Temi: Si può (veramente?!) vivere così? (3)

edizione di riferimento

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV


[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]

Indice linkato:


126 – Edimàr era uno come voi, che ha trovato una insegnante che diceva in classe le cose che ci diciamo tra noi, perché quell’insegnante ha seguito la Scuola di Comunità come la seguiamo noi.

Edimàr, che apparteneva a una cosca di ragazzi assassini, è stato come sconvolto, ha cambiato animo e si è trasformato in poche settimane.

Ha detto: «Io non ammazzo più». Così che, quando il suo capo gli ha detto: «Ammazza questo qui. Se non lo ammazzi, io ammazzo te», lui ha risposto: «Ammazza me».

Ha dato la pelle, ha dato la pelle per queste cose qui; per quello designato come vittima, ha dato la pelle lui.

Così, immaginate, con Cristo, quegli uomini semplici e «nerbosamente» decisi.

Quell’uomo avrebbe dato la pelle per loro, ma anche loro avrebbero dato la pelle per Lui; in loro questo proposito era ancora debole, poi l’hanno data realmente tutti, tutti, dal primo all’ultimo.

«Quest’uomo che darebbe la pelle per me – lo capisco! – che ha detto che dava la pelle, che l’avrebbe data la pelle per me pochi giorni dopo, quest’uomo dice: «Io sono; io sono la via, la verità, la vita; io sono Dio»[Gv14,6].

Io non capisco come fa a dir così, non capisco come questo avvenga; dico che se contraddico questo, contraddico l’evidenza che ho di lui, vado contro me stesso, sarei incoerente con me stesso.

132 – Perché è Dio può dare la sua carne e il suo sangue da mangiare e da bere; ma può avere il pensiero di dare la sua carne e il suo sangue perché uomo.

E ognuno di noi certamente ha già sperimentato nel suo piccolo che quando si vuol bene tanto a una persona si direbbe: «Darei la mia pelle per te».

Avete mai avuto voglia di «dar la pelle per»? Abbiatela un pò in fretta.

Una madre per un suo bambino darebbe la pelle, un uomo per la sua donna darebbe la pelle (in qualche momento).

Ma per dare la pelle occorrerebbe una potenza infinita, un potere infinito: perché l’uomo non può dare la sua pelle per salvarti, occorre che sia Dio.


566 – Non può essere una obiezione al mio sì il fatto che io sia debole e fragile come una foglia al vento: non può essere un obiezione, perché «la tua forza è più grande della mia debolezza» [2 Cor 12,9].


173 – Giussani intervento (a proposito dei Padri della Chiesa di fronte alle difficoltà dei Vangeli): «Non cancellano questi dati, non saltano il problema, così come si pone, con la contraddizione apparente in cui si pone, non riesce a cancellare la loro adesione al positivo

Carrón: «Questo mi pare accada tutti i giorni: quando una persona che è sposata decide di separarsi, adduce certi motivi. Ma se fossero quelli i motivi reali, tantissimi dovrebbero andare via dal marito e dalla moglie. Invece non si separano, perché questi non sono veri motivi. Quando uno ha deciso una cosa, siccome vuol essere “ragionevole”, deve dare certi motivi

551 – Questa è la decisione: se essere e rimanere e affrontare tutto come il gesto creatore mi ha fatto, con gli occhi sbarrati, povertà di spirito, purità di cuore…


548 – Non è la decisione di Simone a dir di sì, ma quella semplicità per cui il sì è nato dalla sua convivenza di tre anni.


476 – «La dedizione di sé all’altro non è una cosa generica, è una cosa molto concreta. Perché Perché l’io vive, non come un nuvolone astratto, vive come atto; l’io vive come atto, si muove come atto» [Si può vivere così? p.290].


270 – Secondo me, non è del tutto vero che prima c’era la definizione, adesso c’è il senso del Mistero e perciò si conosce di più.

La definizione conduce a parole note; se è Mistero, non può essere ricondotto a parole note – può essere ricondotto a parole note -, ma tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne ha la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.

271 – «L’uomo è un animale razionale»: questa definizione per una madre non basta, per un’amante non basta, per un amico non basta, per un uomo morale e buono non basta.

Può bastare benissimo per i potenti, per gli sfruttatori, per chi ha come dei l’usura, la lussuria e il potere, come diceva Eliot.

381 – Se non si ritira di fronte alla donna che ammira, l’uomo la perde; se pretende di definirla, l’ha persa, la rovina, rovinando se stesso.


381 – Devi distaccarti da esso perché sei troppo piccolo, non riesci ad abbracciarlo, non riesci a definirlo: questa è povertà.

L’opposto della povertà sarebbe pretendere di definirlo: definire una cosa è possedere una cosa.

Non poter definire una cosa vuol dire povertà di fronte alla cosa.


270 – Secondo me, non è del tutto vero che prima c’era la definizione, adesso c’è il senso del Mistero e perciò si conosce di più.

La definizione conduce a parole note; se è Mistero, non può essere ricondotto a parole note – può essere ricondotto a parole note -, ma tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne ha la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.


333 – L’esaltazione che si genera nell’uomo – questo sogno – nella concreta esistenza condanna ad una continua delusione.

La vita è un inganno allora, sogno come inganno; una esaltazione in senso patologico: tutto – ma tutto! – come illusione.


11 – «Oggi iniziate una cosa che non conoscete ancora. Allora è giusto cominciare domandando a Dio che ci aiuti, perché è un cammino che non conosciamo. Di fatto, di questa cosa nuova avete confuso desiderio…» [Si può vivere così?].

Confuso desiderio: molto confuso, sarei stato più cauto se avessi detto «confusa disponibilità»

«Ma non basta, occorre allora domandare che questo desiderio sia illuminato e assecondato» [Si può vivere così?]

Occorre che il desiderio di sapere questa strada sia illuminato, cioè abbia ragioni chiare.

E poi assecondato, perché se ili desiderio ha le sue ragioni lo devi seguire. Per questo la lotta si scatenerà sulle ragioni; perché se ammetti le ragioni, poi sei fregato: devi seguire!

195 – La risposta al problema di aderire al destino occorre innanzitutto udirla gemere nel cuore, quando, con semplicità indifesa, sentiamo l’inevitabile desiderio per cui siamo fatti.

232 – Occorre un desiderio del vero e del bello assoluto per interessarsi veramente di tutto quel che accade, di tutto quello che passa davanti ai nostri occhi.

La conoscenza non è mai tale se non termina in una affezione.

250ss – «Seguire quello che ti sta davanti vuol dire chiedergli: “Come fai a viverlo? Come si fa a viverlo?”. Capite che qui l’accento principale è sul desiderio, il desiderio di viverlo anche noi, il desiderio di vivere; la serietà del vivere, la verità del vivere e il desiderio di vivere. “È il desiderio di vivere che ti fa domandare”» [Si può vivere così? p. 126-126].

È che per chiedere devi proprio desiderarlo. Tu chiedi continuamente una cosa se la desideri sul serio.

E quando puoi desiderarla sul sul serio, sentire come un trasporto che ti spinge a seguirla sul serio? Quando avviene questo? Quando hai capito che quella roba lì in qualche modo ti interessa.

253 – Intervento: «Don Gius, cosa dici della perseveranza del desiderio che ci vuole per questa cosa?»

Ecco, della perseveranza del desiderio dico che non è oggetto della nostra forza di volontà, come tutti credono.

Intervento: «È una grazia?»

È piuttosto un oggetto di domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

Qual’è la parte della libertà in questa grazia? La domanda! La grandezza della libertà dell’uomo sta nell’imperterrita domanda.

266 – Tutto l’attaccarsi che l’uomo fa a questi ideali (la bellezza, la verità,la creatività, il lavoro) e, perciò, la stima che porta ai suoi desideri, lo accecano sulla provvisorietà di essi; l’uomo non vede che tutti questi sono dei segni, dei segni lungo la strada.

Tutti gli ideali destati lungo il cammino sono in funzione di Lui, l’Ideale; i desideri dell’uomo sono veri ed efficaci solo se vissuti in funzione del desiderio di Lui.

324 – Voglio parlare di una caso umano (Giacomo Leopardi) dove si vede chiaramente come la speranza è una parola umana, ed è là dove c’è un desiderio e spera di soddisfarlo (non c’è altra parola: spera di soddisfarlo!).

Poi, magari, se la grazia di Dio ha pietà di Lui, s’accorge che la speranza di soddisfare quel desiderio apre un problema: non risolve un problema, apre di più un problema che sta dietro quel desiderio, tanto che l’individuo dimentica quel desiderio e si butta in quello che sta dietro il desiderio.

Il desiderio sembra definito, era definito, ma quello che si rivela, che sta dietro a quel desiderio, è il Mistero.

Ma senza che il Mistero si riveli Lui a noi, dica sé a noi – come nell’amare una persona: tu non la puoi conoscere veramente se essa non ti si rivela -, quello che pensiamo del Mistero, che immaginiamo del Mistero, l’interpretazione che diamo alla parola, stringe la parola, la colloca in prigione.

Per tutta la gente attorno a noi la speranza è messa in prigione, a languire in prigione.

327 – La sublimità del sentire è la prima caratteristica della poesia leopardiana.

La sublimità dell sentire è questo grande interrogativo che nasce dal contrasto tra l’impeto di «desiderii infiniti» e di «visioni altere» che trovano nel cuore dell’uomo la loro terra propria e, dall’altra parte, questa improvvisa distruzione, questo annichilimento subitaneo che una banalità qualsiasi genera.

331 – Quindi, la sublimità del sentire è data da una specie di differenza di potenziale che c’è nell’uomo tra i «desiderii infiniti» che una cosa bella e amata e desiderata fa sorgere, e quello che l’uomo è, quell’annichilamento subitaneo che una banalità qualsiasi produce, «in nulla torna quel paradiso in un momento».

Ma Leopardi grida, comunica in modo così potente l’anelito dei «desiderii infiniti», delle «visioni altere» – l’interrogativo che costituisce il cuore, cioè la ragione dell’uomo – che tutte le sue risposte negative si sentono come appiccicaticce.

Quando la speranza della natura è nel desiderio – guardate che razza di infinitezza ha il desiderio anche naturale – , quando la natura si esprime in desideri, non si può dire: «Non si avverano»,, non si può risolvere negativamente.

392/393 – Intervento: «Vorrei capire uale è la dinamica del desiderio nella povertà».

La dinamica del desiderio nella povertà l’ha già accennata la nostra amica portoghese, perché la preghiera è desiderio espresso.

393 – Se la preghiera è desiderio espresso, la dinamica del desiderio nella povertà è la domanda che ciò per cui essa è necessaria accada.

Per cosa è necessaria la povertà? Per conoscere e possedere: che questo possesso avvenga.

In paradiso sarà il possesso di Dio, non un distacco per avere possesso.

571 – Intervento: «Che cosa fa nascere il desiderio di riconoscere Cristo dentro la circostanza presente, qualsiasi essa sia?».

L’amore alla verità, la perfezione della cosa e, quindi, l’utilità reale della cosa per il mondo, per gli uomini e per il mondo e, quindi, la bellezza, che è lo splendore del vero.

Se una cosa non ha rapporto con l’infinito, non è; e infatti, non sarebbe.


250 – «Seguire quello che ti sta davanti vuol dire chiedergli: “Come fai a viverlo? Come si fa a viverlo?”. Capite che qui l’accento principale è sul desiderio, il desiderio di viverlo anche noi, il desiderio di vivere; la serietà del vivere, la verità del vivere e il desiderio di vivere. È il desiderio di vivere che ti fa domandare: “Come fai a farlo tu, come fai a realizzare quel che capisce”» [Si può vivere così? p. 125-126].

Angela, dov’è la difficoltà, secondo te, a questo punto? È che per chiedere devi proprio desiderarlo.

Tu chiedi continuamente una cosa se la desideri sul serio.

253 – Intervento: «Don Gius, cosa dici della perseveranza del desiderio che ci vuole per questa cosa?».

Ecco, della perseveranza del desiderio dico che non è oggetto della nostra forza di volontà, come tutti credono.

