
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]
Lettera «F»
Indice linkato
- Faccia
- Famiglia
- Familiarità
- Fantasia
- Fare/dire
- Farisaismo
- Fascino
- Fatica
- Fecondità
- Fede
- Fedeltà
- Felicità
- Festa
- Fidarsi
- Fiducia
- Figlio
- Filosofia/filosofo
- Fine del mondo
- Forza
- Fragile
- Futuro
Faccia
(Cfr. anche: donna, viso, volto)
114 – Capisce cosa vuol dire che la faccia di una persona ha un dentro, che la bellezza, per esempio, non è bidimensionale, ma è tridimensionale: uno ha un fattore verticale, ha un fattore orizzontale e ha un fattore che va dentro.
280 – Itinerario dello sguardo, cioè il cammino che avviene dentro lo sguardo: quando uno vede una faccia – e la faccia è piena di fascino, qualunque faccia è piena di fascino, di mistero, perché «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» [Gen 1,26]; e come l’uomo è, come l’anima dell’uomo è, così è il suo volto, dice Gesù-, quando uno vede una faccia e, stando a debita distanza – perché se non sta a debita distanza, muore subito, annega subito -, si inoltra dentro la faccia, dentro lo sguardo, allora vede una cosa più profonda; e guarda ancora e vede una cosa più profonda; e guarda, guarda fin quando arriva là dove nasce da una fonte: spings.
346 – La povertà è quella libertà dalle cose – anche dalle facce – che avviene come conseguenza della identificazione chiara di ciò da cui possiamo sperare la felicità, di quella Presenza da cui ci aspettiamo tutto, che è tutto:
«Tutto per me Tu fosti e sei» [Ada Negri, Mia giovinezza].
Per questo la faccia significativa, che era entrata nella tua vita o che hai visto passare per la tua vita, non la perdi più.
Ma per questo non la perdi più, non perché tu dici: «Mi è piaciuta quella faccia»: è per il nesso tra quella faccia e quella Presenza.
Altrimenti passa questo aspetto delle cose, passa l’aspetto effimero delle cose (aspectus: la faccia, la faccia delle persone e delle cose).
faccia amata
44 – Che la vita è zero e niente vuol dire che la faccia che stringeresti nella mano perché ami, è niente: stringi e va a finire in niente.
101 – Se uno guarda la faccia di una persona amata senza sentirsi trascinato all’eterno, non è amata quella faccia, o c’è frammezzo qualche cosa di cattivo, di alterato.
346 – Per questo la faccia significativa, che era entrata nella tua vita o che hai visto passare per la tua vita, non la perdi più.
Ma per questo non la perdi più, non perché tu dici: «Mi è piaciuta quella faccia»: è per il nesso tra quella faccia e quella Presenza.
Altrimenti passa questo aspetto delle cose, passa l’aspetto effimero delle cose (aspectus: la faccia, la faccia delle persone e delle cose).
365 – Anche la più bella faccia, se è commisurata al tempo che la veicola, senza aspettare che abbia settant’anni, ti trema; due istanti dopo – non è più quella e, soprattutto, non ti offre più il significato come ti sembrava darlo la prima volta, il primo istante.
479ss –
Una persona è amata soltanto quando è voluto il suo destino.
Che c’è in fondo alla persona? c’è il suo destino, altrimenti quello che vuoi è rubare ad essa, strumentare per te stesso qualcosa di essa, tradendo il fondo di essa.
Sono tutte e due metafore dello stesso tipo.
Nella prima devi immaginarti che uno entri in te fino al fondo della tua faccia; in fondo alla tua faccia sta un Altro, che è la tua felicità.
Nella seconda, staccarsi da te significa staccarsi dal naso, dagli occhi, dai capelli, dal particolare: è il particolare che tradisce la totalità.
480 – Tu hai due immagini.
- La prima:di una persona a cui vuoi bene, immagini, guardandola in faccia,di andare in fondo alla sua faccia; in fondo alla sua faccia c’è un Altro: per questo l’adori, puoi adorarla. Amarla vuol dire entrare nella faccia di una persona, e camminare, camminare, camminare fino in fondo: in fondo non facendosi da sé c’è un Altro.
- La seconda immagine: per amare una persona devi strapparti da essa; strapparti dall’aspetto o dagli aspetti che bloccavano il tuo interesse.
Amare uno andando fino in fondo alla sua faccia per giungere là dove è creato, è un sacrificio per te, perché tu vorresti fermarti o sei invitato a fermarti a ogni passo che fai.
481 – Deve subire una metamorfosi la faccia che tu hai davanti; se non subisce un cambiamento non l’ami più; si perde il divino, si perde il meglio della faccia: è triste.
482 – La cosa spettacolosa, umanamente parlando, della famigliola che viveva tra quelle quattro mura che si vanno a vedere a Nazareth, la cosa meravigliosa era come quel giovane uomo, Giuseppe, guardava la faccia di quella ragazza di diciassette anni che aveva sposato.
Dire: «chissà come la guardava» già implica uno strappo dalle nostre condizioni miserabili; o vuol dire penetrare quella faccia fin dove nasce.
559/560 – Inverare vuol dire guardare la cosa non così come ti sollecita nell’apparenza immediata, ma, trattenendoti dal scivolarci dentro come sei attratto, scoprire quale verità ci sta dentro quella faccia, che non è lui (come diceva Leopardi).
Andate a leggere Aspasia: quello che quell’uomo cerca nella faccia della donna non è la sua faccia – la donna crede che sia la sua faccia, ma non è la sua faccia -, è ciò da cui quella faccia si genera e a cui l’individuo che la vede è attratto, ultimamente: il destino dell’individuo.
Dentro quella faccia va il mio destino, ma il mio destino non è questa faccia.
Famiglia
287 – C’è un coro de La Rocca di Eliot dove si domanda: «Cosa direte di questa città che avete costruita? Ci andiamo accalcando gli uni gli altri», così che il tepore animale attutisce un pò il freddo dell’insignificanza del vivere.
Le discoteche hanno questa filosofia, tutto ha questa filosofia.
La famiglia è dissolta e, paradossalmente, diventa la prima sorgente di questa corruzione.
420 – E non c’è soltanto un individuo che poi, crescendo, fa una famiglia, e nascono due figli o sei figli; ma immaginatevi le quattromila monache di Ildegarda di Bingen e, contemporaneamente, i cinquemila monaci di Piero il Venerabile, che erano vicini, a Cluny.
E tutta la gente andava lì.
È il modo con cui, lentamente, dal selvaggio che dominava il V e il VI secolo è venuta fuori la famiglia cristiana – con la tenerezza di sentimenti, con la capillarità delle intenzioni, con la chiarezza dei comandi, delle leggi -, la famiglia cristiana come organismo-dimora, come una vera dimora per l’uomo: aiuto, ricovero, ospitalità, canto: un popolo che canta (Un popolo che non canta non esiste, non esiste come popolo).
famiglia e vocazione alla verginità
519 – La differenza dell’amore alla donna di uno che la sposa con uno che cammina con essa nella verginità, la differenza sta nel destino che il Padre ti ha chiamato a vivere: ti ha dato questo compito o te ne dà un altro.
