Temi: Si può (veramente?!) vivere così? [4]

Edizione di riferimento

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV

[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]

Indice linkato:


400 – Fare il silenzio è la cosa più importante dopo il generare, il generare da uomini, che non vuol dire semplicemente espellere un feto dal seno materno, ma vuol dire creare significato al tempo che si utilizza, fosse anche un tempo in cui una donna genera un figlio (non è quello l’importante: l’importante è il senso che si genera, il senso che si definisce, il senso che si assicura, perché far nascere senza senso è senza senso).

419 – «Ma è una festa che, se si vede dapprima nel bambino, rimane anche nell’adulto e rende l’adulto principio di una nuova storia, artefice, protagonista di una storia nuova nel mondo, vale a dire creatore di un popolo, generatore di un popolo: per creare un popolo bisogna generare» [Si può vivere così? p. 239].

Intervento: «Vorrei capire meglio cosa significa generare.»

421Generare un popolo non vuol dire buttar fuori dei bambini dal seno di una donna, vuol dire comunicare una cultura, cioè una concezione, una percezione, un’affezione, un impegno, una serietà nel lavoro, una genialità del lavoro, una capacità di abbraccio e di ospitalità.


531 – Il genio per eccelenza è l’architetto, l’architetto costruttore di cattedrali, perché la cattedrale costituisce il più grande simbolo dell’unità tra gli uomini che sia mai stato pensato.


200 – Il genio di Dio è l’oggettività, la presunzione del genio umano è la soggettività.

Vale a dire: l’oggettività è il reale, la soggettività è l’immaginare.


561 – I vostri genitori, se voi abbracciate la strada che Iddio vi dà, vi diranno dapprima che siete aridi, che schivate le responsabilità della vita, che prendete la vita più comoda, che non avete bambini per cui tirarvi su dieci volte di notte per andare ad accudirli, ma da nessuno si sentiranno guardati ed accuditi come da noi, e quanto più gli anni passeranno, vostro padre e vostra madre dopo vent’anni si pentiranno, ma non avranno più rimedio, eccetto che ringraziarvi.


417 – Un figlio può esser buono, può esser cattivo: prima del buono e prima del cattivo viene il fatto che è figlio.

Questa è la misericordia: amare il fatto che è figlio più che sia buono o cattivo.

E di questa gentilezza (nel senso originale della parola) è esempio il Padre, cioè chi ama la vita che ha dato.


455 – Come facciamo noi a capire le misure di Dio?

[…] Questo è certo: se uno fa dei gesti buoni, un solo gesto buono varrebbe per redimere tutto.


64 – Dire: «Andiamo a Messa» vuol dire compiere il gesto più personale che esista.

La preghiera è la cosa più nostra che esista; e tutto quello che possiamo dire, tutto quello che potete pensare, tutto quello che si è, è dentro la preghiera, perché la preghiera è fatta di domanda.


91 – Giovanni e Andrea […] capiscono cosa vuol dire una cosa eccezionale – che pur risponde loro -: «Non c’è nessuno come questo qui. E non c’è nessuno che risponda a quello che desidero come quest’uomo. Risponde a quel che desidero e che neanche io capisco di desiderare: non saprei io dire quel che desidero come lui sa rispondere a quel che desidero».

106 – Se Cristo è risorto e rivela e svela il Mistero mandando il suo Spirito, non c’è paura che tenga.

Si chiama Cristo risorto e il suo Spirito che domina il mondo, il quale entra nel mondo innanzitutto attraverso i chiamati, e poi si diffonde nel mondo.

[…] le cose non si accorgono di essere brandite, ma c’è una mano che si stringe attorno ad esse, per cui esse si sentono sostenute e chiarite nel momento opportuno: si chiama grazia di Cristo.

108 – Intervento: «Com’è che Cristo può diventare affettivamente così concreto con me?»

È solo il tempo che passa che rende esperienza – Perché Cristo è Dio diventato uomo, perciò è Dio che si obbliga a diventare esperienza carnale nell’uomo -: verrà il tempo in cui, sorprendendoti a guardare una donna che ti commuove, capirai che diversità c’è tra lo sguardo di allora e lo sguardo di adesso, e avrai pietà per l’infantilismo di adesso, o dovrai avere misericordia per l’egoismo di adesso.

Ma quello a cui Cristo ti invita è un possesso più profondo, più profondo! Io non ti conosco neanche, ma nessuno ti guarda con la verità con cui ti guardo io: né padre, né madre.

118ss – Ma come faceva a credergli quel gruppetto di aficionados che gli era andato dietro per tre anni? Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, dopo il primo colpo che avevano avuto, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui dovevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi». Più che ai loro occhi!

Questo è un modo ragionevole di procedere, è un modo ragionevole di credere: «credere», perché si afferma una cosa per testimonianza di un’altra persona; «ragionevole», perché si hanno motivi adeguati per fidarsi di lei.

I motivi sono indotti, sono scoperti dalla convivenza con Lui.

120 – La convivenza è un fattore ultimamente tanto più necessario – perché sia ragionevole il nostro assenso, il nostro affidamento al testimone – quanto più il testimone dice una cosa grossa.

122 – Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente e perciò la memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è incominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine dei secoli.

Come fa Gesù ad esser presente? Innanzitutto attraverso le persone che lo sanno.

È una cosa assurda, cioè miracolosa, che gente sappia che Lui c’è, Lui, Gesù, nel seno di quella donna o sulla croce dopo trent’anni.

123 – Da che cosa si capisce che Lui c’è? Da una presenza umana cambiata.

Qual’è il primo cambiamento, ragione di tutto il resto del cambiamento che nell’uomo, per esempio in me, può avvenire ed è avvenuto?

Che io so chi è! Io so con certezza che è e chi è?

Tutto il resto che è cambiato in me…perché è cambiato!

Non che tutto sia cambiato, ma questo è supplito dal dolore che ne rimane, un dolore che rimane tanto più quanto più si ha coscienza di chi è.

Quanto più si ha coscienza di chi è, che è qui, tanto più si ha il dolore di quello che non è ancora cambiato, tanto più si ha consapevolezza di quello che dovrebbe ancora cambiare, tanto più si ha certezza che cambierà. Forza!

125 – Quanto più ci vai insieme, tanto più questa eccezionalità ti persuade.

Tu non puoi dire: «Questo uomo è Dio» – mai lo potrai dire: non puoi vedere tu se uno è Dio o no -, ma, dalla eccezionalità dell’esperienza di rapporto con questo uomo, tu trai la conseguenza che ti devi fidare di questo uomo: «Se non mi fido di questo uomo non mi fido neanche di miei occhi».

126 – Così, immaginate, con Cristo, quegli uomini semplici e «nerbosamente» decisi.

Quell’uomo avrebbe dato la pelle per loro, ma anche loro avrebbero dato la pelle per Lui; in loro questo proposito era ancora debole, poi l’hanno data realmente tutti, tutti, dal primo all’ultimo.

130/131 – Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia – si diffonde nel mondo e nella storia – attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domanda: «Come fa ad essere così?».

131 – Non con l’impressione formidabile che destava Gesù, ma come riflesso di quella.

Cristo è presente nel mondo attraverso questo: la domanda che nasce nel cuore di uno, anche se non lo dice a parole, vedendo una certa persona o certe persone o una certa comunità o un certo modo di vivere: «Come fanno ad essere così

«Allora Lui è come inondato di emozione davanti alla gente che lo cercava, perché era un uomo, Gesù. Le idee gli venivano come vengono a noi, attraverso l’esperienza» [Si può vivere così? p. 46].

Intervento: «Non avevo mai pensato che Cristo era come me! Ma allora tutto è possibile anche a me?»

No, no, questa frase dimentica che la realtà di Cristo affonda nel Mistero che lo costituisce: Cristo è Dio.

E noi non abbiamo la percezione sperimentale di che cosa voglia dire esser Dio per un uomo, non possiamo saperlo.

134 – Io ho vissuto un liceo ardente, così denso che non ci stava più neanche un chicco di grano, per aver scoperto l’idea di Cristo (ed ero in seminario da cinque anni!).

155Gesù è re dell’universo, perché in Lui tutto si riassume, l’uomo nel suo rapporto profondo con il Mistero: questo diventa visibile, sensibile; e il visibile e il sensibile coincidono con il rapporto col Mistero.

La bugia più malinconica, più triste, con le conseguenze umane più sottilmente amare, è l’amore dell’uomo alla donna senza che esso implichi questo affondarsi nel Mistero, senza Cristo.

211 – L’amicizia è la passione per il destino dell’altro quando l’altro te la ricambia, ti accetta; riconosce e ti accetta.

Allora diventa amico, altrimenti è soltanto compagno.