Intervento: «È una grazia?».

È piuttosto oggetto di una domanda.

Perché la grazia viene dopo la domanda.[…] la grandezza della libertà dell’uomo sta nella imperterrita domanda.

296 – «Il desiderio diventa sicuro di sé quando […]domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza ha promesso» [Si può vivere così? p. 161].

Se l’uomo nasce dal grande Mistero, è sicuro quando s’appoggia al Mistero da cui nasce, cioè quando domanda che avvenga quello per cui il Mistero lo ha fatto, quello per cui il Mistero gli ha fatto insorgere domande e desideri.


232 – Occorre un desiderio del vero e del bello assoluto per interessarsi veramente di tutto quello che accade, di tutto quel che passa davanti ai nostri occhi.

La conoscenza non è mai tale se non termina con una affezione.

250ss – «Seguire quello che ti sta davanti vuol dire chiedergli: “Come fai a viverlo? Come si fa a viverlo?”. Capite che qui l’accento principale è sul desiderio, il desiderio di viverlo anche noi, il desiderio di vivere; la serietà del vivere, la verità del vivere e il desiderio di vivere. È il desiderio di vivere che ti fa domandare: “Come fai a farlo tu, come fai a realizzare quel che capisce”» [Si può vivere così? p. 125-126]

Angela, dov’è la difficoltà, secondo te, a questo punto? È che per chiedere devi proprio desiderarlo.

Tu chiedi continuamente una cosa se la desideri sul serio.

E quando puoi desiderarla sul serio, sentire come un trasporto che ti spinge a seguirla sul serio? Quando hai capito che quella roba lì ti interessa.


253 – Intervento: «Don Gius, cosa dici della perseveranza del desiderio che ci vuole per questa cosa?».

Ecco, della perseveranza del desiderio dico che non è oggetto della nostra forza di volontà, come tutti credono.

Intervento: «È una grazia?».

È piuttosto oggetto di una domanda. Perché la grazia viene dopo la domanda.[…] la grandezza della libertà dell’uomo sta nella imperterrita domanda.


(cfr anche: Dio, Mistero, Padre)

195 – La risposta al problema di aderire al destino occorre innanzitutto udirla gemere nel cuore, quando, con semplicità indifesa, sentiamo l’inevitabile desiderio per cui siamo fatti.

202 – Coscienza del destino e coscienza della realtà: il destino non è nient’altro che il significato ultimo della realtà, ciò per cui la realtà vale la pena che sia.

Allora uno è attaccato a questo destino: ama.

Amare il destino vuol dire amare se stessi veramente.

E il nesso tra i due sta nel fatto che l’affezione al destino ti permette di vivere le cose servendo il destino, non «a capocchia».

«La comunità è letteralmente, fisicamente Gesù che fa queste cose, Gesù presente; allora è nella comunità che impari che cosa è il destino, e ti dà la fede, ti sostiene nella fede, governa ed educa la tua fede, ti fa capire che cosa è la libertà ed educa la tua libertà, nella coscienza del senso religioso sviluppato e nella coscienza del sacrificio da fare e, quindi, nella consapevolezza umile e senza inutile disperazione del tuo peccato, del tuo peccare, della facilità del peccare» [Si può vivere così? p.76].

359 – Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la proprio esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità, allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.

451 – «La coscienza dell’uomo è quella capacità che l’uomo ha di radunare tutte le cose al loro destino, alla loro origine e al loro destino: unisce, per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera» [Si può vivere così p.269]

La coscienza è quella capacità che l’uomo ha di guardar le cose secondo tutte le loro qualità, ma, soprattutto e ultimamente, di individuarne la qualità suprema: in che rapporto sta questa cosa con il destino.

La coscienza dell’uomo raduna tutte le cose al loro destino; non l’occhio e il destino, non il naso e il destino: raduna occhio, naso, orecchio, cervello, epifesi, ipofisi (cioè l’umanità), poi l’umanità con gli alberi; raduna tutto il mondo e lo individua nel suo rapporto con il destino.

Cosa suppone questa frase? Che il destino è uno per tutto. Cosa vuol dire questa frase? Che tutto è soggetto al Mistero che fa tutto. Tutto è soggetto, tutto!

Il destino di tutte le cose è il Mistero che le fa.

469 – La ragione della commozione è come lo sguardo pieno di pietà per il bisogno dell’uomo che sta accasciato ai margini della strada, il bisogno che ogni uomo ha, analogamente al mio cuore, del Destino, di un Destino che sia dimora: dove tutto sia per me, dove io sia fatto tutto compiuto da altro, così che l’altro afferma me e io affermo lui, io affermo lui e l’altro afferma me.

483 – Una preferenza è tale in quanto è segno del l’ultimo, del grande, del totale, del finale: dell’ultimo.

E questo è il destino di ogni cosa: se tu guardi la foglia di un albero, o se tu guardi il capello che viene sul naso della tua compagna, o se tu guardi i sentimenti del tuo cuore, quello che guardi – che è un momento del tempo, un momento della realtà – vale – condensa tutta la forza della ragione, condensa tutta la capacità affettiva, condensa l’impeto costruttivo, condensa il genio dell’io – in quanto è segno dell’ultimo.

513 – (Primo: desiderio di felicità). Secondo: la verginità ha bisogno che uno riconosca il destino – l’oggetto ultimo del proprio desiderio di felicità, il volto del desiderio di felicità, il volto della felicità: il destino cioè Dio, il Mistero, cioè Cristo, un uomo che camminava per le strade della Palestina, un uomo che è ora dove sei tu e ti parla dove sei attraverso tutto ciò che ti circonda, ti parla, ti ridice queste cose, ti prende per il cravattino e ti dice: «Tu» (ringrazialo quando fa così, perché ti sveglia!) -.

La verginità ha bisogno di uno che riconosca il destino presente a sé: Gesù presente nella storia.

Terzo: Che riconosca, quindi, il mistero del sacrificio come condizione e non come fine.

La strada della verginità esige che tu riconosca il destino presente a te, presente nella storia, presente nel mondo; ed esige che tu riconosca il mistero del sacrificio, che il sacrificio è necessario.

La croce, cioè il sacrificio, è condizione inevitabile.


201 – Intervento: «Vorrei essere aiutata a capire che cosa è la coscienza del destino, che cosa significa amore al destino, e qual’è il nesso che li lega.»

Coscienza del destino vuol dire che uno, usando la sua ragione, capisce che è costretto a dire: tutto ciò che vive e si muove, si muove verso uno scopo, per attuare uno scopo totale, generale, un ordine determinato reso significativo da una idea ultima, suprema, che si chiama anche volontà di Dio o disegno di Dio.

Coscienza del destino vuol dire, dunque, riconoscere che tutta la realtà appartiene ad un disegno unico nel quale l’attività decisiva è dell’uomo, signore del creato, per cui Dio ha fatto il mondo.

E non solo riconoscimento che c’è questa incognita ultima, questo destino ultimo, questo traguardo ultimo nel quale tutte le cose si ricompongono; ma affezione ad esso, perché uno per natura è spinto ad amare se stesso, e uno non ama se stesso se non ama il suo destino ultimo.

202 – Coscienza del destino e coscienza della realtà: il destino non è nient’altro che il significato ultimo della realtà, ciò per cui la realtà vale la pena che sia.

Allora uno è attaccato a questo suo destino: ama.

Amare il destino vuol dire amare se stessi veramente. E il nesso tra i due sta nel fatto che l’affezione al destino ti permette di vivere le cose servendo il destino, non «a capocchia».

521 – «Per il destino degli uomini. Come Lui ha vissuto? Concependo la vita – la vita è ogni azione, anche il dormire, anche lo svegliarsi, anche il mangiare, anche il bere, e poi tutto il vivere e il morire – per il mondo, per il disegno di Dio nel mondo, cioè per tutti gli uomini. È per gli uomini, per la gente che c’è in Giappone, per la gente che c’è in Australia, per la gente che c’è al polo Nord, per la gente che noi non conosciamo e che incominciamo a percepire come parte di noi stessi, per cui uno deve dare la vita per quella gente. Tutto quello che si fa è per la vita degli uomini, per il destino degli uomini, perché raggiungano il loro destino» [Si può vivere così? p.350-351].


468 – L’uomo è quel livello della natura in cui la natura è cosciente di sé, del suo destino, di quel che deve fare per andare al suo destino.

Quel che deve fare per andare al suo destino è condividere il bisogno della felicità con gli altri; il bisogno del cammino alla felicità vuol dire il bisogno di camminare verso il destino con tutti gli altri; chiunque siano.


526 – L’affezione non si può sospendere: il problema affettivo gioca il rapporto diretto con il divino; il rapporto affettivo ha talmente connessione col destino che crea, che è fatto per creare.

La verginità ha come compito nel mondo di proclamare ed esemplificare la verità dell’umano: non è amore se non tende ad essere senza ritorno, è egoismo; non è amore senza ritorno se non è pronto a sacrificare la vita: «Nessuno ama tanto gli amici come colui che dà la vita per i propri amici» [Gv 15,13]: nessuno osi tentennare sulla stima di questa frase di Cristo.


485/86 – «Attaccamento all’altro, affezione all’uomo; sia come devozione (rispetto) sia come fedeltà (continuità del rispetto)» [Si può vivere così? p. 293].

Volere che l’altro sia, far di tutto perché l’altro sia, aiutarlo ad essere, rispettandolo nei suoi tentativi e fedeli a ciò che gli si deve.

Per sentire mio l’uomo che mi è antipatico, estraneo, antipatico o nemico, che mi ha fatto del male, per sentirlo mio – ma è un controsenso! – bisogna capovolgere la mentalità.


52 – La moralità è la non bugia.

Infatti, san Giovanni il peccato lo chiama menzogna.

Il diavolo è il mentitore, il padre della menzogna.

295 – Intervento: «Se la posizione positiva di fronte alla realtà è un atteggiamento naturale, allora vuol dire che mantenerla è un problema di libertà?»

Giusto! è un problema di libertà: tocca a te; è qui dove casca l’asino (tu ed io).

È una questione di libertà, ma è qui dove si vede il punto dove si vede la fragilità della libertà.

La libertà dovrebbe correre su questo filo – il filo che separa l’aspetto buono dalle cose dalla volontà omicida che si cela in esse: l’odio (il diavolo è il principio che odia l’uomo) -, è come un filo: se è per terra ci passi, se è a cento metri cadi, hai la vertigine.

È qui dove l’uomo capisce la sua debolezza.


531 – Pietro di Craon è l’architetto, il genio che costruisce l’espressione con cui il popolo ritrovi la sua unità, vale a dire ritrovi la sua dimora: nella dimora c’è l’ideale e nella dimora viene ricoverato ogni errore.

E tutto il popolo si trova uguale di fronte alla infinità dell’ideale e di fronte alla miseria dei suoi errori.

Il genio per eccellenza è l’architetto, l’architetto costruttore di cattedrali, perché la cattedrale costituisce il più grande simbolo dell’unità tra gli uomini che sia mai stato pensato.


577ss – il Mistero per farsi conoscere, non parla all’orecchio di uno che dorme, non parla alla mente di uno che riflette, entra dentro nella storia come un fatto.

Avvenne un fatto.

È un fatto, o meglio ancora, con una parola più appropriata: un avvenimento.

La parola avvenimento indica la sorgente della novità nella storia.

La novità è attraverso l’avvenimento.

Ma cosa vuol dire che Dio si fa conoscere in un avvenimento?

Il primo avvenimento è la Madonna. L’avvenimento avviene in un luogo, in un posto, in un determinato tempo.

Il posto e il luogo è stata la Madonna, il corpo della Madonna, il seno della Madonna, in un momento storico che è stato anche documentato all’anagrafe di Betlemme, duemila anni fa.

578 – Come facciamo noi a prendere rapporto con Lui in modo tale da conoscerlo e da stupirci, come l’hanno conosciuto e se ne sono stupiti Giovanni e Andrea?

578 – Quel luogo, che è stato originalmente il seno della Madonna, è diventato un luogo più vasto, dove c’entravano anche gli zii e i parenti: era la casa di San Giuseppe.

