Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani
A – B – C – D – E –F – G – I – L – M/N – O – P – R – S –T – U – V
Lettera «S»
Links ai singoli temi
- Sacra Scrittura
- Sacramento
- sacrificio
- salvezza
- santità
- Satana
- scandalo
- scelta
- schema
- segno
- seguire/sequela
- semplicità
- senso religioso
- sforzo
- sguardo
- sì di Pietro
- simpatia umana profonda
- sincerità
- soddisfazione
- solitudine
- spazio e tempo
- speranza
- stima
- storicità dell’incontro
- struggimento
- stupore
- sussidiarietà
SACRA SCRITTURA
(72s) – Cristo si fa conoscere, si rende accessibile e dunque ci dà il Suo Spirito nella Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, i Sacramenti, la successione apostolica, ma soprattutto il Suo Spirito ci percuote e ci invade attraverso la vita intera della Chiesa.
(73) Attraverso l’umanità della Chiesa il divino ci raggiunge sia come «comunicazione di verità» (Scrittura, Tradizione, Magistero), perciò come aiuto all’uomo a raggiungere una obiettiva chiarezza e sicurezza nel percepire i significati ultimi della propria esistenza, sia come «comunicazione della realtà divina stessa» – Grazia – attraverso i sacramenti.
SACRAMENTO
(72s) – Cristo si fa conoscere, si rende accessibile e dunque ci dà il Suo Spirito nella Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, i Sacramenti, la successione apostolica, ma soprattutto il Suo Spirito ci percuote e ci invade attraverso la vita intera della Chiesa.
(73) Attraverso l’umanità della Chiesa il divino ci raggiunge sia come «comunicazione di verità» (Scrittura, Tradizione, Magistero), perciò come aiuto all’uomo a raggiungere una obiettiva chiarezza e sicurezza nel percepire i significati ultimi della propria esistenza, sia come «comunicazione della realtà divina stessa» – Grazia – attraverso i sacramenti.
(124) – (In Parrocchia) anche la comunità, l’amicizia tra di noi si alimenta nei Sacramenti, si alimenta della parola di Dio annunciata.
(130s) – Il primo carisma è l’Istituzione perché essa è lo strumento della presenza dello Spirito di Cristo che agisce e si comunica nel Magistero e nei Sacramenti.
Ma affinché Magistero e Sacramenti non siano intesi come parti isolate dall’unità e dalla totalità della esperienza cristiana, cioè ridotti a misura individualistica del singolo, occorre che essi siano vissuti secondo la logica e la dinamica della comunione, che è la natura stessa della Chiesa.
(131) Ogni carisma rigenera la Chiesa dovunque, obbedendo ultimamente a ciò che è garanzia del carisma particolare stesso: Grazia, Sacramento, Magistero.
(165) – Il soggetto di questa epopea (il Popolo ricostruito pag. 163) è il popolo cristiano che, nascendo dal Battesimo, vive della quotidiana compagnia della fede, nella speranza e nella carità, attingendo nei sacramenti la forza del Cristo risorto.
SACRIFICIO
(148) – La coscienza di essere stati scelti per partecipare alla costruzione del Regno di Dio infonde un’onda nuova nel cuore, per cui il sentimento amoroso – attraverso quella strettoia tremenda che si chiama croce, sacrificio – diventa autentica carità vicendevole.
Il più grande sacrificio
(89) – Dalla percezione del valore ontologico dell’appartenenza nasce la formula morale più intensamente riassuntiva e più indicativa per la prassi della nostra vita: «Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro.
SALVEZZA
(24ss) – La modalità con cui Dio è entrato in rapporto con noi per salvarci è un avvenimento, non un pensiero o un sentimento religioso.
La modalità che Dio ha scelto per salvarci, è un avvenimento, non i nostri pensieri.
(55) – La compagnia dei credenti è segno efficace della salvezza di Cristo per gli uomini, è il sacramento della salvezza nel mondo.
(64) – Da quell’Uomo, per lo Spirito di quell’Uomo morto e risorto, che domina tempo e spazio, così potente da vincere la morte, questa unità è arrivata fino a noi: perché attraverso la nostra unità Egli diventi ora la salvezza del mondo.
SANTITA’
(74) – Miracolo e santità.
Nella realtà della Chiesa di ogni tempo sono visibili figure che hanno una statura umana degna dei più veri desideri del cuore dell’uomo: i santi.
L’umanità dei santi è infatti come la mia, ma in essi fiorisce Qualcosa di più grande la cui esigenza è in me e in ogni uomo, ma come impossibile a realizzarsi.
