del Padre è pieno di dolore per l’errore del figlio, per la sua negazione, pieno di doloro che rifluisce tutto in perdono.
Ma la cosa più spettacolosa e misteriosa è che la faccia del Padre è lo specchio del figliol prodigo.
Nel quadro di Rembrandt, il Padre è in posizione speculare rispetto al figlio: in lui si riverbera il dolore del figlio […]
Ma trionfa la bontà del Padre, questo è il concetto della misericordia, che l’uomo non può arrivare a comprendere e a dire.
Il volto del Padre è lo specchio del figlio.
E il volto del Padre è misericordia, perché è piena di pietà verso colui che ha sbagliato ed è lì rivolto verso colui che ritorna.
Ma se la misericordia è così parte del Mistero, è attraverso il Figlio, Verbo di Dio, specchio del Padre che essa si rivela all’uomo.
(210) Infatti è il Verbo del Padre che assume natura umana per rivelare all’uomo tutto quello che il Mistero è per lui.
L’abbandono dell’uomo alla misericordia del Padre diventa vero totale abbandono alla croce del Figlio, il quale dice in favore nostro: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Nella spaventosa oscurità del totale abbandono al Padre, Cristo, la misericordia dell’Infinito, offrì la sua vita per ogni uomo.
PARADISO
(112) – Se non sei responsabile in ciò che ti dà piacere o che ti attira, se non vi partecipi in qualche modo con responsabilità, esso non è tuo.
Per questo il paradiso implica decisione tua, implica la responsabilità: perché il paradiso è per l’uomo e l’uomo è libero.
PARAGONE CON IL CARISMA
(135) – Il paragone con il carisma, così come ci è stato dato, tende a correggere la singolarità della versione, della traduzione, è correzione e suscitazione continue.
Altrimenti il carisma diventa pretesto e spunto per quello che si vuole.
Per limitare questa tentazione che è di ognuno di noi dobbiamo rendere comportamento normale il paragone con il carisma come correzione e come ideale continuamente resuscitato.
Tale paragone deve diventare abitudine, habitus, virtù.
Questa è la nostra virtù: il paragone con il carisma nella sua originalità attraverso l’effimero di cui Dio si serve.
PARROCCHIA
(124) – Noi scopriamo anche quale sia il valore di quel pezzo di Chiesa che esiste là dove noi abitiamo e che si chiama Parrocchia, vale a dire la realtà dell’amore di Dio vicino a casa nostra.
E lì anche la comunità, l’amicizia tra di noi, si alimenta nei sacramenti, si alimenta della parola di Dio annunciata.
Come diventa grande l’immagine della parrocchia quando si pensa che essa vive come la Chiesa!
Non può vivere da sola una parrocchia, non sussiste: è un pezzo di Chiesa là dove io abito.
PASSATO
(50ss) – Giovanni e Andrea avevano davanti a loro Gesù, ma la pretesa di significato totale per la loro vita che quell’avvenimento portava faceva riferimento ad un passato in cui quell’avvenimento era stato profetizzato: dal presente scaturiva una memoria il cui contenuto iniziava nel passato.
(51) Lo stesso per noi ora.
L’incontro che accade ora è sorgente che inizia nel passato.
(Segue descrizione di questo nella vita di san Policarpo).
La fede è coscienza di una presenza che è incominciata nel passato: per questo l’incontro attiva la memoria.
(52) La parola «memoria» è risolutivamente illuminante proprio perché indica nell’incontro fatto oggi trova in un passato la sua radice.
PATERNITA’/MATERNITA’
(120s) – La compagnia dell’uomo e della donna è per la generazione di un popolo.
Un uomo e una donna si sposano: questo gesto significa che ciascuno identifica nell’altro il segno del rapporto con il tutto, con il senso di tutto, da Dio donato alla sua vita.
Di fatto, storicamente, Dio vuole la continuità di quella compagnia iniziale tra l’uomo e la donna e li rende padre e madre.
Che cosa occorre perché un uomo e una donna diventino padre e madre?
Innanzitutto uno sguardo diverso tra di loro.
(121) Una volta che il bimbo è concepito, il padre, che ha la sensibilità più dura, dopo la prima sorpresa, incomincia a riflettere.
Guarda la donna in maniera diversa.
È un Avvenimento che dà inizio a questo legame, come un bambino dà inizio a una famiglia: in Esso emerge il legame stabile, cioè di appartenenza.
La coscienza di appartenere al Regno di Dio infonde un’onda nuova nel cuore, per cui il sentimento amoroso – attraverso una strettoia tremenda che si chiama croce – diventa autentica carità, raggiunge la verginità, la gratuità, cioè la carità come partecipazione alla verginità, essendo la verginità la totalità della vita vissuta nel riconoscimento che Cristo è tutto in tutti.