La casa di San Giuseppe, con quelle mura, era come il mistero nel seno della Madonna dilatato.

Dopo Lui è uscito di casa e si è tirato dietro Giovanni, Andrea…quelli lì, quella dozzina lì erano diventati le mura – mura dilatate – della casa di Nazareth.

Quelli lì andavano a casa, lo dicevano alle mogli, agli altri parenti, e ai figi: sono diventati una settantina.

Quei settanta lì hanno raggiunto i confini del mondo conosciuto di allora: san Tommaso, l’apostolo, è andato fino al Kerala, altri hanno raggiunto la Spagna, altri hanno raggiunto l’Italia del Nord.

Così, quello che era il corpo di un bambino, quello che era la figura di un giovane e di un uomo, comunicava se stesso, si faceva conoscere e stupiva dapprima i seguaci permanenti, quel gruppo di fedeli a Lui.

Fedeli perché di una convivenza la caratteristica suprema è la permanenza, altrimenti non è convivenza.

Questa convivenza si è dilatata fino alla casa della mia mamma, la quale l’ha detto a me: si è dilatata fino a me.

579 – E l’affare continua, e continuerà fino alla fine del mondo!.


(Cfr. anche: Destino, Mistero, Padre)

79 – La ragione può arrivare fino a scoprire l’esistenza del Mistero […] i motivi che sostengono la nostra adesione alla vocazione si appoggiano alle conoscenze che la nostra ragione può avere in campo religioso, nel suo rapporto con Dio.

94 – Intervento: «Che Cristo è Dio non lo affermo per dimostrazione diretta. È giusto dire che lo affermo con ragione perché mi baso su una esperienza eccezionale?».

La ragione non può dimostrare la divinità di Cristo, perché la divinità in quanto personalmente presente in una realtà umana nonn è oggetto proprio della ragione.

La ragione può arrivare al fatto che si trova di fronte a qualche cosa di eccezionale, non può arrivare a definire chi è Gesù Cristo, in quanto divino che si comunica all’umano.

102 – «Qual’è la sorpresa più grossa che avete avuto la volta scorsa? Sentir parlar di fede in cui non c’entrano né Dio né la Madonna, né i Santi, ma sentir parlare di fede come aspetto della ragione, l’aspetto più importante nell’uso della ragione. Perché più importante? Perché su di essa è fondata la convivenza, la storia e la cultura. Ma prima ancora perché tale metodo implica l’impegno della totalità della persona.» [Si può vivere così? p. 34].

Dio è talmente verità che ha bisogno di una sola cosa: del nostro desiderio di verità e basta, della nostra volontà di verità.

Ed è talmente vero che noi abbiamo bisogno di Dio che qualsiasi cosa voi avrete dalla vita – qualsiasi cosa: anche l’incontro più fortunato -, se non è rapportabile con Dio, se non è legata a Dio, la perderete.

186 – La libertà in pieno e nel senso assoluto, nella sua totalità infinita, è Dio perché Dio non ha sofferto un istante di no, mentre tutti i bambini hanno sofferto almeno un istante di no.

Il cuore è esigenza di verità, di giustizia, di felicità, e in tutto quello che l’uomo raggiunge non c’è mai questo.

192 – «Il cuore è esigenza di verità, di giustizia, di felicità, e in tutto quello che l’uomo raggiunge non c’è mai questo. Perciò, ciò a cui l’uomo tende è qualcosa che è al di là: è trascendente. Così la coscienza di sé percepisce l’esistenza di qualcosa d’altro, cioè di Dio, del Mistero, Dio come Mistero. Per adesso segnamo così: Dio è l’estremo limite a cui il desiderio dell’uomo tende» [Si può vivere così? 68-69].

313 – Non crediamo – se non per una emergenza rara, di circostanze rare -, noi non crediamo che il disegno del mondo è di Dio, è volontà di Dio.

Non crediamo in Dio, non crediamo esistenzialmente in Dio: Dio è un fattore della meccanica universale come per il razionalismo dell’Ottocento.

E invece Dio è alla radice di ogni pianta, di ogni erba, di ogni fiore, di ogni uomo e di ogni sasso.

È un’altra cosa Dio, per questo si chiama Mistero, e non è concepibile, non è immaginabile.

356 – «Uno può fissare la speranza della sua vita in una determinata cosa che Dio gli dà; se uno entra nel Gruppo Adulto deve sperare la felicità dal Gruppo Adulto, in quanto Dio gli ha dato questa vocazione e nella misura in cui è alla mercé della modalità che Dio usa e con cui Dio usa le cose» [Si può vivere così? p. 216/217].

Il Signore crea per compiere. Lo dice san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porta a compimento nel giorno di Cristo» (Fil 1,6), cioè nel giorno finale.

Questa è la disposizione di Dio, la capacità di Dio.

450 – Dionigi l’Areopagita, scrittore del V secolo, diceva che Dio è persona, ma non è persona, perché Dio è la somma personalità.

«Somma personalità» supera il concetto che noi abbiamo di personalità, perciò si può anche dire che Dio non è persona, ma non si può non passare attraverso la parola umana «persona».

455/456 – Perché – lo pensavo per uno che si è suicidato – come facciamo noi a capire le misure di Dio?

Questo è certo: se uno ha fatto dei gesti buoni, un solo gesto buono varrebbe per redimere tutto.

Come potrebbe l’Essere infinito, come potrebbe Dio, come potrebbe lo Spirito di Dio, Spirito di vita, Dio che è carità, sopprimere un gesto veramente buono, un gesto di carità? Non può.

Ma il modo di muoversi dell’essere è ancora più bello: se questo gesto di carità lo fa chi ti è padre, madre, parente, amico, e lo fa per te, lo offre a Dio per te perché ti salvi, Dio salva.


133 – Spero che tutti siamo d’accordo che nella maggior parte delle cose che accadono – perché accadono! – non sappiamo il perché.

Il disegno di tutte le cose, non esce da una fabbrica umana, ma è espressione del Mistero divino.

357 – Il disegno di Dio è complessissimo per noi che abbiamo la testa piccola, a cui basta pensare a un fiorellino del campo per vedere una cosa già misteriosa.

Dio, dando l’esistenza, crea come un seme e prevede per questo seme una trama di sviluppo sempre misteriosa ai nostri occhi, che non possiamo prevedere se non nei termini che Lui via via stabilisce.


428/429 – Allora, io vorrei che almeno alcuni di voi incominciassero a capire questo, perché qui si rivela la grandezza di come Dio ha concepito il gioco del suo bambino che è l’uomo; è un grande gioco il rapporto tra l‘uomo e Dio, che diventa tragico per l’improvvisa cattiveria dell’uomo e per la risposta che dà Dio alla cattiveria dell’uomo: Cristo crocefisso.

429 – La risposta di Dio è un fatto: è diventato un piccolo bambino, un uomo, è morto in croce.


517 – L’io di quell’uomo che era il pellegrino russo, che viveva la sua vita camminando di monastero in monastero – era la sua forma di povertà; viveva di elemosina per rendere gloria a Dio -, come faceva a rendere gloria a Dio (gloria a Dio vuol dire gloria all’infinito)?

Quella ragazza nel suo ufficio, se offre a Dio l’istante in cui è, a chi lo offre? All’infinito! Ha un valore infinito. È il rapporto tra l’infinito e il mondo che conta, non il rapporto fra te che fai l’erbivendolo e il mondo, fra te che fai il professore di chimica e il mondo.


109 – Che Dio sia apparso come un uomo – un uomo che andava in giro per le strade era Dio, il Verbo di Dio.

Uno che esce da casa e lo «incoccia», e c’è qualche cosa per cui quello lì lo meraviglia, e gli dice: «Come mai fai così?», «Io sono il figlio di Dio» – è stato un avvenimento.

110 – Che Dio si sia fatto uomo è un avvenimento che per Giovanni e Andrea è apparso quando sono andati là, per Giuseppe è apparso quando è nato il bambino, per i pastori quando hanno visto questo bambino – era già nato – e per i Magi quando sono andati là ad adorarlo; e per noi quando vediamo qualcosa così cambiato che non si potrebbe immaginare niente al mondo capace di questo cambiamento, in noi e in un altro.

134 – L’insegnante di religione – era il primo anno che si faceva scuola di religione in seminario-, don Gaetano Corti, ha spiegato la prima pagina del vangelo di san Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne vuol dire che la bellezza si è fatta carne, vol dire che il vero si è fatto carne, vuol dire che la giustizia si è fatta carne, vuol dire che la bontà si è fatta carne».

Un uomo era tutte queste cose qui.

481 – «Pur vivendo nella carne, io vivo nella fede del Figlio di Dio» (Gal 2,20): bisogna vivere nella carne per capire Gesù. È una esperienza che ci fa capire Gesù.

Se Dio, il Mistero, è diventato carne, nato dalle viscere di una donna, non si può capire niente di questo Mistero se non partendo da esperienze materiali.

Se per farsi capire è diventato carne, bisogna partire dalla carne.

488 – Dio è un uomo, è più dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena di compassione.

571 – Cristo permette un sentimento amoroso per creare il terreno di coltura in cui possa attecchire il seme dell’amore a Lui, perché se Dio è diventato carne, è attraverso la carne che si sale a Dio, che si capisce Dio.


30 – Dio crea l’uomo come promessa e l’uomo attende come risposta.

È molto più concreta la figura del rapporto tra Dio e l’uomo così come la concepisce la Bibbia, così come l’ha rivelata Dio stesso: una tensione, una promessa, che costituisce la nostra carne, le nostre ossa, il nostro cuore, e la risposta è l’ultima parola dell’Essere; l’ultimo volto della realtà è la risposta ad una promessa, Dio è la risposta a una promessa.

274 – (Il libro: Dio: il tempo e il tempio) parla di Dio, il cui rapporto con il mondo segue uno strano metodo: Dio si mette in rapporto con il mondo fissando un luogo, entra in rapporto con un luogo che si chiama tempio: questo tempio ad un certo punto si è cambiato in una casa, la casa di Nazareth, per un uomo che vi stava dentro: Gesù.

517 – Quella ragazza nel suo ufficio, se offre a Dio l’istante in cui è, a chi lo offre? All’infinito! Ha una valore infinito.

È il rapporto tra l’infinito e il mondo che conta, non il rapporto tra te che fai l’erbivendolo e il mondo, fra te che fai il professore di chimica e il mondo.

Non è questo che influisce sul mondo, è il suo rapporto con Dio.

Quel che fai come professore di chimica è rapporto con Dio; se non vivi questo, non vale niente.

577/578 – Dio si è fatto conoscere entrando nel mondo come un piccolo bambino, poi adulto, poi grande, poi lo hanno ammazzato, poi è risorto, come facciamo noi a prendere rapporto con Lui in modo tale da conoscerlo e da stupirci, come l’hanno conosciuto e se ne sono stupiti Giovanni e Andrea?

Quel luogo è stato originalmente il seno della Madonna.

(Poi) la casa di san Giuseppe[…] tra quelle quattro mura anche gli amici più vicini, gli abitanti più vicini, anchei parenti potevano vedere quel bambino.

Dopo è uscito di casa e si è tirato dietro Giovanni e Andrea.

Quelli lì, poi, andavano a casa, lo dicevano alle mogli, agli altri parenti, ai figli: sono diventati una settantina. Poi lo hanno ammazzato.

Quei settanta lì, poi, non solo non si sono fermati, ma hanno raggiunto i confini del mondo consociuto di allora.

Questa convivenza si è dilatata fino alla casa di mia mamma, la quale l’ha detto a me: si è dilatata fino a me.


452 – La coscienza unisce.

Attenzione poi alla frase più importante: «Per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera».

La coscienza non l’hanno gli animali, non l’hanno i sassi, non l’hanno le piante, l’ha l’uomo.


455 – C’è il Mistero.

Capisci allora che tu dipendi da quello: non c’eri, se ci sei è perché dipendi da quello.

Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo; non posso trattarle da estraneo, con dispregio, giudicandole.