(144) – (come con il «sì» di Pietro) «Chiunque ha questa speranza in Lui, si purifica come Egli è puro».
Non viene purificato a un tratto, non ottiene la santità di colpo, ma la sua vita è purificarsi: «si purifica come Egli è puro».
SATANA
(vedi anche menzogna)
(157) – C’è un nemico del Popolo, dall’inizio alla fine del mondo: satana ovvero la menzogna e la discordia.
(162) – (Nell’odio a Cristo) Attraverso tutti i poteri (dal potere politico, al potere economico), si articola l’azione del padre della menzogna, come disse Gesù ai farisei parlando di satana.
(213) – Comprendiamocome mai qualcuno, che odiava Dio, ha voluto irrazionalmente sfidarlo, non dia tregua alla nostra vita, per trascinare anche noi nella sua infame bugia: è «il padre della menzogna, satana»
SCANDALO
(98) – Sintomo ultimo della moralità come tensione è l’assenza di scandalo: un cristiano che vive la compagnia non si scandalizza di nulla, ha dolore del male, ma non scandalo.
(147) – I cristiani vivono perciò senza scandalo per i propri errori, per il tradimento – dolorosissimo inconveniente dell’incoerenza -, dentro una continua ripresa dell’orizzonte ideale.
SCELTA
(vedi anche elezione)
(65) – Il regno di Cristo è come un grande organismo, la cui legge creativa e di crescita, fino al raggiungimento del suo destino, del suo fine ultimo, che è la gloria totale di Cristo, è la legge della scelta o elezione.
Perché Cristo «sia tutto in tutti», perché la gloria di Cristo appaia come la forma e il contenuto di tutte le cose – «Tutto in Lui consiste» -, c’è, opera da Dio, dal Mistero, dal Verbo del Padre, una scelta, una elezione, una chiamata.
(75ss) – «Dio ha risuscitato Gesù il terzo giorno e volle che apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Lui: a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua Resurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo che Egli è il giudice dei vivi e dei morti».
Nel brano degli Atti, il termine che sta dunque in cima alla fila, il più profondo, quello su cui poggiano la fede, l’incontro e tutta l’architettura della memoria, è: «scelti», «prescelti» dal Padre.
(76) «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,14-16).
(77) Il frutto è Lui stesso: che il mondo Lo conosca.
«Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 13-19)
Introdurre l’umanità nel rapporto definitivo col mistero di Dio è la loro funzione fondamentale: è il compito per cui sono stati scelti.
Tutti i Vescovi e i sacerdoti, tutti i cristiani sono chiamati a far parte di questa scelta e della responsabilità di questa funzione.
(78) In capo a tutto sta la scelta che Cristo fa di noi: scelta, elezione.
L’essere fiorisce, dal nulla, come scelta, come elezione: non esiste altra condizione proponibile, non esiste altra pensabile premessa.
Questa scelta e questa elezione sono la pura libertà del Mistero di Dio in azione, la libertà assoluta del Mistero che si esprime.
Il Mistero di Dio, che si esprime come libertà nella scelta o nella elezione, vibra, può e deve vibrare, con timore e tremore, con umiltà assoluta, dentro la preferenza umana, perché la preferenza umana è l’ombra della scelta della libertà di Dio.
Ma la scelta della libertà di Dio, che elegge Uno, nascosto come un piccolo fiore invisibile nel seno della Madonna, è per tutto il mondo.
Ed è mirabile questo paradosso supremo della preferenza che sceglie ed elegge per abbracciare il mondo, per trascinare con sé il mondo.
La scelta e l’elezione, nel realizzarsi della preferenza coincidono con un amore che si fissa su ogni realtà vivente, su ogni uomo vivente, su ogni carne.
(79) «A lui ha dato il potere su ogni carne» (Gv 17,2): all’uomo che sceglie ed elegge, Cristo partecipa il potere di ogni carne.
(145) – L’avvenimento di Cristo si mantiene nella storia, è presente in ogni «presente», documentandosi fenomenicamente come una unità di uomini che sono insieme perché c’è Lui, perché hanno riconosciuto di essere stati scelti da Lui.
Scelta di Cristo
(67) – La grande chiamata, la grande scelta, la grande elezione, che Dio ha operato per il suo disegno nel mondo, è la chiamata di Cristo.
Scelta di Maria
(70) – Maria è stata scelta perché fosse la prima casa di Dio nel mondo, il primo contesto, il primo ambito, il primo luogo in tutto era di Dio, del Dio che veniva a vivere tra noi.
