Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani
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Lettera «L»
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LAVORO
(106) – Il rispetto non può nascere dal fatto che ciò che ho davanti mi serva: da questo punto vista, lo domino.
No, il rispetto «sfonda» quello che uso.
Così il lavoro acquista nobiltà, una leggerezza d’animo più grande, pur in mezzo a tutte le tribolazioni con cui ci alziamo dal letto.
E il rinnovarsi di questa coscienza è la preghiera del mattino.
(193ss) – La compagnia cristiana ci educa a entrare nella realtà totale attraverso la manipolazione della realtà stessa, attraverso il lavoro.
È soprattutto nell’affrontare le circostanze quotidiane implicate nel suo lavoro che l’uomo approfondisce la dinamica originale che, dall’impatto continuo con la realtà, fa emergere le esigenze costitutive del suo io (l’esigenza di bene, di verità, di bellezza).
Questa dinamica, come continua scoperta, è un vero lavoro, del suo ideale, tempo e spazio.
Per il cristianesimo il lavoro umano è lento inizio di un dominio dell’uomo sulle cose, di un governo cui egli aspira realizzando l’immagine di Dio, il «Signore».
(194) La stima sincera del lavoro rende intollerabile il fatto che altri non possano lavorare, perché l’educazione alla libertà è astratta se un uomo non ha un lavoro da imparare e da svolgere.
È nella realizzazione del mio lavoro che capisco di essere libero, che la mia libertà è rispettata, o che, viceversa, tutto è bloccato, ristretto, inadeguatamente definito, predefinito.
È impossibile che avvenga l’educazione alla libertà senza la possibilità di un lavoro.
Un uomo conosce solo sé stesso solo in azione, durante l’azione, mentre è in azione.
Perciò se la vita non ha lavoro, l’uomo conosce meno se stesso, tende a smarrire il senso del vivere.
(195) E’ una cosa grande che il lavoro per un’opera, destinata a rispondere al bisogno del singolo, sia caratterizzato da questa socialità ultima della propria presenza nel mondo e, quindi, dalla necessità della compagnia.
(196) Il lavoro risulta così come la sintesi ultima del rapporto tra l’io e la realtà che lo sollecita sospingendolo verso il destino, cioè verso Cristo, e rappresenta anche la sintesi tra questa sollecitazione della realtà e il rapporto con tutti coloro che riconoscono il Signore, il destino reso presenza.
LEGGE
(23) – Il cristianesimo è un avvenimento.
Non esiste altra parola per indicarne la natura: non la parola legge, né le parole ideologia, concezione o progetto.
Il cristianesimo non è una dottrina religiosa, un seguito di leggi morali, un complesso di riti.
Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento: tutto il resto è conseguenza.
(95ss) – Normalmente gli uomini capiscono che, senza un certo ordine, non si può concepire la vita, il reale, l’esistere.
Ma come definiscono quest’ordine?
Considerando la realtà secondo i vari punti di vista da ci partono, la descrivono nei suoi dinamismi stabili e mettono in fila un seguito di principi e di leggi adempiendo le quali sono persuasi che l’ordine si crei.
I farisei definivano l’ordine con un numero quasi infinito di leggi.
(96) Chi è l’uomo che possa dire: «Io obbedisco a tutte le leggi?»
Si può dire: «Riconosco queste leggi come necessarie», ma chi le mantiene tutte? Chi può dire: «Le osservo tutte?» Il fariseo nel tempio!
Invece, in fondo al tempio, c’è il poveretto che riconosce di essere andato contro la legge: «Signore perdonami, perché sono un peccatore».
Adempimento della legge
(22) – Per Andrea e Giovanni il cristianesimo, o meglio, l’adempimento della Legge, il farsi della promessa antica, della cui attesa viveva il popolo ebraico buono, il Messia, Colui che doveva venire e che il popolo aspettava, era un uomo davanti ai loro occhi: se lo sono trovato davanti, l’hanno seguito, sono andati a casa sua e sono rimasti tutto quel pomeriggio con lui, meravigliati, con la bocca spalancata, a guardarlo parlare.