Tutti e due sono compiti, tutti e due hanno quindi, una fecondità, quella che il Padre ti ha assegnato: ti chiede la fecondità della verginità o ti chiede la fecondità della famiglia normale.
Familiarità
157 – La parola immedesimazione dovete almeno presentire quanto sia una cosa diversa.
Almeno presentirlo, perché è una di quelle parole che indicano una realtà che ti si rende nota quanto più la vivi.
Perciò prima è come se dovessi rischiare, dovessi rischiare qualche cosa.
Se rischi questo qualche cosa, diventi familiare con quella realtà.
È un bel dire «diventi familiare»!
Ma si capisce che, per diventare familiare, devi rischiare prima una stima, una scelta, un certo contegno, un certo rispetto affettuoso, una certa distanza tenera.
Allora diventa familiare.
Familiare non vuol dire mettersi lì a rotolare come i bambini sulla sabbia fino a quando hanno cinque anni, anzi, quattro, perché a cinque non lo fanno già più.
Ho usato la parola familiare per indicare quasi un sinonimo di quel che vuol dire immedesimazione – quasi un sinonimo: un sinonimo dal punto di vista emotivo-.
Ma immedesimazione è molto più potente che familiare, perché l’immedesimazione tocca l’essere dell’altro.
Come una una persona familiare tu metti la mano sulla spalla oppure l’accarezzi, l’immedesimazione ti fa accarezzare o abbracciare l’essere dell’altro.
Immaginazione ed emotività data dalla familiarità sono semplicemente degli aspetti in funzione di una unità di approccio, di una unità di percezione, di un apprendere, di un afferrare, che non è possesso, altrimenti il possesso creerebbe subito confusione, che ti farebbe perdere l’oggetto invece di averlo.
Fantasia
351 – Il pensiero umano si pone e si sviluppa come presa di coscienza di un oggetto.
Questo oggetto è la proposta. Senza la proposta c’è la fantasia nostra, una gratuità di immagini che è il contrario del valore della gratuità, che è una tentata affermazione di sé, una difesa ad oltranza di diritti acquisiti, e in fondo una affermazione di quello che, in noi, altri hanno messo.
363 – La gioia del futuro non può essere poggiata sulla nostra fantasia.
Sarebbe storditezza una letizia e una gioia che nascano da noi, da qualcosa in quanto mio o – peggio ancora – da qualcosa che formulo io con la fantasia; e questa è una linea obbligatoria di atteggiamento, perché come natura siamo creati, perciò dobbiamo obbedire.
È obbedendo che uno diventa grande, esplicita se stesso.
Allora adorate il presente, perché il contenuto del presente si chiama lavoro: il contenuto del presente è il significato ultimo in quanto cerca di dar forma al presente.
Perciò, capite che il valore della nostra fantasia è l’inverso di quel che supponiamo noi.
Il Mistero che fa tutto l’universo è diventato uomo ed è il significato del vivere in quanto, attraverso la nostra collaborazione, dà forma ad una azione presente: dalla fantasia di uno che è a letto con gli occhi chiusi ma la mente sveglia, all’aiutare la mamma a pulire la cucina, a mettersi a studiare la sua materia preferita o la sua materia non preferita ma obbligatoria perché deve dar l’esame.
Fare/dire
376 – La noia è l’assenza di un sapere e l’assenza di un sentire, cioè l’assenza di prendere e fare.
Perciò la noia è l’anticamera della morte.
La noia non è un motivo per non fare, ma è uno stato di depressione che deve essere vinto per poter vivere.
Voglio dire, c’è la predica, la bella predica sulla povertà ma il nostro fare è lontanissimo.
Farisaismo
248 –
La moralità è l’adesione a una presenza connessa con il nostro destino.
La moralità è la sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende ad essere concepita – neii particolari e nel suo insieme – così da far piacere a quella faccia.
È una adesione amorosa a una presenza.
Non è un complesso di leggi, che può inventare anche lo stato: allora c’è la moralità dello Stato, e c’è la moralità hitleriana, la moralità inglese, la moralità di Franco, la moralità della democrazia francese, la moralità della magistratura italiana.
Obbedire alle leggi è farisaismo: i farisei, infatti, identificavano una perfezione in più di 650 norme: chi le avesse osservate tutte era perfetto.
Fascino
114 – (Si) capisce che cosa vuol dire che la faccia di una persona ha un dentro, che la bellezza, per esempio, non è bidimensionale, ma è tridimensionale: uno ha un fattore verticale, ha un fattore che va dentro.
[…] e se c’è un fascino non è né la lunghezza, né la larghezza, ma il profondo.
E il profondo la ragione non lo vede, ma se le è testimoniato, se le è fatto vedere, dopo non ne può più fare a meno.
Fatica
574 – E quanto più uno, per amore dell’ideale, è capace di portare e di sopportare le fatiche inerenti al cammino, tanto più è un grande uomo.
Ho detto una sola volta che la verginità si può vivere senza fatica? Se avessi detto così, avrei parlato male della verginità, perché non c’è niente di bello e di buono al mondo che si possa ottenere senza fatica.
Niente!
Quello che si può ottenere senza fatica, lo si può solo fare con vergogna.
fatica Vs sacrificio
575 – Intervento: «È ciò che dicevi parlando di sacrificio?»
Io non ho usato la parola sacrificio adesso.
Perché la parola sacrificio si distingue dalla parola fatica per una dignità che ha dentro, che la parola fatica non ha.
Il sacrificio è la fatica per il destino, ma il destino riverbera nella fatica che fai per esso la grandezza sua.
Se tu fai fatica per amore del destino, la nobiltà del destino si riflette nella grandezza d’animo con cui accetti il sacrificio per esso.
Se tu vuoi molto bene a una persona e per essa rischi la vita, ciò che illumina di razionalità il tuo rischiare la vita è il valore grande che ha l’amore di una persona a un’altra persona, che è un valore divino.
Fecondità
508/509 – Il sacrificio è necessario perché è un aspetto ineliminabile della figura intera del mondo, come la concepisce il Mistero che lo fa.
509 – Se accetto questa condizione divento migliore; se non accetto questa condizione, perdo me stesso, […] rendo sterile me stesso.
Sperimentalmente siamo nelle condizioni di scoprire come, accettando questa condizione che ci ripugna, noi diventiamo più «noi stessi», più uomini, più fecondi; non accettandola diventiamo più sterili, in tutti i sensi.
Siccome si tratta del Mistero, quello che scopriamo nel verso positivo mentre ci appariva in verso negativo, dobbiamo portarlo al limite.
Solo chi muore vive; solo chi dà la vita per l’altro – l’altro «implicitazione» della parola mistero: il diverso, il non me, perciò l’oltre ragione – afferma me stesso.
Perciò, in questo immediatamente urgente squilibrio e contrasto, se accetto la contraddizione in cui il Mistero mi mette, trovo che non è contraddizione, ma che è la strada per la fecondità del mio io, è la strada per la fecondità della vita.
Portiamo questo all’estremo: solo chi muore per l’Altro, cioè per il Mistero, vive.