SCHEMA
(177) – Zverina, commentando il brano della Lettera ai Romani, sottolinea che «non conformarsi» (mè syschematizesthe) significa letteralmente «non assumere gli schemi del mondo», non assumere il punto di vista da cui il mondo guarda le cose, le giudica, e le valuta.
La donna, il sesso, la bioetica, la politica, l’arte…: si tratta di non assumere lo schema che il mondo adotta di fronte ad essi.
Il verbo «non conformarsi» contiene in greco la radice della parola «schema».
Siamo circondati da schemi vuoti, da modelli esteriori.
Quando uno schema non è vuoto? Quando esso appartiene al disegno del Padre – che è Cristo – cioè un’altra cultura.
La cultura non è uno schema vuoto quando il suo inizio è qualcosa che ci è accaduto e da cui non si possono distogliere gli occhi, una realtà vivente, unica.
SEGNO
(37) – L’incontro con una realtà presente, vivente, integralmente umana, il sui significato esauriente è quello di essere segno visibile della presenza di Cristo, il Dio-fatto-uomo.
(93) – «Pur vivendo nella carne, vivo nella fede» vuol dire: affronto il rapporto con la ragazza nella fede del Figlio di Dio, nell’adesione a Cristo.
E allora quella ragazza è, nella misura dell’attrattiva, il segno attraverso cui sono invitato ad aderire nella carne all’essere delle cose, a scendere nella realtà delle cose, fino a dove le cose sono fatte.
(188) – La donna è così segno di un ideale più grande di bontà, di bellezza, di amore.
SEGUIRE/SEQUELA
(18) – (Quei due che erano lì per la prima volta da Giovanni il Battista) Lo seguirono stando a distanza, per timore, per vergogna, ma stranamente, profondamente, oscuramente e suggestivamente incuriositi.
(107) – (A Pietro preoccupato di Giovanni) Gesù dice: «Non preoccuparti per lui, tu seguimi. Quel «sì» è rivolto a una Presenza che dice: «Seguimi, abbandona la tua vita».
(130) – I dogmi si imparano e si vivono nell’incontro e nella sequela della vita della Chiesa, secondo l’accento educativamente persuasivo ed esistenzialmente affascinante del carisma.
(150) – GPII: «Il risveglio del popolo cristiano verso una maggiore coscienza di Chiesa, costruendo comunità vive in cui la sequela di Cristo si rende concreta, investe i rapporti di cui la giornata è fatta e comprende le dimensioni della vita: questa è l’unica risposta adeguata alla cultura secolarista che minaccia i principi cristiani e i valori morali della società».
SEMPLICITA’
(19) – Quell’uomo avrà affermato, tra le altre cose, di essere lui il Messia, Colui che doveva venire.
Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell’affermazione che essi l’hanno trattenuta con sé come se fosse una cosa semplice, come se fosse una cosa facile da capire.
Era una cosa semplice!
Sincerità e semplicità sono parole analoghe.
Essere «semplici» vuol dire guardare una cosa in faccia, senza introdurre fattori estranei mutuati dall’esterno.
(42) Bisogna guardare il fatto, l’avvenimento, con semplicità, vale a dire bisogna guardare l’avvenimento per quel che dice, per quello che comunica alla ragione, al cuore, senza introdurre per valutarlo fattori estranei, che non c’entrano con esso.
Essere semplici e sinceri vuol dire escludere i «ma, i forse, i però» e dire pane al pane e vino al vino.
Quel cieco (il cieco nato) guardava l’avvenimento che l’aveva toccato con semplicità e sincerità.
(43) Sostituire alla posizione originale, alla curiosità, i «ma», o «se», i «però», andare cioè incontro alla realtà con il gomito davanti agli occhi, è mancanza di semplicità e di sincerità.
(170) – Per questo passaggio occorre che l’amore, più che da tutte le preoccupazioni, le fatiche, le sconfitte e le riuscite da cui l’uomo trae naturalmente motivo per seguire il valore della vita, sia definito da una semplicità infantile che Gesù chiama «povertà di spirito».
SENSO RELIGIOSO
(32s) – Rifiutando pregiudizialmente di considerare il metodo scelto da Dio per rispondere alla esigenza di significato totale dell’uomo – un Fatto nel tempo e nello spazio – la mentalità moderna confonde «senso religioso» e «fede».
In ogni «io» umano che osserva sé stesso in azione nel suo vivo e attivo presente, il senso religioso identifica il carattere ultimo dell’esperienza esistenziale, il livello cioè di quegli inestirpabili desideri, di quelle irriducibili esigenze che ogni uomo sorprende come costitutive del proprio essere.
