Temi: Si può (veramente?!) vivere così? (3)

Edizione di riferimento

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV


[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]


Indice linkato


29 – Quali sono i sentimenti predominanti nello stato d’animo di un ebreo devoto?

Prima di tutto che la vita è una promessa, la realtà appare promettente: tanto è vero che incuriosisce e il primo impeto non è quello di strozzarsi, di suicidarsi, ma quello di vivere; tant’è vero che un alto atteggiamento – atteggiamento contrario a sé – nasce da una complicazione.

30 – Il secondo sentimento era l’attesa della risposta a questa promessa: la fedeltà a Dio è l’attesa della risposta.

Dio crea l’uomo come promessa e l’uomo attende come risposta.

Questi sono i due piloni fondamentali della religiosità ebraica, della via all’infinito rivelata da Dio, non quella «immaginata» dall’uomo.

Dio è risposta a una promessa.

119 – «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).

Nulla: ma chi può dire così se non Dio? Un uomo, che è lì a mangiare e a bere con loro, che è Dio: per un ebreo, che aveva il concetto di Dio più puro che ci sia nella storia, era impossibile.

Sobillati, poi, dai capi dei farisei e dai loro intellettuali e dai loro scienziati.


109 – Giovanni e Andrea hanno domandato a Lui: «Dove sei nato?», e Lui l’ha spiegato.

Così hanno saputo anche loro dell’avvenimento di Betlemme, ma l’hanno saputo per via indiretta.

Lì era per via diretta che capivano che c’era qualcosa di eccezionale – cioè un miracolo -, c’era un mistero dietro, perché loro non se lo potevano spiegare.

129ss – L’eccezionalità pone una domanda che va al di là di quello che conosci.

«Loro che sapevano da dove veniva, conoscevano la madre, erano stati anche al matrimonio con Lui….sapevano tutto, sapevano bene chi era, ma era così eccezionale il suo modo di fare, di comportarsi, quelli lì erano suoi amici, non hanno potuto non dire: “Ma da che parte viene Costui? Chi è Costui che il vento e il mare gli obbediscono?» [Si può vivere così? p.129].

Intervento: «In me non nasce semplicemente la domanda: “Ma come fa ad essere così?”, ma è come se mi capitasse di volermi misurare con quella eccezionalità e volermene impadronire.…»

…di dare una spiegazione. Ti succede di voler dare una spiegazione di quella eccezionalità.

Tu fai l’esperienza di una cosa eccezionale – «È eccezionale!», non immediatamente ti viene la domanda: «Come faccio io a essere così?», oppure: «Come posso io prender la misura e rendermi così superiore alla norma?».

130 – Sarebbe incoerente con il tuo stupore. O dire: «È eccezionale!» è un giudizio sbagliato, oppure la conseguenza di questo giudizio è lo stupore, non il cancellarlo!

Il paragone tipico per il cristiano, qual’è? È la santità.

Madre Teresa di Calcutta è una cosa eccezionale…ma anche tu puoi diventare come lei! Sì, ma non come sforzo tuo, misura tua: deve c’entrare qualcosa d’altro.

Capisci? Se cancelli l’eccezionalità che dici di aver visto, la tua è una incoerenza, non un tentativo di eguagliarla.

«Ma chi è costui? Chi è costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27)

Se non ci fosse stata l’esperienza precedente, anche quel gesto eccezionale li avrebbe stupiti, ma non gli avrebbe fatto dire: «Ma chi è, allora, costui?»

Il problema della fede, il gioco della ragione nella fede, avviene con questa domanda: «Chi è costui? come fa ad essere così?».

Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia – si diffonde nel mondo e nella storia – attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domanda: «Come fa ad essere così?»

439/440 – Il nostro essere qui è come fragile maschera di una Presenza eccezionale.

Così quell’uomo che hanno seguito con una certa curiosità, fino a quando è arrivato in casa, era un uomo come gli altri.

Ma quando è arrivato a casa sua e ha detto: «Sedete», e ha incominciato a parlare, non hanno più staccato gli occhi dalla sua faccia, e sono stati là ore a sentirlo parlare….quello era eccezionale.

Lì non c’era più quello che di comune c’era allora: c’era un’altra cosa.

440 – C’è qualcosa di comune che c’era prima […], ma c’è qualcosa che non nasce come dalle tradizioni nascono le cose, che non nasce da altri come tutta la gente nasce da altri; c’è qualcosa d’altro: è un fenomeno eccezionale.

Il fenomeno eccezionale che è accaduto là, nella casa di Gesù, di Maria e di Giuseppe, accade a Nazareth dove ci sono i tre del gruppo adulto. Quello che è accaduto, là accade qui.


127 – L’eccezionalità porta a una sicurezza nel rapporto con la persona, così che quando questa persona dicesse a me anche cose incomprensibili,non le butto via come se fossi l’ultimo traguardo della misura, ma le trattengo, le trattengo e le ripeto.


453 – (Dio) ha creato l’uomo come collaboratore suo e gli ha dato la coscienza per essere suo collaboratore.

La coscienza, per essere suo collaboratore, è proprio nella capacità di vedere i rapporti, i nessi, di unire le cose: dapprima provvisoriamente, poi sempre meno provvisoriamente, sempre più intensivamente, sempre più comprensivamente, finché si chiama «cattolico» o «ecumenico» chi abbraccia, chi tenta di abbracciare tutto.

583 – Ogni esperienza umana ha dentro un pezzetto di vero: solo chi ha tutto il vero in mano è capace di valorizzare tutti i pezzetti che incontra.

Altrimenti, chi ha un pezzetto insiste sul suo pezzetto, non esiste altro che il suo pezzetto.

Non può un pezzetto valorizzare tutti gli altri che non sono come sè. Solo ciò che è tutto valorizza tutto, tutti i pezzetti.

E questo è il concetto nostro di Ecumenismo, che è differente da tutto quello che dicono molti cristiani e non cristiani del movimento ecumenista di adesso: ecumenismo, cioè tolleranza universale, perciò tutte le idee.