519 – In fondo la differenza dell’amore alla donna di uno che la sposa (nel senso solito del termine) con uno che cammina con essa nella verginità, la differenza sta nel destino che il Padre ti ha chiamato a vivere: Ti ha dato questo compito o te ne ha dato un altro.
Tutti e due sono compiti, tutti e due hanno, quindi, una fecondità, quella che il Padre ti ha assegnato: ti chiede la fecondità della verginità o ti chiede la fecondità della famiglia normale.
520 – Che Cristo ami questa donna che cosa vuol dire: ecco, uno che è chiamato alla verginità è chiamato a vivere il rapporto che Cristo ha con questa donna nella sua completezza ( e la fecondità naturale tra l’uomo e la donna è Dio che l’assicura).
Fede
89 – La preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.
94 –
La fede afferma una cosa perché l’ha detta Lui.
E uno accetta razionalmente: è ragionevole perché l’ha detta Lui, in quanto è storicamente afferrabile e affermabile una eccezionalità di comportamento, una eccezionalità di performance, che non è reperibile da nessun’altra parte.
98 – Se la fede è metodo di conoscenza della ragione attreverso un testimone, il problema è che questo testimone sia credibile, cioè che questo testimone parli con verità sicura: non di balle!
Se la fede è un metodo della conoscenza, non c’entra col cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.
L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.
107 – «Abbiamo detto che l’unico motivo per cui si cammina su questa strada è Cristo, non ci sarebbe alcun altro motivo sufficiente per ciò che questa strada significa. E Cristo è l’oggetto totale della nostra fede» [Si può vivere così? p. 36].
115 – Intervento: «Vorrei capire cosa vuol dire che la fede è un modo per conoscere meglio.»
Il modo di conoscere dell’intelligenza giunge sulla soglia di un orizzonte misterioso.
Arrivati al fondo dell’esperienza della vita o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.
[…] C’è un punto di fuga.
La fede ci porta più in là, varca la soglia.
Non perché noi diventiamo capaci di varcare la soglia, ma perché uno, che viene dall’aldilà della soglia, si siede con noi a mensa e ci racconta quel che c’è al di là della soglia: Dio diventa compagno, uomo.
Per cui la nostra conoscenza viene potenziata.
116 – La fede nasce da un caso, un avvenimento che ha la forma di un incontro.
Occorre che, incontrata quella persona, io capisca se ho ragioni sufficienti per fidarmi.
Normalmente per avere queste ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.
E qui, quanto più uno ha personalità umana, tanto più in fretta capisce di potersi fidare dell’altro; quanto meno ha umanità in sé, tanto più dubita facilmente dell’altro.
130 – «La fede incomincia esattamente con questa domanda: “Chi è Costui?”» [Si può vivere così? p.45].
Il problema della fede, il gioco della ragione nella fede, avviene con questa domanda: «Chi è costui? Come fa ad essere così?».
Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia – si diffonde nel mondo e nella storia – attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domanda: «Come fa ad essere così?».
152 – Non esiste niente di più ragionevole, di più razionalmente evidente, di più facilmente documentabile come razionalità, che la fede in Cristo, che l’adesione a Cristo.
«Sappiate rendere ragione a chiunque della fede che è in voi» [1Pt 3,15].
La nostra fede deve essere intelligente, deve saper rendere conto a noi stessi innanzitutto, perché sia fonte di quella tenerezza, di quella capacità di amore e di quell’entusiasmo di dedizione che sono le cose migliori della vita.
167 – Il problema inerente ad una lettura oggettiva, scientificamente giusta, leale, dei testi evangelici è dovuto ad una questione che è la chiave di volta anche nel problema della fede in genere.
Il problema della fede è ostico, perché sembra, a un certo punto, fare un salto o imporre un salto: invece non c’è affatto un salto, c’è semplicemente una conseguenza inesorabile per chi ha l’animo leale e sincero.
Questo problema, che è il punto della difficoltà per capire la fede – come mai la fede sia razionale, anzi, il compimento della ragione -, questo problema è anche il punto capitale del problema dei nostri due preti spagnoli qui presenti.
Il loro amico Javier, che è qui oggi, sta preparando con me il testo finale di tutta l’indagine teologica, di tutta la teoria della fede, della concezione dell’uomo cristiano, della concezione della Chiesa, che abbiamo svolto in quarant’anni.
281 – «Se la fede è riconoscere una Presenza certa, se la fede è riconoscere un Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza» [Si può vivere così? p.151].
Intervento: «Perché a volte la speranza sembra più astratta della fede?»
A mio avviso la speranza sembra più astratta che la fede, perché la fede più concreta della speranza è normalmente, una fede come sentimento, come emozione.
Non è la memoria, perché se è memoria di una fatto, allora la fede diventa sostegno per cui io oggi, dopo duemila anni, compia i passi che debbo compiere, faccia i sacrifici che debbo fare.
282 – La speranza, infatti, è ciò per cui Cristo portò la croce: la fede fu la condizione per cui poté portarla, ma il portar la croce è stata la speranza di Cristo.
Cambiare in speranza l’esperienza del sacrificio e di rinuncia è di una concretezza sterminata, tanto è vero che agli uomini è impossibile, eccetto a chi si appoggia alla fede, a chi fa memoria di Cristo.
Intervento: «Vorrei capire: ” La fede è la condizione per portare la croce”».
La fede è la ragione per vivere, perché la fede mi dice: «Dio è diventato un uomo che si è messo insieme a te per accompagnarti nel tuo cammino al tuo destino».
L’effetto per cui si mobilita il tuo presente ti deriva dalla fede, ti è reso possibile dalla fede. È in questo cambiamento che tu ti muovi.
«La fede senza le opere è morta», diceva Giacomo (Gc 2,26): se non ti fa muovere e cambiare, la fede è morta.
Per questo la fede muore in noi.
Alla vostra età la fede muore se non suggerisce e decide di una trasformazione, di un cambiamento.
318 – «La fede è la coscienza di una Presenza che ti chiarisce lo scopo della vita senza possibilità di incertezze -«Io sono la verità e la Vita»- e che è più forte e che ha una forza tale […] per cui con Lui raggiungerai ciò per cui sei fatto; con Lui raggiungerai Lui» [Si può vivere così? p.188].
543/544 – Guardare, come diceva il famoso padre gesuita de la Potterie: «La fede è un cammino dello sguardo», la fede è il cammino che è fatto guardando chi è più avanti, è il cammino dello sguardo.
passaggi sulla fede
108ss – Intervento: «Leggendo la prima caratteristica della fede, ad un certo punto ho alzato lo sguardo e ho visto il presepe che avevo fatto a casa mia, e mi sono chiesta: «Ma perché con l’incontro che descriviamo partiamo sempre da Giovanni e Andrea?»
109 – Per Andrea e Giovannni l’avvenimento è stato quando, andando a casa sua, hanno incominciato a sentirlo parlare in un certo modo, per cui – «Oddio…» – non si poteva spiegare più.
Erano colpiti, oppressi ed esaltati da quello che diceva. Più lo sentivano, più erano ammaliati.
Era un avvenimento.