(143s) – Un padre e una madre veri conoscono un po’ il significato di questa onnipotenza, quando azzerano il ricordo dei piccoli e grandi toriti che i bambini commettono.
(144) Il padre e la madre, di fronte al bambino piccolo, perdonano continuamente, debbono perdonarlo continuamente perché cresca.
E non ci sarà mai fine a quel perdono, anzi dovrà aumentare con il tempo che passa.
Allora diventa abituale lo svegliarsi alla mattina e dire l’Angelus, offendo la giornata con la coscienza che la propria debolezza, negli errori che si commetteranno quel giorno, è già perdonata.
PECCATO
(96) – Ogni uomo nella sua debolezza è peccatore.
Senza la coscienza di essere peccatori non possiamo rivolgerci a nessuno senza ingiustizia, presunzione, pretesa, attacco, calunnia e menzogna.
Nella coscienza di essere peccatori sorgono invece la possibilità di una discrezione, di una nostalgia di una verità per sé e per l’altro, il desiderio che almeno l’altro sia più buono di sé, l’umiltà.
Non si può stabilire nessun rapporto vero se non partendo dalla coscienza di essere peccatori, di quel che ci manca, di quello in cui crolliamo.
(104s) – Nel Miguel Mañara, che andava da lui tutti i giorni a lamentarsi dei suoi peccati passati, l’abate, a un certo punto, come spazientito dice: «finiscila con questi lamenti da donnicciola. Tutto questo non è mai esistito».
Amarlo sopra ogni cosa, allora, non vuol dire che io non abbia peccato o che io non abbia a peccare domani.
Prefazio liturgia ambrosiana: «Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito ad elevarci alla vita divina».
(218) – Uno dei più grandi peccati che l’uomo può commettere, realmente diabolico, per qualsiasi motivo, per i suoi peccati, per la impossibilità a fare il bene che desidera, a riparare le brecce fatte nelle mura delle sue costruzioni dal tempo e dalle circostanze, è perdere la fiducia in Dio.
Peccato originale
(161) – Parlare di un odio a Cristo non è esagerazione.
Questo odio qualifica la storia umana: è come il risultato permanente che la ferita misteriosa del peccato originale lascia nel tempo umano.
(178) – In luogo dell’obbedienza (all’Avvenimento) si impone l’affermazione di ciò che pensiamo noi.
È un non mortificazione del nostro orgoglio, è il peccato originale che immette, nella semplicità dell’origine, corpi estranei indotti da altro e assunti da noi.
PERDONO
(143s) – In primo luogo, il «sì di Pietro a Cristo produce una realtà nuova attraverso il perdono.
Perché il «sì» di Pietro produca una nuova umanità, un popolo nuovo [ … ] la condizione è che si appoggi, costruisca sul perdono accettandolo.
Accettare il perdono è forse la cosa più difficile, anche se rimane semplicissima.
Il «sì» di san Pietro crea il popolo nuovo sul perdono, è pronunciato per la coscienza di quel volto, che gli chiede: «Simone, mi ami tu?», è pieno di perdono.
Il perdono è innanzitutto la riduzione a nulla di tutto il male che ho fatto.
(144) Il padre e la madre di fronte al bambino piccolo, perdonano continuamente, debbono perdonarlo continuamente perché cresca.
E non ci sarà mai fine a questo perdono, anzi dovrà aumentare col tempo che passa.
Allora diventa abituale lo svegliarsi al mattino e dire l’Angelus, offrendo la giornata con la coscienza che la propria debolezza, negli errori che si commetteranno quel giorno, è già perdonata: «Ti offro o Dio, questa mia giornata, comunque sia, perché Tu l’abbia a perdonare, azzerando il ricordo dei miei mali, perché Tu l’abbia a tener tesa, in tensione verso di Te».
Il Popolo nuovo nasce da questo perdono e da questa attività inesausta, attività non pagata dalla sua costruzione (perché riesce).
Dentro il perdono, appoggiati al perdono, si riprende da capo mille volte al giorno.
(207) – Pure nel grande enigma della vita, l’uomo da solo giunge, nel vertice più acuto della percezione di sé, a presentire il bisogno di «un perdono», l’esigenza dell’essere, il reale, sia perdono.
Un perdono così ultimo non è possibilità del cuore pensarlo.
(209) – La vittoria finale di Cristo è certa, anche se il come rimane un assoluto mistero che l’umile cuore del credente accetta cantando gloria a Dio, nel riconoscimento carico di timore della impossibilità che ha di concepire come il perdono del Padre abbracci il figliol prodigo.