Ti livelli in modo diverso nel rapporto: così la carità c’entra con il Mistero; diventa possibile, in questo caso, la carità.


522 – Con chi dice il «Padre nostro» stanno meglio tutti: non con chi ripete, con chi dice.

Ripetere son delle parole, degli schemi, dei ritmi; dire è fatto di se stessi, cioè di coscienza della realtà (o giudizio) e di affermazione della realtà (che è coraggio affettivo), il coraggioso affetto di affermare ciò che è.


376 – È stato uno dei primi titoli dei nostri raggi il primo anno del Berchet: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare».

Invece c’è un’altra formula: «Tra il dire e il fare c'è di mezzo il domandare».

Il domandare mette tutto a posto appena si incomincia: dignità dell’impegno di fronte alla ragione, sincerità della ragione di fronte a ciò che accade e che si sente, stimolo alla affettività perché si giochi.


119 – Chi non ha convissuto con Lui non poteva dire come san Pietro: «Tu solo hai parole che spiegano la vita» [Gv 6,68].

La folla gli andava dietro per sentirlo parlare.

Dopo l’ora in cui parlava, cinque minuti dopo, lo dimenticava per le necessità materiali della vita: ognuno tornava a casa propria.

Ma se fossero stati con Lui come quella dozzina (quella settantina, meglio: l’ultimo anno erano quasi settanta), se fossero stati con Lui settimane, mesi, a vedere tutti i giorni quello che faceva – tutti i giorni! -, a sentire quel che diceva!

Neanche una parola se non piena di mistero e di bontà; neanche un gesto senza che fosse a beneficio di qualcuno; un potere sulla natura per cui, dove toccava, dove parlava, la natura gli obbediva come un cagnolino; e soprattutto quegli occhi che guardavano dentro e, senza averti mai visto, ti dicevano – tu avresti voluto scappare e ti dicevano: «Tu hai fatto questo e quest’altro».

126 – Così, immaginate, con Cristo, quegli uomini semplici e «nerbosamente» decisi.

Quell’uomo avrebbe dato la pelle per loro, ma anche loro avrebbero dato la pelle per Lui; in loro questo proposito era ancora debole, poi l’hanno data realmente tutti, tutti, dal primo all’ultimo.

578 – Dopo, Lui è uscito di casa e si è tirato dietro Giovanni e Andrea…quelli lì, quella dozzina lì erano diventati le mura – le mura dilatate ancora – della casa di Nazareth.

Quelli lì, poi, andavano a casa, lo dicevano alle mogli, agli altri parenti, ai figli: sono diventati una settantina.


314 – «I nemici di questa fedeltà nella appartenenza, i nemici più rilevabili sono la discontinuità – in psicologia, questa nevrosi si chiama ciclotimia: un giorno su, un giorno giù, la sera su, alla mattina giù. Schizofrenia è uno rotto dalla testa ai piedi, la discontinuità invece è una variazione di umore: una volta uno ha il muso e un’altra volta ride sgangheratamente; e non sai come prenderlo, vedi che ride e ridi anche tu, ma poi […] -, la discontinuità, dunque, e poi la fatica e il dolore». [Si può vivere così? p. 172/173].

Intervento: «Questa cosa condiziona anchela mezz’ora di silenzio: se sono più lieta, mi è meno difficile farla; mentre quando sono giù, è più difficile. Vorrei un aiuto su questo, perché io voglio essere contenta; mi viene da dire: “Non posso stare qui e non essere contenta».

Puoi star qui e non essere contenta…in attesa dell’esser contenta!

Sei qui non perché sei contenta o non contenta: sei qui perché un Altro t’ha messo qui, ed è una obbedienza inesorabile; se non lo accetti, tutta la vita perde di senso.


551 – Non è la discussione ciò a cui il mistero che ti fa ti inoltra; il mistero non ti fa discutere, ti rende curioso e desideroso: domandi.

Non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difendere nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo la cui natura – cioè Dio – mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità umana, più matura che è la domanda (senza predeterminazione, senza pretese: nessuna pretesa).


133 – Spero che tutti siamo d’accordo che nella maggior parte delle cose che accadono – perché accadono! – non sappiamo il perché.

Il disegno di tutte le cose, la storia di tutte le cose, non esce dalla fabbrica umana ma è espressione del Mistero divino.

Perciò, a priori, la maggior parte di ciò che c’è non sappiamo perché c’è; di quel che accade, non sappiamo perché accade.

357 – Il disegno di Dio è complessissimo per noi che abbiamo la testa piccola, a cui basta pensare a un fiorellino del campo per vedere una cosa già misteriosa.

Dio dando l’esistenza, crea come un seme e prevede per questo seme una trama di sviluppo sempre misteriosa ai nostri occhi, che non possiamo prevedere se non nei termini che Lui via via stabilisce.

508 – Il sacrificio è necessario perché è un aspetto ineliminabile della figura intera del mondo come la concepisce il Mistero che lo fa.

Il sacrificio, dunque, è necessario perché c’è, e c’è perché il Mistero che fa il momdo, fa un disegno che implica la croce e la partecipazione alla croce di ogni uomo.


396 – Rispetto vuol dire guardare una cosa dominato dalla presenza di un’altra – nel parlar volgare si dice: guardare una cosa seguendo con la coda dell’occhio un’altra -.

Quello che domina è ciò che fa l’altra; il Mistero che fa te domina me mentre ti guardo, mentre ti penso.

Questo è il distacco: non sei mia.

E, infatti, tutto il mio rapporto con te s’esaurisce nell’affermare te, cioè nell’amarti.


285 – Non c’è mai da disperarsi di nulla.

La disperazione – non nel senso delle mani nei capelli, ma la disperazione in senso etimologico – significa l’assenza di essere, è possibile solo come assenza di essere.

Se c’è il nulla c’è la disperazione.

La disperazione è possibile solo quando non c’è essere, che non è il caso tuo e neanche il caso di qualcun altro!


142 – «È semplice riconoscerlo» vuol dire che chi ha semplicità d’animo, la mossa potente dello Spirito divino, del Mistero, lo muove a capire facilmente.

Il giovane ricco che davanti a Gesù schizza, dimostra che non è vero che lui è disponibile totalmente al Mistero.

È disponibile al Mistero fin quando gli pare e piace.

394 – Il detto prima di capire vuol dire disponibilità.

È la disponibilità alla semplicità del cuore, questa è un’ultima forma di povertà della conoscenza.

La legge generale, secondo la quale non si può capire se non si parte da una ipotesi positiva, qui diventa omaggio al Mistero, alla misteriosa bontà del Creatore: Egli è padre anche se fa morire, Egli è padre anche se castiga, Egli è padre anche se va venire i terremoti.


(Cfr. anche: Andare fino in fondo, mortificazione, sacrificio, scendere fino in fondo, strappo)

70/71 – La dinamica che accade di più nella vita è il distacco, non esiste niente che sia quantitativamente paragonabile al contenuto di questa dinamica; la dinamica più copiosa, sorpresa nella vita, è la dinamica del lasciare.

Ma non è la dinamica più illuminante della vita: la dinamica più illuminante della vita è l’arrivare, lasciare per arrivare.

C’è uno strapparsi da sé che si chiama obbedienza, e c’è una figura dello strapparsi da per andare a – il liberarsi da ciò che è più ristretto per andare verso qualcosa di più largo – che si chiama povertà.

Il sacrificio dello strappo per andare più avanti, per possedere di più, si chiama obbedienza; e l’allenamento a questo strappo si chiama povertà.

355 – Intervento: «In che senso il distacco nell’istante non diventa disinteresse alla cosa?».

Pensate sempre all’esempio del quadro: se gli andate troppo vicino, non vedete il quadro: se gli andate troppo vicino non vedete il quadro.

Per goderlo dovete tirarvi due metri indietro, anzi, tante volte bisogna far venti metri per certi artisti, altrimenti diventa tutto confuso.

Il distacco è per valorizzare la cosa.

Il distacco non solo non è indifferenza alla cosa, ma è l’unico modo per valorizzare la cosa.

378 – «La povertà appartiene a una legge dinamica della conoscenza, a una legge del dinamismo della conoscenza: per conoscere occorre un distacco» [Si può vivere così? p.223].

«Senza un certo distacco non conosci, non usi e non godi; quanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più conosci, usi e godi» [Si può vivere così? p. 224].

Intervento: «Vorrei capire meglio quando e in che misura questo distacco è ragionevole».

Per afferrare interamente, in modo tale da poter partire per l’avventura della conoscenza infinita, devi distaccarti.

Chi non si distacca non parte più per l’avventura della conoscenza, non conosce l’avventura della conoscenza infinita, e tutto diventa immediatamente arido.

379 – Per afferrare, comprendere tutti i fattori in gioco e da questo spalto lanciarsi nell’avventura dell’eterna conoscoscenza, dell’infinita conoscenza – che vale per il mistero di Dio, come vale per il piccolo fiore del campo cui dà vita – per realizzare questo scopo del nostro vivere cosciente e amante, bisogna distaccarsi.

«Un uomo non può godere per la donna se non stando a una determinata distanza; altrimenti ne può godere, ma nel senso puramente istintivo del termine. Una madre che non ha mai conosciuto un momento in cui fissa il suo bambino e, fissando da un metro o due o tre di distanza, pensa al suo destino: “Chissà che destino avrà questo mio bambino”, una donna che non ha fatto così, non ha mai gustato l’essere madre, mai; non può essere mai educatrice valida, mai; non conosce la creatura che ha lì. Ma questo, della madre e del bambino è il paradigma di tutto; perché tutto, per ognuno di noi, per l’uomo, tutto è come un bambino che nasce dal suo seno, tutto» [Si può vivere così? p.224].

383 – «La povertà appartiene dunque al dinamismo della conoscenza, per cui occorre un distacco per vedere le cose e quindi usarle e goderne di più. Allora capite come si può parlare di distacco intelligente e pieno di affezione. Senza questo distacco non ci sarebbe tale intelligenza e tale affezione» [Si può vivere così? p.224).

Intervento: «Vorrei conoscere il nesso tra due cose che ci hai detto: l’attaccamento alle cose come porta per conoscere l’essere e la necessità del distacco[…]»

Per conoscere l’essere di una cosa, occorre prima di tutto riconoscerla parte di un disegno, parte del disegno di Dio: ha una radice che parte dal Mistero, fatta di Mistero.

Perciò l’affermare l’altro è già un iniziale dimenticare se stessi.

385/386 – Intervento: «Si può dire che il distacco è essenziale per cominciare a capire che cosa è l’offerta?»

Sì, solo questo distacco può offrire la cosa, può far offrire la presenza conosciuta, stimata e amata da Dio.

386 – Offrire a Dio cosa vuol dire?

Riconoscere la parte inevitabile che quella presenza ha nel disegno universale

e, perciò, riconoscerla come contesto dell’affermarsi del tuo io, della tua felicità.

387 – La povertà avviene perché una certezza più grande permette che ci strappiamo da qualcosa cui fino allora siamo stati legati.

Per questo abbiamo detto che la povertà è quel distacco da una presenza per una

388 – La posizione dell’uomo che cammina è di uno che guarda Cristo e non guarda sé.

La povertà – che è distacco dai sentimenti che le cose usate ci provocano (le cose non sono mai buone o negative: dipende da come io le brandisco, come io le uso, come io le afferro)-, la povertà – che è distacco dai sentimenti di padronanza, di attaccamento, di legame, di schiavitù quindi, che il modo di usar le cose produce in me è resa possibile dal fatto che c’è Criito, che la presenza dominante è Cristo, che l’oggetto del mio sguardo è Cristo.

392 – Intervento: «Volevo capire che cosa è il distacco di cui parli».

Il distacco è, appunto, il modulare il rapporto secondo […] quell’ordine che unisce la cosa alla totalità e la fa essere funzione dell’universo, cioè dell’intero disegno di Dio.

Perciò il distacco è distacco da una cattiveria, da una miopia, da una piccolezza, da una pusillanimità, da una vigliaccheria, da un assalto alla dignità della cosa, non dalla cosa.