Lì era per via diretta che capivano che c’era qualcosa di eccezionale – cioè un miracolo -, c’era un mistero dietro, perché loro non se lo sapevano spiegare.
Si chiama avvenimento.
110 – Che Dio si sia fatto uomo è un avvenimento che per Giovanni e Andrea è apparso quando sono andati là, per Giuseppe è apparso quando è nato il bambino, per i pastori quando han visto questo bambino.
[…] Per noi quando vediamo qualcosa di così cambiato che non si potrebbe immaginare niente al mondo capace di questo cambiamento, in noi e in un altro.
111 – (Di Emmanuel Mounier e della figlia idiota).
(Mounier) Accusa la debolezza d’aver pregato Dio che la facesse morire.
Fin quando ha capito che questa era una falsità borghese, come un metodo ricercato di maggior comodità del vivere per lui: che la figlia fosse morta, invece di restare idiota.
Perché quell’idiota era il segno dello spirito infinito, del rapporto con l’infinito, che è l’anima, nascosta come dentro la tomba di una materia resa opaca dalla malattia.
Riconosciuta e accettata e offerta a Cristo, con la sua croce, perché salvasse il mondo.
112 – «(Giovanni e Andrea) Il fatto in cui per la prima volta il problema di chi fosse Gesù si è posto è il primo istante in cui il problema della fede è entrato nel mondo, non della fede come semplice metodo della ragione, ma come metodo della ragione applicato a qualcosa di sopra-ragionevole, che sta aldilà della ragione, impensabile, inconcepibile: la fede come metodo della ragione applicato a qualcosa di inconcepibile, perché tutto quello che diceva quell’uomo era inconcepibile» [Si può vivere così? p. 38]
115 – Intervento: «Vorrei capire meglio cosa vuol dire che la fede è un metodo di conoscere più grande.»
Il modo di conoscere dell’intelligenza giunge sulla soglia di un orizzonte misterioso.
Arrivati al fondo della esperienza della vita o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.
C’è un punto di fuga.
La fede ci porta più in là, varca la soglia.
Non perché noi siam capaci di varcare la soglia, ma perché uno, che vien dal di là della soglia, si siede con noi a mensa e ci racconta quel che c’è al di là della soglia: Dio diventa compagno dell’uomo.
Per cui innanzitutto la nostra conoscenza viene potenziata.
116 – È una parola misteriosa, ma non estranea: uno si sente più a casa sua con quella parola misteriosa che neanche con le parole che capisce.
La fede come conoscenza nuova.
La fede nasce da un avvenimento che ha la forma di un incontro.
Occorre che, incontrata quella persona, io capisca se ho ragioni sufficienti per fidarmi.
Normalmente per avere queste ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.
118 – Ma come faceva a credergli quel gruppo di aficionados che gli era andato dietro per tre anni?
Come faceva a credergli?
Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, dopo il primo colpo che avevano avuto, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui potevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi». Più che ai loro occhi!
fede e carità
343 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e in gioia.
fede e grazia/libertà/ragione
150 – Intervento: «Perché io ho la fede e un altro no? La fede è un problema solo di ragione e di libertà o c’è qualcosa di più misterioso?»
Se tu hai la fede significa che impegni in essa tutta la tua ragione e tutta la tua libertà; ragione e libertà sono la radice della fede.
Invece che la fede si riconduca alla ragione e alla libertà: no, mai detto.
Siccome la fede è rapporto diretto con il Mistero, c’è il Mistero di mezzo, la cui necessaria comunicazione, se vuol farsi conoscere dall’uomo, si chiama grazia.
Per fare questa strada occorre che si sappia dare ragione della speranza che è in noi.
fede e letizia
360 – «La fede non fa nascere la letizia immediatamente, ma mediatamente: dalla fede nasce la speranza, nella speranza è la letizia perché la letizia non può essere guadagnata e vissuta se non nella certezza di un futuro. È soltanto una storditezza che può far nascere una letizia e una gioia da qualcosa che si ha in mano nel presente…e domani? Un sentimento è vero quando risponde a tutte le domande di tempo: spiega il passato, chiarisce il presente e assicura il futuro» [Si può vivere così? p. 217].
fede e libertà/obbedienza
216 – Prima di seguire, cosa occorre perché sia giusto seguire, doveroso seguire?
Intervento: «La fede.»
Questa risposta è molto più giusta di quanto tanti non riescano a capire, tanto è vero che abbiamo parlato di obbedienza nella parte dedicata alla fede.
Dico che è giusto seguire quando è ragionevole, quando ci sono delle «ragioni» per seguire.
[…] Ci sarebbe da aggiungere un aggettivo alla parola «ragioni»: «adeguate»
[Cfr anche: Il Senso Religioso: «ragioni adeguate»]
218 – Per obbedire bisogna innanzitutto rendersi conto del perché mi posso fidare di quella persona.
Intervento: «Ma che differenza c’è dalla fede, allora?»
La fede è un giudizio: «Di questa persona mi posso fidare».
L’obbedienza è una conseguenza etica, una conseguenza pratica, una conseguenza di mossa, una conseguenza attiva: «Siccome mi posso fidare, lo seguo».
Per questo dell’obbedienza si parla nella parte sulla fede.
L’obbedienza non è la fede! È la conseguenza etica, morale, cioè di comportamento, che nasce dalla fede.
La fede è un giudizio.
220 – Quello che abbiamo visto prima, parlando della fede, è un problema gnoseologico, di conoscenza: io posso conoscere una cosa perché la dici tu e ti credo quando sono persuaso che tu sai quel che dici, né mi vuoi ingannare.
Non confondiamo i problemi della fede con i problemi della morale che consegue alla fede, dell’atteggiamento pratico che consegue alla fede, che si chiama obbedienza.
È razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano.
230 – «La fede è un atto di conoscenza; la libertà è condizione perché esso avvenga» (Si può vivere così? p. 110].
262 – La volta ventura faremo la lezione sulla speranza.
Prima parte: fede, certezza di una presenza; conseguenza, la libertà che può andar dietro o no; e, terzo, l’obbedienza, che dice come andar dietro.
Seconda parte: la presenza certa fonda una certezza per il futuro; questa si chiama speranza.
fede e natura umana
95/96 – Per parlare della fede in Gesù bisogna tirar fuori l’umano: la fede in Gesù costringe a guardare all’umano in modo tale da conoscerlo come non si era mai conosciuto.
Interessa l’umano.
96 – E se l’esperienza dell’amore in humanis sembra avere nel rapporto uomo-donna la sua espressione più suggestiva, non ultima, ma più suggestiva, io debbo poter conoscere e approfondire il mio rapporto familiare con Cristo e la mia affezione a Cristo così da ritrovarci dentro un altro livello, più profondo e più suggestivo, la suggestività dell’amore dell’uomo e della donna.
fede e ragione
37 – Una delle ultime frasi di un recente libro del Papa dice questo: la fede salva la completezza della ragione dall’abisso della sua perdita [Giovanni Paolo II – Varcare la soglia della speranza].
79ss – Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.
Perché la ragione può conoscere l’esistenza del Mistero? Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.