Cristo è fratello e compagno di tutti; amico di pochi, perché chi gli corrisponda, gli risponda, si trova raramente.

Allora fissa Lui quelli che deve avere: siete voi! Dio se è bello.

238ss – «Seguire Cristo, vuol dire avere gli stessi sentimenti di Cristo, gli stessi sentimenti che Cristo ebbe verso il Padre; seguire Cristo vuol dire assimilare, assumere lo stesso atteggiamento che Cristo ebbe verso il Padre» [Si può vivere così? p. 118].

Intervento:«A me interessa sapere cosa vuol dire “avere gli stessi sentimenti di Cristo“, perché io desidero questo, ma è come se nella vita non riuscissi più a farne esperienza, a tradurlo nella mia vita

239 – L’interpretazione nostra dei sentimenti di Cristo è altamente equivoca, tanto è vero che è il principio di Lutero.

Ciò che ha reso Lutero staccato, fuori dalla Chiesa di Cristo, è stato il suggerimento di sostituire nella lettura del santo evangelo e della Bibbia la sua interpretazione alla interpretazione di chi? Della Chiesa ufficiale, cioè del Papa.

Innanzitutto la domanda che hai fatta è meglio che la porga direttamente a chi guida la realtà comunitaria.

Il paragone deve andare non a quello che senti tu, non a quello che a te dice la tal persona, ma a quello che dice la tal persona – che è la guida della comunità, per esempio – in pubblico.

Voi capite che la coscienza della responsabilità che ho di fronte a una domanda che mi si porga in pubblico è molto più grande che se sto parlando con te singolarmente.

240 -Dal paragone fra quello che ti senti dire in pubblico e quello che ti senti dire in privato, può stabilirsi una luce di conferma che ti porta ad una sicurezza realmente pacifica e utile.

304/305 – «L’esigenza di felicità che ha il cuore dell’uomo si realizzerà secondo la forma che il mistero della grande Presenza stabilisce; e questa forma non è nient’altro che la grande Presenza stessa, la forma è Cristo stesso» [Si può vivere così? p. 163].

Cristo è la forma con cui la grande Presenza di si palesa, ti si fa conoscere, e ti dice: «Io sono la felicità!».

Mentre lo inchiodavano in croce Cristo diceva: «Io sono la vostra felicità».

Nessuno lo capiva, eccetto la Madonna.

Ma non era quella modalità la forma: la forma era Lui, che il giorno dopo sarebbe risorto, iniziando il cambiamento di tutto l’universo, di tutto il mondo.

331 – È Cristo! Non esiste un’altra parola che possa sostituirla.

La donna o la preoccupazione politica, o una preoccupazione di soldi, o una preoccupazione di arte, di esito in un concorso: per due settimane, per tre settimane, per tre mesi possono mantenere il ruolo di Cristo, detronizzandolo dal suo posto centrale, ma non possono resistere.

337ss – L’uomo fa coincidere le sue eccessive attese con una donna che ha davanti, con ciò che ha davanti, mentre ciò che ha davanti rimanda ad altro che egli non sa, ma che attende e non sa neanche di attenderlo.

Cristo è venuto per chiarire questo gioco: «Tutto è segno di me. Tutto parla di me».

Tutto ciò che è grande nella vita dell’uomo è profezia di Lui.

Così, parlando una volta, una sera, una sera cupa, prodroma della passione, disse: «Io sono la via, la verità, la vita» [Gv 14,6].

335 – La speranza, perciò, che Cristo desta e alimenta, è la speranza umana, cui è sottratta, per grazia, l’illusione che da tutte le cose proviene; non perché siano negative in sé, ma perché la loro positività è rimandare ad altro, altrimenti diventano idolo.

La speranza cristiana è la speranza del desiderio umano, ma nel suo contenuto porta un mondo diverso.

Non un altro mondo: questo mondo, dove la faccia della donna diventa più significativa, dove la musica diventa più affascinante, dove la bellezza della natura diventa più vera.

Tutto diventa più e nello stesso tempo è altro.

Gesù, tu sei altro e sei più grande di quello in cui fisso umanamente, o fisserei umanamente, la mia speranza; ma tu non sei fuori da quello che io fisso la mia speranza, tu sei dentro questa faccia, tu sei dentro questa natura, tu sei dentro questa musica, tu sei dentro – fatto carne -, tu sei dentro.

[…] di tutto svela la verità: tutto rivela come segno di sé.

Il segno è per sua natura provvisorio, eccetto quello che ti porta a Cristo; quando il segno è segno di Cristo, rimane, come Cristo per l’eternità.

L’eternità si affaccia sul volto della donna amata, l’eternità si affaccia sul panorama della natura che contempli con venerazione, l’eternità di affaccia sulle note della musica che ti piace.

La speranza cristiana è quella che tutto si trasformi così.

Se tu segui la compagnia che Cristo ha iniziato, se tu ci segui, incominci in questo mondo l’intuizione dell’altro mondo.

La speranza cerca in questo mondo i primi sintomi, le prime tracce dell’altro mondo: tutto diventa il centuplo. Bisogna seguire.

344 – Non è così (la povertà) in questo capitolo di Si può vivere così? che, non essendo lungo, questa settimana potrete leggere con calma anche solo se fate mezz’ora di silenzio che dovreste fare tutti i giorni (se non la fate, vi mettete nella impossibilità, nella incapacità di toccare le vesti di Cristo, di sentire la veste di Gesù nel tempo, nella esperienza dei vostri rapporti: Gesù si tocca, si vede, si sente, si ode, dice san Giovanni; è qualcosa che si tocca, si vede, si ode).

361 – «Dove non c’è tempio, non ci sono dimore» diceva Eliot (Cori de «La Rocca»): dove non c’è questa prospettiva di Cristo dietro la faccia, dove la contentezza del rapporto non è attraversata dalla sicurezza della Presenza eccezionale di Gesù -, allora uno non può essere sicuro del futuro.

Se il patner dà sicurezza anche di fronte a un vigilato giudizio dato coi criteri del vangelo e della fede in Cristo, uno può esser tranquillo.

440 – Il fenomeno eccezionale che è accaduto là, nella casa di Gesù, di Maria e di Giuseppe, accade a Nazareth dove ci sono i tre del Gruppo Adulto.

Quello che è accaduto là, accade qui.

È un’altra cosa: noi possiamo non accedere e non essere ripresi dalla nube del Mistero, perché innanzitutto Cristo è mistero, ma ciò non toglie che era un uomo che mangiava e beveva.

Ma la sua sostanza non era nel mangiare e nel bere: era nel Mistero.

Noi, invece, abbordiamo sempre il rapporto con Lui, nella preghiera o anche nella riflessione intelligente, come se innanzitutto fosse quel che si vede, a prescindere da ciò che è lo stesso suo soggetto, cioè dal Mistero.

523 – Siccome la verginità è dedizione a Cristo, in questa dedizione tu salvi l’eternità di ciò che hai amato.

La verginità non è la negazione di nulla, afferma la condizione per cui può diventare eterno ciò che ami e ciò che hai amato.

Ma non può diventare eterno ciò che hai amato se non attraverso la mediazione della sua utilità per il mondo.

Non si può aderire a Cristo, venuto per salvare, se non partecipando a questa sua azione redentrice.


140 – «Nessun uomo ha mai visto il Suo volto», io non so come sia il Tuo volto, o Cristo, coincide con il volto che io amo, con il volto del mio amico, con il volto del mio compagno; ed è capace, questa Tua faccia, di rendere presente con se stessa, in questo mio momento presente, tutti coloro che sono stati e tutti coloro che saranno: tutta la storia e tutto il mondo.

Nei primi cinque punti la nostra partecipazione è intelligenza, conoscenza; il sesto è cuore, volontà, affettività, adesione (che è sempre la conclusione di una conoscenza).

La lealtà con la nostra affezione, cioè l’unità dell’io, la lealtà con me stesso, mi deve far dir di sì.

143 – L’avvenimento supremo nella storia dell’uomo è l’avvenimento della verginità, perché è la dimostrazione più potente che Cristo è Dio. E tutto il resto, senza questa testimonianza, sarebbe niente: «Senza di me non fate niente»[Gv 15,5].

152ss – Non esiste niente di più ragionevole, di più razionalmente evidente, di più facilmente documentabile come razionalità, che la fede in Cristo, l’adesione a Cristo.

La ragione per cui io seguo Cristo è perché seguire Cristo è bello

153 – «Il no non nasce da ragioni, mai: nasce da uno scandalo.[…] Cristo è contrario a ciò che io vorrei: io politico, io innamorato, io che ho sete di denari, io che voglio far carriera, io che voglio la vita sana. È contrario a ciò in cui uno ripone la sua speranza: inutilmente, perché non c’è nessuna speranza che poi accada. Il no nasce soltanto dal preconcetto» [Si può vivere così? p.48].