Il senso religioso non è nient’altro che la domanda di totalità costitutiva della nostra ragione presente in ogni azione, in quanto a ogni azione l’uomo è provocato da un bisogno.
Senso religioso e ragione sono, quindi, la stessa cosa.
Il senso religioso coincide con la ragione nel suo aspetto profondo di tensione inesausta verso il significato ultimo della realtà.
SFORZO
(vedi anche ascesi)
(155) – Chi è più fedele tra noi sa bene che questo è, da quarant’anni, il nostro desiderio, il nostro programma quotidiano e la domanda quotidianamente espressa da Dio, specialmente nell’angelus, uno sforzo quotidiano (ascesi) ripreso nella consapevolezza dei propri limiti e di una fatica che è parte della croce di Cristo: «la mia fatica è parte della Tua croce, o Cristo».
Quale nobiltà più grande potevamo ereditare, quale grazia più grande!
SGUARDO
(92s) – La modalità con cui nasce il criterio per giudicare può essere sinteticamente indicata dalla parola sguardo.
Si tratta di stare davanti all’avvenimento incontrato senza troncare a un certo punto la lealtà dello sguardo per la preoccupazione di affermare quel che ci pare e piace o ci «interessa».
È una lealtà dello sguardo all’avvenimento ciò che permette di far nascere in noi il criterio nuovo di giudizio e di non subire i criteri del «mondo».
Come un bambino di fronte al reale, che non inventa niente, non fa penetrare nessun’altra preoccupazione nel suo sguardo.
(93) [… ] appartengo ad un Avvenimento, a un’origine che cambia la modalità dello sguardo: la modalità dello sguardo diventa fede.
(105) – Rispettare l’altro vuol dire guardarlo con l’occhio a un’altra Presenza.
La parola rispetto (respectus, da re-spicio) ha la stessa radice di aspicio (guardare), e il re- sta a indicare che si continua a tenere lo sguardo rivolto-a, come fa colui che, camminando, tiene tuttavia lo sguardo fermo sull’oggetto.
«Rispetto» vuol dire: «guardare una persona tenendone presente un’altra»
(120s) – Che cosa occorre perché un uomo e una donna diventino padre e madre? Innanzitutto uno sguardo diverso tra di loro.
(121) Una volta che il bimbo è concepito, il padre […] guarda alla sua donna in modo diverso.
I due si guardano in modo nuovo.
La prima condizione del loro guardarsi è la permanenza, il legame essenziale da cui si estrae il profumo dell’appartenenza
(181) – (“Ecumenismo” assunto nella sua originaria derivazione etimologica da oikumene) Con esso si vuole indicare che lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra, in quanto glielo fa riconoscere partecipe di quel disegno la cui attuazione sarà compiuta nell’eternità e che in Cristo ci è stato rivelato.
(184) – «Di tutto sono capace in Colui nel quale è la mia forza» (Fil 4,13). C’è dunque un’unica sorgente di sguardo positivo a tutto.
Sguardo di Cristo
(20) – Pensiamo al modo con cui Gesù lo (Simone) guardava, fin nel midollo delle ossa, pensiamo a come ha capito il suo carattere: «Ti chiamerai Pietra».
Che impressione deve essere stata sentirsi guardare così da un altro, assolutamente estraneo, e sentirsi colti così nel profondo di sé.
(39) – Torniamo a Simone, mentre si avvicinava a Cristo curioso di vedere chi fosse.
Quando arriva, Cristo lo guarda e gli dice: «Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai pietra».
Cristo lo guarda fino a coglierne il carattere.
Immaginiamo che cosa è sorto in quell’uomo rozzo e cordiale: la figura di Cristo, dal cui sguardo si era sentito afferrare nella profondità del suo essere, si è immediatamente fissata come l’orizzonte totale del vivere.
(99) – Pietro era un uomo di quaranta o cinquant’anni, con famiglia e figli, eppure così bambino di fronte al mistero di quel compagno incontrato per caso.
Immaginiamoci come si sarà sentito da quello sguardo che lo conosceva in ogni sua parte.
SI’ DI PIETRO
(100ss) – Quell’Uomo era diventato per lui come una grande, immensa rivelazione non ancora chiarita.
«Simone, mi ami tu?» «Sì signore, io ti amo».
La terza volta che Gesù gli rivolse la domanda, dovette chiedere la conferma di Gesù stesso: «Tu lo sai che io Ti amo. Per Te tutta è tutta la mia preferenza d’uomo, tutta la preferenza dell’animo mio, tutta la preferenza del mio cuore.