80 – Nella totalità dei suoi fattori, in primo luogo, viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (autocoscienza), i principi cui essa si affida per essere e per esistere.
Questi principi sono quelli che abbiamo chiamato cuore.
Il cuore è automatico, sentir battere il proprio cuore è automatico.
Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.
Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.
Esperienza elementare cosa vuol dire?
La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé, per essere completo; e perché dal punto di vista del riflesso estetico, la bellezza si renda visibile, oggetto maneggevole; e perché il tempo sia buono, sia bontà; e perché l’esistere sia felicità, come dice il primo capitolo del libro della Sapienza.
81 – Il contenuto dell’esperienza è la realtà.
82 – Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.
84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.
Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da altro da sé per giudicare sé.
È vero che la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
Ma è proprio vero che questo è tutto? Innanzitutto, è proprio vero che la ragione conta tutti i fattori?
85 – Se la ragione conoscesse tutti i fattori del mondo o tutti i fattori di cui una cosa è fatta, mancherebbe ancora un fattore, che è fuori del numero, è fuori dei pezzi e genera la forma unitaria di cui tutti i pezzi sono funzione, parte.
La ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero una fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calcolabili dell’esperienza stessa.
87 – Se la tua natura è l’esigenza di conoscere tutti i fattori della realtà, anche l’esistenza di questo inafferrabile è fattore della realtà.
La ragione in qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.
La ragione davanti al Mistero rimane limitata.
Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a se stessa, non è compiuta.
Cosa deve fare la ragione di fronte al Mistero?
89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, conoscitivamente, si chiama categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.
Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.
È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.
Ed è conseguenza, allora, non dell’uso scaltro della ragione, del più umile uso della ragione che è là dove la ragione diventa bambino: frigna, chiede, domanda, cioè prega.
Ma la preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.
90 – «Dio, se ci sei, rivelati a me, comunicati a me!», questa domanda è l’ultimo gesto razionale, corrispondente cioè alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
115 – Intervento: «Vorrei capire meglio che cosa vuol dire che la fede è un modo di conoscere più grande»
Il modo di conoscere dell’intelligenza giunge sulla soglia di un orizzonte misterioso.
Arrivati al fondo dell’esperienza della vita o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.
C’è un punto di fuga.
La fede ci porta più in là, varca la soglia.
Non perché noi diventiamo capaci di varcare la soglia, ma perché uno, che viene dal di là della soglia, si siede con noi a mensa e ci racconta quel che c’è al di là della soglia: Dio diventa compagno dell’uomo.
130 – «La fede incomincia esattamente con questa domanda: “Chi è costui?”» [Si può vivere così? p.45].
Il problema della fede, il gioco della ragione, nella fede, avviene con questa domanda: «Chi è costui? Come fa ad essere così?».
Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domanda: «Come fa ad esser così?».
177 – Intervento: «Per cui la nostra difficoltà nel capire la fede è proprio la mancanza di un amore alla verità?»
[Si parla della indagine che ha portato un gruppo di teologi spagnoli, che hanno estratto dal greco del Vangelo il substrato aramaico: lavoro che ha chiarito molti punti che sembravano contraddittori].
Questa è la conclusione per cui ho disturbato i nostri amici.
Sono rimasti qui una settimana perché devono preparare una tournée negli Stati Uniti, in sette o otto Università degli Stati Uniti, dove sono chiamati a rendere conto delle loro indagini, del loro punto di vista e del loro metodo.
Secondo me è un fatto di importanza capitale: è la prima volta nella storia che sette o otto Università degli Stati Uniti fanno una iniziativa per far dire non una predica cattolica, ma per dimostrare come si sostenga un punto di vista scientifico cattolicamente accettabile.
Perché è la scienza, l’indagine scientifica, che ne va di mezzo, come per il problema fede-ragione c’è dimezzo la verità.
206 – Se tu obliteri, se tu dimentichi uno dei fattori, non è più la totalità ciò a cui ti interessi: non è più razionale.
Non solo non è più razionale, ma non è più neanche veramente fede, perché è sulla ragionevolezza che la fede gioca la sua verità.
La fede è una sfida alla ragione proprio in quanto compie la ragione.
fede e fiducia/povertà/speranza
270 – La speranza che nasce dalla fede, la proiezione nel futuro che viene dalla simpatia profonda per questa Presenza, è un buttarsi a capofitto in quella realtà, in quello spazio di mistero in cui il nostro essere potrà bere felicità da tutti i pori.
281 – «Se la fede è riconoscere una Presenza certa, se la fede è riconoscere una Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza» [Si può vivere così? p.151].
Intervento: «Perché a volte la speranza sembra più astratta della fede? Come invece c’entra, come ancora più incide sul mio presente, sul mio istante presente?»
A mio avviso la speranza sembra più astratta che la fede, perché la fede più concreta della speranza è, normalmente, una fede come sentimento, come emozione.
Non è la memoria, perché se è memoria di un fatto, allora la fede diventa sostegno per cui io oggi, dopo duemila anni, compia i passi che debbo compiere, faccia i sacrifici che debbo fare.
343/344 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi in cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e in gioia.
398 – L’oggetto scoperto dalla fede sostiene il peso di tutta la vita, di tutto il nostro futuro, fino ad arrivare alla completezza, al compimento finale del disegno di Dio, che è il nostro destino.
È l’oggetto scoperto dalla fede che sostiene tutto il nostro futuro, è l’oggetto scoperto dalla fede che sostiene tutto quanto l’ignoto della speranza, perché la speranza è piena di ignoto.
È quel Gesù che sentivano parlare, che Giovanni e Andrea guardavano in faccia.
La speranza è fino al compimento: questo è introdotto dal concetto di fiducia.
La povertà, cioè, non è un abbandonare, ma è definita dal cammino verso l’avere, verso la verità dell’avere.
399 – Fiducia nasce da un verbo latino che suona fidere, fidere se alicui, affidarsi a uno.
Fiducia è affidarsi a uno.
La fiducia, perciò ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola di vita.
È povertà in senso positivo, è il senso positivo della povertà: fiducia, fidere se alicui (affidarsi a qualcuno).
Fedeltà
313 – «La fedeltà nell’appartenenza, che è la stoffa della pazienza o la fatica della speranza, ha un modo di esprimersi. Quale? La domanda; è il domandare o, meglio ancora […] è mendicanza» [Si può vivere così? p. 172].
314 – «I nemici di questa fedeltà nell’appartenenza, i nemici più rilevabili sono la discontinuità […] e poi la fatica e il dolore» [Si può vivere così? p.172/173].
352 – Aiutiamoci a chiarire, perché una cosa si può presentire, o intuire, o anche sommariamente capire e, non essere ancora chiara.
Quanto più, invece, è chiara, tanto più è permanente sia come memoria sia come possibilità di fedeltà da parte nostra, sia come sequela: se una cosa è chiara, resta in mente e si sa di più cosa seguire.
403 – È il mistero del Padre che traccia l’itinerario della tua strada.
Tu devi essere fedele prima, fedele all’accaduto, fedele all’avvenimento, il cui frutto principale è un giudizio di certezza.
486 – «Attaccamento all’altro, affezione all’uomo; sia come devozione (rispetto), sia come fedeltà (continuità del rispetto)» [Si può vivere così? p.293].