154 – «Realmente la conoscenza per fede è la prova della serietà e della dignità dell’uomo. Dir di no alla fede è realmente e soltanto perché si è impediti in qualcosa che si vorrebbe, qualcosa che si vorrebbe e che non coincide con l’esigenza originale e profonda del cuore, con l’esperienza originale» [Si può vivere così? p.49].

166 – L’Ottocento è il secolo della ragione applicata, quella che dovrebbe risolvere le questioni: ha preteso negare l’avvenimento cristiano.

238 – «Seguire Cristo vuol dire avere gli stessi sentimenti di Cristo, gli stessi sentimenti che Cristo ebbe verso il Padre; seguire Cristo vuol dire assimilare, assumere lo stesso atteggiamento che Cristo ebbe verso il Padre» [Si può vivere così? p.118].)

449 – Non si può conoscere Dio, non si può conoscere Gesù se non attraverso la trafila di parole e di pensieri che l’uomo trova e dice.

Come non si può andare a Gesù, non si può andare al Padre, se non attraverso degli uomini che fanno una certa compagnia che si chiama Chiesa.

E non è detto nulla del loro carattere: possono essere tutti antipatici, oppure troppo simpatici!

523 – Non può diventare eterno ciò che hai amato se non attraverso la mediazione della sua utilità per io mondo. Perciò è una operazione: le suore di clausura la chiamano offerta, istante per istante.

Non si può aderire a Cristo, venuto per salvare, se non partecipando a questa sua azione salvatrice.

529 – Spero, ragazzi, che sappiate chiedere Cristo in modo tale che non sia inospitale il vostro cuore, perché Lui bussa, è sempre presente, bussa.

Solo se il cuore è inospitale, solo se non Lo chiede, non può entrare.

La prova che si è inospitali verso Cristo è che si è inospitali verso gli uomini: si sopporta come non si sarebbe potuto essere capaci di sopportare.


42 – Intervento: «Come si fa ad amare Cristo in una circostanza drammatica?»

Per un solo motivo può essere razionale: amare Cristo, che ha permesso una tragedia così grave nella sua vita, può essere razionale in un solo caso: l’aver già riconosciuto Cristo come il senso ultimo della propria vita e della vita del mondo.

46 – Per capire Dio bisogna essere uomini, e per amare Gesù bisogna essere uomini.

Essere uomini vuol dire avere la verso Dio lo stupore e la dipendenza; avere verso Gesù lo stupore e la confidenza; avere verso gli altri la rassegnazione e la pietà che si ha per se stessi.

405 – Tutta l’esistenza di tutto ciò che c’è riconduce al rapporto con Gesù, con questo uomo.

Quello che nella nostra vita è simbolo, segno, riflesso – ma la parola più giusta è la parola segno – è ciò che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto con quest’uomo.

È dentro quello che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto totalizzante – obiettivamente – con Cristo, è guardando l’esperienza che più è segno del nostro rapporto con Cristo, che si capiscono le cose, si incominciano ad intravedere le cose.

406 – E siccome il rapporto fra la piccola creatura – infinitamente piccola, infinitamente nulla – e la fonte del suo essere e del suo esistere è amore – l’amore all’Essere (Mistero), e l‘amore a Cristo (Mistero diventato uomo), che si riflette nell’amore ai fratelli, nell’amore dell’uomo alla donna, nell’amore del figlio a sua madre e a suo padre -, è dentro l’esperienza di questi riflessi amorosi che si capisce o si presente quel che c’è dietro; senza presentimento del vero cosa saresti? Zero, meno che niente.

414 – Intervento: «Quando uno passa ad amare Cristo stesso?»

Passa ad amare Cristo stesso quando riconosce chi è Cristo e dice: «Sì, Tu sei la cosa più importante della mia vita». : questo è senza sbavature né possibilità di equivoco.

572 – Intervento: «Cristo si impara ad amarlo nel rapporto con la realtà; però io corro il rischio di un panteismo, mentre capisco che devo dare la vita a una persona, a Cristo»

Questa è una ipotesi puramente astratta, sono delle parole dette.

Cristo si impara ad amare perché Lui ti si rivela.

Si impara ad amare Cristo riconoscendone la presenza.

È una grazia: come la presenza, così il riconoscerlo.


522 – «Questa verità nel modo di amare che Cristo aveva, stupiva tutti quelli che lo guardavano: rimanevano a bocca aperta […]. Quando uno arrivava a venti metri da Lui, era trapassato da quella Presenza e andava a casa con dentro quella figura che stentava giorni a tirarsi via, doveva far fatica a tirarla via! In questo modo Cristo si metteva in rapporto con le persone realizzando un amore più utile, un amore più compagnia nel cammino...» [Si può vivere così? p.353].


95 – Per parlare della fede in Gesù bisogna tirar fuori l’umano: la fede in Gesù costringe a guardare all’umano in modo tale da conoscerlo come non si era mai conosciuto.

448 – Il paragone non vi illumina, non aggiunge nulla alla conoscenza di Dio; alla conoscenza di Gesù ancora meno, perché è un uomo: cosa c’entra il sole che tramonta e il mare rosso con un uomo che saluta sua madre e gli dice: «Ciao vado»? Non ci pensate mai.

Mentre, per chi ci pensa, ogni parola, ogni frase, ogni nesso illumina la faccia di quest’uomo, illuminano il cuore di questo uomo, e il temperamento di questo uomo.

Allora io vi voglio più bene, perché la mia vita ne è illuminata, rischiarata, riscaldata, definita.

Non si può pensare di conoscere Gesù senza passare attraverso trafila scolastica di pensieri espressi, di parole dette, spiegate e rispiegate, non capite e rispiegate; perché poi la conoscenza e la spiegazione diventano luce in me quasi d’incanto, non perché le parole son spiegate, non perché i punti sono razionalizzati.

466 – Forse che conoscere le vite dei santi non è conoscere di più Gesù, l’esperienza di Gesù?

Ma chi non è semplice non sa riconoscere i santi; per un semplice tutti sono santi, o tutti sono facilmente santi (eccetto lui stesso).

481 – «Pur vivendo nella carne, io vivo nella fede del Figlio di Dio»[Gal 2,20]: bisogna essere nella carne per capire Gesù.

È una esperienza che ci fa capire Gesù.


106 – Il Figlio che è diventato uomo per noi, lo Spirito che questo Figlio ha fatto entrare nel mondo: questo è più forte di qualsiasi demone, è più forte di qualsiasi paura.

La grazia. Ed è solo questa che a un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere e ciò che il grande uomo non è riuscito a compiere.


140 – «Io non so come mai il Tuo volto, o Gesù, coincide con il volto che io amo, con il volto del mio amico, con il volto del mio compagno; ed è capace, questa Tua faccia, di rendere presente con se stessa, in questo mio momento presente, tutti coloro che sono stati e tutti coloro che saranno: tutta la storia e tutto il mondo».

441 – «Senti, se vuoi arrivare alla commozione vera di fronte alla meschinità e alla vigliaccheria dei tuoi peccati e di fronte alla misconoscenza e alla durezza che hai verso Cristo, Dio fatto uomo, devi pensare a Lui, guardandolo in faccia veramente».

Immagina Gesù e la Samaritana: devi guardare Gesù in faccia veramente, veramente, non trascendendo o astraendo.

Se tu lo guardi in faccia veramente, desiderando il bene e il vero, allora capisci il bene e il vero che ci sono in Lui.

È un Tu che domina, non delle cose da rispettare; non delle leggi da rispettare, ma è una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.


472Gesù si trovava sulla croce di fronte all’infinito – di fronte all’infinito mistero del Padre, l’eterno generatore, l’eterno lavoratore – e la proiezione di Cristo era quella giovanissima donna che, diritta, stava ai suoi piedi; stava Cristo, come lei, di fronte al mistero del Padre.


122 – L’avvenimento è il cambiamento che avviene in te, o nell’altro, o nell’altro, o nell’altro.

Riconoscere il tuo cambiamento, essere sorpreso dal tuo cambiamento, dirmi: «Come fa a cambiare così questa qui? come ha fatto?». «Perché vive la coscienza del rapporto con Cristo».

Ma, dunque, Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente – che è lei – e perciò la memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è cominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine dei secoli.

139 – Ma come facciamo, ragazzi, a radunarci parlando di queste cose, pensando a quell’uomo che non sarebbe più se non fosse presente; non sarebbe più ora e non sarebbe mai stato; con la pretesa che ha sulla mia e sulla tua vita, non sarebbe mai neanche stato se non fosse presente, presente a me e a te ora!

Per questo ti voglio bene, per questo siamo amici: non è qualcosa di sopraggiunto o che vigila sui nostri rapporti, «è» il nostro rapporto, coincide materialmente con il nostro rapporto!