Nel famoso quadro di Rembrandt, il figliol prodigo è lo specchio del Padre. Il volto del Padre è pieno di dolore per l’errore del figlio, per la sua negazione, pieno di un dolore che rifluisce tutto in perdono.
(214) – Attraverso lo stupore della Sua misericordia, Egli ci fa venire il desiderio di essere come Lui.
Si comincia a perdonare realmente ai nemici, a quelli che fanno del male.
PERMANENZA DELL’AVVENIMENTO
(55ss) – L’avvenimento di Cristo permane nella storia attraverso la compagnia dei credenti, che è un segno, come tenda nella quale il sanctam sanctorum, il Mistero diventa uomo.
Cristo Risorto si stringe così attorno a noi: questa compagnia è proprio Cristo presente.
(56) Cristo è presente qui e ora: Egli permane nella storia attraverso la successione ininterrotta degli uomini che per l’azione del suo Spirito gli appartengono, quali membra del suo Corpo, prolungamento nel tempo e nello spazio della sua Presenza.
(57) «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Ciò stabilisce una identità tra la gente a lui estranea che andava a perseguitare e quell’Essere la cui voce riempì in quel momento cielo e terra, cioè tutta la sua vita.
PERSONALITA’ NUOVA
(82) – Il Battesimo è l’inizio di una personalità nuova.
PIETA’ DI CRISTO
(117) – Il mistero di Dio, che sarebbe stato altrimenti percepito lontanissimo, astratto, diventa così urgenza della vita di ogni giorno, suggerimento per guardare il cielo e la terra, emozione e commozione nello spalancare il cuore ad una preferenza, che è vera se apre al bisogno di tutto il mondo, partecipando così alla grande pietà di Cristo.
Perché la grande pietà di Cristo è come fiorita nel mondo attraverso le preferenze: Giovanni, Simone…
Ma non sarebbe stata vera preferenza se non fosse stata il segno della grande, nuova pietà di Cristo per tutto il mondo.
(142) – Alla radice della diversità di atteggiamento sta il trionfo della pietà che Cristo ebbe per l’uomo.
«Si voltò e vide tutta la gente che lo seguiva ed ebbe pietà di loro perché erano come un gregge senza pastori» (Mt 9,36).
Pietro è stato il primo pastore che Egli ha posto per guidare il gregge, in modo che le varie flessioni del rapporto tra gli uomini e la realtà vedessero trionfare la pietà di Cristo per l’uomo.
POLITICA
(202ss) – Se la politica è l’insieme di modelli e di metodi per affrontare i problemi della convivenza umana, allora dovrà svilupparsi un paragone drammatico tra essi per stabilire chi debba in ogni momento guidare il popolo.
(203) Un’organizzazione politica che soffocasse, non favorisse e non difendesse la creatività sociale, contribuirebbe inevitabilmente a generare o a mantenere uno Stato prepotente sulla società.
Al contrario, politica vera è quella che difende una novità di vita nel presente, capace di modificare anche l’assetto del potere.
La politica deve perciò decidere se «favorire» la società esclusivamente come strumento di manipolazione da parte dello stato, come oggetto del suo potere, o se favorire uno stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale secondo il concetto tomistico di «bene comune», ripreso vigorosamente e costantemente dal Magistero della Chiesa.
La politica deve essere perciò secondo una posizione ideale, vale a dire secondo un esplicito riconoscimento del nesso originale dell’uomo con il suo destino.
(204) Una politica che sia preoccupata non di una posizione ideale, ma di «riuscire» attraverso il potere conquistato, è una politica nemica del popolo.
Una politica preoccupata di una posizione ideale stabilisce invece un’onda educativa, realizzando un respiro maggiore di libertà e fantasia.
Bisogna che la politica sia fatta da gente che ha veramente l’interesse per l’uomo.
Questo è un dovere che incide sulla scelta di chi ci deve rappresentare.
POPOLO
(120) – La compagnia dell’uomo e della donna è per la generazione di un popolo.
Un uomo e una donna si sposano: questo gesto significa che ciascuno identifica nell’altro il segno del rapporto con il tutto, con il senso di tutto, da Dio donato alla sua vita.
(137ss) – La compagnia di coloro che Cristo ha immedesimato a Sé nella Chiesa, Suo Corpo, vive e si manifesta nella storia come un popolo nuovo, il Popolo di Dio.
Perché ci sia un popolo occorre un legame tra persone suscitato da un avvenimento percepito come decisivo per il suo significato storico, per il destino loro e del mondo.
Un avvenimento dà inizio a un popolo facendo emergere un legame tra persone fino a quel momento estranee, così come l’avvenimento di un bambino dà inizio compiuto ad una famiglia.
