Temi di “Generare tracce nella storia del mondo”

Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani

ABCDEFGILM/NO PRSTUV

Lettera «V»



VEDERE

(151) –   Se io mi sento sproporzionato, sono sicuro che è in questa sproporzione che Cristo farà vedere la sua gloria.

Vedere con gli occhi della ragione

(43) – Come l’uomo cammina con tutto sé stesso, così egli vede con tutto sé stesso: egli vede con gli occhi della ragione in quanto il cuore è aperto-a, in quanto cioè l’affezione sostiene l’apertura degli occhi, altrimenti davanti all’oggetto l’occhio si chiude, si «addormenta», fugge via.

L’occhio della ragione vede, dunque, in quanto sostenuto dall’affezione, che già esprime il gioco della libertà.

Vedere il Mistero presente

(55) – Cristo risorto si stringe così attorno a noi: questa compagnia è proprio Cristo presente.

Essa è Cristo nella realtà umana, è il Corpo di Cristo che si rende presente, tanto che Lo si tocca, Lo si vede, Lo si sente.

Il valore di questa compagnia è più profondo di quello che si vede, perché quello che si vede è l’emergenza del Mistero di Cristo che si rivela.

(124) – Nella casa uno vede nell’altro il mistero di Cristo presente come volto.

Uno impara dalle stesse difficoltà del rapporto – illuminate dal giudizio della Sua presenza – a vedere nell’altro il mistero di Cristo.

VERGINITA’

(121s) – La coscienza di partecipare alla costruzione del Regno di Dio infonde un’onda nuova nel cuore, per cui il sentimento amoroso – attraverso una strettoia tremenda che si chiama croce – diventa autentica carità, raggiunge la verginità, la gratuità, cioè la carità come partecipazione alla verginità, essendo la verginità la totalità della vita vissuta nel riconoscimento che Cristo è tutto in tutti.

(122) Nel monastero, nel convento o nella casa, queste pietre vive, coloro che sono chiamati e scelti, sono lì per dimostrare nella verginità, forma visibile della stessa loro vita, che Egli solo è, cioè che Cristo è il re dell’Universo, e che tutto ha consistenza in Lui.

VERITA’

(181s) –L’ecumenismo parte dall’avvenimento di Cristo, che è l’avvenimento della verità di tutto ciò che è, di tutto il tempo e lo spazio della storia.

È l’avvenimento della verità nel mondo: il Verbo si è fatto carne, la verità di è fatta presenza umana nella storia e resta nel presente.

Questa Presenza investe – tende a investire – tutta la realtà.

Dove c’è coscienza chiara della verità suprema che è il volto di Cristo, nel guardare tutto ciò che si incontra si rivela qualcosa di buono.

L’ecumenismo non è allora una tolleranza generica che può lasciare ancora estraneo l’altro, ma è un amore alla verità che è presente, fosse anche in un frammento, in chiunque.

Ogni volta che cristiano incontra una realtà nuova l’abborda positivamente, perché essa ha qualche riverbero di Cristo, qualche riverbero di verità.

(182) Quanto più il battezzato è proteso tanto più è anche proteso a scoprire in ogni cosa il bene rimasto, il brandello o il riflesso di verità.

E la persuasione che la verità è in me, è con me, mi rende estremamente positivo davanti a tutto: non equivoco, ma positivo.

Se c’è un millesimo di verità in una cosa, lo affermo.

«Vagliate ogni cosa e trattenete il valore», il bello, il vero quello che corrisponde al criterio originale del vostro cuore.

L’avvenimento di Cristo è la vera sorgente dell’atteggiamento critico, in quanto esso non significa trovare i limiti delle cose, ma sorprenderne il valore.

(185s) – L’ecumenicità cattolica è aperta verso tutti e tutto, fino alle sfumature ultime, pronta a esaltare con tutta la generosità possibili ciò che ha anche una lontana affinità con il vero.

Se uno ha scoperto la verità reale, Cristo, avanza tranquillamente in ogni tipo di incontro, sicuro di trovare in ognuno una parte di sé.

Questa apertura fa trovare a casa propria chiunque conservi un brandello di verità, a proprio agio ovunque.

È il concetto di cattolicità non geograficamente inteso, ma ontologicamente definito dal vero.

Tutte insieme le cose gridano la verità.

Comunicazione della verità

(73) – Attraverso l’umanità della Chiesa il divino ci raggiunge come «comunicazione di verità» [ … ] sia come «comunicazione della realtà divina stessa» – Grazia – attraverso i Sacramenti.

VIRTU’

(135) – Questa è la nostra virtù: il paragone con il carisma nella sua originalità attraverso l’effimero di cui Dio si serve.

(170) – L’obbedienza esistenzializza il summum ius, il culmine del diritto di Dio sulla nostra vita.

Ed essa è la virtù anche dell’amicizia con l’Essere, il vertice della comunione con il Mistero.