584Ecumenismo vuol dire esperienza della verità nella sua ultima autenticità così che, qualunque cosa tu incontri, abbia una virgola giusta su tutto un disegno sbagliato, esalti quella virgola, sei capace di lodarla ed esaltarla.


82 – L’uomo è educato dall’esperienza, non da ciò che prova.

È scriteriato pretendere che il proprio bambino cresca uomo maturo provando quel che vuole.

186 – Intervento: «Perché è così difficile rimanere a livello dell’esperienza?»

Perché nessuno ti ha fatto riflettere adeguatamente, ti ha educato a riflettere, e spontaneamente nessuno riflette in modo giusto, ma secondo gli impeti che sente dentro: gli torna conto un certo gioco, risponde in un certo modo; gli torna conto un altro gioco, risponde in un altro modo.

379 – «Una madre che non ha mai conosciuto un momento in cui fissa il suo bambino e, fissandolo da un metro o due o tre di distanza, pensa al suo destino: «chissà che destino avrà questo mio bambino», una donna che non ha fatto così, non ha mai gustato l’essere madre, mai; non può mai essere stata educatrice valida, mai: non conosce la creatura che ha lì» [Si può vivere così? p. 224].


154 – «Questa è la vittoria che vince il mondo: la fede.» (Gv 5,4)

Il «mondo» è la realtà nel suo aspetto falso.

In ebraico la parola «falso» e la parola «effimero» – ciò che è passeggero (effimero) e ciò che è menzognero (falso) – hanno la stessa radice.

Ciò che passa è menzognero, quanto è vero!

346 – La faccia significativa, che era entrata nella tua vita o hai visto passare per la tua vita, non la perdi più.

Ma per questo non la perdi più, non perché tu dici «Mi è piaciuta quella faccia»: è per il nesso tra quella faccia e quella Presenza.

Altrimenti passa questo aspetto delle cose, passa l’aspetto effimero delle cose.

438 – Ma non siamo bugiardi, tu ed io, siamo poveretti: fragili maschere, fragili segni.

Forse fragile può essere sostituito dalla parola effimero.


15 – Il cuore si muove per un motivo, per una ragione.

Si dice: «per qualcosa di emotivo».

Emotivo vuol dire: «motivo tratto da».

289 – Intervento: «In “Si può vivere così” Definisci l’emozione una reazione psicologica che deve essere giudicata: allora volevo capire meglio che cosa è l’emozione».

In un discorso come il nostro, si utilizza la parola emozione per indicare una espressione dell’impeto caratteristico dell’affectus, dell’affetto – in cui sempre termina la cognizione delle cose – proprio in quanto impeto non collocato dentro il contesto della ragione, dentro un contesto che la ragione sorprenderebbe, designerebbe, indicando il punto centrale, lo scopo finale, i fattori indiziari di un cammino.

Mentre l’affectus no, l’affetto è quella emozione in quanto consegue continuamente dalla scoperta che la ragione fa della realtà nelle sue connessioni, perciò segue la ragione che tratteggia il disegno totale, il disegno intero, l’interezza (la ragione è la coscienza della realtà secondo l’interezza).

L’emozione sottolinea o accusa un colpo alla testa.

L’affectus sottolinea l’emozione come qualcosa che investe il lavorio che la testa, come ragione, fa sulle cose; non l’abbandona mai, anzi, quanto più la ragione si avvicina alla completezza, tanto più l’affezione si inarca, diventa grande.

Tanto è vero che è molto più sicura l’affezione che un uomo ha per la sua donna a sessant’anni di quello che un giovane di vent’anni ha verso la ragazza.

568 – La difficoltà di queste cose sta nella distanza che c’è fra il giudizio e il sentimento come emozione o come reattività.

Il giudizio è una verità che si riconosce e si afferma; l’emozione è una reazione del proprio temperamento – e momentanea, per di più!-.

L’uomo è chi cammina in base al giudizio e non in base alla reazione, perché in base alla reazione anche i topi si muovono.


228 – (Riferito a chi non si prepara per le assemblee e pone domande non vere) Si chiama «scetticità» questa estrema figura dell’investigatore che sei tu, del piccolo “cimice” investigatore dell’infinito Iddio.

Invece il piccolo cuore del più piccolo bambino riceve la luce dell’eternità nella sua semplicità.

A me premeva dirvi questo perché non potevo lasciarvi andare avanti in questo equivoco brutto.

Ché l’equivoco indica sempre una menzogna dal punto di vista teorico, e una violenza dal punto di vista affettivo.

238-239 – Intervento: «A me interesserebbe capire che cosa significa “aver gli stessi sentimenti di Cristo”, perché io desidero questo, ma è come se non riuscissi poi nella vita a farne esperienza, a tradurlo nella mia vita».

C’è un equivoco a cui mi ribello.

Perdonami, ma c’è un equivoco a cui mi ribello.

Quando una cosa è equivoca, è demoniaca: sembra una bella mela ed è un ottimo veleno!

Se il criterio per sentirti gustosamente e veritieramente in pace è una esperienza di vita in cui tu senti di avere gli stessi sentimenti di Cristo, se il criterio è questo, è un pò generico, tanto che può essere confuso, tanto che ci si può nascondere dentro l’equivoco: perché se si identificasse una impressione tua, sarebbe una interpretazione nostra dei sentimenti di Cristo; e sarebbe altamente equivoca, tanto è vero che è il principio di Lutero.


(Cfr. anche: menzogna, peccato, sbaglio)

197 – «Perché la libertà è imperfetta, e proprio perché è imperfetta può scegliere una cosa che non è giusta. La capacità di scelta è propria di una libertà incammino, non di una libertà compiuta. La scelta non appartiene alla definizione della libertà: la libertà è soddisfazione totale. L’errore, la possibilità dell’errore, appartiene a una libertà che non è ancora libera, che non è ancora libertà, che non ha ancora raggiunto la soddisfazione totale» [Si può vivere così? p.72].

200 – «L’attrattiva o l’emozione suscitata da una creatura che esercita un influsso immediatamente più forte di un’altra cosa che porterebbe la libertà più avanti, che farebbe camminare la libertà, questo è l’errore; non è un errore l’attrattiva che si sente, è un errore preferire questa attrattiva all’attrattiva più debole, ma più attiva e sicura verso il destino che qualche cosa inoltra nel cuore, propone al cuore» [Si può vivere così? p. 72-73] – [Vedi anche «condizioni della libertà» in Si può vivere così?]