155 – Uno che è chiamato a incontrare, a scoprire, a guardare, ad accorgersi, a seguire, ad entusiasmarsi ogni giorno di più della presenza di Cristo, questo è un uomo che gusta la carne, è un uomo ce gusta il tempo e lo spazio, è un uomo che gusta l’effimero.

E nell’istante c’è la dimensione dell’eterno, e non perde neanche un capello del capo dell’altro.

Questo è un uomo che ha familiarità con il vero, familiare al vero, che dà del «tu» alla verità, e quindi alla bellezza, e quindi dà del «tu» alla gioia.

202 – La comunità è letteralmente, fisicamente Gesù che fa queste cose, Gesù presente; allora è nella comunità che impari cos’è il destino.

266 – Accadde una presenza, la presenza del Verbo di Dio fatto uomo nelle viscere di Maria.

Si tratta della Presenza di Colui di cui son fatte tutte le persone e le cose, si tratta di Colui che ha creato il mondo, perciò tutte le realtà create sono segno di Lui, trovano la propria verità e il proprio compimento in Lui.

283 – La coscienza di questa Presenza ti dà la ragione completa, sempre rinnovata, che spiega la grande importanza dell’istante che tu vivi e non ti lascia mai accasciare da nessuna suggestione, e ti fa camminare verso il punto a cui sei incamminato: il punto a cui sei incamminato è la tua felicità, cioè l’incontro con la gloria di Cristo.

E attraverso di noi quelli di domani diranno: «Cristo è»; attraverso di noi, se nella fede a Cristo, nella coscienza della Tua presenza, o Cristo, cambio.

345 – Di tutto ciò che è presente non riporre certezza, per quanto riguarda il nostro futuro, se non in ciò che ci è presente sempre, la presenza di Gesù che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno con le circostanze, con la coda dell’occhio la vedete là, come la vedeva Simone sdraiato per terra: con la coda dell’occhio la vedeva e temeva, tremava e temeva.

389 – L’immanenza di Cristo presente – che vuol dire Cristo riconosciuto come presente – costringe, non nel senso meccanico del termine, ma morale del termine: ti obbliga ad abbandonare quello che vorresti fare.

Gesù ci obbliga a pensare a Dio.

Gesù «immanente» vuol dire che è presente dentro il vivere.

E ci obbliga a lasciare ciò che si vorrebbe avere: i soldi, la salute, la ragazza, la carriera, l’onore, la sedia politica.

513 – La verginità ha bisogno di uno che riconosca il destino presente a Sé: Gesù, presente nella storia; Gesù presente nel mondo, in questo mondo, ora, ora!


96 – Io debbo poter conoscere e approfondire il rapporto familiare con Cristo e la mia affezione a Cristo così da ritrovarci dentro a un altro livello, più profondo e suggestivo, la suggestività dell’amore dell’uomo e della donna.

405 – Tutta l’esistenza di tutto ciò che c’è filiforme per il grande pioppo o per il grande cipresso, totalizzante nel suo cerchio e nel suo abbraccio infinito per l’uomo -, tutto ciò che c’è si riconduce al rapporto con Gesù, con questo uomo.

Quello che nella nostra vita è simbolo, segno, riflesso – ma la storia più giusta è la parola segno – è ciò che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto con quest’uomo.

È dentro quello che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto totalizzante – obiettivamente – con Cristo, è guardando l’esperienza che più è segno del nostro rapporto con Cristo, che si capiscono le cose, si incominciano a intravedere le cose.

464 – Se quello che diciamo del nostro rapporto con Cristo non c’entra con la vita di ogni giorno, se non c’entra con questo e non cambia questo, che cosa testimoniamo?

«Così è questa carità senza della quale non siamo nulla? È che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Gesù Cristo. Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo chia chiama “Dio fatto carne per noi”, ed è perché c’è questo Cristo che non c’è più nessun uomo che non mi interessi» [Si può vivere così? p. 284].

465 – Il mezzo per far diventare concreto il rapporto con Cristo, non è innanzitutto quello di ragionare insieme, discutere insieme, parlare insieme, ma è quello di chiederlo, di mendicarlo da Lui: si tratta della sua persona.

Se una persona non si rivela, nessuno può sfondarla per conoscerla.

568 – Non si può dire: «Gesù ti amo» senza che sia serio.

Dire: «Gesù ti amo», se non è serio, ti accorgi subito che ti ripugna, oppure capisci che non è serio e perciò almeno hai la prudenza, la cautela o il buon senso di non porlo come domanda: ci rispondi già tu, lo sai tu che non sei persuasa.

569 – Rischiavo di vivere una tentazione, cioè di credere che se avessi avuto più tempo per fermarmi e pensarlo, meglio, se avessi avuto più tempo per una spirituale emozione [aver più tempo per fermarsi a pensarlo, a prescindere dalle condizioni in cui Lui mi mette, è pretendere del tempo per una emozione spirituale, è un egoismo: acuta osservazione!], sarebbe stato più vero il mio rapporto con Cristo.

Ma è una falsa obiezione nel tentativo di scaraventare Cristo nell’astratto, perché il concreto era troppo concreto per essere Dio e l’uomo tenta sempre di cercare Dio in una esperienza sublime, facendo coincidere il soprannaturale con l’astratto, mentre è accettando il reale, aderendo al reale così come accade, che ha come contingenza spessissimo una forma banale, che si partecipa al disegno di Dio e si va verso il destino.


242 – L’obbedienza – cioè la coerenza con l’adesione favorevole alla persona che è giudicata evidentemente diversa dagli altri, eccezionale nel suo modo di dire e di fare – dà gloria alla vita, immette nella vita delle categorie che altrimenti non ci sarebbero: per esempio, la gioia; o la categoria della gloria che è la cosa che dovremo scoprire alla fine dell’anno: il nostro, il nostro scopo è lo scopo di Gesù Cristo, lo scopo che aveva Gesù Cristo, la gloria del Padre (che si affermava in tutti gli uomini che riconoscevano Lui).


62 – Provate a pensare che razza di impressione deve aver fatto quell’istante in cui quell’uomo sospende la voce – quell’uomo di cui conoscevano la madre, avevano frequentato la casa, con cui mangiavano e che dormiva con loro -, sospende la voce e a un certo punto dice: «Senza di me non potete far niente» [Gv 15,5].

Chissa che brivido sarà passato, perché un uomo che dice: «Senza di me nonpotete far niente», è Dio, è un uomo Dio.

131 Cristo è presente nel mondo attraverso questo: la domanda che nasce nel cuore di uno, anche se non lo dice a parole, vedendo una certa persona o certe persone o una certa comunità o un certo modo di vivere: «Come fanno ad essere così

«Allora Lui è come inondato di emozione davanti alla gente che lo cercava, perché era un uomo, Gesù. Le idee gli venivano come vengono a noi: attraverso le circostanze, l’esperienza» [Si può vivere così? p.46].

132 – Potresti trovare preti e teologi che ti dicono diversamente da quello che ti dico io, ma per noi un altro tipo di risposta sarebbe evacuare la verità della umanità di Cristo: se era un uomo, agiva da uomo, perciò le idee gli venivano come a noi vengono.

138 – «Nessun uomo ha mai visto il Suo volto, solo tu puoi svelarci il mistero».

Questo tu chi è? È un uomo. Come? «Nessun uomo ha mai visto il Suo volto» e «solo tu puoi svelarci il mistero»: fra tutti gli uomini solo tu, fra tutti gli uomini solo questo uomo.

Un uomo: questo è l’oggetto dominante la nostra indagine di quest’anno.

La nostra indagine ha come oggetto questo uomo.

139 – È entrato per le strade di questo mondo, giocava per le strade di Nazareth, andava per le strade scoscese della Giudea (della Galilea, della Giudea dopo), entrò nelle piazze di Gerusalemme, ed era un uomo. come dire «Guido!».

Ma come facciamo, ragazzi, a radunarci parlando di queste cose, pensando a quell’uomo che non sarebbe più se non fosse presente; non sarebbe più ora e non sarebbe mai stato; con la pretesa che ha sulla mia e sulla tua vita, non sarebbe mai neanche stato se non fosse presente, presente a me e a te ora!

Per questo ti voglio bene – capisci Guido? -, per questo siamo amici: non è qualcosa di sopraggiunto o che vigila sui nostri rapporti, «è» il nostro rapporto, coincide materialmente con il nostro rapporto!

207 – Sfidiamoci a trovare una figura umana pensata più intensamente e nella sua completezza e nei suoi particolari, in tutti i particolari, di Gesù.