LETIZIA
(105) – «Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina»
Da questa letizia sorge la pace, la possibilità della pace.
(205s) – Una gratuità che è fonte di letizia dentro ai sacrifici, alle contraddizioni e al dolore.
Un brano della liturgia ambrosiana dice: «Renderò evidente la mia presenza nella letizia dei loro cuori», e un altro pone esplicitamente il nesso tra questa letizia e l’avvenimento di un popolo nuovo: «Nella semplicità del mio cuore lieto ti ho offerto tutto e così ho visto il tuo popolo con grande gioia offrirti doni».
L’avvenimento di Cristo c’entra con l’adesso, tanto che lo cambia efficacemente, più efficacemente di tutte le risorse sociali che si possano immaginare, perché la parola «gioia», o «letizia», non può essere lo scopo assicurato da alcuna risorsa sociale pur nuovamente concepita.
Il dovere supremo di chi ha la fede, del protagonista della storia in questo popolo nuovo, è proprio quello di dimostrare, di testimoniare la verità dell’avvenimento di Cristo attraverso una letizia che permane anche nelle circostanze peggiori della vita, la letizia essendo il paragone eccezionale, vertiginoso, di un cambiamento avvenuto, così da rivelare una ontologia nuova.
(214) – L’uomo è lieto perché Dio vive: il suo è un dolore carico di letizia, ma è sempre dolore, un dolore di sé.
LIBERTA’
(47) – La libertà dell’uomo si riassume nella domanda: «Accettando che tutto è grazia, Ti chiedo la grazia»: così si salva totalmente il fatto che tutto è grazia, sia il fatto che tutto è grazia, sia il fatto che la grazia di Cristo dipende nella sua efficacia anche dalla mia libertà.
(110) – (La permanenza della Sua presenza) è grazia, come lo è l’incontro, lo stupore, la sua continuità, l’impeto di adesione: e tale grazia diventa nostra perché l’accettiamo.
Accettare questa novità assoluta, che riaccade mille volte al giorno, è l’aspetto supremo della libertà.
(112) – Il Paradiso implica la decisione tua, implica la responsabilità: perché il paradiso è per l’uomo, e l’uomo è libero.
La responsabilità si esprime come decisione della libertà di fronte alla Presenza riconosciuta come totalmente corrispondente al proprio destino. Ma troppe volte è sbagliato il nostro modo di concepire la decisione della libertà come se essa fosse un atto determinato ultimamente da me: io decido di dirti di sì, io decido di dire «sia fatta la tua volontà».
(189ss) Non si può educare se non rivolgendosi alla libertà, impegnandola alla responsabilità e all’azione.
La libertà definisce l’io: è già tutta presente quando l’uomo dice «io», è già tutta presente quando l’uomo dice «io», è tutta in questo dire io.
Ma la libertà è anche ciò a cui si deve educare.
Normalmente si pensa – amaramente e tristemente – alla libertà come assenza di legami.
(190) Libertà è dunque fare ciò che pare e piace? No! la libertà non è questo.
Sperimentalmente, anche psicologicamente, l’uomo si sente libero, veramente libero, non quando fa quello che gli pare e piace, ma, più acutamente, quando è soddisfatto, quando una cosa lo soddisfa, lo compie.
La libertà non è ciò che giustifica l’agire dell’uomo entro i limiti con i quali misura la realtà.
La libertà non è l’esercizio di una misura che restringe il reale tra quattro mura, siano esse piccole come quelle di una stanza o grandi come quelle dell’universo; perché l’universo è sempre una stanza, allargata indefinitamente ma sempre una stanza, «terrena stanza» come la definiva Leopardi.
(191) La libertà non è l’attività che l’uomo svolge prendendo se stesso come misura di tutte le cose, come spazio in cui essere padrone, ma è adesione a una realtà che non ha mai finito di essere inquisita.