266 – L’errore rimane come dolore, non come obiezione.

300 – La nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza.

È la povertà che è amata, in tutti i sensi: per la povertà che sarebbe più amara – che è la povertà dell’errore, del male -, proprio per questa povertà Gesù muore: muore per i peccati miei e di tutti.

533 – (Pietro di Craon) L’errore fatto gli diventa inizio della sua vocazione.

541 – Il vero errore è non sottomettere la ragione all’esperienza: è il prevaricare della dialettica, la caparbietà della domanda, la preferenza data ad un interrogativo non del tutto vero, in quanto non voluto o non veramente interrogativo, perché in ultima analisi ha un contenuto di pretesa su cui non si vuole cedere: «So già», «In fondo io devo saper già».


443/444 – «E solo se tu commetti qualche errore particolare e grave, prima che tu ti senta perdonato, potrai rifugiarti, come sollievo o tentato sollievo, nell’idea che sia stata illusione l’incontro fatto. Fin quando potrai mettere a paragone quello che noi ti diciamo con tutto quello che gli altri ti dicono, non potrai mai dire con serietà che questo che diciamo noi è una illusione, perché è troppo conforme alla tua carne e alle tue ossa» [Si può vivere così? p.259].

Quando si è sbagliato gravemente, quando si è stati gravemente incoerenti con la propria vocazione – cioè con Dio, col proprio Creatore: il nostro filo parte da lì, quando si è commesso un errore grave, uno, come tentato sollievo, cerca di rifugiarsi nell’idea che l’incontro fatto sia una illusione, una fantasia, una impressione sua; così non deve ammettere di essere stato molto incoerente.

Ma questo escamotage non dà sollievo, in nessun senso. E il rifugiarti in questa ipotesi non ti mette in pace: ti lascia l’animo greve di una responsabilità che non hai rispettato.

Se tu riconosci con chiarezza che hai sbagliato e ti accorgi di essere perdonato e accetti questo perdono, il sollievo c’è subito, tanto la vita ci è data e la continuità della vita ci è data, tanto la vita ci è data e la letizia nella vita ci è data.


525 – Un ragazzo di avventa addosso alla ragazza. Perché? Sono raptus maniaci? No, non necessariamente.

La radice del suo errore sta in un grande desiderio di compimento, di soddisfazione, di possesso della bellezza, di bene compiuto, di bene realizzato: sono le esigenze del cuore, quelle che fondano i criteri della razionalità, gli stessi criteri che fondano la moralità, gli stessi.

Dal che si vede che la verginità è l’amore alla creatività.

L’altro non è amore alla creatività, e questo è documentato dalla vigliacca, scoraggiante, ripugnante mentalità con cui si concepisce il rapporto uomo donna


436 – La letizia e la pace: non sono parole dell’altra vita, sono parole di questa vita.

La pace è il bene dell’esilio, come la felicità è il bene della patria. La patria è l’eternità, e il bene della patria è la felicità.

L’esilio è la strada della vita, la pace è il bene di questa strada.


512 – Il trovarti su questa strada (verifica della vocazione) è esattamente come l’esistere: è tuo o ti è imposto? A chiunque l’esistere è dato, non l’ha chiesto lui, ma è suo, è tutto ciò che ha, è tutto ciò che è! È ciò con cui va tutto, raccoglie tutto, accosta tutto, brandisce tutto, crea tutto, domina tutto, diventa sempre più simile a Colui che lo ha fatto, al suo Signore.


81ssIl contenuto dell’esperienza è la realtà.

Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, è un fenomeno. Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto.

Prova nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.

Fin qui non è esperienza ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.

82 – È tutta la natura di quel poeta che, a quello che prova, all’invidia che prova, alla nostalgia che prova, fa delle domande: «È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?»

Queste sono esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova. Queste domande giudicano quello che prova.

Qui diventa esperienza il puro e mero provare.

Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

L’uomo è educato dall’esperienza non da ciò che prova.

83 – Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente buono, se è veramente felice.

Qual’è il punto di partenza per una indagine umana, per una inchiesta sulla verità?

Il punto di partenza è l’esperienza. Non quel che si prova, ma l’esperienza, che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri non come giudizi: può essere una infallibilità applicata male).

Nell’esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi ti fa balzare fuori i criteri del cuore, ti desta il cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.

La cultura è coscienza critica e sistematica di una esperienza; una esperienza esige sviluppo critico e sitematico.

84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.

Un cuore che è unitario in qualsiasi esperienza l’uomo faccia, che è principio di unità dell’uomo stesso e principio di giudizio su tutto quello che l’uomo mangia, ingloba.

Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da un altro da sé per giudicare sé.

Plagio: l’uomo sarebbe un plagiato; plagiato è quel fenomeno di esperienza in cui i criteri con cui l’esperienza giudica se stessa sono inoculati violentemente da qualcosa che sta al di fuori e non provengono da se stessi.

185/186 – La parola definisce un’esperienza, che è un contatto con la realtà, come dice Bontadini nel libro, che tanti dovrebbero leggere, Saggio di una metafisica dell’esperienza.

Se non c’è niente eccetto che un’ombra, una fotografia segna quell’ombra: quell’ombra è una realtà.

Non c’è niente che non sia realtà di quanto viene a galla nell’esperienza.

La parola è l’indice di una esperienza, cioè del modo con cui una realtà, o la realtà nel suo aspetto, vi si palesa, ti colpisce.

È il contrario del teorico; è tutto teorico quello che non è esperienza.

Tutta la filosofia moderna non nasce dall’esperienza, ma è una applicazione di un “a priori”, cioè di un preconcetto.

Se la parola è l’indice di una realtà che viene a galla nell’esperienza – vien segnata da una fotografia -, se la parola è l’indice di una realtà, di quale realtà è indice il sentimento della libertà?

186 – Di una realtà di soddisfazione.

Una realtà che non sia di soddisfazione non è una realtà libera, ma, in qualche modo, un cappio al collo, uno stringigola, una museruola.