(138) La vita di un popolo è determinata da un ideale comune, da un valore per cui vale la pena esistere, faticare, soffrire e, se necessario, anche morire: da un comune ideale per cui valga la pena tutto.
S. Agostino nel De CivitaTe Dei osserva che: «il popolo è l’insieme degli esseri ragionevoli associato nella concorde comunione delle cose che ama», e, aggiunge che per conoscere la natura di ciascun popolo bisogna perciò guardare alle cose che esso ama.
In secondo luogo la vita di un popolo è determinata dalla identificazione degli strumenti e dei metodi adeguati a raggiungere l’ideale riconosciuto, affrontando i bisogni e le sfide che emergono via via dalle circostanze storiche.
E, terzo, essa (la vita di un popolo) è determinata dalla fedeltà vicendevole in cui uno aiuta l’altro nel cammino verso la realizzazione di quell’ideale.
Un popolo resiste laddove c’è la memoria di una storia comune che viene accettata come compito storico da realizzare.
Ciò si esprime ultimamente nella carità del popolo per cui uno porta il peso dell’altro.
In questo senso il «noi» entra nella definizione dell’«io»: è il popolo che definisce il destino, la capacità operativa e la genialità affettiva, quindi feconda e creativa dell’«io».
(139) Se il «noi» del popolo entra nella definizione dell’«io», l’io tocca la sua maturità più grande, come riconoscimento del proprio destino personale e come totalità della propria affettività, identificandosi con la vita e l’ideale del popolo.
Per questo senza amicizia, cioè senza affermazione gratuita e reciproca del comune destino, non c’è popolo.
(147s) – Difesa della vita del popolo e aiuto vicendevole.
(La creazione di una civiltà) è la più clamorosa conseguenza scaturita dall’invisibile nucleo che lo Spirito Santo ha creato nel seno di una giovane donna: esso si è sviluppato fino a raggiungere le dimensioni di un popolo.
I cristiani sono uomini che, riconoscendosi in compagni, in amicizia, vivono una lotta nel tendere tutto di sé verso lo scopo della vita come ideale comune del popolo.
È una sussidiarietà concreta, possibilmente quotidiana, come facilitazione alla vita e come difesa dal nemico che minaccia la vita del popolo.
Nella realizzazione di questi scopi si esaurisce il senso del popolo; si esaurisce per l’eternità, cioè per vivere l’eterno dentro l’attività normale.
In questo modo il popolo collabora allo scopo della creazione, collabora con Gesù in Croce, secondo l’addensarsi sperimentale della luce, dell’amore e della gioia finali, per cui la Resurrezione di Cristo, come terminale della croce, penetra, assimilandolo, tutto ciò che si conosce, si utilizza e si vive insieme.
Popolo ebraico
(50) – (Nell’incontro di Giovanni e Andrea) era la grande storia del popolo ebraico, nata da Abramo per una promessa di Dio: egli sarebbe stato l’inizio di un grande popolo che avrebbe portato il significato del mondo intero – come Isaia, che non parla del popolo d’Israele soltanto, ma di tutti i popoli.
(65s) – La storia del popolo ebraico è il preavviso di ciò che sarebbe accaduto a tutta l’umanità.
Leggendo con intelligenza e umiltà – e con affetto verso il mistero dell’Essere, verso il mistero del Padre – la storia del popolo ebraico, si possono ben ravvisare queste linee di sviluppo, questi contrassegni di scopo.
(66) San Paolo considera la storia del popolo ebraico «il grande pedagogo», il grande maestro che Dio ha creato, formulato, assistito, destinato per preparare l’intera umanità alla salvezza.
La preparazione del popolo ebraico è per l’avvenimento grande della Sua Rivelazione nell’umano, per preparare l’intera umanità alla salvezza.
La preparazione che il popolo ebraico è per l’avvenimento grande della Sua Rivelazione nell’umano, la pedagogia che esso rappresenta, vale più per noi, che veniamo dopo, che per la gente di allora, la quale non conobbe e non riconobbe il significato del popolo ebraico.
(139) – Il popolo ebraico può essere il simbolo di tutti i popoli.
Il popolo d’Israele è nato da un avvenimento nella storia, dalla promessa fatta ad Abramo chela sua discendenza sarebbe stata più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare: si stabilisce così una alleanza fra Jahve, che sarà il loro Dio, e gli israeliti, che saranno il Suo popolo.
L’idea di appartenenza, di essere proprietà di Dio, che definiva l’autocoscienza del popolo ebraico, si ritrova come contenuto della coscienza dei primi cristiani.
(165) – Questo popolo, disfatto, distrutto in esilio, è fatto ritornare «al di là di ogni prevedibilità».