Volere che l’altro sia, far di tutto perché l’altro sia, aiutarlo ad essere, rispettandolo nei suoi tentativi e fedeli a ciò che gli si deve.
578 – Fedeli, perché di una convivenza la caratteristica suprema è la permanenza, altrimenti non è una convivenza.
fedeltà e gloria di Cristo
277 – La gloria di Cristo parte dal cuore del singolo: io e Tu; Tu, Signore.
Solo un lungo affiatamento con Lui, solo la fedeltà a pensarlo, la fedeltà a studiarlo, la fedeltà a conoscerlo, la fedeltà a sentirne parlare, la fedeltà alla compagnia che è tale se fatta in suo nome, fa diventare intima la cosa.
Felicità
137 – «Nessun uomo ha mai visto il Suo volto».
Questo volto non è il volto di uno o di una. Il volto umano attraesse con una intensità inaudita, la nostra ingordigia sarebbe sempre ingordigia e non sarebbe felicità, perché la felicità è il riflesso in noi, è il ridevinire in noi dello splendore del vero.
186 –
La libertà è la capacità di felicità,
perché la felicità è la soddisfazione totale, e soltanto la soddisfazione totale è libertà.
Prima della soddisfazione totale non è ancora libertà: ti dà una impressione di libertà.
199 – L’uomo è stato fatto per la felicità, lo scopo del Mistero è quello di rendere l’uomo felice come sé.
L’uomo non capisce questo: l’adesione a Dio, il riconoscere Dio, l’amicizia con Cristo, la memoria di Cristo, la presenza di Cristo riconosciuta incomincia a fargli vivere quella felicità che lo aspetta per l’eternità.
304/305 – «L’esigenza di felicità che ha il cuore dell’uomo si realizzerà secondo la forma che il mistero della grande Presenza stabilisce; e questa forma non è nient’altro che la grande Presenza stessa, la forma è Cristo stesso» [Si può vivere così? p.163].
Cristo è la forma con cui la grande Presenza ti si palesa e ti si fa riconoscere, e ti dice: «Io sono la tua felicità».
Mentre lo inchiodavano in croce, Cristo diceva: «Io sono la vostra felicità».
Nessuno lo capiva eccetto la Madonna.
Ma non era quella modalità la forma: la forma era Lui, che il giorno dopo sarebbe risorto, iniziando il cambiamento di tutto l’universo, di tutto il mondo.
306 – Intervento: «“La forma è Cristo stesso”: volevo capire meglio proprio in riferimento alla forma della vocazione, quindi per aiutare una maggiore decisione su questa strada.»
Sì, la domanda è molto chiara, ma anche l’aspetto immediato della risposta credo sia altrettanto chiaro: «La felicità sono io», dice Dio; e Dio è diventato un uomo; perciò «la forma della felicità sono io – dice Cristo alla Samaritana-, Se tu bevi la mia acqua, non ti viene più sete in eterno».
386 – Offrire a Dio cosa vuol dire? Riconoscere la parte inevitabile che quella presenza ha nel disegno universale e, perciò, riconoscerla, come contesto dell’affermarsi del tuo io della tua felicità.
436 – La letizia e la pace: non sono parole dell’altra vita, sono parole di questa vita.
La pace è il bene dell’esilio, come la felicità è il bene della patria.
La patria è l’eternità, il bene della patria è la felicità. L’esilio è la strada della vita, la pace è il bene di questa strada.
513 – Verginità ha bisogno immamzitutto che l’uomo sia desiderio di felicità, sopra ogni cosa. sopra ogni cosa c’è Dio, c’è Cristo, c’è…desiderio di felicità: questa è la traduzione di quel che Dio è, di quel che Cristo è per il cuore dall’origine di te.
Allora quanto più senti questo, quanto più sei te stesso, tanto più sei fatto per questa verginità.
felicità e contestualità
357/358 – Se questa trama (disegno di Dio) ti fa passare attraverso l’alveo del Gruppo Adulto, alla tua felicità ti conduce attraverso il Gruppo Adulto.
Per questo bisogna essere estremamente leali e autentici nel vivere la contestualità per cui la nostra vita passa: se siamo italiani dobbiamo amare la nostra storia, i nostri amici
felicità e libertà
199 – […] L’uomo è stato fatto per la felicità, lo scopo del Mistero è quello di rendere l’uomo felice come sé.
L’uomo non capisce questo: l’adesione a Dio, il riconoscere Dio, l’amicizia con Cristo, la memoria di Cristo, la presenza di Cristo riconosciuta incomincia a fargli vivere quella felicità che lo aspetta per l’eternità.
Perciò, la libertà è la nostra responsabilità vissuta verso questo scopo.
E la libertà è responsabilità vissuta verso questo scopo tanto che essa è fatta di soddisfazione: la libertà è essere soddisfatti in modo vero, autentico, anche se incompiuto.
Impegnare la propria libertà nella sua responsabilità di fronte a Dio è un impegno per la propria felicità; per una felicità non nell’aldilà, ma nell’aldiqua in quanto incomincia qua.
Festa
417 – La festa più grande della casa non è la fedeltà che per temperamento uno è favorito ad avere per non spaccare la sua famiglia e che mantiene con sua moglie anche quando la fa arrabbiare.
La festa più inconcepibile, perciò la festa più grande della casa, è il perdono.
E quanto più grande è l’infedeltà, tanto più grande è – se avviene – il perdono, tanto più clamorosa è la festa.
Fidarsi
(Cfr. anche: fiducia)
capacità di fidarsi e “io” / personalità
116 – La fede nasce da un caso, un avvenimento che ha la forma di un incontro.
Se tu non incontri una persona di cui senti giusto fidarti, non nasce la fede.
Basta l’incontro? No, non basta l’incontro per dire: «Mi fido».
Occorre che incontrata quella persona, io capisca se ho ragioni sufficienti per fidarmi.
Normalmente per avere ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.
E qui, quanto più uno ha personalità umana, tanto più in fretta capisce di potersi fidare dell’altro; quanto meno uno ha umanità in sé, tanto più dubita facilmente dell’altro.
fidarsi e ragionevolezza
101 – «Se io ho delle ragioni adeguate per fidarmi di Nadia e non mi fido, faccio un atto irragionevole, cioè contro me stesso; se ho delle ragioni adeguate per fidarmi di Nadia, è ragionevole che io mi fidi di lei» [Si può vivere così? p. 22].
103 – «Da un punto di vista razionale è chiare che uno, se raggiunge la certezza che una persona sa quel che dice e non lo vuole ingannare, allora logicamente deve fidarsi, perché se non si fida va contro se stesso, va contro il giudizio formulato che quella persona sa bene quel che dice e non vuole ingannare.
La fiducia è un problema di coerenza, di coerenza con una evidenza della ragione, una evidenza raggiunta direttamente o attraverso il testimone, subito o in seguito a una convivenza» [Si può vivere così? p. 36].