191 – Intervento «La mia esperienza è che mi sento libero quando mi sento perdonato; allora vorrei sapere che rapporto c’è tra la coscienza del peccato e la mia libertà

Dobbiamo partire dall’esperienza facendo la quale uno si sente libero.

Quando uno si sente libero? Uno si sente libero quando è perdonato? Non necessariamente e non per tutti: non è una definizione.

Uno si sente libero quando è soddisfatto.

Per capire se io sono libero devo partire dall’esperienza in cui mi sento libero, e mi sento libero quando sono soddisfatto, quando un mio desiderio è soddisfatto.

Perché si deve partire dall’esperienza? Pochi capiscono le cose giuste e anche questi dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori, diceva san Tommaso d’Aquino.

457 – Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere un fattore che si chiama carità.

Madre Teresa di Calcutta la si sente nell’esperienza, ma non capisce come fa ad essere così: puoi solo ammirarla.

Cioè, questa stranezza di voce, questa stranezza di comportamento, questa diversità di comportamento è come incarnata, come una voce di cui non si vede l’origine, di cui non si vede la faccia, ma c’è.

481/482 – […] bisogna essere nella carne per capire Gesù. È una esperienza che ci fa capire Gesù.

Se Dio, il Mistero, è diventato carne, nato dalle viscere di una donna, non si può capire niente di questo Mistero se non partendo da esperienze materiali.

Se per farsi capire è diventato carne, bisogna partire dalla carne.

Ecco perché l’esperienza che un bel viso ti desta, «di sovrumani fati […] e d’aurei monti» – come diceva Leopardi – è segno.

Ma perché un viso sia segno di «sovrumani fati e d’aurei monti», bisogna che ti strappi a qualcosa d’altro, cioè a qualcosa di inerente all’esperienza che ne fai: devi trasformare l’esperienza […].

Deve subire una metamorfosi la faccia che hai davanti; se non subisce un cambiamento non l’ami più, si perde il divino, si perde il meglio di quella faccia: è triste.

482 – È triste quel che vivon tutti.

Si può dir così di Maria e Giuseppe, sì o no? Fate voi un altro paragone migliore di questi due. Ma il paragone lo dovete tirar fuori dalla vostra esperienza materiale.

Perché – diceva Romano Guardini – non c’è nessuna filosofia più “materialista” di quella cristiana.

541 – Cosa vuol dire comprendere? Quelle parole che cosa indicano? cosa voglion dire? Quale esperienza corrisponde ad esse? A quale esperienza mi richiamano? Perché è solo l’esperienza che dà contenuto vero alle parole, come diceva Jean Guitton: «“Ragionevole” designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza».

Questo è tutto.

Il vero errore è non sottomettere la ragione all’esperienza: è il prevaricare della dialettica, la caparbietà della domanda, la preferenza data ad un interrogativo non del tutto vero […]

Capire le parole vuol dire guardare in faccia il tipo di esperienza fino a percepire la realtà che le parole intendono indicare, la figura della realtà che intendono assumere, secondo la proiezione che questa realtà fa su di me e secondo l’emozione che la realtà fa su di me.

583 – L’umanità che c’è in tutte le esperienze dell’uomo, solo chi ha la coscienza, lo stupore e l’amore alla verità totale può valorizzarla.

Perché ogni esperienza umana ha dentro un pezzetto di vero: solo chi ha tutto il vero in mano è capace di valorizzare tutti i pezzetti che incontra.


404/405 – «Il segno dell’abbandono è come se a uno si prosciugassero tutte le sorgenti dell’orgoglio; non si inorgoglisce più, gli diventa impossibile inorgoglirsi perché niente è suo, e tutto diventa suo se niente è suo» [Si può vivere così? p.235/236].

405 – «Non riesco proprio a capire questa cosa nella mia esperienza

Quando si parla dell’essere, perciò quando si parla delle cose più ultime e profonde di cui la nostra vita è fatta come la carne è fatta di tessuti vari, quando si parla dei tessuti della vita, c’è un solo tipo di esperienza riassuntivo, nel cui ambito si deve riscontrare qualcosa di ciò che ci sentiamo dire: l’esperienza dell’amore.

Tutta l’esistenza di tutto ciò che c’è, tutto ciò che c’è si riconduce al rapporto con Gesù, con questo uomo.

Quello che nella nostra vita è simbolo, segno, riflesso – ma la parola giusta è segno – è ciò che nella nostra vita è più segno del rapporto con quest’uomo.

È dentro quello che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto totalizzante con Cristo, è guardando l’esperienza che più è segno del nostro rapporto con Cristo, che si capiscono le cose, si incominciano ad intravedere le cose.

406 – E siccome iil rapporto fra la piccola creatura e la fonte del suo essere è amore – l’amore a Cristo – è dentro l’esperienza di questi riflessi amorosi che si capisce o si pre-sente quello che c’è dietro.

Senza presentimento del vero cosa saresti? Zero, meno che niente.

Così la frase che hai citata si capisce solo guardando dentro l’esperienza amorosa che hai fatto fino ad ora: può essere ancora fragile, debole, appena accennata[…]

In qualsiasi aspetto di questa evoluzione, guardandoti dentro, tu capisci, capisci che il voler bene ad una persona non è prenderla, ma abbandonarsi.

L’abbandono è come se ti liberasse, non nel senso che ti libera dalla persona, ma ti libera nel rapporto con la persona: l’hai sempre la preoccupazione di averla, ce l’hai, qualunque sia la sua risposta, qualunque sia il suo atteggiamento, comunque la tua vita debba poi tradursi in atto.

Verso la persona per cui Dio ti ha dato più devozione sei libero in quanto abbandonato ad essa; poggi su di essa te stesso come un bambino poggia sul seno materno, poggi su di essa la visione che hai del mondo.


82 – Il provare, il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

L’uomo è educato dall’esperienza, non da ciò che prova.

È scriteriato pretendere che il proprio bambino cresca uomo maturo provando tutto quel che vuole.

186 – Intervento: «Perché è così difficile rimanere al livello dell’esperienza?»