Ritornano, sono lì a Gerusalemme, tutta ridotta in macerie; la ricostruiscono pietra sopra pietra e si ricostituiscono come un popolo, perciò Ne 8,1-11 è forse il punto più interessante della storia del popolo di Israele prima di Cristo.
La presenza profetica di questo popolo ha avuto il suo compimento definitivo in Cristo e continua indefettibilmente nel mistero della Chiesa.
Popolo nuovo
(79) – Con questo fatto oggettivo (il Battesimo) – che chiama l’uomo a comprendere e accettare di essere parte dell’avvenimento di Cristo: la fede è parte dell’Avvenimento – nasce un uomo diverso, gente diversa.
Paolo VI ha parlato di una razza etnica sui generis: è questo il Popolo che fa la storia.
(137) – Un popolo nuovo nella storia per la gloria umana di Cristo.
Perché ci sia un popolo occorre un legame tra le persone suscitato da un avvenimento percepito come decisivo per il suo significato storico, per il destino loro e del mondo.
Un avvenimento dà inizio a un popolo facendo emergere un legame stabile di appartenenza tra persone fino a quel momento estranee, così come l’avvenimento di un bambino dà inizio compiuto ad una famiglia.
(139ss) – In misteriosa continuità con la storia del popolo ebraico, nasce da Cristo il Popolo nuovo, che si rende visibile per le strade di Gerusalemme e sotto il portico di Salomone.
(140) Il nuovo Popolo è formato da coloro che Dio ha scelto e ha messo insieme nella accettazione del Figlio, morto e risorto.
(141) C’è una pagina nel Vangelo che documenta esistenzialmente l’irruzione del Popolo nuovo nella storia, con il suo compito nuovo di appartenenza a Cristo e di partecipazione alla sua missione.
Dal «sì» di Pietro inizia un Popolo nuovo: «Pasci il mio gregge».
(142) Il sì di Simone è l’inizio di un rapporto nuovo della singola persona con tutta la realtà…. Che investe tutta la realtà.
Pietro, garante della unità di questo Popolo nuovo nella storia, assicura la permanenza della novità che Cristo ha introdotto nel mondo per sostenere la speranza degli uomini.
(143) Il sì di Pietro crea il popolo nuovo sul perdono, è pronunciato per la coscienza che quel volto che gli chiede: «Simone, mi ami tu?», è pieno di perdono.
(144) Il popolo nuovo nasce da questo perdono e da questa attività inesausta, attività non pagata dalla sua costruzione (perché «riesce»).
Dentro il perdono, appoggiati al perdono, si riprende da capo mille volte al giorno.
(148) – Il nuovo Popolo che Cristo ha generato nel mondo, questo fiume irresistibile – pur nelle vicende tragiche che deve attraversare -, è fatto di gente che accetta in qualche modo di vivere queste cose; e là dove ancora non le capisce chiede a dio la grazia di capirle e ai propri fratelli ha la grazia di un aiuto.
(166) – (Testo molto bello di Dawson sulla costruzione di una nuova umanità realizzata dai monaci).
(167) Il Popolo nuovo, costituiti dagli eletti del Battesimo, partecipa alla missione di Cristo.
Partecipando alla missione di Cristo, cambia l’autocoscienza della nostra persona in modo tale che il principio dell’azione non è più l’io ma un Tu.
(204ss) – Il popolo nuovo nato dall’Avvenimento di Cristo è nell’affrontare le circostanze quotidiane, nei tentativi, nei rischi e nei sacrifici che ciò comporta, una gratuità che cerca di imitare la sovrabbondanza e la grazia con cui Cristo è venuto ed è rimasto tra noi.
(205) Una gratuità che è fonte di letizia dentro ai sacrifici, alle contraddizioni e al dolore.
Un brano della liturgia ambrosiana pone esplicitamente il nesso tra questa letizia e l’avvenimento di un popolo nuovo: «nella semplicità del mio cuore lieto ti ho offerto tutto e così ho visto il tuo popolo con grande gioia offrirti doni».
(206) Il dovere supremo di chi ha la fede, del protagonista della storia di questo popolo nuovo, è proprio quello di dimostrare, di testimoniare la verità dell’avvenimento di Cristo attraverso una letizia che permane anche nelle circostanze peggiori della vita, la letizia essendo il paragone eccezionale, vertiginoso, di un cambiamento avvenuto, così da rivelare una ontologia nuova.
POSITIVITA’
(182) – Ogni volta che il cristiano incontra una realtà nuova l’abborda positivamente, perché essa ha qualche riverbero di Cristo, qualche riverbero di verità.