Perciò il giudizio circa la credibilità del testimone è un giudizio che do con la mia ragione: non perché lo dice il giornalista, non perché lo dice l’articolista, non perché lo dice il romanziere, non perché lo dice il professore in classe, non perché lo dice la televisione: sono giunto ad accorgermi per mia conoscenza diretta, cioè per l’impiego della mia ragione.
La fede non suppone la fede per essere fede, ma suppone la ragione per essere fede.
117 – Io faccio l’incontro con una certa persona, una certa personalità: un astronomo che ha scoperto la distanza della galassia più vicina a noi, che è Andromeda: «Due milioni di anni luce», dice.
Per essere certo non dovrai misurare anche tu la distanza tra terra e Andromeda, perché non hai gli strumenti e non ne sei capace.
Il tuo atteggiamento di fiducia lo indurrai da altre cose che sai della persona.
Per esempio: se convivi con lui o se hai rapporti stabili di amicizia con lui […], è una persona onesta, che non dice mai bugie per dir bugie, che non ha nessuna voglia di ingannare,
Non ho motivi per non fidarmi quando, giocando nel suo campo particolare, mi dà una cifra che a me sembra enorme: due milioni di anni luce.
125 – Che l’incontro sia eccezionale che cosa vuol dire? Che ti dà una suggestività, che ha una forza persuasiva su di te, che ha una evidenza su di te, che opera una impressione su di te, contro cui non sai resistere, contro cui non hai niente da obiettare.
Quanto più ci vai insieme, tanto più questa eccezionalità di persuade.
Tu non puoi dire: «Questo uomo è Dio» – mai lo potrai dire: non puoi vedere se uno è Dio oppure no -, ma, dalla eccezionalità dell’esperienza di rapporto con questo uomo, su trai la conseguenza che ti devi fidare di quest’uomo.
217ss – La ragione adeguata per seguire una persona, per obbedire a una persona è che – per quanto io possa conoscerne o vendone già sperimentato la compagnia o per quanto già qualcosa ne sappia – di quella persona mi posso fidare.
Se di quella persona mi posso fidare e lei mi dice: «Fà questo!» e non lo faccio, sono contraddittorio.
219 – Quando ti puoi fidare di una persona? Quando tu ti puoi fidare, così che, seguendola, tu sia razionale, coerente con te stesso, specialmente al livello della questione che stiamo trattando, dove si tratta di vita o di morte, di essere utili al mondo o inutili al mondo, di esser morti prima di morire o di esser vivi anche nella morte (perché è questo il livello che noi trattiamo)?
Quando io ho una ragione adeguata per fidarmi di una persona così da seguirla, obbedirle?
Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona?
- 220 – Primo. È razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano.E poi?
- Secondo.L’altro mi dice queste cose non per una sua politica, o un suo tornaconto, ma per una gratuità. La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.
- Terzo. Ti aiuta a superare ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa.
Fiducia
103 – «La fiducia è un problema di coerenza, di coerenza con una evidenza della ragione, una evidenza raggiunta direttamente o attraverso il testimone, subito o in seguito a una convivenza» [Si può vivere così? p.36].
179 – Abbiamo detto che il punto principale è la fiducia di fronte all’essere e alla realtà e, perciò, anche di fronte alla tradizione!
398 – La speranza è fino al compimento: questo è introdotto dal concetto di fiducia.
Fiducia, infatti, nasce da un verbo latino che suona fidere, fidere se alicui, affidarsi a uno. Fiducia è affidarsi a uno.
399 – La fiducia, perciò, ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita.
È la povertà in senso positivo, è il senso positivo della povertà: la fiducia, fidere se alicui (affidarsi a qualcuno).
corollari/esiti della fiducia
412 – Intervento: «Nel capitolo sulla fiducia fai due corollari: l’abbandono e “tutto a posso in Colui che mi da forza”. A me questi due corollari sembrano identici».
No! L’abbandono è il non possedere niente.
Essere abbandonato è una forma di sicurezza lieta; il corollario di questo primo corollario è la letizia.
Mentre, il corollario del secondo corollario è una forza, è una sfida, è che niente mi è più obiezione.
Sono due vibrazioni dell’animo diverse: una è semplicità e l’altra è forza.
416 – «È da questo perdono, è da questo potere che viene in me, è da questo poter fare tutto insieme a Lui che si stabilisce la mia forza, a Lui che mi è fedele – “Tu mi sei fedele. Io sono debolissimo, tu mi sei fedele: sono capace di tutto”-, è da questa fiducia profonda e semplice che nasce il banchetto più grande della storia della casa: il figliol prodigo. Vale a dire, l’esito continuo di questa nostra vita, che sarebbe così sciammannata, così impoverita, così vigliacca, così meschina, così brutta, così sporca…l’esito è una grande festa» [Si può vivere così? p. 238].
fiducia e fede /speranza
315/316 – «Seguimi»: perché il seguire è essenzialmente il mettere il piede su un passo di strada che non si conosce, tutto giocato sulla fiducia in chi ti sta davanti (Fiducia è il senso di attaccamento che dà la fede).
316 – «Riprendere a sperare dopo un nostro errore è un gesto così grande che il poeta Péguy lo definisce “il segreto mistero della speranza“, perché il perdono del male è proprio un mistero» [Si può vivere così? p.173]
fiducia e letizia
359/360 – Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la propria esistenza come un qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità, allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.
È da questi sentimenti che fiorisce la corolla della letizia: senza gratitudine, senza certezza di felicità, senza fiducia in una presenza che rende possibile questo, non puoi essere lieta.
Una faccia è tanto più lieta quanto più il suo vivere è inzuppato di questa coscienza.
«La fede non fa nascere la letizia immediatamente ma mediatamente: dalla fede nasce la speranza, nella speranza è la letizia perché la letizia non può essere guadagnata e vissuta se non nella certezza di un futuro» [Si può vivere così? p. 217].
fiducia e povertà / speranza
399 – La fiducia ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita.
408 – Intervento: «Allora l’abbandono non è abbandono della cosa, ma abbandono di noi stessi come capaci di capire, capaci di prendere la cosa?»
Come possessori della cosa! Perché qui il termine di paragone, ricordiamolo, è la povertà. La sorgente della fiducia è la povertà, e la povertà è il distacco, è che «non è mio».
Proprio perché non è mio, in quanto non mio, io mi appoggio, mi appoggio tutto, mi abbandono tutto.
410 – È proprio non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia, la fiducia in ciò che veramente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginatività nella creazione, nell’edificare.
Figlio
417 – Un figlio può esser buono, può esser cattivo; prima del buono e prima del cattivo viene il fatto che è figlio.
Questo è la misericordia: amare il figlio che è figlio più che sia buono o cattivo.
E di questa gentilezza è esempio il Padre, cioè chi ama la vita che ha dato.(Parabola del figliol prodigo)
Filosofia/filosofo
350 – Mi spiace,: l’uomo o sente come un cane o pensa come un filosofo.
È essenzialmente filosofo l’uomo, amante della coscienza – filosofo: amante (filos) della sapienza, della conoscenza, della coscienza -: è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé e dice io.
375 – Uno che vada alla mattina all’Istituto “Sacro Cuore” per far scuola, se «riconosce» che va a far scuola, è già un imprenditore del pensiero, è già un pò filosofo, che è l’imprenditore del pensiero (Questo è proprio dell’uomo, è lo sviluppo dell’uomo).