Perché nessuno ti ha fatto riflettere adeguatamente, ti ha educato a riflettere, e spontaneamente nessuno riflette in modo giusto, ma secondo gli impeti che sente dentro.


80ss – La ragione è coscienza della realtà[…], fa vedere i fattori di cui la realtà è composta, coi criteri per giudicare se questo costolone è a posto, se è bene, se è giusto, se è nel contesto dell’esperienza che si guarda oppure se è estraneo ad essa.

Nella totalità dei suoi fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.

Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.

In ogni singola esperienza, nella rilevazione dei criteri che giudicano l’esperienza stessa e con cui dall’esperienza si può giudicare il mondo, questa emergenza dei criteri ultimi per la ragione è immediatamente sensibile, è immediata, è automatica.

Il cuore è automatico, sentir battere il proprio cuore è automatico.

Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.

Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.

Intervento: «Che cosa significa che i criteri con cui giudicare l’esperienza nascono dall’esperienza

Esperienza elementare che cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé; per essere completo, cioè per essere perfectus (perfetto, completo).

81 – Il contenuto dell’esperienza è la realtà.

Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, è un fenomeno. Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto.

Prova nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.

Fin qui non è esperienza ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.

82 – È tutta la natura di quel poeta che, a quello che prova, all’invidia che prova, alla nostalgia che prova, fa delle domande: «È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?»

Queste sono esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova. Queste domande giudicano quello che prova.

Qui diventa esperienza il puro e mero provare.

Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

L’uomo è educato dall’esperienza non da ciò che prova.

83 – Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente buono, se è veramente felice.

Qual’è il punto di partenza per una indagine umana, per una inchiesta sulla verità?

Il punto di partenza è l’esperienza.

Non quel che si prova, ma l’esperienza, che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri non come giudizi: può essere una infallibilità applicata male).

Nell’esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi ti fa balzare fuori i criteri del cuore, ti desta il cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.

La cultura è coscienza critica e sistematica di una esperienza; una esperienza esige sviluppo critico e sistematico.

84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.

Un cuore che è unitario in qualsiasi esperienza l’uomo faccia, che è principio di unità dell’uomo stesso e principio di giudizio su tutto quello che l’uomo mangia, ingloba.

Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da un altro da sé per giudicare sé.

Plagio: l’uomo sarebbe un plagiato; plagiato è quel fenomeno di esperienza in cui i criteri con cui l’esperienza giudica se stessa sono inoculati violentemente da qualcosa che sta al di fuori e non provengono da se stessi.

185/186 – La parola definisce un’esperienza, che è un contatto con la realtà, come dice Bontadini nel libro, che tanti dovrebbero leggere, Saggio di una metafisica dell’esperienza.

Se non c’è niente eccetto che un’ombra, una fotografia segna quell’ombra: quell’ombra è una realtà.

Non c’è niente che non sia realtà di quanto viene a galla nell’esperienza.

La parola è l’indice di una esperienza, cioè del modo con cui una realtà, o la realtà nel suo aspetto, vi si palesa, ti colpisce.

È il contrario del teorico; è tutto teorico quello che non è esperienza.

Tutta la filosofia moderna non nasce dall’esperienza, ma è una applicazione di un “a priori”, cioè di un preconcetto.

Se la parola è l’indice di una realtà che viene a galla nell’esperienza – vien segnata da una fotografia -, se la parola è l’indice di una realtà, di quale realtà è indice il sentimento della libertà?

186 – Di una realtà di soddisfazione.

Un realtà che non sia di soddisfazione non è una realtà libera, ma, in qualche modo, un cappio al collo, uno stringigola, una museruola.

191 – Intervento «La mia esperienza è che io mi sento libero quando mi sento perdonato; allora vorrei sapere che rapporto c’è tra la coscienza del peccato e la mia libertà

«Dobbiamo partire dall’esperienza facendo la quale uno si sente libero.»

Quando uno si sente libero? Uno si sente libero quando è perdonato? Non necessariamente e non per tutti: non è una definizione.

Uno si sente libero quando è soddisfatto.

Per capire se io sono libero devo partire dall’esperienza in cui mi sento libero, e mi sento libero quando sono soddisfatto, quando un mio desiderio è soddisfatto.

Perché si deve partire dall’esperienza? Pochi capiscono le cose giuste e anche questi dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori, diceva san Tommaso d’Aquino.


Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, è un fenomeno.

Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto.

Prova nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.

Fin qui non è esperienza ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.

82 – È tutta la natura di quel poeta che, a quello che prova, all’invidia che prova, alla nostalgia che prova, fa delle domande: «È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?»

Queste sono esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova.

Queste domande giudicano quello che prova.

Qui diventa esperienza il puro e mero provare.

Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

83 – Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente buono, se è veramente felice.


80ss – La ragione è coscienza della realtà[…], fa vedere i fattori di cui la realtà è composta, coi criteri per giudicare se questo costolone è a posto, se è bene, se è giusto, se è nel contesto dell’esperienza che si guarda oppure se è estraneo ad essa.

Nella totalità dei suoi fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.

Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.

In ogni singola esperienza, nella rilevazione dei criteri che giudicano l’esperienza stessa e con cui dall’esperienza si può giudicare il mondo, questa emergenza dei criteri ultimi per la ragione è immediatamente sensibile, è immediata, è automatica.

Il cuore è automatico, sentir battere il proprio cuore è automatico.

Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.

Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.

Intervento: «Che cosa significa che i criteri con cui giudicare l’esperienza nascono dall’esperienza

Esperienza elementare che cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé; per essere completo, cioè per essere perfectus (perfetto, completo).

81ssIl contenuto dell’esperienza è la realtà.

Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, è un fenomeno.

Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto.

Prova nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.

Fin qui non è esperienza ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.

82 – È tutta la natura di quel poeta che, a quello che prova, all’invidia che prova, alla nostalgia che prova, fa delle domande: «È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?»

Queste sono esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova. Queste domande giudicano quello che prova.

Qui diventa esperienza il puro e mero provare.

Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

83 – Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente buono, se è veramente felice.

Qual’è il punto di partenza per una indagine umana, per una inchiesta sulla verità?

Il punto di partenza è l’esperienza.