Nulla è escluso da questo abbraccio positivo: tale universalità è il risultato della missionarietà implicata nella scelta che Dio fa del battezzato e nel destino per cui lo sceglie.
(216s) – Dio è amore: un’ipotesi positiva su tutto.
La rivelazione di Gesù, che Dio è amore, che la natura di Dio è amore, vuole dire che lo scopo di tutto ciò che c’è è assolutamente positivo.
Kristin figlia di Lavrans avvertì bene, alla fine della sua vita, questa misteriosa positività del vivere nella sua origine […] (segue testo originale del libro).
(217) Una positività totale nella vita deve guidare l’animo del cristiano, in qualsiasi situazione si trovi, qualsiasi rimorso abbia, qualsiasi ingiustizia senta pesare su di sé, qualunque oscurità o inimicizia lo circondi, qualunque morte lo assalga, perché Dio, che ha fatto tutti gli esseri, è per il bene.
Dio è l’ipotesi positiva su tutto ciò che l’uomo vive, anche se questa positività sembra talvolta essere vinta in noi dalle tempeste della vita, quasi che lasci il posto a una capacità che l’uomo ha di ostilità, di odio contro la fedeltà di Dio.
POSIZIONE ORIGINARIA
(vedi anche apertura)
(30s) – Una difficoltà a comprendere, la posizione originaria non si mantiene.
(31) Quale intensità è promessa alla vita di chi coglie, istante per istante, il rapporto di tutto con l’origine!
Ogni istante ha un rapporto definitivo con il Mistero, e perciò non si perde nulla: esistiamo per questo, ed è questa la nostra felicità.
C’è però una ferita nel cuore per cui nell’uomo qualcosa si distorce ed egli non riesce con le sue proprie forze a permanere nel vero, ma fissa l’attenzione e il desiderio in cose particolari e limitate.
Il disegno originario, ciò per cui l’uomo è creato, è stato alterato dall’uso arbitrario della libertà: gli uomini tendono così verso un particolare che, sganciato dal tutto, viene identificato con lo scopo della vita.
POTERE
(150) – Il potere, sembra avere come scopo l’eliminazione del popolo, in quanto unità di uomini che hanno un ideale comune e identificano i mezzi per raggiungerlo, e in particolare del popolo cristiano che persegue il destino vero della compagnia generata da Cristo.
La gloria umana di Cristo è l’attuarsi di quello che egli è nel disegno del Padre dentro i termini del tempo e dello spazio, l’attuarsi del potere che ha avuto dal Padre, al quale diceva: «Tu mi hai dato nelle mani ogni carne».
Questo «attuarsi» diventa il fascino e l’imponenza della presenza di Dio nella nostra vita, diventa il Tu cui obbedire, la misericordia da implorare.
(162) – (L’odio a Cristo) si articola e diventa concreto giorno per giorno, attraverso tutti i poteri, come possibilità enormemente cattiva e menzognera: è il potere infatti che riassume e personifica questa possibilità, le dà vita, intelligenza e armi, ne fa un progetto iniquo.
In tale odio, attraverso tutti i poteri (dal potere politico al potere economico), si articola l’azione del padre della menzogna, come disse Gesù ai farisei parlando di Satana), l’odio a Lui è il tema necessario per ogni potere [ …. ]
(200ss) – Nella sua inarrestabile attività per conoscere ed abbracciare il reale, così da renderlo più adeguato all’impeto ideale che lo muove, l’uomo ha a che fare con il potere.
Per potere intendiamo quello che Romano Guardini in un suo libro indica come fattore di definizione dello scopo comune e di organizzazione delle cose necessarie per il suo raggiungimento.
Ora, o il potere è determinato dalla volontà di servire la creatura di Dio nel suo evolversi (di servire cioè l’uomo, la cultura e la prassi che ne deriva), oppure esso tende a ridurre la realtà umana a ciò che ha preventivamente deciso come propria immagine dell’evoluzione del reale e della storia.
In questo secondo caso, normalmente il potere si identifica con uno Stato che si pone come sorgente di tutti i diritti e che quindi tende a ridurre l’uomo, come dice la Gaudium et Spes, a «pezzo di materia o cittadino anonimo della città terrena.
(201) Se il potere mira esclusivamente all’ottenimento di una propria immagine sul reale, deve cercare di dominare i desideri dell’uomo.
Il problema del potere quello di assicurarsi il massimo di consenso da una massa sempre più condizionata nelle sue esigenze.
Questa è la tragedia del nostro tempo: la perdita della libertà di coscienza da parte di interi popoli ottenuta con l’uso cinico dei mezzi di comunicazione sociale da parte di chi detiene il potere.