VISO/VOLTO

(209) – (Nel figliol prodigo) Il volto del Padre è pieno di dolore per l’errore del figlio, per la sua negazione, pieno di dolore che rifluisce tutto in perdono.

Il volto del Padre è lo specchio del figlio.

E il volto del Padre è misericordia, perché è pietà verso colui che ha sbagliato ed è lì rivolto verso colui che ritorna.

Volto di Gesù

(36) – Il volto di Gesù nell’avvenimento cristiano ha la fattispecie di facce umane, di compagni, degli uomini che egli ha scelto, proprio come, nei villaggi della Palestina dono non poteva arrivare, Gesù acquistava il volto dei due discepoli che mandava, attivava «sotto» il volto di quei due che si era scelti.

VITA

Dare la vita per l’opera di un Altro

(89) – Dalla percezione del valore ontologico dell’appartenenza nasce la formula morale più intensamente riassuntiva e più indicativa per la prassi della nostra vita: «Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro».

Ancor più profondamente questa frase ricorda l’esperienza stessa di Cristo che dà la vita per l’opera del Padre.

(136)Dare la vita per l’opera di un Altro implica un nesso tra la parola «Altro» e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome.

Dare la vita per l’opera di un Altro, non astrattamente, è dire qualche cosa che ha un riferimento preciso, storico: per noi vuole dire che tutto quello che facciamo, tutta la nostra vita è per l’incremento del carisma cui ci è dato di partecipare, che ha una sua cronologia, una sua fisionomia descrivibile, indica nomi e cognomi e, all’origine, un nome e un cognome.

Se dare la vita per l’opera di un Altro non indica un riferimento preciso, svanisce la sua storicità, si deprime la sua concretezza: non si dà più la vita per l’opera di un Altro, ma per la propria interpretazione, per i propri gusti, per il proprio tornaconto o per il proprio punto di vista.

VITTORIA DI CRISTO/GLORIA DI CRISTO

(43) – Il riconoscimento della presenza di Cristo avviene perché Cristo «vince» l’individuo.

(84) – «Questa è la vittoria che vince il mondo: la fede» (1 Gv 5,4); e la fede è il riconoscimento e memoria di quell’Evento reale, determinante la vita.

(152ss) – Noi lottiamo per la gloria di Cristo nel tempo, nella storia.

Ci è promessa la vittoria, ma sarà all’ultimo giorno.

(153) Questa è la glorificazione di Cristo: riconosco un Presente che è dominante, determinante.

Questa è la gloria umana di Cristo: il rendersi tangibile, sperimentabile, del Suo essere qui e ora il significato esauriente di tutto.

(154) Non esiste niente, al di fuori della passione per la gloria di Cristo, che possa con un minimo di stabilità e di equilibrio dare gioia al cuore e questa gioia diventa la testimonianza della sua gloria.

La non prevedibilità di questa egemonia significa che ci è promesso non l’esito storico dell’egemonia di Cristo sul mondo, ma l’’essere preparati a «quel» giorno in cui Cristo passerà il contenuto della sua vittoria finale nelle mani del Padre.

(208s) – Sarà il giorno del trionfo di Cristo che consegnerà tutto al Padre, cosicché il Padre sarà «tutto in tutto».

Il giorno della gloria ardente e definitiva di Cristo è proprio il contrario della gelida visione di un nichilista.

Questa vittoria finale di Cristo è certa, anche se il limite di essa rimane assoluto mistero.

(Nel figliol prodigo) trionfa la bontà del Padre, questo è il concetto di misericordia che l’uomo non può arrivare a comprendere, a dire.

(218s) – Egli, come misericordia, vince tutto.

Certo il cristiano deve accettare questa vittoria.

Per vivere l’amore, non occorre che faccia somme, addizioni di virtù e di perfezioni: deve, nonostante quel che è, accettare il disegno di un Altro, deve essere disponibile al volere di Dio.

VOCAZIONE

(78) – «Chiamò quelli che volle», «ogni carne che il Padre gli dà nelle mani», «chi egli volle»: questo è il fondamento ontologico, il fattore costituente della vocazione cristiana come compito nel mondo.

(119) –   La famiglia è la vocazione normale, senza la quale finirebbe la storia: la famiglia, radice del perenne sviluppo della storia, casa di Gesù, dimora del Figlio dell’uomo.

(134) – Inevitabilmente quanto più uno diventa responsabile tanto più il carisma passa attraverso il suo temperamento, attraverso quella vocazione irriducibile a qualsiasi altra che è la sua persona.

(141) – Il «sì» di Pietro a Cristo apre la connessione tra la vocazione della vita personale e il disegno universale di Dio.

(219) – Per vivere l’amore, non occorre che faccia somme, addizioni di virtù e di perfezioni: deve, nonostante quel che è, accettare il disegno di un Altro, deve essere disponibile al volere di Dio.

Questa è la sua vocazione: «La vocazione è la stella che brilla nella notte oscura delle circostanze».

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