Non quel che si prova, ma l’esperienza, che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri non come giudizi: può essere una infallibilità applicata male).

Nell’esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi ti fa balzare fuori i criteri del cuore, ti desta il cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.

La cultura è coscienza critica e sistematica di una esperienza; una esperienza esige sviluppo critico e sitematico.

84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.

Un cuore che è unitario in qualsiasi esperienza l’uomo faccia, che è principio di unità dell’uomo stesso e principio di giudizio su tutto quello che l’uomo mangia, ingloba.

Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da un altro da sé per giudicare sé.

Plagio: l’uomo sarebbe un plagiato; plagiato è quel fenomeno di esperienza in cui i criteri con cui l’esperienza giudica se stessa sono inoculati violentemente da qualcosa che sta al di fuori e non provengono da se stessi.


63 – Come si dice che l’essere, il vero, il bello, il buono sono la stessa cosa, così l’uomo è quel livello della natura in cui la natura incomincia a conoscere di che cosa è fatta: autocoscienza.

La natura è fatta, cioè alla natura vien donato l’essere, di essere.

Non c’era niente, non c’era una natura morta, c’era il niente! Non c’è un altro passo tra la natura e il niente, l’essere.

Perciò l’uomo, di fronte alla presenza da conoscere, è desideroso, curioso come un bambino.

359 – Intervento: «Cosa significa che la letizia implica una comprensione dell’essere?»

È solo quando l’uomo percepisce l‘essere…ma l’essere è la parola più generale che ci sia: tutto ciò che è partecipa dell’essere, non si dà esso stesso l’essere, gli è dato; e perciò la gratitudine è il segno della autenticità del proprio conoscersi.

Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la propria esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità (e tutte le obiezioni della vita non riusciranno a fermare questa destinazione immanente al cuore stesso delle cose), allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.

488 – Se la carità è affezione all’intimo dell’essere, te ne infischi di tutto il resto, veramente te ne infischi di tutto il resto: se l’essere, attraverso un bambino che piange, ti chiede la vita, gliela dai.

La stessa affezione che ti introduce all’intimità con Dio, all’intimità con l’essere, ti spinge a farlo, a realizzarlo: si chiama gratuità.

La gratuità è la dote del Dio, la dote dell’Essere.

L’Essere è generatore senza misura né fondo, è generatore – e generare è dare – senza niente di ritorno, senza che calcoli niente; non calcola nulla Dio.

La gratuità è partecipare all’intimità di Dio, all’intima natura di Dio: non solo conoscerla, ma parteciparvi.


370 – Cos’è l’amare? È affermare l’altro. Affermare l’essere è amore.

Affermare l’essere è conoscenza che diventa amore, conoscenza che si concreta, si esistenzializza in amore.

Ma l’amore implica un’altra connotazione: affermar l’altro come significato di sé: non come il significato di sè ma come significato di sé.

380 – La nostra ragione, la nostra capacità arriva ad identificare qualcosa che essa non può conoscere, la supera, che essa deve affermare e abbandonare allo stesso tempo; affermare senza la pretesa di poterlo definire.

Affermare senza la pretesa di poterlo definire vuol dire affermare l’essere: c’è.


63 – La natura è fatta cioè alla natura viene donato l’essere, di essere.

Non c’era niente, non c’era una natura morta, c’era niente!

Non c’è un altro passo tra il niente e l’essere.


64 – Dire: «Andiamo a Messa» vuol dire compiere il gesto più personale che esista.

«Dio, fammi capire quel che è necessario, fammi capire quello che è vero, fammi capire quello che è sorgente di bellezza, cioè di ordine; fammi capire quello che è sorgente di letizia. Dammi letizia.»

Perché letizia è un compatto di verità e di ospitalità del cuore, la verità ospitata nel cuore.


214 – Io voglio innanzitutto farvi capire, chiodarvi in testa, che l’obbedienza è un fenomeno comune alla vita di tutti.

Per imparare occorre obbedire, altrimenti uno resta chiuso in quel che sa già.

Siete d’accordo che nella vita c’è un fenomeno, un modo di agire, che si chiama obbedienza?

Questo è lampante come dire: «Siete d’accordo che in una giornata bella c’è il sole in cielo?».

Ecco, è tale e quale.


260 – Tra gli amici di scuola, dopo cinque o nove anni di convivenza, resta il risultato amaro di una estranietà che fondamentalmente è rimasta, tanto che domina e rende ancor più facili le inevitabili lontananze, con le più brutte o inevitabili dimenticanze.


135 – «Viva mirarti ormai nulla speme m’avanza; s’allor non fosse, allor che ignudo e solo […] a peregrina stanza verrà lo spirto mio» [a meno che sia da un’altra parte]: la più bella affermazione dell’aldilà, la più bella affermazione dell’eterno da parte del genio di un ateo [Leopardi, Alla sua donna].

164 – Noi siamo come sempre fuori, fuori dal quadro di una realtà attraverso cui Dio ci si presenta e presenta il significato di tutta la realtà.

Tutte le volte che parliamo della soglia dell’eterno che si sperimenta in questo mondo è l’inizio dell’eterno in questo mondo.

L’amore verginale di un uomo ad una donna, è una soglia dell’eterno, è un aspetto dell’eterno, è un vibrare dell’eterno dentro l’esperienza di questo mondo, è già una presenza dell’eterno in questo mondo.

199 – L’uomo non capisce questo: l’adesione a Dio, il riconoscere Dio, l’amicizia con Cristo, la memoria di Cristo, la presenza di Cristo riconosciuta incomincia a fargli vivere quella felicità che l’aspetta per l’eternità.

Perché l’eternità o incomincia qui o non c’è.

338 – Il segno è per sua natura provvisorio, eccetto quello che ti porta a Cristo; quando il segno è segno di Cristo, rimane, come Cristo, per l’eternità.

L’eternità si affaccia sul volto della donna amata, l’eternità di affaccia sul panorama della natura che contempli con venerazione, l’eternità si affaccia nelle note della musica che ti piace.

478 – Senza la dimensione dell’eterno un io non diventa più io, resta sempre o bambino o scemo, manca di qualcosa di essenziale a se stesso.