C’è una mortificazione che fa vivere il distacco dal modo in cui possediamo le cose in modo tale che esse ci abbiamo sempre a richiamare al motivo della loro esistenza, alla bellezza vera del loro servizio, al come ci accompagnano verso il destino.

È il distacco da un certo modo, più precisamente il distacco dal modo per cui uno tratta la persona o la cosa che ha davanti non secondo l’universo (il disegno di Dio), non secondo il sentimento che ha Dio, ma secondo il sentimento che ha lui, vale a dire secondo la reazione che ha lui: seguendo la sua reazione e non la destinazione oggettiva della cosa.

396 – Rispetto vuol dire guardare una cosa dominato dalla presenza di un’altra – nel parlar volgar si dice: guardare una cosa seguendo con la coda dell’occhio un’altra -.

Quello che ci domina è ciò che fa l’altra: il mistero che fa te domina me mentre ti guardo. Questo è il distacco: non sei mia.

E, infatti, tutto il mio rapporto con te si esaurisce nell’affermare te, cioè nell’amarti, perché amare vuol dire affermare l’altro come significato e come presenza prevalente su se stessi.

Anzi, si può benissimo dire: affermare l’altro come se stessi.

Perciò il distacco si definisce nel contesto cui la cosa o la persona che guardi appartiene.

Questo contesto è il disegno universale che procede, fiotta, come una polla sorgiva, dall’infinito Mistero.


395/396 – La povertà può essere significata con quel distacco che guarda con positività, senza eccezione a tutto, a tutto quel che accade: non sa come, tace; si lascia schiacciare, ma non gli viene neanche in mente di eccepire.

« San Francesco: “Dopo Dio e il firmamento, Chiara”: una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla. Ma pensate al distacco che c’era, dal punto di vista metrico, metrico decimale. Infatti non è una questione di misura, ma ultimamente di compagnia contestuale . L’oggetto, Chiara, agli occhi di Francesco, era collocato nella grande compagnia dell’universo – non è questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono si sé, di dono di sé» [Si può vivere così? p.224/225]

La parola «distacco» non è mai definita da una quantità, dalla quantità misurabile in cui avviene.

Il distacco di Francesco da Chiara non è definito dai dieci metri tra il prato e la finestrella dello strettissimo chiosco dal quale suor Chiara e le sue sorelle guardavano tutto lo spazio della natura che si stendeva davanti.

396 – È chiaro che non è misurabile dai metri; è la coscienza che san Francesco aveva di appartenere a un contestocioè a un disegno, a una realtà – l’origine della cui consistenza era infinito.

Rispetto vuol dire guardare una cosa dominato dalla presenza di un’altra – nel parlar volgar si dice: guardare una cosa seguendo con la coda dell’occhio un’altra -.

Quello che ci domina è ciò che fa l’altra: il mistero che fa te domina me mentre ti guardo. Questo è il distacco: non sei mia.

E, infatti, tutto il mio rapporto con te si esaurisce nell’affermare te, cioè nell’amarti, perché amare vuol dire affermare l’altro come significato e come presenza prevalente su se stessi.

Anzi, si può benissimo dire: affermare l’altro come se stessi.

Perciò il distacco si definisce nel contesto cui la cosa o la persona che guardi appartiene.

Questo contesto è il disegno universale che procede, fiotta, come una polla sorgiva, dall’infinito Mistero.


355 – Intervento: «In che senso il distacco dell’istante non diventa disinteresse per la cosa?»

Il distacco è per valorizzare qualcosa.

Il distacco, non solo non è indifferenza alla cosa, ma è l’unico modo per valorizzare la cosa.


334 -    Di questa età superba / Che di vote speranze si nutrica / Vaga di ciance e di virtù nemica / Stolta, che l'util chiede, / E inutile la vita / Quindi sempre più divernir non vede / Maggior mi sento. [Giacomo Leopardi, Il pensiero dominante].  

349 – La compagnia vocazionale è quella che, esprimendosi, ti richiama a questo (riprendere coscienza).

Se tu sei distratto, non ti richiama nulla, ma se non sei distratto, se vuoi essere, diventare te stesso, riconosci che la compagnia c’è per richiamarti a questo.

413/414 – «Non arzigogolare e tendere alla perfezione, ma guardare in faccia Cristo […] La sorgente della morale è voler bene a uno, non realizzare delle leggi» [Si può vivere così?» p. 236/237]

Intervento: «Mi sembra che in me il nemico di questo guardare sia la distrazione. Cosa vince questa distrazione?»

La distrazione, però, non è peccato!

Uno è distratto: può essere temperamento, può essere una circostanza che preoccupa.

Perciò non è colpa la distrazione. Diventa colpa quando è voluta.

Quando è voluta la distrazione?

414 – Quando non si ascolta la compagnia; quando pretendi di definir tu la tua vita e i suoi passi.

Nella compagnia no: devi obbedire e il passo deve essere modulato su quello più piccolo del bambino.

La distrazione voluta è sempre dimenticanza della compagnia o della parola di chi guida e, soprattutto, l’essere privi di memoria: il non pensarci mai, il non ricordare, il non leggere il vangelo.

428/429 – Intervento: «È difficile sostenere la posizione di domanda perché siamo distratti»

Sarebbe proprio difficile che ad ogni azione noi realizzassimo la coscienza della Presenza. Ma come si fa ad ogni azione?

È impossibile: è impossibile non essere distratti.

429 – È impossibile che tu ci pensi ad ogni azione, e non è neanche necessario.

430 – È necessario che tu ami questo.

454 – Dopo che la coscienza ha esaminato tutto, fatto la somma – e c’è una voce che dice: «Non basta» -, tu puoi infischiartene di questa voce.

Basta far risuonare un pò di rumore, come nelle discoteche, e tu sei distratto; basta che tu ti innamori di un ragazzino e sei distratta; basta che un esame ti vada male: sei distratto.

564 – Intervento: «Scopro sempre più spesso che mi distraggo da queste cose».

Ecco, siccome questa piccolezza come pusillaminità fa un pò vergogna a te stesso, non puoi vantartene; ti distrai dal problema interessandoti di musica, di arte, di politica, di sindacato, oppure andando finalmente a ballare.

Là ti troverai a fare il contrario, cioè a farti bello di aver rifiutato, e la menzogna sarà al culmine.


154 – Il disumano è ciò che non è semplice, che introduce alterazioni non generate dal fatto che ci compie, che ci costruisce.


316 – Uno diventa grande amando. Se un bambino, come regola, dovesse star lì a rincrescersi per ogni piatto che rompe, dovrebbe stare per sette giorni a guardare il piatto rotto.

«Tutto questo non è mai esistito.» (Milosz, Miguel Mañara)


131/132 – «Allora Lui è come inondato di emozione davanti alla gente che lo cercava, perché era un uomo, Gesù. Le idee gli venivano come vengono a noi: attraverso le circostanze, l’esperienza. Lui si è commosso e improvvisamente gli viene in mente la cosa apiù grande che gli è venuta in vita, cambia il senso delle parole che usa: «Voi mi cercate perché vi ho sfamati con il pane. Io vi darò la mia carne da mangiare, non la mia parola – come aveva detto fino ad allora – vi darò la mia carne da mangiare, vi darò il mio sangue da bere» [Si può vivere così? p. 46].

132 – Noi non abbiamo la percezione sperimentale di che cosa voglia dire esser Dio per un uomo, non possiamo saperlo.

Come facesse Lui a individuare, a presagire che sarebbe stato ucciso di lì a poche settimane, non lo sappiamo.

Se era un uomo, agiva da uomo, perciò le idee gli venivano come a noi vengono.

Perché è Dio può dare la sua carne e il suo sangue da mangiare e da bere; ma può avere il pensiero di dare la sua carne e il suo sangue perché è uomo.

Hai toccato l’esempio dove il rapporto tra il divino e l’umano diventa più carico di sfida alla nostra mentalità e, nello stesso tempo, più dolce e tenero per il cuore.


43 – Se Cristo è il senso di tutto, il punto adeguato per capire anche la tragedia è Cristo.

Il dolore, fino alla tragedia, non è una obiezione al fatto che il mondo sia per il bene, che la realtà sia promessa; tanto è vero che, venuto tra di noi, è morto, assassinato ingiustamente.

111 – Le lettere di Emmanuel Mounier a sua moglie dicono di una coscienza del proprio destino per la salvezza del mondo, di una coscienza della propria partecipazione alla salvezza del mondo; del dolore come modalità di questa partecipazione, come condizione della sofferenza necessaria per salvare il mondo; e di gioia nella sofferenza che sono cose impossibili altrove!

[…] La figlia idiota (di Mounier), perché quell’idiota era il segno dello spirito infinito, del rapporto con l’infinito, che è l’anima, nascosta come dentro la tomba di una materia resa opaca dalla malattia.

Riconosciuta e accettata e offerta a Cristo, con la sua croce, perché salvasse il mondo.

201/202 – Non è una ingiustizia far nascere un bambino: sarebbe ingiustizia se non ci fosse Dio, perché sarebbe mettere il figlio nel pericolo dei più atroci dolori per niente, per qualcosa che non hai in mano tu, per niente.

Se c’è Dio, qualsiasi dolore, fosse tutta la vita carica di dolori…dall’esito, dai risultati si capisce la bontà della cosa.

Come Ermanno lo storpio: per tutta la sua vita, dice Martindale, non si è mai sentito senza dolore, senza disagio per la natura del suo corpo; eppure è razionalissimo e comprensibilissimo, è giustissimo che sia vissuto, perché nell’ora che meno ti aspetti, anche per te verrà quel giorno in cui il Signore ti rincontrerà.

202 – Coscienza del destino e coscienza della realtà: il destino non è nient’altro che il significato ultimo della realtà, ciò per cui la realtà vale la pena che sia.

253 – Esser semplici occorre per tutto, oppure occorre aver subito qualche grande dolore, e non poter più essere equivoci nell’indicare qual’è il finis rei, la fine della cosa.

333 – Nella vita che cosa rimane se tutto è una esaltazione sognante che si riduce ad una illusione, ad un inganno? Di tutta la vita, di tutta la storia di ieri, dell’esperienza dell’altro ieri, ti tutto rimane una «rimembranza acerba» (Giacomo Leopardi), cioè il dolore.

Il dolore è sempre una rimembranza, un ricordo, acerbo e amaro.

423 – Intervento: «Il terzo punto è riconoscere nel nostro passato tutto il nostro vuoto, cioè il peccato e le nostre mancanze. Da questo nasce un dolore che però è anche il segno che si è di fronte ad una presenza. Per me questa è una cosa molto grande, perché senza sapere che il dolore che provo tutti i giorni è segno che sono di fronte a una presenza che mi ha aperto, mi ha dato ossigeno. Vorrei chiedere come è possibile, perché nella mia esperienza mi sembra impossibile che possa essere superato questo dolore

Infatti questo dolore è superato solo all’ultimo, al traguardo ultimo.

Fino al traguardo ultimo è una capacità di sofferenza sempre più grande e più profonda.

Ma io ho citato questa parola, dolore, che nell’accento che tu fai è giusta, ma come più cutanea, più superficiale in quanto a tenuta di un sentimento reale.

Io ho detto che riconoscendosi peccatore, l’uomo incomincia l’esperienza di un dolore che è la fonte dell’amore.

Si trasforma: il dolore è un amore.

Per questo non è una negatività la sua permanenza; anzi, quanto più permane, tanto più diventa amore attivo, fattivo e dedicato.

L’amore o incomincia come dolore o resta come documento di una famelicità di possesso.

561 – Il centuplo quaggiù significa un trasformarsi anche del tempo e dello spazio per cui la lontananza è un dolore, non una diminuzione.

E il dolore appartiene al sentimento umano esattamente come la gioia e la letizia: «La pace,per chi la conosce, in parti uguali, di dolore e di gioia è fatta» [P. Claudel, L’Annunzio a Maria].

Senza dolore non c’è verità, perché anche se fosse lì naso a naso non riusciresti ad esprimere quello che quella cosa lì è per natura, per grazia di Dio, per grazia creativa.