233 – «È entrato nel mondo come un uomo, un uomo come gli altri; perciò, come gli altri uomini suoi coetanei andavano al sabato alla sinagoga, anche Lui andava alla sinagoga, diceva i salmi che diciamo noi e che dicevano gli Ebrei di allora» [Si può vivere così? p.112/113].

306 – Intervento:«“La forma è Cristo stesso“: volevo capire meglio proprio in riferimento alla forma della vocazione, quindi per aiutare una maggiore decisione su questa strada»

Sì, la domanda è molto chiara, ma anche l’aspetto immediato della risposta credo sia altrettanto chiaro: «La felicità sono io», dice Dio; e Dio è diventato un uomo perciò «La forma della tua felicità sono io – dice Cristo alla Samaritana -. Se tu bevi la mia acqua non ti viene più sete in eterno».

Quell’uomo pretendeva essere Dio: «Senza di me non potete far niente» [Gv 15,5].

318 – «Con Lui che ti cammina insieme, tu lo guardi è un uomo con il bastone, come te, ed è un uomo che è seduto lì in casa e ti sta parlando» [Si può vivevere così? p. 188].

319 – Dice il santo vangelo che ben due volte Gesù ha pianto, anzi, una volta usa il verbo edàkrusen, singhiozza.

Quindi questa tristezza è normale per Gesù; infatti nel vangelo non è mai detto che abbia riso.

513 – La verginità ha bisogno che uno riconosca il destino – l’oggetto ultimo del proprio desiderio di felicità, il volto della felicità: il destino, cioè Dio, il Mistero, cioè Cristo, un uomo che camminava lungo le strade della Palestina, un uomo che è ora dove sei tu e ti parla attraverso tutto ciò che ti circonda, ti parla e ti ridice queste cose, ti prende per il cravattino e ti dice: «Tu».

La verginità ha bisogno di uno che riconosca il destino presente a sé: Gesù presente nella storia; Gesù, presente nel mondo, in questo mondo, ora, ora!

528 – Intervento: « Che cosa aiuta a vincere la paura? Gli altri che mi stanno precedendo?»

Ma all’uomo Gesù, a Gesù uomo, giovane adolescente quindicenne, bambino di dodici anni, pieni di una consapevolezza che noi non siamo capaci di immaginare, come faceva a passargli la paura di essere solo – da solo nel mondo, sfidando il mondo intero a parlare del Padre; il mondo che ha come criterio supremo l’uomo misura di tutte le cose-?

Che cosa gli ha fatto passare la paura? Il riconoscimento familiare e la parola e il dialogo che aveva col Padre, di notte.


519ss – «Vivendo con Lui. Come si rende testimonianza a Lui? Vivendo con Lui. Uno che legge tutti i giorni il vangelo, uno che fa la comunione tutti i giorni, uno che dice: “Vieni, Signore”, uno che guarda certi suoi compagni per i quali è già diventato più abituale questo, può incominciare a sentire cosa voglia dire vivere con Lui. Vivere con Lui si può dire in altro modo: vivere come Lui» (Si può vivere così? p. 350).

Se tu non vivi il rapporto con tua madre o tuo padre, se un uomo non vive il rapporto con la sua donna come lo vivrebbe Gesù……

Ma, in fondo, la differenza dell’amore alla donna di uno che la sposa con uno che cammina con essa nella verginità, la differenza sta nel destino che il Padre ti ha chiamato a vivere: ti ha dato questo compito o te ne dà un altro.

Un uomo non può essere rispettoso della sua donna, se, avendola sposata, non pensa: «Cristo come la tratterrebbe

Tra lui e lei, se non si richiamano alla presenza di Cristo, si tratteranno male, cioè saranno sempre più l’uno fuori dall’altro, fuori.

520 – Vivere con Cristo è vivere tutto, tutto ciò che si incontra, come lo vivrebbe Lui.

Cristo, come guardava un piccolo fiore del campo, spontaneo, pensava al Padre: nesso con l’infinito.

Non c’è niente di piccolo, di disprezzabile, di inutile: anche il più piccolo sasso è nesso con l’infinito.

La densità dell’istante, che cosa vuol dire? Il rapporto dell’attimo con l’infinito.

521 – «Come Lui ha vissuto? Concependo la vita – la vita è ogni azione, ancheil dormire, anche lo svgliarsi, anche il mangiare, anche il bere, e poi tutto il vivere e il morire – per il mondo, per il disegno di Dio nel mondo, cioè per tutti gli uomini» [Si può vivere così? p.350]


133 -A priori, la maggior parte di ciò che c’è non sappiamo perché c’é; di quel che accade, non sappiamo perché accade.

Eppure, in questa compagnia, tutto questo diventa pacifico, pace: addirittura si muta in una tenerezza lieta, in una letizia carica di tenerezza; addirittura qui esplode spesso la gioia.

Gioia e letizia che costituiscono due parole da radiare dal lessico: non dovrebbero essere scritte sul vocabolario civile, perché sono due parole di cui non esiste una corrispondente esperienza.

Una esperienza umana di letizia e di gioia non esiste: esisterà l’esperienza della contentezza, della soddisfazione, non della letizia.

246 – Chi obbedisce è l’unico che trova una sorgente di gioia in questo mondo.

Come abbiamo già detto, la parola «gioia» dovrebbe essere radiata dal vocabolario, perché non esiste: esiste la contentezza a prezzo di dimenticanza, ma non è intelligente.

295 – Intervento: «…Ma che tutto quanto mi circonda sia positivo, io non riesco a coglierlo…..comunque noto che in tutto questo, in fondo, sono contenta

Essere contenti dentro una realtà negativa viene da un altro principio, viene da un’altra realtà, viene da un altro fattore di presenza.

Scusami, devi ammetterlo: non puoi essere contenta di ciò che è male, di ciò che è peso.

[…] se in tutta questa realtà che ti pesa tu sei contenta, questo proviene da un altro principio, da un’altra realtà: c’è un’altra realtà.

363 – La gioia del futuro non può essere poggiata sulla nostra fantasia.

Sarebbe storditezza una letizia e una gioia che nascano da noi, da qualcosa che formulo io con la mia fantasia; e questa è una linea obbligatoria di atteggiamento, perché come natura siamo creati, perciò dobbiamo obbedire.

È obbedendo che uno diventa grande, esplicita se stesso.

391/392 – Ma guardate che il gusto di tutto ciò che c’è, di qualsiasi cosa, il gusto del lavoro, se per lavoro si intende il plasmare i rapporti secondo l’ideale, l’ideale essendo riflesso nella totalità, e l’universalità essendo l’ideale del particolare, non è possibile se non cerchiamo di affrontare la vita così: altrimenti non esiste né letizia né gioia.

496 – Invece io durante questa bella festa dove ballate così bene, dove la musica è così bella, gioisco della vostra gioia, ma in me c’è qualcosa che giudica questa gioia, ne fissa i confini.

E perciò la conseguenza di tutto non è essere assorbito da un presente che tra un’ora non ci sarà più e mi lascerebbe amaro e arido, e solo, con tutti i problemi che avevo prima.

Ma, sentendo quel che sento e vedendovi ballare, la gioia che mi destate va al di là di quel che vedo.

Perché quel che vedo è un simbolo, è un segno: la bontà di quel che vedo, la verità di questa gioia è di essere segno di un altro.

Neanche a uno tra voi viene in mente di pensare ad altro, o a questo altro.

500 – Nel ballo, quella sera, cercavamo giustamente una gioia.

Ma la gioia che si ha nel programma fatto non è mai uguale a quella che ci si sarebbe aspettata.

Il programma appena fatto, nella sua efficienza non copriva i dieci decimi di intensità dell’aspettativa che, specialmente in certi ragazzi o in certe ragazze, l’occasione aveva suscitato.

Quel sacrificio per cui noi non facciamo delle nostre case delle sale da ballo, non è perché siamo ammalati gravemente di astenia e le nostre bombole sono sempre esaurite.

Non è per quello, è perché non è vero il desiderio di gioia che suggerirebbe una simile immagine: non è vero, lì la gioia non si dà.

Ma anche rimanendo nell’ambito della gioia che la donna cerca nell’uomo e viceversa, non c’è corrispondenza, mai: ciò che corrisponde di più alla gioia che un uomo ha di sentirsi camminare verso il destino della sua donna, è un’altra cosa, è il «Vieni Signore Gesù»: vieni, Signore, sul nostro cammino; dà consistenza al nostro rapporto, che sia vero!


320 – La tristezza è il segno chiaro e commovente del fatto che l’essere nati per la felicità non è un fenomeno che riguardi la singola persona: per sua natura implica la persona di tutti e il destino di tutti.

Perciò, offrire la propria vita per tutti, come Cristo, è la cosa più coerente e consona alla nostra natura che ci sia.