Agli esercizi del CLU ho detto che un uomo che abbraccia la sua donna senza la prospettiva dell’eterno è un disgraziato, è un bugiardo.

La prospettiva dell’eterno è inerente al mondo con cui un uomo guarda la donna, con cui una donna sente l’uomo, con cui l’uomo sente gli uccellini, con cui guarda il cielo.

480 – Di una persona cui vuoi bene, immagini, guardandola in faccia, di andare in fondo, in fondo alla sua faccia; in fondo alla sua faccia c’è un Altro: per questo l’adori, puoi adorarla.

Se non va i fino a questo punto, non la puoi adorare, sei impostore, vuoi derubarla.

482 – Vivere la carità verso un’altra persona significa sempre subire questo tipo di contrasto, proprio perché è la verità nell’affermare l’altro.

Affermare il suo aspetto materiale, concreto, l’apparenza esistente, e affermare il suo eterno appaiono in contrasto: devi esprimerli contrastandoli.

Ma quanto più li devi esprimere contrastandoli, tanto più senti l’unità che c’è dentro.

570 – Sei chiamata a capire che c’è un rapporto più profondo come origine, più inteso come modulo, di accostamento, più utile, più profondamente suggestivo, già eterno.

Eterno: possesso totale e nello stesso tempo perfetto di una vita interminabile.

È la parola eterno: tanto è vero che il genio umano può arrivare vicino, ai margini estremi della nube divina, e Marcel può dire: «Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire» [G.Marcel, la “La mort de demain”, in Très pièces].


96 – L’identità tra il Mistero e segno di cui io parlo è un identità reale al suo vertice: pensate alla suprema attualità di questo che è l’Eucarestia; più identità tra Mistero e segno dell’Eucarestia non c’è.


51 – L’evidenza è che l’avvenimento che porta con sé esaurientemente le ragioni del suo essere affermato.

L’evidenza è sempre e solo ciò che ha in sé, porta in sé, rivela in sé, le ragioni del suo porsi.

143ss – Intervento: «Che rapporto c’è tra l’evidenza e la certezza?»

Prima di tutto l’evidenza è un tipo di certezza.

La certezza che come quell’uomo non c’era nessuno la gente l’aveva per esperienza diretta, per l’impressione di un immediato riscontro.

144 – Il metodo matematico usa l’evidenza in funzione di qualcosa di più complicato, di più complesso – fa entrare l’evidenza in un sistema dal quale trae una conclusione: (a+b) (a-b) = a2 + b2 -; mentre il fatto che un uomo sia grande è una esperienza non immediata nel senso cronologico, anzi dopo una certa convivenza, dopo un certo tempo: quanto più gli stai insieme, tanto più si fa; è una evidenza che si fa standoci insieme.

Mentre negli altri metodi per la conoscenza quanto più li usi e li sviluppi tanto più si complicano, questo, quanto più stai insieme tanto più si semplifica.

Il giudizio si forma quanto più vivi la convivenza.

Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza; non «si complica», ma diventa evidente.

Il rapporto tra persona e persona tocca il massimo della sua complicazione o problematicità all’inizio.

Intervento: «Vuol dire, quindi, che nel tempo la certezza per fede può diventare più certa della stessa evidenza

145 – Più certa della stessa evidenza, no, perché l’evidenza indica il massimo della connessione tra soggetto e oggetto.

Il massimo della connnessione è l’evidenza: «Questo è un libro», ma la certezza per fede diventa più ricca dell’evidenza solita.

Intervento:« Ho letto un articolo di Severino sul “Corriere della sera” e mi ha attirato il titolo, perché era: «Dio? Può essere tutto tranne che l‘evidenza della ragione»

[…] Qualsiasi ragazzo di Comunione e Liberazione , se ha fatto Scuola di Comunità, sa rispondere a menadito: eppure non c’è stato neanche u no dei grandi, tra i nostri amici, che abbia risposto..

L’articolo di Severino è tale e quale la mia prima ora di scuola al Berchet.

146 – L’evidenza non indica immediatamente e soltanto quello su cui mi sbuccio il naso se ci picchio contro, quello che vedo con gli occhi, quello che tocco con la mano immediatamente; questo è il meno, è l’oggetto più squallido dell’evidenza.

147 – Ma pensate che evidenza viene all’uomo quando, volendo veramente bene alla sua donna, ha fatto una famiglia e ha portato avanti con fatica per anni una vita insieme…come la può conoscere di più, come è più evidente ciò che lei è. Con mille difetti che prima non vedeva.

È più vera l’evidenza come soggetto della conoscenza quanti più fattori di umanità e di realtà c’entrano.

Il bambino, col naso che si struscia dietro il vestito, capisce chi è sua madre.

L’evidenza di sua madre è imparagonabile però con l’evidenza che avrà a vent’anni della vita del suo paese, per esempio, o della vita della ragazza a cui seriamente si fosse interessato.

È senza dubbio più grande l’evidenza dei vent’anni.

E non ha nulla a che fare , ha poco, molto poco a che fare con l’evidenza del bambino.

L’evidenza del bambino è una evidenza immediata.

Per una evidenza compiuta, matura, deve c’entrare anche il cielo, le stelle, l’azzurro del cielo e…tutta quella roba lì.

Senti, di che paese sei?

148 – Intervento: «Napoli»

Napoli. Questo è un atto di fede, perché lei non sapeva di nascere quando è nata a Napoli, non si è accorta che nasceva all’ombra del Vesuvio che stava fumando. Questo è un atto di fede.

Ma se lei dicesse: «Non lo so. Dicono che sono nata a Napoli, ma non sono sicura»; non sono sicuro io della sua salute mentale: chiamiamo un medico!

Questo è metodo con cui la natura fa andare avanti la storia.

149 – Per essere certo dell’America, prova a pensare quanti milioni di testimonianze io ho. Milioni: se leggo i ramanzi di Hardy, oppure se leggo Joyce, ho migliaia e migliaia di testimonianze che l’America c’è.

Intervento: «Adesso hai detto che eri più certo dell’esistenza dell’America che neanche dell’esistenza del professore che avevi davanti»

Certo!