Io non lo so, non so come e non so come sia, ma nonostante tutto quello che ho fatto, nonostante quello che posso fare ancora, io Ti amo».
(101) Questo «sì» è la scaturigine della moralità, il primo fiato di moralità sul deserto arido dell’istinto e della pura reazione.
Ma perché il «sì» di Simone a Gesù è scaturigine della moralità?
Pietro ne aveva fatte di tutti i colori, eppure viveva una simpatia suprema per Cristo.
I peccati passati non potevano costituire obiezione e nemmeno tutta l’immaginabile sua incoerenza futura: Cristo era la fonte, il luogo della sua speranza.
«Sì, Signore, tu sai che sei l’oggetto della mia simpatia suprema, della mia stima suprema»: così nasce la moralità.
Chiunque ha questa speranza in Lui purifica sé stesso come Egli è puro».
(102) Nel rapporto con Lui il numero non c’entra, il peso misurato e misurabile non c’entra, e tutta la possibilità di male che in me può realizzarsi nel futuro, anche questa non c’entra, non riesce ad usurpare il titolo primario che possiede davanti agli occhi di Cristo il «sì» di Simone.
Solo l’uomo che vive questa speranza in Cristo continua tutta la sua vita nell’ascesi, nello sforzo per il bene.
L’uomo che vive questa speranza in Cristo continua nell’ascesi.
La moralità è una tensione continua al «perfetto» che nasce da un avvenimento in cui il rapporto col divino, col Mistero, è segnato.
(108) – La morale cristiana è la rivoluzione in terra, perché non è un elenco di leggi, ma è un amore all’essere: uno può sbagliare mille volte e sempre gli sarà perdonato, sempre sarà ripreso e riprenderà il suo passo sul cammino, se il cuore riparte con il «sì».
L’importante di quel «Sì, signore, io ti amo» è una tensione in tutta la propria persona, determinata dalla coscienza che Cristo è Dio e dall’amore a quest’Uomo che è venuto per me: tutta la mia coscienza è determinata da questo, e io posso sbagliare mille volte al giorno, fino ad avere vergogna di alzare la testa, ma questa certezza non me la toglie nessuno.
(114) Il «sì» di Simone non è stato l’esito di una forza di volontà, non è stato l’esito di una «decisione» dell’uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla, di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di Lui per cui non poteva che dire di «sì».
(141ss) – Dal «sì» di Pietro inizia un Popolo nuovo: «Pasci il mio gregge».
Il «sì» di san Pietro a Cristo apre la connessione tra la vocazione della vita personale e il disegno universale di Dio.
Questo nesso tra il momento personale e la totalità misteriosa del disegno di Dio in che consiste, che cosa produce?
Rispondendo al «sì» di san Pietro, Gesù esprime questa connessione con una frase semplice a capirsi: «Pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecorelle. Pasci il mio gregge».
(142) Il «sì» di Simone è l’inizio di un rapporto nuovo della singola persona con tutta la realtà.
(143) In primo luogo, il «sì» di Pietro a Cristo produce una realtà nuova attraverso il perdono.
Perché il «sì» di Pietro produca una nuova umanità, un flusso umano diverso [ … ] perché questo «sì» diventi evidente nella sua fecondità, decisivo per la storia dell’umanità, protagonista degli eventi umani, la condizione è che esso si esalti, si appoggi, costruisca sul perdono, accettandolo.
Accettare il perdono è forse la cosa più difficile, anche se rimane semplicissima.
Il «sì» di Pietro crea il popolo nuovo sul perdono, è pronunciato per la coscienza che quel volto, che gli chiede: «Mi ami tu», è pieno di perdono.
Il «sì» di Pietro è costruito su questo perdono e ottiene che esso sia per tutti.
(144) In secondo luogo, il «sì» di Pietro sprigiona un’attività che è in contraddizione con le approssimazioni e le negazioni e gli odi mondani.
(213) – Pietro dice subito «sì», prima di tornare a considerare tutti i suoi misfatti. Non prova più orrore per quello che ha fatto, perché l’orrore rimette ancora in primo piano l’uomo.
È il dolore per i propri peccati che si impone, come inizio storico dell’amore che attende una riscossa.
Ragione ultima del sì
(103ss) – Qual è la ragione vera del «sì» a Cristo detto da Simone?
«Sì, io ti amo», disse Pietro.
E la ragione di questo «sì» consisteva nel fatto che egli aveva intravisto in quegli occhi che l’avevano fissato quella prima volta, e che poi lo avevano fissato tante altre volte durante le giornate e gli anni seguenti, chi era dio, che era Jahve, il vero Jahve: misericordia.