497 – Quante volte mi avete sentito dire che noi non possiamo compiere una azione buona, se non partendo dalla coscienza di essere peccatori?

Ora, la coscienza di essere peccatori è l’aspetto più acuto del dolore, è lo svelarsi più chiaro della necessità del sacrificio.


441 – Se vuoi arrivare alla commozione vera di fronte alla meschinità e alla vigliaccheria dei tuoi peccati e di fronte alla misconoscenza e alla durezza che hai verso Cristo, Dio fatto uomo, devi pensare a Lui, guardandolo in faccia veramente.

Immagina la Samaritana: devi guardare Gesù in faccia veramente, veramente, non trascendendo o astraendo.

È un Tu che domina, non delle cose da rispettare; non delle leggi da rispettare, ma una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.


(Cfr. anche: assemblea, mendicanza, preghiera)

90 – «Dio, se ci sei, rivelati a me, comunicati a me!», questa domanda è l’ultimo gesto razionale, corrispondente cioè alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

128 – Lo stupore aumenta la domanda.

Io dico a scuola, quando parlo della preghiera, che la preghiera è sempre una domanda, anche la preghiera di contemplazione è una domanda.

Infatti se sei lì a guardare una cosa bella, se uno viene fra te e il quadro, t’arrabbi, lo prendi per il collo e lo strappi via, perché ti impedisce di vedere l’oggetto: tu sei lì domandando che l’oggetto ci sia, chiedendo che l’oggetto ci sia, chiedendo che la faccia rimanga, che la faccia resti.

Stupirsi e contemplare sono la forma più acuta e più pura della domanda.

La gratitudine che viene subito dopo è anch’essa una forma di domanda: la gratitudine è che l’altro a cui sei grato esista, continui ad esistere, e ci sia, che tu l’abbia a ritrovare.

Lo stupore, o contemplazione, è una domanda che l’oggetto esista, continui ad esistere, continui ad esistere per me, ci sia per me, sussista per me.

225ss – C’è un difetto, chiamiamolo demoniaco, perché è proprio un difetto che copre una menzogna: una forma che appare domanda e che domanda non è.

226 – Che è avvenuto nelle vostre assemblee? Non racimoli di domande, ma frantumate riduzioni di stati d’animo scettici, di dubbiosità che o avevan paura di se stesse, o neanche avevan paura di sé: si ponevano con presunzione, come sempre una dubbiosità perseguita ad ogni costo.

Non domanda fu l’assemblea,[…] ma investigazione.

La domanda è come chiedere l’elemosina, è l’espressione di un bisogno, di una cosa che farebbe per noi, che sarebbe bello avere noi: di un senso del tempo e dello spazio, di un senso dei rapporti, di un senso del rapporto supremo fra la creatura e chi la crea.

227 – Questa è la domanda, e perciò fatta con umiltà.

L’umiltà tende le corde dell’animo, della ragione e dell’affezione, così che, appena c’è un accenno di ragione, voi la percepite, siete propizi, siete desiderosi di poterla accettare, comprendete, vi si fa più ampio respiro.

Dovete prepararvi all’assemblea.

Chi non si prepara non è degno di partecipare all’assemblea: non capirà, capirà un centesimo di quello che potrebbe capire, perché non ha affezione: senza affezione non si può comprendere

249ss – Non dovete più venire con delle domande a guisa di scimitarre sfoderate.

Le domande devono essere espressione di una curiosità, di un tentativo di rivalsa contro il parere di chi ha parlato, scettiche, non devono essere domande inquisitorie; le domande devono essere mendicanza – mendicare di capire il proprio volto -, devono essere, cioè, vere domande o domande di verità su di sé.

250 – «È il desiderio di vivere che ti fa domandare: «Come fai a farlo tu, come fai a realizzare quel che capisci?» [Si può vivere così? p. 126/126].

Tu chiedi continuamente una cosa se la desideri sul serio.

251 – E se (si) è in confusione[…] per vedere cosa Dio vuole, occorre la domanda fatta a Dio chiarita dal dialogo con chi ci guida.

253 – Intervento: «È una grazia (la perseveranza del desiderio di essere semplici e uomini più degli altri)?»

È piuttosto oggetto di domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

269 – Di fronte al Mistero c’è una sola cosa che l’uomo che viene dal niente, nudo come uscì dal ventre di sua madre, può fare: domandare – è la differenza del bambino dall’animale: chiede -, pregare, domandare, domandare di entrar sempre di più nel Mistero, di affondare sempre di più nel Mistero.

Domandare è la ricchezza di chi non ha niente.

Di nostro cosa abbiamo? La potenza di chi non ha niente è domandare.

Come san Giovanni quando ha posto la testa sul cuore di Gesù nell’ultima cena: era un domandare.

270 – Il Vangelo non dice che Giovanni domandò a Cristo, no; non domandava niente, ma domandava con tutto sé.

Vi ricordate la figura di Giotto? Domandava. Cosa è quella figura? Uno che domanda: tace, non dice niente, non pensa niente, ma la sua posizione è una domanda.

Non esiste rapporto se non è domanda.

296ss – «Il desiderio diventa sicuro di sé quando […] domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza lo ha promesso» [Si può vivere così? p. 161].

Se l’uomo nasce dal grande Mistero, è sicuro quando si appoggia al Mistero da cui nasce, cioè quando domanda che avvenga quello per cui il Mistero lo ha fatto, quello per cui il Mistero gli ha fatto insorgere domande e desideri.

Se il Mistero ti ha fatto – perché non ti sei fatto da solo -, sei tanto più sicuro quanto più la domanda al Mistero poggia sui sentimenti originali con cui il Mistero ti ha fatto.

297 – Quanto più chiedi al Mistero, tanto più sei sicuro che quello che ti darà sarà il compimento di quello che ha iniziato: «Chi ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento» [Fil 1,6].

Ma c’è una domanda che voglio fare io: cosa c’entra la speranza con il senso del destino?

La speranza è tanto più certa quanto più si identifica con una domanda al Mistero che t’ha fatto che avvenga ciò per cui ti ha fatto.

Per cosa ti ha fatto? Per la felicità, la bontà, la bellezza.

Quanto più domandi al Mistero la bellezza, la bontà, la felicità, quanto più domandi al Mistero questo, tanto più sei sicuro che te lo darà.

299 – La domanda – proprio perché è domanda a ciò che ci ha fatti – è, come tale, sterminatamente positiva.

300 – «La grande Presenza ha dato la promessa, dà la promessa che, nella misura in cui uno domanda, sarà esaudito. Qui sta la libertà, la libertà dell’uomo di fronte al suo destino è una domanda, che è la posizione del mendicante e del povero. Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hano di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così, p. 162].

È vertiginoso che il punto di certezza è la domanda.

Sembrerebbe che la domanda sia indice di impotenza e di povertà: non può fondare la certezza.

Appunto! La domanda ha queste due valenze, e per questo è fonte ed è sostegno della certezza.

Ha da una parte la valenza del senso della nostra incapacità e debolezza: se la certezza dovesse fondarsi sulla nostra debolezza, su di noi, chi sarebbe certo? Nessuno: saremmo tutti scettici.

Un’altra valenza è che questa nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza.

È la povertà che è amata, in tutti i sensi.

301 – Si capisce benissimo che la mia certezza è fondata su una domanda, non sulla domanda come tale, sulla domanda ad Uno che mi ama, a una Presenza che mi ama.

La certezza è fondata sulla Presenza. Che cosa mi raccorda alla Presenza? La domanda.

Il domandare mette tutto a posto appena si incomincia: dignità dell’impegno di fronte alla ragione, sincerità della ragione di fronte a ciò che accade e si sente.

Dopo il domandare cosa viene? C’è una sola cosa: il tempo.

Domandare, evitarlo non si può. Evitare il domandare vuol dire evitare l’applicazione dell’intelligenza e dell’affetto a ciò che si è intravisto e contro cui non possiamo dire un bel niente.

522 – Mounier: «Noi chiediamo il miracolo per la nostra bambina, ma chissà se è meglio quello che chiediamo noi o è meglio qualcosa d’altro, che né tu, ne io possiamo sapere. Noi che evitiamo tutti i giorni il miracolo della santità, con che diritto inoltreremmo la nostra domanda a Dio di un miracolo infinitamente più piccolo e circostanziato» [E. Mounier, Lettere sul dolore].

529 – La preghiera è lo sguardo che l’uomo porta a qualsiasi cosa, attraversandola tutta violentemente e giungendo all’infinito, al punto di infinito da cui nasce.

Spero, ragazzi, che sappiate chiedere Cristo in modo tale che non sia inospitale il vostro cuore, Perché Lui bussa, è sempre presente, bussa.

566 – Intervento: «Lei dice che uno deve desiderare veramente. Vorrei capire quali sono i fattori che provocano il desiderio vero, perché io mi accorgo che l’azione, subito dopo aver domandato, non è determinata dalla quella Presenza

Questo è il problema più grave della morale, della concezione della moralità.

Io ho cercato di rispondere a questa domanda tutte le volte che ho parlato di Simone e ho commentato il ventunesimo capitolo di san Giovanni.

L’azione, subito dopo non viene determinata dal contenuto della domanda.

Domando a Dio di essere sincero e non sono sincero; domando a Dio di essere puro e sono barcollante, mi ritrovo barcollante; domando a Dio di dire «Sì» e mi trovo a dire «Nì».

Dobbiamo chiedere allo Spirito e alla Madonna di capire la risposta alla domanda della Lucia.

Il sì di san Pietro è pronunciato persuaso, profondamente persuaso e commosso.

E non c’entrava il fatto che Pietro l’avesse tradito o avesse potuto tradirlo ancora: non ci pensava.

572 – Si impara ad amare Cristo riconoscendone la Presenza. È una grazia: come la presenza, così il riconoscerlo. Lo sviluppo di questa grazia si chiama domanda.

Non è conoscendo la realtà che si conosce Cristo, perché non si ha il nesso.

È conoscendo Cristo che si conosce la realtà. E si conosce di più Cristo domandandolo.


69 – Oltre che a Dio, domandare agli uomini che ci aiutino.

C’è la persona che ha già fatto questo percorso, è lì insieme, domanda a lui! Perché domandare a lui è dimostrare che quando si chiede a Dio, si chiede seriamente.

195 – Non confortatevi soltanto del fatto che realizzate una obiezione, una domanda obiettante: dite, per favore, quello che pensate! Rispondi tu alla domanda!

Dopo si cercherà di far vedere come la vostra risposta è inadeguata, mentre la nostra è più giusta.

Porre la domanda obiettando è un disinteresse, è una fuga dalla realtà: è un disimpegno, non è un impegno.

225ss – C’è un difetto, chiamiamolo demoniaco, perché è proprio un difetto che copre una menzogna: una forma che appare domanda e che domanda non è.

226 – Che è avvenuto nelle vostre assemblee? Non racimoli di domande, ma frantumate riduzioni di stati d’animo scettici, di dubbiosità che o avevan paura di se stesse, o neanche avevan paura di sé: si ponevano con presunzione, come sempre una dubbiosità perseguita ad ogni costo.

Non domanda fu l’assemblea,[…] ma investigazione.

La domanda è come chiedere l’elemosina, è l’espressione di un bisogno, di una cosa che farebbe per noi, che sarebbe bello avere noi: di un senso del tempo e dello spazio, di un senso dei rapporti, di un senso del rapporto supremo fra la creatura e chi la crea.

227 – Questa è la domanda, e perciò fatta con umiltà. L’umiltà tende le corde dell’animo, della ragione e dell’affezione, così che, appena c’è un accenno di ragione, voi la percepite, siete propizi, siete desiderosi di poterla accettare, comprendete, vi si fa più ampio respiro.

Dovete prepararvi all’assemblea. Chi non si prepara non è degno di partecipare all’assemblea: non capirà, capirà un centesimo di quello che potrebbe capire, perché non ha affezione: senza affezione non si può comprendere

239 – Allora per essere più sicura nell’individuare il cammino che tu preghi la Madonna di farti fare, per individuare come realizzare meglio la strada su cui ti è sembrato essere chiamata da Gesù, innanzitutto la domanda che hai fatta è meglio che tu la porga direttamente a chi guida la realtà comunitaria, la compagnia ecclesiale.