Ma se tu questa tristezza la offri, unendo la tua vita alla vita di Cristo, questa tristezza sta paradossalmente insieme a una leggerezza o a una tenerezza, a una gioia; perché in fondo, è una sicurezza: la sicurezza che il mistero di Dio, facendo giustizia di tutto, realizzandosi, salverà tutto.

321 – Gesù, prima di morire, disse nell’ultima cena: «Vi ho detto tutte le cose che vi ho dette, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» [GV 15,11].

«La mia gioia»: ha parlato di gioia e sapeva – questo lo sapeva, perché Giuda era già andato – che sarebbe morto, sarebbe stato ucciso in quei giorni.

Non è mai vera tristezza se non paga il pedaggio al destino finale, che è di gioia.

Sei triste in modo giusto se, nello stesso tempo, sei nella gioia (chissà come si fanno a spiegare queste cose, però si possono sperimentare).

Che tu Mariella senta questa tristezza, è secondo la fisionomia e il temperamento che ho visto in te la prima volta che ti ho incontrata.

Ma io credo che devi accentuare anche la gioia, perché tutto alla fine è bene, si o no?

Se Dio è venuto a convogliare tutto al bene, non può essere la tristezza a definire il valore della vita: è una condizione della vita, non la definizione.

La definizione della vita è destino di felicità eterna.


141/142 – Il giovane ricco andò da Gesù.

Ti manca una cosa: cos’è questo «Vieni con me»?

È il di Pietro!

Perché san Pietro gli ha detto di sì? Perché era attaccato.

142 – Questo uomo che hai davanti è la grande questione, cioè il grande Mistero, la questione del grande Mistero, la questione del grande Dio – «Io sono Dio»-. «E quello se ne andò triste»: da quel giorno in avanti non fu più semplice.

158 – Il giovane ricco: «Gesù, lo fissò e lo amò» [Mc 10,21].

Gesù a quel giovane, ricco, quando lo fissò, lo amò e gli disse: «Seguimi, vieni con me».

Quello non rispose, tanto era evidentemente ingiusto rispondere di no.

Ma non era così semplice ed aperto al sacrificio da dirgli di «sì», e perciò stette fermo.

Basta far così: la folla che si accalcava lo bevve, lo fece scomparire come uno fra gli altri e lui si trovò fuori gioco e «se ne andò triste» [Mc 10,22], che è la descrizione di tanto modo con cui si risponde alla vocazione.


269 – Domandare è la ricchezza di chi non ha niente.

Di nostro cosa abbiamo?La potenza di chi non ha niente è il domandare.

Come san Giovanni quando ha posto la testa sul cuore di Gesù nell’ultima cena: era un domandare.


83 – Nell’esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi – da cui, cioè, tu sei colpito, shoccato (affectus) – ti fa balzare fuori i criteri del cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.

Lì incomincia il cammino tuo, perché tu sei desto, critico.

La cultura è coscienza critica e sistematica di una esperienza; un’esperienza esige sviluppo critico e sistematico.

Eran parole che usavamo tre giorni dopo aver incominciato GS.

219 – Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona?

Quando una persona è seria di fronte al problema del significato del vivere.

Anche Kafka, quando disse: «Lo scopo per forza esiste, ma non si sa la via» (F. Kafke, «Gli otto quaderni in ottavo»), era serio, molto più serio della stragrande maggioranza dei cristiani che conosco, anche di GS e anche del Gruppo Adulto.

279 – E la Chiesa è giunta a un punto tale, per il cedimento alla mentalità comune di tanti teologi e della stessa formazione del clero nei seminari, che ha addirittura affermato – e abbiamo sofferto noi più di tutti gli altri come GS e come CL – che il comunicare quello che noi conosciamo di Cristo è un delitto contro la coscienza dell’altro, è un tentativo di imporre.

Perché parlano così? Perché non hanno mai fatto loro esperienza di testimonianza; dai loro preconcetti teologici e filosofici proiettano sulla testimonianza cristiana le idee che vogliono.

357 – E poi il Signore ha proiettato il suo filo nel futuro: a trentadue anni mi ha fatto venire l’idea di andare a scuola di religione, e di lì è incominciata GS.

461 – Come diceva Jean Guitton nel suo libro Arte nuova di pensare, che noi distribuivamo nei primi anni di GS: è ragionevole chi impedisce alla ragione di sopraffare l’esperienza.

Sottomettere la ragione all’esperienza: questo è l’uomo ragionevole. Dentro qui si annida l’origine della definizione di ragione che noi abbiamo sempre cercato.

493 – Ed è l’amara differenza fra la GS dei primi dodici anni e la GS degli anni dopo, che si chiamò ad un certo punto CL: i primi dodici anni erano carichi di canti popolari, che cessarono ad un certo punto; adesso nessuno più canta canti popolari, salvo qualcheduno.


206 – «Dio non vuole dei servitori schiavi» [Ch. Péguy «I Misteri»]: l’io e il tu sono caratterizzati dalla libertà, Non c’è niente di più suggestivo del Dio libero che rischia la Sua libertà con la piccola ribellione della libertà dell’uomo.

Comunque con Adamo ed Eva non ce l’ha fatta, con Giuda non ce l’ha fatta.

Questo il dogma cattolico, cioè la concezione dell’uomo non è cattolica se non implica questo.


80ss – La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

Fa vedere i fattori di cui la realtà è composta, coi criteri per giudicare se questo costolone è a posto, se è bene, se è giusto, se è nel contesto dell’esperienza che si guarda oppure se è estraneo ad essa.

Nella totalità dei suoi fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.

Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.

In ogni singola esperienza, nella rilevazione di criteri che giudicano l’esperienza stessa e con cui dall’esperienza si può giudicare il mondo, questa emergenza dei criteri ultimi per la ragione è immediatamente sensibile, è immediata, è automatica.

Il cuore è automatico, sentir battere il proprio cuore è automatico.

Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.

Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.

Intervento: «Che cosa significa che i criteri con cui giudicare l’esperienza nascono dall’esperienza?».

Esperienza elementare cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé (satisfacere); per essere completo, cioè per essere perfectus (perfetto, completo); e perché dal punto di vista del riflesso estetico, la bellezza si renda visibile, oggetto maneggevole; e perchè il tempo si buono, sia bontà; e perché l’esistere sia felicità, come dice il primo libro della Sapienza.

81 – Il contenuto dell’esperienza è la realtà.

Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, un fenomeno.

82 – […] fa delle domande: «È soddisfazione reale? È risposta vera al mio bisogno? È felicità? È verità e felicità?»

Queste sono le esigenze che non nascono in ciò che prova, ma nascono in lui davanti a ciò che prova, in lui impegnato in ciò che prova.

Queste domande giudicano quello che prova.

Qui diventa esperienza il puro e mero provare.

Il provare, il mero provare assurge a dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

83 – Il punto di partenza è l’esperienza.

Non quel che si prova, ma l’esperienza che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri, non come giudizi: può essere infallibilità applicata male).

84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.

Un cuore che è unitario in qualsiasi esperienza l’uomo faccia, che è principio di unità dell’uomo stesso e principio di giudizio su tutto quello che l’uomo mangia, ingloba.

Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da altro da sé per giudicare sé.

Plagio: l’uomo sarebbe un plagiato; plagiato è quel fenomeno di esperienza in cui i criteri con cui l’esperienza giudica se stessa sono inoculati violentemente da qualcosa che sta al di fuori e non provengono da se stessi.

144 – (Il Vangelo) ogni tanto dice: «e credettero in Lui i suoi discepoli», stabilendo così una descrizione perfetta, oggettiva, concretissima del come la chiara evidenza di giudizio, quando l’oggetto è una persona, si forma.

Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza: non «si complica», ma diventa evidenza.

267 – Non si tratta innanzitutto di giudicare noi stessi da un punto di vista delle risposta, della corrispondenza a quello che ci è stato proposto, ma giudicare il cammino fatto da un punto di vista più critico, che riguardi perciò l’intelligenza nostra delle cose, nel senso di come abbiamo imparato quello che ci è stato detto: come le cose dette influiscano sulla nostra cultura,sul nostro sistema di sguardo sulla realtà.

290 – C’è una certezza che nasce dal giudizio.

Io entro qui ed è buio, accendo la luce e vedo una cosa sul tavolo: è una bottiglia di acqua minerale.

«È una bottiglia»: sono certo, è un giudizio certo.

Giudizio vuol dire l’applicazione della intelligenza, della coscienza, della ragione, a una determinata realtà per definirne la natura, l’essenza, il significato, ciò che essa è.

498 – È una purità in quanto accetta un dolore o una riscossa perché il rapporto che si sta vivendo con una persona o con il proprio dovere di lavoro, di studio, di casa, sia più vero: accetta il giudizio per cui diventa più vero, meno equivoco, e per cui il rapporto, invece che affermare sé, affermi l’altro, sia utile all’altro.