(104) Questo ha sentito Simone, da qui nasce il suo «Sì» io ti amo.
Egli è mandato dal Padre per farci conoscere che l’essenza di Dio ha come caratteristica suprema per l’uomo la misericordia.
SIMPATIA UMANA PROFONDA
(20ss) – Eccezionale e con una simpatia umana profonda.
Perché era facile riconoscerlo? Per una eccezionalità senza paragoni.
Non solo fu facile riconoscerlo: era facilissimo vivere il rapporto con lui.
Bastava aderire alla simpatia che faceva nascere, una simpatia profonda simile a quella vertiginosa e carnale del bambino con sua madre, che è simpatia nel senso intenso del termine.
Questa è la logica della conoscenza e della moralità che la convivenza con quell’uomo rendeva necessaria: una simpatia profonda.
Imparare dalla sua eccezionalità era perciò una simpatia ultima realizzata.
(100ss) – Quel «sì» era l’affermazione del riconoscimento di una eccellenza suprema, di una eccellenza innegabile, di una simpatia che travolgeva tutte le altre.
(101) Pietro ne aveva fatte di tutti i colori, eppure viveva una simpatia suprema per Cristo.
(101) «Sì, Signore, Tu sai che sei l’oggetto della mia simpatia suprema, della mia stima suprema»: così nasce la moralità.
È in lui che io ho speranza, prima di aver contato i miei errori e le mie virtù.
(115) – La decisione, dunque, nasce come l’instaurarsi di una simpatia.
Gli apostoli andavano dietro a Gesù perché erano attaccati a Lui con un giudizio che li rendeva capaci di una decisione perfettamente razionale: perché là dove si genera un rapporto che giunge fino ad una simpatia profonda, al rinnovarsi di un attaccamento nato da uno stupore imparagonabile, la razionalità è un avvenimento.
SINCERITA’
(41ss) – Avere la sincerità di riconoscere, la semplicità di accettare e l’affezione di attaccarsi a tale Presenza, questa è la fede.
Sincerità e semplicità sono parole analoghe.
Essere «semplici» vuol dire guardare una cosa in faccia, senza introdurre fattori estranei mutuati dall’esterno.
Bisogna guardare il fatto, l’avvenimento, con semplicità, vale a dire bisogna guardare l’avvenimento per quel che dice, per quello che comunica alla ragione, al cuore, senza introdurre per valutarlo fattori estranei, che non c’entrano con esso.
Essere semplici e sinceri vuol dire escludere i «ma, i forse, i però» e dire pane al pane e vino al vino.
Quel cieco (il cieco nato) guardava l’avvenimento che l’aveva toccato con semplicità e sincerità.
Sostituire alla posizione originale, alla curiosità, i «ma», o «se», i «però», andare cioè incontro alla realtà con il gomito davanti agli occhi, è mancanza di semplicità e di sincerità.
(170) – Per questo passaggio occorre che l’amore, più che da tutte le preoccupazioni, le fatiche, le sconfitte e le riuscite da cui l’uomo trae naturalmente motivo per seguire il valore della vita, sia definito da una semplicità infantile che Gesù chiama «povertà di spirito».
SODDISFAZIONE
(21) – Nulla infatti è più naturale della soddisfazione compiuta del desiderio ultimo e profondo del cuore, della risposta alle esigenze che stanno alla radice del nostro essere, per le quali di fatto viviamo e ci muoviamo.
(121) – È un Avvenimento che dà inizio a questo legame (tra uomo e donna), come un bambino dà inizio ad una nuova famiglia: in Esso emerge il legame stabile, cioè di appartenenza.
Qui la vita incomincia ad essere soddisfatta, a godere di sé in senso creaturalmente giusto.
(190) – Sperimentalmente, anche psicologicamente, l’uomo si sente libero, veramente libero, non quando fa ciò che gli pare e piace, ma, più acutamente, quando è soddisfatto, quando una cosa lo soddisfa (satis facere), lo compie.
SOLITUDINE
(61) – L’esigenza di compagnia è ineludibile, perché appartiene all’essenza stessa dell’io.
Niente è, perciò, più ingannatore della volontà di stare da soli o di essere soli.
Nella solitudine, infatti, l’uomo sta male, rifiuta sé stesso: solo se è presente, proprio come dimensione della vita, un altro, allora, sebbene la vita non diventi per questo più compiuta, una almeno la vive, la accetta.