Il tuo paragone deve andare non a quello che senti tu, non a quello che a te dice la tal persona, ma a quello che dice la tal persona – che è la guida della comunità, per esempio – in pubblico.

Voi capite che la coscienza della responsabilità che ho di fronte a una domanda che mi si porga in pubblico è molto più grande che se sto parlando con te singolarmente, personalmente.

249 – Non dovete più venire con delle domande a guisa di scimitarre sfoderate.

Le domande devono essere espressione di una curiosità, di un tentativo di rivalsa contro il parere di chi ha parlato, scettiche, non devono essere domande inquisitorie; le domande devono essere mendicanza – mendicare di capire il proprio volto -, devono essere, cioè, vere domande o domande di verità su di sé.

251 – E se (si) è in confusione[…] per vedere cosa Dio vuole, occorre la domanda fatta a Dio chiarita dal dialogo con chi ci guida.

302ss – Non bisogna venir qui con il bagaglio più o meno incartato delle nostre preoccupanti domande, tese a esplicitare, a esprimere e a far pesare sull’ambiente il margine di incomprensibilità che esse portano nella nostra vita.

Non bisogna venire qui preoccupati delle domande.

Uno che venga preoccupato delle domande, è preoccupato di se stesso; e questa, essendo la formula del peccato originale, è la formula distruttrice.

303 – Il problema non è venire qui preoccupati delle proprie domande, ma preoccupati della verità: preoccupati della verità vuol dire preoccupati di Gesù, perché la verità è Gesù.

Le proprie domande sono, invece, espressione di un momento, tra l’altro, normalmente, artificiosamente creato, perché non è che uno viva di questa preoccupazione, viva del dolore di non capire certe cose; non vive di quello: coglie l’occasione per sparar fuori quello che secondo lui non ha risposta o a cui non ha ancora dato risposta.

Non è importante come riuscite a fare la domanda.

È il soggetto della domanda che interessa la risposta!

Non la formulazione, ma come vieni qui tu; la domanda allora può diventare più facilmente liberazione di una angustia o spiegazione di un bisogno che hai.

E la verità è una risposta a un problema che si vive, cioè ad una esperienza.

Il come domandare trova una esplicazione molto facile: se il domandare è semplice.

Cosa vuol dire che una domanda è semplice? Per essere domanda, una domanda deve essere semplice.

Una domanda fa emergere una cosa che vorresti capire o che vorresti vivere; contenuto della domanda deve essere una cosa che tu vorresti vivere o vorresti capire, non altro!

Bisogna che una domanda non nasconda niente per essere semplice.

Sembra che una domanda, per non nascondere niente debba essere complicata.

E tutti si arrabattono a esprimere una domanda con tutta la complessità possibile, che non lasci via niente.

304 – Se uno fa una domanda trattenendosi dentro tanti «ma», tanti «se», tanti «però», oppure anche esplicitandone qualcuno, allora penetra nella domanda un fattore estraneo al contenuto della domanda.

Ed è impossibile che la domanda abbia risposta: cioè il tecnico dà la risposta, ma il cuore resta anchilosato nel braccio del suo castello in cui si è asseragliato.

Per fare una domanda basta dire quello che si chiede, con semplicità, senza trattenere dei «ma», dei «se», dei «però»; senza che un altro fattore tenti di fare lo sgambetto al passo che vuoi fare (perché lo sgambetto che vuoi fare alla persona a cui domandi è uno sgambetto fatto a te stesso).

Se «Egli solo è», c’è una sola cosa da dire, quella per cui hai fatto la domanda – se hai già raggiunto una certa semplicità nel tuo io -: conoscerlo e amarlo. E non ci sarebbe nessun problema nella vita!.

323 – Di domande non solo ce ne faremo sempre, ma ce ne faremo sempre di più: quanto più si sa, tanto più si fanno domande; quanto meno si sa, tanto meno si fanno domande.

Noi facciamo domande alla vita e alla realtà; perciò è eminentemente drammatica la nostra vita: è vita la nostra vita, è una vita viva, piena di responsabilità.

541 – Il vero errore è non sottomettere la ragione all’esperienza: è il prevaricare della dialettica, la caparbietà della domanda (la domanda diventa una cosa caparbia che non riesce a risolversi) la preferenza data ad un interrogativo non del tutto vero, perché in ultima analisi ha un contenuto di pretesa su cui non si vuol cedere: «So già».

544 – La fede è il cammino che è fatto guardando chi è più avanti, è il cammino dello sguardo.

Non è l’esito di una dialettica, non è la risoluzione immediata di tutte le domande che poni, perché una risposta immediata alla domanda che poni non la capisci perché non sei ancora evoluta; c’è da intuire a che cosa si riferisce del tuo essere e della tua esperienza, che è diverso che capire totalmente.

Il problema non è rispondere a tutte le domande che poni in modo esauriente o in modo tale che tu capisca tutto quello che nella risposta data pre-senti.

Il problema non è rispondere a tutte le domande, ma è l’atteggiamento dell’io.

Se il cuore è nella stesa posizione in cui il Mistero l’ha fatto.

551/552 – Non è la discussione ciò a cui il mistero che ti fa ti inoltra; il mistero non ti fa discutere, ti rende curioso e desideroso: domandi.

Perché le nostre domande non sono domande?

Perché pre-tendono – magari senza dirselo, senza chiarirselo – pretendono qualche condizione: fra due ore, fra un’ora, fra…

Ecco, si può riassumere dicendo: non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difendere nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo cui la natura mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità umana, più matura che è la domanda (senza predeterminazione, senza pretesa: nessuna pretesa).

572 – Si impara ad amare Cristo riconoscendone la presenza.

È una grazia: come la presenza, così il riconoscerlo.

Lo sviluppo di questa grazia si chiama domanda.

Si conosce Cristo domandandolo.

Perciò il peccato grave, da cui derivano tutti gli altri peccati, è l’assenza di preghiera, di domanda, ma di domanda reale, di domanda sofferta, di domanda sincera: di domanda, non di pretesa.

La maggior parte delle vostre domande sono pretese, perché hanno delle condizioni dentro, esplicitate o tenute nascoste, hanno delle condizioni dentro.


300 – «La grande Presenza ha dato la promessa, dà la promessa che, nella misura in cui uno domanda, sarà esaudito. Qui sta la libertà dell’uomo di fronte al suo destino è una domanda, che è la posizione del mendicante o del povero. Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così? p. 162].

È vertiginoso sapere che il punto di certezza è la domanda.

Sembrerebbe che la domanda sia indice di una condizione di impotenza e di povertà: non può fondare la certezza. Appunto!

La domanda ha queste due valenze, e per questo è fonte ed è sostegno della certezza:

  1. Ha da una parte la valenza del senso della nostra incapacità e debolezza.
  2. Questa nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza.

249 – Non dovete più venire con delle domande a guisa di scimitarre sfoderate.

Le domande non devono essere espressione di una curiosità, di un tentativo di rivalsa contro il parere di chi ha parlato, scettiche, non devono essere domande inquisitorie; le domande devono essere mendicanza – mendicare di capire il proprio volto -, devono essere, cioè, vere domande o domande di verità su di sé.

253 – Intervento: «È una grazia (la perseveranza del desiderio di essere semplici e uomini più degli altri)?»

È piuttosto oggetto di domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

296 – «Il desiderio diventa sicuro di sé quando domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza lo ha promesso» [Si può vivere così? p.161]


253 – Intervento: «È una grazia? (la perseveranza del desiderio)?»

È piuttosto oggetto di domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

Qual’è la parte della libertà in questa grazia? La domanda! La grandezza della libertà dell’uomo sta nella imperterrita domanda.

300 – «La grande Presenza ha dato la promessa, dà la promessa che, nella misura in cui uno domanda, sarà esaudito. Qui sta la libertà, la libertà dell’uomo di fronte al suo destino è una domanda, che è la posizione del mendicante o del povero. Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così? p. 162].


313 – «La fedeltà nell’appartenenza, che è la stoffa della pazienza o la fatica della speranza, ha un modo di esprimersi. Quale? La domanda; è il domandare o, meglio ancora – siccome non è il domandare di uno che è qualche cosa lui e vuole altro, ma è domandar tutto -, è mendicanza» [Si può vivere così? p. 172].


127 – Da un punto di vista psicologico, lo stupore porta a una domanda e approfondisce la domanda, chiede che la domanda sia approfondita fino alla risposta.

303ss – Non è importante come arrivate qui a fare la domanda. È il soggetto della domanda che interessa la risposta!

Non la formulazione, ma come vieni qui tu; la domanda può diventare più facilmente liberazione di una angustia o spiegazione di un bisogno che hai.

E la verità è una risposta a un problema che si vive, cioè a una esperienza.

Il come domandare trova una esplicazione molto facile: se il domandare è semplice.

Cosa vuol dire che una domanda è semplice? Per essere domanda, una domanda deve essere semplice.

Una domanda fa emergere una cosa che vorresti capire o che vorresti vivere; contenuto della domanda deve essere una cosa che tu vorresti vivere o vorresti capire, non altro!

Bisogna che una domanda non nasconda niente per essere semplice.

Sembra che una domanda, per non nascondere niente debba essere complicata.

E tutti si arrabattono a esprimere una domanda con tutta la complessità possibile, che non lasci via niente.

304 – Se uno fa una domanda trattenendosi dentro tanti «ma», tanti «se», tanti «però», oppure anche esplicitandone qualcuno, allora penetra nella domanda un fattore estraneo al contenuto della domanda.

Ed è impossibile che la domanda abbia risposta: cioè il tecnico dà la risposta, ma il cuore resta anchilosato nel braccio del suo castello in cui si è asseragliato.

Per fare una domanda basta dire quello che si chiede, con semplicità, senza trattenere dei «ma», dei «se», dei «però»; senza che un altro fattore tenti di fare lo sgambetto al passo che vuoi fare (perché lo sgambetto che vuoi fare alla persona a cui domandi è uno sgambetto fatto a te stesso).

Se «Egli solo è», c’è una sola cosa da dire, quella per cui hai fatto la domanda – se hai già raggiunto una certa semplicità nel tuo io -: conoscerlo e amarlo. E non ci sarebbe nessun problema nella vita!.


127/128 – «Lo stupore. Ma lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta. Lo stupore nasconde dentro di sé una domanda profonda che tocca le fibre ultime del nostro essere» [Si può vivere così? p. 42/43].

Da un punto di vista psicologico, lo stupore porta a una domanda e approfondisce la domanda, chiede che la domanda sia approfondita fino alla risposta.


499/500 – «Qual’è il vero sentimento che il sacrificio afferma come sentimento più forte della vita? Il sacrificio afferma come il sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non mi riesce di affermarla.

Io amo una persona, vorrei amarla con tutto me stesso e non riesco: muore, due giorni dopo muore.

Non riesci ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compiutamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.

È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: “Vieni, Signore Gesù”, vieni Tu, perché Tu sei morto in croce, solo Tu, puoi rendere felice – puoi essere il destino compiuto -, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice anche me, come conseguenza»


551/552 – Il mistero non ti fa discutere, ti rende curioso e desideroso: domandi.

Perché le nostre domande non sono domande? Perché pre-tendono – magari senza dirselo, senza chiarirselo -, pretendono qualche condizione: fra due ore, fra un’ora fra…

Non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difender nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo cui la natura – cioè Dio – mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità più umana, più matura che è la domanda (senza predeterminazione, senza pretese: nessuna pretesa).


71 – Non «Richiedo da Dio», ma «Chiedo»; se richiedi, sei un presuntuoso, sei un pretenzioso.

551/572 – Il mistero non ti fa discutere, ti rende curioso e desideroso: domandi.

Perché le nostre domande non sono domande? Perché pre-tendono – magari senza dirselo, senza chiarirselo -, pretendono qualche condizione: fra due ore, fra un’ora fra…

Non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difender nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo cui la natura – cioè Dio – mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità più umana, più matura che è la domanda (senza predeterminazione, senza pretese: nessuna pretesa).