Il panorama diventa sempre più uniforme e grigio. È la grande «omologazione» di cui parlava Pasolini.
Una situazione che si potrebbe descrivere con questa formula: la «P» (potere) in proporzione diretta con una «I» (impotenza).
Il potere diventa prepotenza di fronte ad un’impotenza perseguita attraverso la riduzione sistematica dei desideri, delle esigenze e dei valori.
(203) Tale Stato (prepotente sulla società) si ridurrebbe ad essere funzionale ai programmi di chi è al potere.
Pasolini suggeriva amaramente che uno Stato di potere (cioè lo Stato come assetto di potere), come si delinea in tante situazioni oggi è immodificabile.
Al contrario la politica vera è quella che difende una novità di vita nel presente, capace di modificare l’assetto del potere.
La politica deve perciò decidere se «favorire» la società esclusivamente come strumento di manipolazione da parte dello Stato, come oggetto del suo potere, o se favorire uno Stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale secondo il concetto tomistico di «bene comune», ripreso vigorosamente e costantemente dal Magistero della Chiesa.
POVERTA’ DI SPIRITO
(170) – (passaggio dall’io al Tu) Per questo passaggio occorre che l’amore, più che da tutte le preoccupazioni, le fatiche, le sconfitte e le riuscite da cui l’uomo trae motivo per seguire il valore della vita, sia definito da una semplicità infantile che Gesù chiama «povertà di spirito».
PRECONCETTO
(35) – Che esista un uomo – a cui posso dire «tu» – che dica: «Senza di Me non potete fare nulla», che esista, cioè, un Uomo Dio-.
Non ci si misura mai fino in fondo con tale pretesa: oggi né il popolo né i più grandi filosofi affrontano più il problema, e se lo affrontano è per consolidare il preconcetto negativo derivato dalla mentalità dominante.
PREFERENZA
(78) – il Mistero di Dio, che si esprime come libertà nella scelta o nella elezione, vibra, può e deve vibrare, con timore e tremore, con umiltà assoluta, dentro la preferenza umana, perché la preferenza umana è l’ombra della scelta della libertà di Dio.
Perciò non esiste nell’uomo riverbero umile, pieno di timore e tremore, di preferenza, se non per l’amore al mondo, per il beneficio da portare al mondo, per passione al mondo.
Ed è mirabile questo paradosso supremo della preferenza che sceglie ed elegge per abbracciare il mondo, per trascinare con sé il mondo.
La scelta e l’elezione, nel realizzarsi della preferenza, coincidono con un amore che si fissa su ogni realtà vivente, suo ogni uomo vivente, su ogni carne.
(117) – Il mistero di Dio, che sarebbe altrimenti stato percepito lontanissimo, astratto, diventa così urgenza nella vita di ogni giorno, suggerimento per guardare il cielo e la terra, emozione e commozione nello spalancare il cuore ad una preferenza, che è vera se apre al bisogno di tutto il mondo, partecipando così alla grande pietà di Cristo.
Perché la grande pietà di Cristo è come fiorita nel mondo attraverso delle preferenze: Giovanni, Simone….
Ma non sarebbe stata vera preferenza se non fosse stata segno della grande, nuova pietà di Cristo per tutto il mondo.
PRESENTE
(50ss) – Giovanni e Andrea sono tornati a casa quella sera e hanno detto. «Abbiamo trovato il Messia».
Avevano fatto un incontro – era un avvenimento che stava accadendo nel presente – che aveva la pretesa di essere il significato esauriente della loro vita.
(51) (Anche per Policarpo discepolo di Giovanni) era un fatto del presente che lo investiva in quel momento: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!»; ma era un fatto del presente incominciato anni prima.
(52) Nell’incontro inizia la fede perché esso porta, veicola con sé, rende presente, qualcosa di eccezionale, di non previsto, di non prevedibile, che investe radicalmente la vita, così da cambiarne il principio di conoscenza, il principio affettivo e la capacità costruttiva, chiamandola a collaborare creativamente al disegno, altrimenti ineffabile, di Dio.
L’incontro presente fa scoprire l’avvenimento originale che, a sua volta, fonda, decide della verità dell’incontro presente, lo spiega.
Tutta la ricchezza dell’inizio è dentro il presente ed è nel presente che l’uomo scopre la divinità dell’origine.
La memoria è la storia tra l’origine e l’ora.
(153) – Ciò che vince l’astrattezza è solo il presente: il presente è il vero oggetto della conoscenza.
Tutto ciò che in qualche modo non è nel presente sperimentabile non esiste.
Anche Dio nella sua esistenza deve essere presente qui, poiché la presenza è la caratteristica dell’essere di Dio.