(195) – Ma come non si può nascere e non si può vivere da soli, così, non si può rispondere al proprio bisogno (qualunque esso sia, anche quello più personale) se non in una compagnia, con l’aiuto di una compagnia.
Da soli nessun bisogno può essere affrontato con quella sistematicità che l’organicità della nostra vita esige.
È una cosa grande che il lavoro per un’opera, destinata a rispondere al bisogno del singolo, sia caratterizzato da questa socialità ultima della propria presenza nel mondo e, quindi, dalla necessità della compagnia.
SPAZIO E TEMPO
(15) – Il cristianesimo è l’annuncio che Dio è diventato un uomo, nato da donna, in un determinato luogo e in un determinato tempo.
È un Fatto accaduto nella storia, è l’irrompere nel tempo e nello spazio di una Presenza umana eccezionale.
(37) – L’avvenimento cristiano ha la forma dell’incontro con una realtà fisica, corporale, fatta di tempo e di spazio, in cui è presente Dio fatto uomo e che di Lui è segno.
(117) – Dio si rivela alla sua creatura nel tempo e nello spazio, perciò in termini umanamente comprensibili.
Il Suo Mistero, come Mistero, viene irresistibilmente comunicato all’uomo.
(180) – […] La formula suprema dello svolgimento dell’Avvenimento di Cristo è l’hic et nunc, definito dalle circostanze di spazio e tempo: nel loro volgere, l’appartenenza a questo Avvenimento sta come il palo che sostiene la tenda dell’uomo in cammino nel deserto, dentro la storia.
SPERANZA
(101s) – (Per Pietro) I peccati passati non potevano costituire obiezione e nemmeno tutta l’immaginabile sua incoerenza futura: Cristo era la fonte, il luogo della sua speranza.
Gli avessero obiettato quello che aveva fatto o quello che avrebbe potuto fare, Cristo rimaneva, attraverso le nebbie di quelle obiezioni, la fonte di luce della sua speranza.
«Chiunque ha questa speranza in Lui purifica sé stesso come Egli è puro» (1 Gv 3,3).
(102) La nostra speranza è in Cristo, in quella Presenza che, per quanto distratti e smemorati, non riusciamo più a togliere – non fino all’ultimo briciolo almeno – dalla terra del nostro cuore per tutta la tradizione dentro la quale Egli è giunto fino a noi.
È in Lui che io ho speranza, prima di aver contato i miei errori e le mie virtù.
Solo l’uomo che vive questa speranza in Cristo continua tutta la sua vita nell’ascesi, nello sforzo per il bene.
L’uomo che vive questa speranza in Cristo continua nell’ascesi.
(207s) – L’ultimo passo dell’uomo possibile alla ragione si identifica piuttosto con la parola «giustizia».
Oppure, in una cultura influenzata dal cristianesimo, con una affermazione di speranza.
Speranza contraddittoria alla cupa disperazione cui cede l’uomo.
(215) – La strada nuova invece (della rivoluzione) è fatta di misericordia e di pace: questa è la più bella definizione di speranza.
STIMA
(80) – Normalmente nella gerarchia di stima e di interesse che governa la nostra vita, niente è più estraneo del Battesimo.
(94) – La persona che ho davanti, chiunque essa sia, è e segna la strada seguendo la quale io arrivo a Cristo, al Tu di cui ogni cosa è fatta, e perciò di essa ho stima, rispetto, l’adoro, posso adorarne il volto.
Mi inoltro alla radice del volto delle cose e giungo fino al punto in cui la cosa è un Altro che la fa, è il Tu che la fa, Cristo.
(101) – Pietro Lo stimava sopra ogni altra cosa, dal primo momento in cui si era sentito fissato da Lui, guardato da Lui: Lo amava per questo.
«Sì, Signore, tu sai che sei l’oggetto della mia simpatia suprema, della mia stima suprema»: così nasce la moralità.
(106) – Un uomo che guardi sua moglie percependo e riconoscendo l’Altro, Gesù, dentro e oltre la figura di sua moglie, può portarle rispetto e venerazione, può avere stima per la sua libertà, che è rapporto con l’infinito, rapporto con Gesù.
(114) – Non era un attaccamento (a Gesù) sentimentale, un fenomeno emozionale; era un fenomeno di ragione, una manifestazione di quella ragione che ti «attacca» alla persona che hai davanti, in quanto è un giudizio di stima: guardandola, nasce una meraviglia di stima che ti fa attaccare ad essa.
Il «sì» di Simone non è stato l’esito di una forza di volontà, non è stato l’esito di una «decisione» dell’uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla, di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di Lui per cui non poteva che dire di «sì».