La libertà è quel livello della natura in cui la natura diventa capace di rapporto con l’infinito, dice «Tu» a questa ineffabile, incomprensibile, inimmaginabile presenza senza la quale non è concepibile nulla, perché nulla si fa da sé:
La libertà vera è dunque la capacità che l’uomo ha di aderire all’essere: non solo di decidere, ma di approvare l’essere e aderirvi.
(192) Questa libertà tesa, ad abbracciare sempre più la realtà, diventa fattore di ricerca nel momento in cui si blocca la conoscenza delle cose e quindi l’impostazione della propria opera entro l’angustia di una propria misura del mondo, quando cioè l’azione avviene senza il senso di quell’«oltre» che sta dentro e dietro tutto ciò che l’uomo brandisce.
La libertà infatti ci rende più attenti a ogni richiamo e a ogni correzione, nel senso etimologico sottolineato (reggersi insieme).
Ma la libertà oltre che fattore di ripresa continua, è anche impeto creatore.
Quest’istinto creatore è ciò che qualifica la libertà in un modo ancor più positivo e sperimentalmente affascinante: una società è fatta dall’imporsi di questa creatività di cui la libertà dell’uomo è capace. Possiamo ora segnalare i fattori nei quali si verificano una educazione attuata dell’adulto e una libertà dell’uomo conclamata con serietà, una educazione e una libertà concepite secondo il loro significato profondo e originale.
(193) L’educazione alla libertà compiuta giunge fino ad esprimersi come educazione alla vita sociale, nell’approssimazione del rischio di ogni momento contingente. Una educazione alla vita sociale implica quattro punti fondamentali: l’educazione al lavoro e alle opere, la libertà di educazione, l’educazione alla giustizia e l’educazione alla vita politica.
(197) – La libertà ha la sua espressione privilegiata nel poter giudicare.
GPII:« Fuori della libertà non può esserci cultura».
Il processo educativo è un rischio proprio in quanto si gioca tutto sulla libertà di chi educa e sulla libertà di chi viene educato.
Se questa libertà è inerente all’educazione, si comprende allora come la condizione essenziale per una dignità dello sviluppo educativo e di cultura risieda nella possibilità di valorizzare la propria posizione culturale e di comunicarla, liberamente ad altri.
Per poter educare alla libertà deve esserci la possibilità di educare liberamente.
(198) La preoccupazione educativa è certamente il più grande segno di volontà di dono e di passione amorosa per l’uomo.
Come è desiderabile, di fronte a chi si ama, la libertà di educare, nell’educare, nell’aiutare a entrare nella realtà intera.
Ma una vera umanità non può svilupparsi in un regime di costrizione.
Fuori della libertà non ci possono essere né una vera educazione umana, né un’autentica cultura: perciò l’educazione e la cultura, che nascono libere, devono anche diffondersi in libertà.
Libertà del Mistero
(78) – La scelta e l’elezione sono la pura libertà del Mistero di Dio in azione, la libertà assoluta del Mistero che si esprime.
Il Mistero di Dio, che si esprime come libertà nella scelta o nella elezione, vibra, può e deve vibrare, con timore e tremore, con umiltà assoluta, dentro la preferenza umana, perché la preferenza umana è l’ombra della scelta della libertà di Dio.
Ma la scelta della libertà di dio che elegge Uno, nascosto come un piccolo fiore invisibile nel seno della Madonna, è per tutto il mondo.
Libertà di educazione
(197) – La libertà ha la sua espressione privilegiata nel poter giudicare.
GPII:« Fuori della libertà non può esserci cultura».
Il processo educativo è un rischio proprio in quanto si gioca tutto sulla libertà di chi educa e sulla libertà di chi viene educato.
Se questa libertà è inerente all’educazione, si comprende allora come la condizione essenziale per una dignità dello sviluppo educativo e di cultura risieda nella possibilità di valorizzare la propria posizione culturale e di comunicarla, liberamente ad altri.
Per poter educare alla libertà deve esserci la possibilità di educare liberamente.