Come dice san Tommaso: «Il nome di “Colui che è” significa essere nel presente, e questo corrisponde nel modo più assolutamente proprio a Dio, il cui essere non conosce né passato né futuro».
Quello che è presente tra noi è Cristo Verbo incarnato, nato da una donna, morto e risorto.
Un uomo di duemila anni fa non può essere presente qui: se è presente qui è Dio.
Riconosco un Presente che è dominante, determinante.
Se così non fosse non sarebbe presente.
Questa è la gloria umana di Cristo: il rendersi tangibile, sperimentabile, del Suo essere qui e ora il significato esauriente di tutto.
Esperienza del presente
(109) – Come questo avvenimento si mantiene vivamente presente nella nostra esistenza?
La risposta stabilisce la possibilità di una nuova morale nel presente, qui e ora, altrimenti inizierebbe per noi in modo intellettualistico, astratto, discorsivo.
Tale risposta è in quel termine cristiano che appartiene all’esperienza del presente, senza del quale non potremmo nemmeno sapere se la nostra esperienza è concreta o fantasiosa: la memoria.
PRESENZA DI CRISTO
(56) – Gesù Cristo è presente qui e ora: Egli permane nella storia attraverso la successione ininterrotta degli uomini che per l’azione dello Spirito gli appartengono, quali membra del suo Corpo, prolungamento nel tempo e nello spazio della sua Presenza.
(63) – Nel modo nuovo di guardare all’altro, di atteggiarsi gli uni verso gli altri, si dimostra, in modo persuasivo per la ragione la sua Presenza.
Cristo è presente hic et nunc a noi nella unità che ci chiama a vivere, nella Chiesa.
(110) – La prima condizione per la moralità nuova è fare memoria di quella Presenza che eccede i termini dell’umano conoscere, vale a dire riconoscere qui e ora la Presenza che non si può ridurre a nessuna ipotesi umana.
Questa Presenza è una realtà che sta davanti a noi e, con forza del Suo Spirito, in noi.
La permanenza di questa Presenza è grazia, puro avvenimento, a cui non resistiamo nell’aderire qui e ora.
Lo riconosciamo e vi aderiamo.
Accettare questa novità assoluta, che riaccade mille volte al giorno, è l’aspetto supremo della libertà.
Abbiamo aderito a questa Presenza, che corrisponde in modo eccezionale alle nostre attese, con una adesione resistente, come in Zaccheo, che non era più definito dall’imperfezione in cui cadeva, perché quella Presenza era lì a trapassare come un rigagnolo fresco e puro tutto il lordume della foresta della sua umanità.
(111) Lo stupore dell’incontro, la continuità dello stupore, l’adesione a quella Presenza che permane implicano l’abbraccio e l’unità con tutti coloro che quella Presenza stessa ci pone vicino.
(134) – L’essenza del carisma di Comunione e Liberazione è riassumibile nell’annuncio, pieno di entusiasmo e di stupore, che Dio è diventato uomo e che questo Uomo è presente in un «segno» di concordia, di comunione, di comunità, di unità di popolo: solo nel Dio fatto uomo, solo nella Sua presenza e, quindi, attraverso – in qualche modo – l’uomo può essere uomo e l’umanità può essere umana.
È qui la sorgente della moralità e della missione.
(196) – I fattori umani della vicenda (tensione al destino, impegno per il bisogno e compagnia necessaria) vengono esaltati dalla nostra ammirazione, dalla memoria, vale a dire dal riconoscimento di Cristo presente.
PROFEZIA
(169) – per chi è chiamato, scelto da Dio con il Battesimo, il mestiere della vita non è tanto essere padre o madre, avvocato o professore.
In tutto questo, il suo mestiere è quello di essere profeta, perché la missione è innanzitutto profezia, che vuol dire «parlare davanti a tutti», diffondere il messaggio, il Vangelo, l’annuncio buono, diffondere la Parola.
PRUDENZA
(196) – Le caratteristiche di opere generate da una responsabilità autentica devono essere realismo e prudenza.
Il realismo è connesso con il fatto che la verità è l’adeguarsi dell’intelletto alla realtà; mentre la prudenza – che nella Summa di San Tommaso è definita come un retto criterio nelle cose che si fanno – si misura sulla verità della cosa, ancor prima che sull’aspetto etico di bontà.
PUNTO DI FUGA
(29) – L’avvenimento si può indicare come l’emergere nell’esperienza di qualcosa che non può essere analizzato in tutti i suoi fattori, che ha in sé un punto di fuga verso il Mistero e che mantiene il riferimento ad una incognita, a tal punto che potremmo anche chiamarlo «caso».
A – B – C – D – E –F – G – I – L – M/N – O – P – R – S –T – U – V