Per Pietro era un’amicizia che non dipendeva da lui, ma che era stata fatta nascere in lui.
(119) – Proprio Colui che dà alla nostra natura la costitutiva urgenza di una reciprocità di stima e di gratuità, proprio Lui ha creato la prima figura sperimentale, che rimarrà per tutta la storia, un luogo dove questa urgenza di carità diventa stabile ed essenziale.
(194) – La stima sincera del lavoro rende intollerabile il fatto che altri non possano lavorare, perché l’educazione alla libertà è astratta se un uomo non ha un lavoro da imparare e da svolgere.
Storicità dell’incontro
(15) – Il cristianesimo è l’annuncio che Dio è diventato un uomo, nato da donna, in un determinato luogo e in un determinato tempo.
Il Mistero che è alla radice di tutte le cose ha voluto farsi conoscere dall’uomo.
È un Fatto accaduto nella storia, è l’irrompere nel tempo e nello spazio di una Presenza umana eccezionale.
Dio si è fatto conoscere svelandosi, prendendo Lui l’iniziativa di collocarsi come fattore dell’esperienza umana, in un istante decisivo per la vita del mondo.
(39) L‘incontro è un fatto storico totalizzante.
La parola incontro porta in sé la categoria della storicità; proprio tale categoria sostiene e dà consistenza alla parola incontro.
L’incontro è cioè un fatto storico, accade in un preciso istante della vita, si riconduce sempre a un momento puntuale della nostra esistenza.
L’incontro, che segna l’inizio di un cammino, è un momento fatto di tempo e di spazio, avviene in un’«ora» precisa, che si può segnare sull’orologio.
E la vita è data per approfondire quel momento.
(145) L’avvenimento di Cristo si mantiene nella storia, è presente in ogni «presente», documentandosi fenomenicamente come una unità di uomini che sono insieme perché c’è Lui, perché hanno riconosciuto di essere stati scelti da Lui.
La ragione per cui l’unità del Popolo non è omologante, ma ricca di sfumature, è che ogni realtà che lo compone nasce da una storia in cui un «incontro» ha messo insieme le persone e ha segnato la via.
A partire dall’incontro fatto si rende più comprensibile, più facile a capirsi e a seguirsi, più amabile e più fecondo, il cammino verso la purità.
Ogni parte di questo Popolo nasce da una grazia particolare dello Spirito che si chiama carisma.
STRUGGIMENTO
(169) – L’Apostolo (Paolo) definisce la missione, nei suoi termini sostanziali, come lo struggimento che nasce dalla memoria dell’amore di Cristo.
La missione nasce dallo struggimento che genera in noi il pensiero dell’amore che Cristo ha avuto per noi.
È la passione, lo struggimento per la gloria umana di Cristo, che coincide con la felicità degli uomini, che fa nascere la missione.
Struggersi vuol dire che non resta più indifferente.
Lo struggimento segnala il cambiamento radicale del contenuto dell’autocoscienza.
STUPORE
(48) – Chi ha sperimentato lo stupore della corrispondenza si mette in ginocchio e Lo adora.
Gli dice di sì.
È questo l’itinerario di Zaccheo, la figura, dopo Simone, più significativa in tal senso.
(111) – Lo stupore dell’incontro, la continuità dello stupore, l’adesione a quella Presenza che permane implicano l’abbraccio e l’unità con tutti coloro che quella Presenza stessa ci pone vicino.
(185) – L’ecumenismo vero scopre sempre cose nuove, così che non c’è mai una totale ripetizione: si è trascinati da un totalizzante stupore del bello.
(213s) – Dio ci supera da ogni parte perché, proprio attraverso lo stupore che ci invade di fronte alla Sua misericordia, ci fa venire, in primo luogo, un dolore di noi stessi mai sperimentato prima, ma non esasperato, né egoista, come quando sentiamo la nostra dignità ferita e proviamo ribrezzo di noi stessi.
In secondo luogo attraverso lo stupore della Sua misericordia, Egli ci fa venire il desiderio di essere come Lui.
SUSSIDIARIETA’
(147) – L’Avvenimento che, di colpo, unisce quelli che vi si imbattono e lo accettano, esprime il suo principio di unità innanzitutto come sussidiarietà realizzata: ognuno aiuta l’altro, ognuno cerca di compiere quello che manca all’altro.
È una sussidiarietà concreta, possibilmente quotidiana, come facilitazione della vita e come difesa dal nemico che minaccia la vita del popolo.
A – B – C – D – E –F – G – I – L – M/N – O – P – R – S –T – U – V