La preoccupazione educativa è certamente il più grande segno di volontà di dono e di passione amorosa per l’uomo.
Come è desiderabile, di fronte a chi si ama, la libertà di educare, nell’educare, nell’aiutare a entrare nella realtà intera.
Ma una vera umanità non può svilupparsi in un regime di costrizione.
Fuori della libertà non ci possono essere né una vera educazione umana, né un’autentica cultura: perciò l’educazione e la cultura, che nascono libere, devono anche diffondersi in libertà.
Prima libertà
(198) – Nella vita concreta, la prima libertà non è verso me stesso, per così dire, ma verso chi amo: il figlio, il fratello, ma, cristianamente parlando, anche il più estraneo di tutti.
Uso arbitrario della libertà
(31s) – Il disegno originario, ciò per cui l’uomo è creato, è stato alterato dall’uso arbitrario della libertà; gli uomini tendono così verso un particolare che sganciato dal tutto, viene identificato con lo scopo della vita.
Uscire da questa parzialità non è nelle nostre mani: nessuno di noi da solo riesce a riportarsi a uno sguardo vero sul reale.
LIMITE
(182s) – L’avvenimento di Cristo è la vera sorgente dell’atteggiamento critico, in quanto esso non significa trovare i limiti delle cose, ma sorprenderne il valore.
(183) I limiti, schiaccianti, balzano agli occhi di tutti, il valore vero delle cose invece lo trova soltanto che ha la percezione dell’essere e del bene, chi fa emergere e fa amare l’essere, senza obliterare, tagliare, chiudere o negare, perché la critica non è ostilità alle cose, ma amore ad essere.
Si sottolinea il positivo, pur nel suo limite, e si abbandona tutto il resto alla misericordia del Padre.
(191) – E come uno soffoca stando in una stretta stanza sempre a letto ammalato per giorni e giorni, così soffoca nel guardare il cielo, la terra e il mare, se li guarda come limitati.
La morte è il simbolo di tutto questo.
Il limite supremo.
Dopo mille anni saremo ancora più pervasi dal senso di timore che viene pensando alla nostra limitatezza di fronte all’immensità dell’origine delle cose, all’incommensurabilità del Mistero delle cose e dell’universo come mistero.
LOTTA
(79) – Egli si è mosso verso di noi e ha stabilito, come vir pugnator, una lotta per l’«invasione» della nostra esistenza, si chiama Battesimo.
(80) – Ma il Battesimo che cosa significa? Lo si incomincia a capire nell’incontro con una compagnia cristiana viva; poiché in esso si desta una memoria che dà pace al cuore, soddisfazione all’animo e che, nello stesso tempo, rende combattiva la vita, fa capire che la vita è un combattimento per l’affermazione di Cristo.
(147) – I cristiani sono uomini che, riconoscendosi in compagnia, in amicizia, vivono una lotta nel tendere tutto di sé verso lo scopo della vita come ideale comune del popolo.
La vita è concepita come tensione verso il Destino, come lotta per il bene, così che diventa facile mettersi in comune per aiutarsi.
(152) – Noi lottiamo per la gloria di Cristo nel tempo, nella storia.
Siamo anche noi «mandati» per questa battaglia.
(155s) – Cori da la «Rocca»: «Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima, eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce…»
Sempre in lotta, nella coscienza ogni giorno più lucida della nostra debolezza, del proprio limite umano.
(156) «Lotta» è la nostra parola.
Questa è la concezione della vita, della vita come morale: lotta o ascesi, come dicevano i nostri padri, una ascesi vera e propria, una tensione a diventare migliori.
La vita come ascesi, come dramma, come lotta per il bene, è introdotta nel mondo solo da Cristo.
Siamo ben consapevoli della nostra fragilità umana, che si accumuna a tutti gli uomini, ma anche nella certezza in Cristo, che si differenzia da tutti gli uomini, e quindi della letizia e dell’ottimismo che spiegano l’inesauribile ripetersi dei nostri tentativi: sempre in lotta.
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