374 – Dal pensiero si passa a una scelta di attaccamento a cose che si fanno, a un fare, a cose e modalità che si privilegiano, istintivamente: se piace, piace!

Il giudizio si traduce in una affezione, nel prestarsi a una cosa per usarla oppure per non usarla: uno sceglie.

403 – Intervento: «Deve prevalere il giudizio o l’attaccamento, o insieme?»

Deve prevalere quel giudizio cui ad un certo punto sei arrivata, dal quale non si può non sprigionare un attaccamento.

Ma l’attaccamento si sprigiona quando e come Iddio vuole.

Tu devi essere fedele al prima, fedele all’accaduto, fedele all’avvenimento, il cui frutto principale è un giudizio di certezza.

La lealtà è col giudizio di certezza originale.


236 – La misura del giudizio non può essere il loro giudizio, la loro misura, ma deve essere una misura di cui loro non sanno, che presentono un certo rigore di pietà, con una certa venerazione: una misteriosa misura.


568 – La difficoltà in queste cose sta nella distanza che c’è fra il giudizio e il sentimento come emozione o reattività.

Il giudizio è una verità che si riconosce e si afferma: l’emozione è una reazione del proprio temperamento.

L’uomo è chi cammina in base al giudizio e non in base a una reazione, perché in base alla reazione anche i topi si muovono.


241 – È giusto non quello che corrisponde al contenuto della tua esperienza immediata, ma alla esperienza più profonda della radice del cuore.

È giusto quello che corrisponde all’esperienza elementare più che a una reazione attuale del tuo cuore.

448/449 -È bello o no sentir dire: «E nel tramonto fulgido i cuori in Te si immergano»?

Altroché se è bello: bello nel senso di giusto, giusto nel senso che, ripetuto, questo germe di spiegazione mi fa diverso da prima.

Non si può conoscere Dio, non si può riconoscere Gesù, se non attraverso la trafila di parole e pensieri che l’uomo trova e dice.


230 – L’ultima parola prima della gloria è la parola obbedienza.

Infatti l’obbedienza si riferisce alla croce; la gloria, invece, nasce dal giorno festivo della Pasqua.


188 – Il tema della domenica – la gloria di Cristo, il regno di Cristo, il Padre che dà nelle mani di Cristo il cielo e la terra e tutti i tempi della storia – è molto più difficile da capire.

189 – La gloria di Cristo è un concetto molto più difficile da capire, è l’ultimo.

Dio è venuto nel mondo non per la salvezza dell’uomo e del mondo, ma per la gloria di Cristo, come incominciò Gesù la sua ultima orazione prima di morire: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il figlio tuo come tuo figlio ha glorificato Te» (Gv 17,1).

È la gloria di Cristo, di Gesù figlio di Maria, questo uomo che aveva i capelli di quel colore, gli occhi di quel colore e lo sguardo di quel tenore, ed era così alto, così uguale, così diverso, così incidente, così tenero, così forte….quell’uomo – uomo! – di carne e ossa; così che «pur vivendo nella carne, noi viviamo nella fede» [Gal 2,20], vediamo qualche cosa oltre al carne.


517 – L’io di quell’uomo che era il pellegrino russo, che viveva la sua vita camminando di monastero in monastero – era la sua forma di povertà; viveva di elemosina per rendere gloria a Dio – come faceva a rendere gloria a Dio?

Bisognerebbe fare come il pellegrino russo, come aveva imparato a fare lui, con il passare degli anni: ricordar Dio una volta a giorno, poi dieci volte, poi cento volte, poi mille volte, poi diecimila volte, finché il Suo nome coincida con il respiro.


378 – «Se tu vai troppo d’appresso non vedi. Senza un certo distacco non conosci, non usi e non godi: quanto più il distacco è appropriato, cioè proporzionato, tanto più conosci, usi e godi» [Si può vivere così? p. 224].


128 – Stupirsi e contemplare sono la forma più acuta e più pura della domanda.

La gratitudine che viene subito dopo è anche essa una forma di domanda: la gratitudine è che l’altro a cui sei grato esista, continui ad esistere, ci sia, che tu l’abbia a ritrovare.

233 – Lo stupore di fronte a una realtà bella della vita o della natura lascia nel cuore una gratitudine che è una virtù che inizia il cammino di tutte le altre virtù: la gratitudine è l’inizio di tutte le altre virtù.

359 – Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la propria esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità (e tutte le obiezioni della vita non riusciranno a fermare questa destinazione immanemte al cuore stesso delle cose), allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.


463 – Invece che affermare l’Essere come è, invece che la gratitudine al Mistero che fa le cose per aver creato un viso così, di avermelo fatto vedere, invece che questa gratitudine, una ripugnante reazione – ripugnante in tutti i sensi, in un modo o nell’altro -, un’effimera, superficiale e inutile reazione; e poi finire con il dimenticare.


(cfr. anche amore e gratuità)

220/221 – Intervento: «Se penso alla mia esperienza, quelllo che mi persuade rispetto all’obbedienza è il vedere la gratuità dell’altro nel muoversi nei miei confronti»

221 – L’altro mi dice queste cose non per una sua politica, o un suo tornaconto, ma – lei dice – per una gratuità.

La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.

Usiamo pure la parola gratuità: se l’altro è gratuito, se dirmi queste cose non è frutto di calcolo.

Usiamo la parola gratuità, che è riassuntiva.

Gratuità indica che chi mi comunica quelle cose che corrispondono così al cuore – come non ce n’è in giro, come gli altri non fanno: gli altri dimenticano sempre qualcosa, questi qui no, e non teme che io gli obietti le mie difficoltà, ma ad ogni difficoltà risponde.

Questo secondo fattore (la gratuità), che è importantissimo, mettiamolo tra parentesi, perché non si capisce subito: bisogna essere amato per tanto tempo gratuitamente, bisogna essere stati educati dalla vita ad amare gli uomini gratuitamente per capire quando un uomo ti ama gratuitamente.

Se una persona, nella concezione della vita che ti esplica e ti comunica, ti appare chiaramente trarre le mosse e poggiar tutto sulle esigenze del cuore, tue e di tutti gli uomini; se lo fa con gratuità, volendo il tuo bene, tanto che la prima cosa strana che ti colpisce incontrandolo è questo aspetto di gratuità; se ti dà un aiuto adeguato: allora obbedire a una persona così è doveroso, come è dovere compiere il razionale, è dovere compiere ciò che è ragionevole.

458ss – «Carità deriva dal greco charis, che vuol dire gratis o gratuità. La carità, dunque, richiama la forma suprema dell’espressione amorosa» [Si può vivere così? p. 271].

Questo concetto è un pò anticipato, però è chiaro: l’amore è dare, è comunicare. Gratis è un dono: se una cosa è fatta gratis è donata.

459 – «La gratuità – da cui è bandito ogni calcolo, ogni attesa di ricompensa, ogni previsione di tornaconto – implica la totale assenza di “ragioni” che la ragione capisce, che la ragione spiega» [Si può vivere così? p.271].

460 -Viene sottolineata l’esistenza di un comportamento morale caratterizzato dal fatto che non ha alcun tipo di ritorno: è puramente gratuito.

461 – La ragione unica che può avere la carità per esser gratuita, è il bene dell’altro.

488 – La stessa affezione che ti introduce all’intimità con Dio, all’intimità con l’essere, ti spinge a farlo, a realizzarlo: si chiama gratuità.

La gratuità è la dote – non una dote, ma la dote – del Dio, la dote dell’Essere.

L’Essere è generatore senza misura né fondo, è generatore – e generare è dare – senza niente di ritorno, senza che calcoli niente; non calcola nulla Dio.

La gratuità è partecipare all’intimità di Dio, all’intima natura di Dio: non solo conoscerla, ma parteciparvi.

Dio è un uomo, è più uomo dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena di compassione.

523/524 – La croce per l’Onnipotenza che muore…questo è un paradosso assoluto, assoluto.

È, infatti, l’assoluto della gratuità; non si può concepire o immaginare gratuità così, è impossibile.

La dedizione alla verginità partecipa di questa purità assoluta.


459ss – «La gratuità – da cui è bandito ogni calcolo, ogni attesa di ricompensa, ogni previsione di tornaconto – implica la totale assenza di “ragioni” che la ragione capisce, che la ragione spiega» [Si può vivere così? p.271].

Nella misura in cui c’è un calcolo, diminuisce l’amore.

Il contrario dell’amore è qualsiasi tipo di calcolo.

«La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma. La ragione di un’azione è il ritorno che l’azione ha» [Si può vivere così? p. 271].

Normalmente, in tutte le nostre azioni sono ragionevoli nella misura in cui sono un calcolo, altrimenti sono un colpo di testa. Qui è proprio il contrario.