383 – Chi pretende di definire non è poeta e quindi neanche filosofo, perché la filosofia è nata come poesia, e il vertice della filosofia ancora si esprime in poesia.
filosofia moderna
185 – È tutto teorico quello che non è esperienza. Tutta la filosofia moderna non nasce dall’esperienza, ma è una applicazione di un a-priori, cioè di un preconcetto.
filosofia sensistica e pragmatista
327/328 – Leopardi derivava dalla filosofia dominante – la filosofia dominante l’epoca di Leopardi è la filosofia dominante l’epoca nostra, non più come filosofia, ma come filosofia applicata, come prassi (oggi filosofie non ce ne sono più: ci sono prassi di filosofie che sono oramai del passato) -: era la filosofia sensistica o pragmatista, per la quale la realtà si riconduce alla materia.
Capite come san Paolo entra in questo? «Pur vivendo nella carne [come te], vivo nella fede del figlio di Dio»[Gal 2,20].
filosofia stoica
301 – Il problema è se questo Altro è veramente presente oppure no.
Se non lo è la cosa di ribalta: la certezza può essere fondata solo su di te.
Lo stoicismo di tutti i tempi ha cercato questa strada, ma la risposta negativa e la disperazione conseguente hanno firmato la vita di tutti gli stoici.
Fine del mondo
190 – La gloria di Cristo sarà l’ultima cosa che noi capiremo, mentre è la prima cosa che dobbiamo cercare di rendere oggetto della nostra supplica a Dio.
Lo scoppiare di questa gloria sarà alla fine del mondo, ma ogni giorno incomincia e avanza, cammina.
579 – Questa convivenza (con Gesù) si è dilatata fino alla casa di mia mamma, la quale l’ha detto a me: si è dilatata fino a me.
E l’affare continua, e continuerà dino alla fine del mondo!
Siano in dodici, siano in dodici miliardi alla fine del mondo, i cristiani: è lo stesso.
Non c’entra il numero, la quantità, l’esito: la vittoria è sul tempo e sullo spazio.
Forza
105/106 – Colui che ha iniziato tutto, la Forza che ha iniziato tutto, il Padre, il Figlio che è diventato uomo per noi, lo Spirito che questo Figlio ha fatto entrare nel mondo: questo è più forte di qualsiasi demone, è più forte di qualsiasi paura.
318 – «La fede è coscienza di una Presenza che ti chiarisce lo scopo della vita senza possibilità di incertezze – «Io sono la Verità e la Vita» – e che è più forte e che ha una forza tale – «Ti amo Dio mia forza»: come si fa, dopo aver detto una antifona così, a non ripeterla sempre?! – ha una forza tale per cui tu con Lui raggiungerai ciò per cui sei fatto: con Lui raggiungerai Lui» [Si può vivere così? p.188].
399 – Questo ottimismo che si attua come abbandono, decide di ogni risveglio, di ogni riprese di coscienza, così che il motto della vita, la formula della vita diventa quella che ha detto san Paolo: «Tutto posso, di tutto sono capace insieme a Colui nel quale è la mia forza [la mia ragion d’essere, la mia forza, la mia consistenza]». (Fil 4,15)
412/413 – Intervento: «Nel capitolo sulla fiducia fai due corollari: l’abbandono e “tutto posso in Colui che è la mia forza“. A me questi due corollari sembrano identici.»
No! L’abbandono è il non possedere niente.
Essere abbandonato è una forma di sicurezza lieta.
Mentre, il corollario del secondo corollario è una forza, è una sfida, è che niente mi è più obiezione.
Sono due vibrazioni dell’animo diverse: l’una è semplicità e l’altra è forza.
«Mio canto e mia forza, sei Tu» [Sal 118,14]: il canto è la bellezza; la forza, invece è un attacco, un contrattacco.
Dalla seconda ti viene la sicurezza del tuo futuro; dalla prima ti viene la dolcezza e la letizia, l’ovvietà del tuo futuro (è ovvio: ti viene incontro).
565 – Si è senza affanno nella vita spirituale quando si ha la certezza della forza di Dio; la forza è di Dio, la forza è la compagnia di Gesù, la forza è guardare in faccia Gesù.
Fragile
438 – Guardi Gesù che ti raggiunge con le nostre presenze: fragili maschere, segni fragilissimi e quasi esotici, quasi bugiardi.
Ma non siamo bugiardi, tu ed io, siamo poveretti: fragili maschere, fragili segni.
Forse fragile può essere sostituito dalla parola effimero.
Fragili maschere, fragili segni di qualcosa di potente: tanto è vero che mi raggiunge adesso, qui.
Futuro
361ss – Per Giovanni e Andrea quell’uomo spiegava il passato; chiariva il presente, perché rappresentava una evidenza così limpida, le parole essendo dette con superiorità eccezionalmente persuasiva; e non avevano neanche il problema del futuro, tanto era risolto.
362 – Si può affrontare il futuro solo attraverso la tranquillità del presente.
È nel presente che si affronta il futuro.
Non bisogna centrare il proprio cuore sulla risposta agli interrogativi che il futuro fa emergere; bisogna centrare il proprio cuore sulla chiarezza del presente.
Per questo se ti metti a immaginare il tuo futuro, a immaginare la forma del futuro, a immaginarti i volti del futuro, non sarai mai così impressionantemente toccato come dai volti che sono presenti in questa ora, dall’evidenza che danno, dalla persuasione di interesse a te e di amore al tuo bene che offrono, dalle ragioni che portano.
La parola temporale più amica dell’eterno è la parola ora, non il futuro, ma ora.
363 – La gioia del futuro non può essere poggiata sulla nostra fantasia.
La speranza del futuro non è in quello che posso fantasticare io del mio futuro, ma è come il senso ultimo, il senso del destino, perciò il senso del Mistero, cioè Gesù.
365 – La speranza – da cui avviene la letizia e che realizza il cambiamento della nostra vita in quanto le nostre azione vengono plasmate dal significato ultimo, inteso e atteso – è solo quando tu affronti il tempo partendo da qualcosa che hai nel presente e che non è tuo; qualcosa che è più di te stesso, ma non è tuo.
È più di te stesso, è qualcosa che viene prima.
È questo rapporto che può fondare la letizia del presente e la certezza del futuro.
367 – C’è un altro modo di vivere. […] Dove il passato può essere preso in braccio come un uomo prende il suo bambino piccolo, dove il presente è lieto anche di fronte a una bara, e dove il futuro così gremito di oscurità diventa certo.
E tutto questo è il frutto della speranza che ha le sue radici che attraversano tutto il passato e che sta ancora nel presente, domina il presente ed è certezza per il futuro.
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
I Temi di alcuni libri di don Giussani
- TEMI – Il senso religioso
- TEMI – All’origine della pretesa cristiana
- TEMI – Perché la Chiesa
- TEMI – Il rischio educativo
- TEMI – Generare tracce nella storia del mondo
- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
- TEMI – Attraverso la compagnia dei credenti (94-95-96)
- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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