(Cfr. anche: faccia, viso, volto)

257 – La definizione della donna per l’uomo è dunque innanzitutto compagnia; ma risulta un aspetto diverso, perché la compagnia deve avere qualcosa di diverso.

È un’altra cosa che compie, corrispondente a qualche aspettativa che nell’uomo è aperta.

335ss – Nell’inno ad Aspasia (Leopardi) dice che la bellezza della donna, la bellezza in genere, ma in particolare la bellezza della poesia, sembrano un raggio di qualcosa d’altro,come lo svelarsi di un paradiso perduto.

Quello che l’uomo vede, se ne è molto colpito, se molto gli interessa, quanto più gli interessa, tanto più gli fa immaginare qualcosa d’altro.

336 – La donna suscita nell’amante una immagine più grande di sé, e per questo ci è attaccato.

La donna di cui Leopardi è innamorato gli desta questa «amorosa idea» che in tutto sembra identica alla donna che ha davanti: ma essa non è la donna che ha davanti, bensì una immagine in cui il desiderio di essa si desta e si alimenta: l’«amorosa idea».

È qualcosa d’altro che lo richiama nella donna che ama.

Il suo entusiasmo è per qualcosa che la donna, o la musica, o tutto ciò che è bello al mondo, ha destato dentro.

Nell’uomo – vedendo l’oggetto amato e stimato – è stata destata l’attesa di qualcosa d’altro.

E lui identifica questo in quello che gli deve dare la donna, e così diventa ingiusto, perché non può pretendere da essa quello che essa non può dare.

337 – Così l’uomo fa coincidere le sue eccessive pretese con una donna che ha davanti, con ciò che ha davanti, mentre ciò che ha davanti rimanda ad altro che egli non sa, ma che attende e che non sa neanche di attenderlo.

Cristo è venuto per chiarire questo gioco: «Tutto è segno di me. Tutto parla di me». Tutto ciò che è grande nella vita è segno di Lui.

La verità più affascinante di una donna o di una musica o di una cosa bella è di essere segno di qualcosa d’altro.

Quando l’uomo presènte questo, immediatamente piega l’animo ad attendere l’altra cosa: anche davanti a ciò che può afferrare, attende un’altra cosa; afferra ciò che può afferrare, ma attende un’altra cosa.

339 – Mistero e segno coincidono: il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, la segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani; il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

340 – Le creature amate, stimate, che ci attirano, non sono una indicazione di dove sia Cristo – la bellezza del mondo – ma sono luoghi dove Cristo si incarna per toccare te, per richiamare te, per essere servito da te, per essere amato da te, per esere utilizzato per il tuo contributo alla salvezza del mondo.

Seguire e guardare. Seguire e guardare.

556 – Ha detto: «Non bisogna lasciare l’uomo da solo: mettiamogli insieme la donna, come compagnia» [Gen, 2,18], come compagnia al Destino.

Quanti poi vedano la donna come compagnia al destino, è il punto: è qui che si comincia a barcollare.

Il centuplo riguarda l’avveramento, l’avverarsi, il diventar vero del sentimento umano.

559 – Andate a leggere Aspasia: quello che l’uomo cerca nella faccia della donna non è la sua faccia – la donna crede che sia la sua faccia, ma non è la sua faccia -, è ciò da cui quella faccia si genera e a cui l’individuo che la vede è attratto, ultimamente: il destino dell’individuo.


155 – La bugia più malinconica, più triste, con le conseguenze umane più sottilmente amare, è l’amore dell’uomo alla donna senza che esso implichi questo affondarsi nel Mistero, senza Cristo.

164 – L’amore verginale di un uomo ad una donna è una soglia dell’eterno, è un aspetto dell’eterno, è un vibrare dell’eterno dentro l’esperienza di questo mondo, è già una presenza dell’eterno in questo mondo.

334ss – Nell’inno ad Aspasia (Leopardi) dice che la bellezza della donna, la bellezza in genere, ma in particolare la bellezza della poesia, sembrano un raggio di qualcosa d’altro,come lo svelarsi di un paradiso perduto.

Quello che l’uomo vede, se ne è molto colpito, se molto gli interessa, quanto più gli interessa, tanto più gli fa immaginare qualcosa d’altro.

336 – La donna suscita nell’amante una immagine più grande di sé, e per questo ci è attaccato.

La donna di cui Leopardi è innamorato gli desta questa «amorosa idea» che in tutto sembra identica alla donna che ha davanti: ma essa non è la donna che ha davanti, bensì una immagine in cui il desiderio di essa si desta e si alimenta: l’«amorosa idea».

È qualcosa d’altro che lo richiama nella donna che ama.

Il suo entusiasmo è per qualcosa che la donna, o la musica, o tutto ciò che è bello al mondo, ha destato dentro.

Nell’uomo – vedendo l’oggetto amato e stimato – è stata destata l’attesa di qualcosa d’altro.

E lui identifica questo in quello che gli deve dare la donna, e così diventa ingiusto, perché non può pretendere da essa quello che essa non può dare.

519 – Un uomo non può essere rispettoso della sua donna se, avendola sposata, non pensa: «Cristo come la tratterebbe?».

E provate a riflettere che razza di ritorni deve avere questo!

Nella giornata ci devono essere molti momenti in cui uno è richiamato a questo.

Tra lui e lei, se non si richiamano alla presenza di Cristo, si tratteranno male, cioè saranno sempre più l’uno fuori dall’altro, fuori.


458 – L’amore è dare, è comunicare.

Gratis è un dono: se una cosa è fatta gratis è donata.

Donare è una esigenza normale, naturale, dell’amore.


395 – Dopo Dio e il firmamento, Chiara”: una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla. Ma pensate al distacco che c’era, dal punto di vistra metrico, metrico decimale. Infatti non è una questione di misura, ma ultimamente di compagnia contestuale – l’oggetto, Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo – non è questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé, di dono di sé» [Si può vivere così? p. 224-225].

469 – Uno entra in questa strada – la verginità è il simbolo supremo di tutte le vite degli uomini: tutte le altre vite realizzano quello che nella vita delle vocazione alla verginità è sostanziale, è la definizione stessa della vita, è il tutto della vita, è tutto il progetto della vita: dono di sé commosso -, uno, avendo riconosciuto questo come sua strada, si inoltra e nel suo cuore per un certo tempo persiste la percezione del proprio sacrificio come commozione.

470 – Se il mio dono è commosso capisco che mi dà il centuplo: è una commozione che altrimenti non avrei mai, è una esperienza di rapporto con la persona per cui do la vita – o la voce! – che altrimenti non avrei mai.

476 – «La dedizione di sé all’altro non è una cosa generica, è una cosa molto concreta. Perché l’io vive, non come un nuvolone astratto, vive come atto; l’io vive come atto, si muove come atto» [Si può vivere così? p.290]

«Muoversi per l’altro» riduce un pò la formula usata prima «dono di sé fino in fondo». «Muoversi» descrive una attività nella vita, il «dono di sé fino in fondo» descrive il sacrificio di sé fino a morire.


344 – Nino Salvaneschi, questo scrittore oramai perso nella memoria della gente, ha scritto una vita di san Francesco.

La cosa più bella è la prima pagina, dove c’è quella frase che ho citato tante volte: «Dopo Dio e il firmamento, Chiara» Più niente, più niente! È come se san Francesco avesse aggiunto: «Ecco, non ho bisogno d’altro». Vivendo la vita che viveva, col saio direttamente sopra il corpo, d’estate affaticato, d’inverno raggelato: «Quivi – scrivi, frate Leone – quivi è perfetta letizia».

395 – «Dopo Dio e il firmamento, Chiara”: una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla. Ma pensate al distacco che c’era, dal punto di vistra metrico, metrico decimale. Infatti non è una questione di misura, ma ultimamente di compagnia contestuale – l’oggetto, Chiara, agli occhi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo – non è questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé, di dono di sé» [Si può vivere così? p. 224-225]


223 – Intervento: «Hai detto: “Allora obbedire è doveroso, come è dovere compiere il ragionevole”. Detto così, è come alleggerire quell’accento con cui viviamo la parola virtù: non è più uno sforzo moralistico, non è più una fatica, c’è come una leggerezza

La leggerezza con cui fare il proprio dovere fa rimanere il dovere dovere, ma aggiunge qualche cosa che alleggerisce il cuore e che si chiama letizia, aggiunge all’immagine di doverosità una letizia che altrimenti non conosceremmo.

Quanto più semplicemente seguirete, tanto più sarete lieti.

La letizia non è una dabbenaggine, la letizia non è un dimenticare i propri doveri.

Come diceva Girolama in Miguel Mañara, «Non ti meravigliare della mia letizia. Non trascuro nessuno dei miei doveri», sono impegnata seriamente!


206 – Il dramma è il rapporto io-tu, tanto è vero che abbiamo sempre distinto il dramma dalla tragedia: la tragedia distrugge, termina distruggendo; il dramma termina costruendo una dimora.


(Cfr. anche: scetticità)

28/29 – Il Benedictus, dove si trova nella Bibbia? Chi ha inventato il Benedictus? Il padre di Giovan Battista, dopo che fu liberato dal mutismo che gli era stato comminato come rimprovero per la sua dubbiezza.

Perché la dubbiezza è il nemico più equivoco di Dio e del vero.

Uno che nutre il dubbio sembra più oggettivo di uno che afferma una sicurezza, che afferma il vero; chi afferma il dubbio sembra saggio, mentre è il più satanico di tutti.

Questo lo dico perché abbiate a giudicare i sentimenti che avete in voi.

Il sentimento più cattivo, cattivo nella sua astuzia, è il dubbio, il dubbio che tende ad essere sistematico, che tende ad essere affermato ad ogni piè sospinto, ad ogni passo.

29 – Il dubbio impedisce di capire, il dubbio è ingiusto perché pone un preconcetto, pone un assetto non spalancato e aperto, così che, se il vento dello Spirito arriva, trova la porta chiusa.

Non è il no, è un assetto che non ospita, inospitale.

50 – In sé, l’evidenza è irresistibile nella sua vittoria sul dubbio.

Il dubbio (o la dubbiosità), infatti, viene dall’introdurre fattori che non appartengono all’evidenza di quella cosa, vengono da altro.

117/118 – Dopo che ho conosciuto quell’uomo e ho già emesso tante volte il mio giudizio di fiducia in lui, se, […]replico: «Uhm, no, non è vero!», se io metto in dubbio (dubbio che è uguale a «Non vero», perché c’è un dubbio che ti spinge a una ricerca critica e c’è un dubbio che di spinge a dir di no), se io accedo al dubbio che mi fa dire «no», emetto un giudizio contraddittorio, con me stesso, incoerente con la mia ragione.

226 – Che è avvenuto nelle vostre assemblee? Non racimoli di domande, ma frantumate riduzioni di stati d’animo scettici, di dubbiosità che o avevan paura di se stesse (e giustamente!), o neanche avevan paura di sé: si ponevano con presunzione, come sempre una dubbiosità perseguita ad ogni costo.


169ss – [Si aprono 10 pagine con Carron che spiega tutto il lavoro sui Vangeli e dimostra a cosa si giunge se si sostituisce il dubbio all’apertura] Se l’individuo si pone verso la realtà con sospetto, guarderà tutte le cose con sospetto; appena trova un intoppo, lo interpreta in favore del suo sospetto.

Se invece è uno che si pone di fronte alla vita non con sospetto ma con positività […] c’è un fattore che gli altri non considerano, e lui, siccome è aperto, considera.

171 – Per cui chi parte con posizione di sospetto – l’alternativa è tra il sospetto e l’apertura – sempre, necessariamente, è obbligato a cancellare alcuni fattori in gioco – per esempio la tradizione della Chiesa, la tradizione di duemila anni – per poter andare avanti, per poter mandare avanti la sua parte.

173 – Tutti i Padri della Chiesa si rendono conto della difficoltà dei vangeli, ma prima di tutto non cancellano questi dati, non c’è in nessuno il dubbio.


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV




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