Intervento: «Hai detto che l’evidenza è il massimo della connessione tra soggetto e oggetto»

Ho detto che l’America non è evidente?

Della persona che avevo davanti avevo una certa evidenza, quella del bambino.

Dell’esistenza dell’America ho una evidenza che è dell’adulto, ma è evidenza anche quella.

150 – Intervento: «Per cui resta vero che l’evidenza è il massimo della connessione tra soggetto e oggetto»

Certo, perché il paradiso è il massimo, il supremo e il definitivo della connessione tra l’oggetto e il soggetto: il soggetto è il cuore dell’uomo che aspira alla felicità; Dio è l’oggetto di questo desiderio perché Dio è la felicità; il massimo del rapporto è quel possesso evidente che è il paradiso.

475 – La prima certezza assoluta, a mio avviso, è questa: un adulto non può negare che in questo istante l’evidenza più grande che ha – non c’è altra evidenza più radicale e potente di questa – è che non si fa da sé.

548 – Ora, la natura, cioè il buon Dio, ha fatto il cuore dell’uomo come una attesa, una sete, una ricerca condotta via via dall’evidenza, da una evidenza.

E l’evidenza che cosa è? Ricordo quello che disse un mio carissimo alunno di prima liceo:


143 – Intervento: «Che rapporto c’è tra l’evidenza e la certezza?»

Prima di tutto l’evidenza è un tipo di certezza.

La certezza che come quell’uomo non c’era nessuno la gente l’aveva per esperienza diretta, per l’impressione di un immediato riscontro.

149/150 – Per essere certo dell’America, prova a pensare quanti milioni di testimonianze io ho. Milioni: se leggo i ramanzi di Hardy, oppure se leggo Joyce, ho migliaia e migliaia di testimonianze che l’America c’è.

Intervento: «Adesso hai detto che eri più certo dell’esistenza dell’America che neanche dell’esistenza del professore che vevi davanti»

Certo!

Intervento: «Hai detto che l’evidenza è il massimo della connessione tra soggetto e oggetto»

Ho detto che l’America non è evidente?

Della persona che avevo davanti avevo una certa evidenza, quella del bambino.

Dell’esistenza dell’America ho una evidenza che è dell’adulto, ma è evidenza anche quella.

150 – Intervento: «Per cui resta vero che l’evidenza è il massimo della connessione tra soggetto e oggetto»

Certo, perché il paradiso è il massimo, il supremo e il definitivo della connessione tra l’oggetto e il soggetto: il soggetto è il cuore dell’uomo che aspira alla felicità; Dio è l’oggetto di questo desiderio perché Dio è la felicità; il massimo del rapporto è quel possesso evidente che è il paradiso.

475 – La prima certezza assoluta, a mio avviso, è questa: un adulto non può negare che in questo istante l’evidenza più grande che ha – non c’è altra evidenza più radicale e potente di questa – è che non si fa da sé.


144 – 144 – Il metodo matematico usa l’evidenza in funzione di qualcosa di più complicato, di più complesso – fa entrare l’evidenza in un sistema dal quale trae una conclusione: (a+b) (a-b) = a2 + b2 -; mentre il fatto che un uomo sia grande è una esperienza non immediata nel senso cronologico, anzi dopo una certa convivenza, dopo un certo tempo: quanto più gli stai insieme, tanto più si fa; è una evidenza che si fa standoci insieme.

Mentre negli altri metodi per la conoscenza quanto più li usi e li sviluppi tanto più si complicano, questo, quanto più stai insieme tanto più si semplifica.

Il giudizio si forma quanto più vivi la convivenza.

Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza; non «si complica», ma diventa evidente.

Il rapporto tra persona e persona tocca il massimo della sua complicazione o problematicità all’inizio.

146/147 – 146 – L’evidenza non indica immediatamente e soltanto quello su cui mi sbuccio il naso se ci picchio contro, quello che vedo con gli occhi, quello che tocco con la mano immediatamente; questo è il meno, è l’oggetto più squallido dell’evidenza.

147 – Ma pensate che evidenza viene all’uomo quando, volendo veramente bene alla sua donna, ha fatto una famiglia e ha portato avanti con fatica per anni una vita insieme...come la può conoscere di più, come è più evidente ciò che lei è. Con mille difetti che prima non vedeva.

È più vera l’evidenza come soggetto della conoscenza quanti più fattori di umanità e di realtà c’entrano.

Il bambino, col naso che si struscia dietro il vestito, capisce chi è sua madre.

L’evidenza di sua madre è imparagonabile però con l’evidenza che avrà a vent’anni della vita del suo paese, per esempio, o della vita della ragazza a cui seriamente si fosse interessato.

È senza dubbio più grande l’evidenza dei vent’anni.

E non ha nulla a che fare , ha poco, molto poco a che fare con l’evidenza del bambino.

L’evidenza del bambino è una evidenza immediata.

Per una evidenza compiuta, matura, deve c’entrare anche il cielo, le stelle, l’azzurro del cielo e…tutta quella roba lì.


50 – In sé l’evidenza è irresistibile nella sua vittoria sul dubbio.

Il dubbio (o la dubbiosità), infatti, viene dall’introdurre fattori che non appartengono all’evidenza di quella cosa, vengono da altro: dalla fragilità dell’aria che respiri, dalla incompiutezza di ogni intrapresa, di ogni impresa, dalla incertezza dei tuoi programmi, dalla non consistenza delle cose che il tempo sempre distrugge così facilmente.


50 – È un foglio: è un foglio…anzi, due! Due fogli: come faccio ad essere sicuro? C’è una evidenza per la quale non occorrono delle ragioni strane, estranee alla evidenza stessa.

L’evidenza porta in sé le ragioni, un viso porta in sé la sua bellezza o la sua bruttezza.

Questa evidenza ha bisogno non di intelligenza, ma di moralità: tu sei e stai sempre più coscientemente nella posizione in cui ti ha creata la mano di Dio, che è quella del bambino.

Perché il bambino ha gli occhi spalancati e dice «pane al pane e vino al vino», e non si pone il problema se è vero che sia pane, se è vero che sia vino. Dovesse avere questi dubbim beve e mangia!


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV



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