«…La carità agisce per puro amore, solo per amore. Solo per amore? Agisce per amore anche uno che dà i soldi ad un altro calcolando un ritorno; la carità agisce per puro amore, nel senso che: dato, fatto. Dato, fatto; non c’è più nessuna aggiunta, non c’è più nessuna appendice» [Si può vivere così? p. 271].

460 – «Il bene dell’altro, il destino dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo. La ragione della carità, cioè della gratuità, è solo questa, che è la ragione più umana che esista, perché i calcoli li può fare anche la bestia» [Si può vivere così? p. 272]

461 – Il fenomeno che tu incontri è carità quando ha come unica ragione il bene dell’altro ed esclude – di fatto o anche come principio – ogni calcolo di ritorno.

462 – La carità ha una ragione: è proprio la natura di questa ragione che sconcerta, è una ragione che all’uomo appare senza ragioni, perché le ragione dell’uomo sono tutte un calcolo per sé; lì non c’è calcolo per sé: c’è soltanto il bene dell’altro


489Primo: l’intelligenza diventa fede e ammette il Mistero.

Allora, secondo, la strada è così aperta che uno vi entra, arriva al cuore dell’essere e vi partecipa: la carità è gratuità; la capacità di Dio diventa capacità dell’uomo.

L’amore puro, la gratuità pura.

Terzo, si ritorna improvvisamente indietro.

D’improvviso, dall’intimità dell’essere, l’uomo vede Gesù. il Mistero che parte, va, va, va….allora lo insegue: va, ritorna a valle, tra gli uomini che mungono, che mangiano, che pisolano.

Senza questa commozione – mossa con, mossa in seguito a una Presenza, mossa per una Presenza -, senza questa commozione non c’è gratuità.


523/524 – La croce per l’Onnipotenza che muore….questo è un paradosso assoluto, assoluto.

È, infatti, l’assoluto della gratuità; non si può concepire o immaginare una gratuità così, è impossibile.


96 – Una volta che si è arrivati alla fede, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, il gratuito affacciarsi ai confini del reale umano usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della ragione.

È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare anche quest’Altro.

106 – La grazia. Ed è solo questa che a un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere.

Quindi, il grande uomo è grande perché è strumento del disegno del Padre; e la compagnia è un grande aiuto come strumento nel disegno di Dio.


96 – Una volta che si è arrivati alla fede, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, il gratuito affacciarsi ai confini del reale umano usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della ragione.

È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare anche quest’Altro.

150 – Se tu hai la fede significa che impegni in essa tutta la tua libertà; ragione e libertà sono alla radice della fede.

Invece che la fede si riconduca alla ragione e alla libertà: no, mai detto.

Siccome la fede è rapporto diretto con il Mistero, c’è il Mistero di mezzo, la cui necessaria comunicazione, se vuol farsi conoscere dall’uomo, si chiama grazia.

Che qui occorre ragione e libertà non significa che occorra soltanto ragione e libertà; ma qui, proprio perché occorre anche altro, innanzitutto occorre tutta la tua ragione e tutta la tua libertà.

206 – Tante volte si ascoltano malamente cose ripetute più per paradosso che per precisione matematica.

«Tutto è grazia» di Bernanos non è vero, c’è anche la libertà; però è paradossale, come paradosso colpisce.

253 – Per interessarsi di queste cose occorre un animo, un cuore un po’ diverso: occorre essere più uomini degli altri.

Occorre essere più uomini degli altri – cioè avere il gusto del pensare e del riflettere.

Nessuno ci tiene ad essere più uomo degli altri. Non ci pensa: anche se va in chiesa, non ci pensa.

Intervento: «Don Giuss, cosa dici della perseveranza del desiderio che ci vuole in questa cosa? È una grazia?»

È piuttosto oggetto di una domanda, perché la grazia viene dopo la domanda.

Qual’è la parte di libertà in questa grazia? La domanda! La grandezza della libertà dell’uomo sta nella imperterrita domanda.


56 – Intervento: «Che il giudizio può sembrare teorico, guardando e riguardandolo può generare l’inizio di una esperienza di adesione

Se guardi e riguardi, altro che inizio! È più che un inizio, perché se guardi per la seconda volta è già il secondo inizio; se guardi per la sesta volta, è il sesto inizio. Mi spiego?

Il problema vero è quello più sottile[…]: se uno è leale verso la realtà, verso il destino.

159 – «Se tu segui la tua stella, non puoi fallire a glorioso porto» [Inferno, canto XV, vv. 55-57], diceva Dante.

Cos’è la stella? Non è un discorso da ripetere, non sono giudizi da ripetere, non sono delle definizioni da dare: è qualcosa che genera stupore, che tu guardi; la stella è qualcosa da guardare.

Perciò, per esempio, non è l’ascolto che ti cambia, ma è il guardare che ti cambia.

272 – Se tu pretendi di esaurire la conoscenza prima di seguire, ti metti in una prigione da cui non uscirai più.

Invece è l’inverso: appena c’è uno spunto che tu riconosci, segui.

Cosa vuol dire seguire? Guardare. Secondo il linguaggio oggettivo degli uomini, seguire vuol dire guardare.

Che verbo abbiamo usato per Giovanni e Andrea? Lo «guardavano» parlare.

543 – Prima di tutto il seguire.

Per seguire bisogna guardare e muoversi secondo quel che si vede.

Guardare, come diceva il famoso padre gesuita de la Potterie: «La fede è un cammino dello sguardo», la fede è il cammino che è fatto guardando chi è più avanti, è il cammino dello sguardo.


506 – Se tu guardi con gli occhi di Cristo – pensa a come Cristo guardava sua madre, mentre saliva la croce, se tu guardi le cose con gli occhi di Cristo, l’equivoco svanisce e resta il brivido che viene quando hai superato un pericolo.

507 – Scusate, cosa vuol dire essere stati chiamati ad essere Memores Domini? Coloro che guardano la realtà immedesimandosi con Cristo.

Allora sentiremo nascere in noi un contentezza; cominceremo a comprendere la giustizia, anche di quello che agli uomini solitamente appare come inganno o menzogna.


140 – Io non so come mai il Tuo volto, o Cristo, coincide con il volto che io amo, con il volto del mio amico, con il volto del mio compagno; ed è capace, questa Tua faccia, di rendere presente con se stessa, in questo momento presente, tutti coloro che sono stati e che saranno: tutta la storia e tutto il mondo.

413 – «Non arzigogolare e tendere alla perfezione, ma guardare in faccia Cristo: se uno guarda in faccia a Cristo, se uno guarda in faccia a una persona a cui vuol bene, tutto in lui si rimette a posto, e si mette i capelli in un certo modo, e si allaccia il bottone, e ha vergogna delle scarpe sporche, e dice: “Scusami se sono così trasandato”. La sorgente della morale è voler bene a uno, non realizzare delle leggi» [Si può vivere così? p. 236-238].

441 – Senti, se vuoi arrivare alla commozione vera di fronte alla meschinità e alla vigliaccheria dei tuoi peccati e di fronte alla misconoscenza e alla durezza che hai verso Cristo, Dio fatto uomo, devi pensare a Lui, guardandolo in faccia veramente.

Immagina Gesù e la Samaritana: devi guardare Gesù in faccia veramente, veramente, non trascendendo o astraendo.

È un Tu che domina, non delle cose da rispettare; non delle leggi da rispettare, ma è una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.


183 – La libertà è il primo meccanismo che mette in gioco favolose distanze, e favolose profondità, favolose cose belle! Per questo non gustate un cavolo della vita! Perché si dimentica questa drammatica ricchezza della vita, non la si gusta.

E Gesù, che ha bisogno come il pane che la gente che lo segue abbia il gusto della vita, resta sempre di malumore.

255 – Tra gli universitari della Cattolica, chi vuole – chi vuole, perché capisce di essere fuori strada, fuorigioco, fuori gusto; fuori gusto, perché il gusto umano ha sempre dentro una intelligenza, un giudizio: se non c’è dentro un giudizio e una intelligenza non è un gusto umano -, chi vuole sentire la risposta alla domanda: «Qual’è il modo di rapportarsi con la ragazza?»

391 – Ma guardate che il gusto di tutto ciò che c’è – per quante volte tradiamo la cosa, a un certo punto lo dobbiamo riconoscere-, il gusto di tutto ciò che c’è, di qualsiasi cosa, il gusto del lavoro – se per lavoro si intende il plasmare i rapporti secondo l’ideale, l’ideale essendo riflesso nella totalità, e l’universalità essendo l’ideale del particolare – non è possibile se non cerchiamo di affrontare la vita così: altrimenti non esiste né letizia né gioia.


(Cfr. anche: virtù)

433 – Nel tempo fit habitus, si dice in terminologia tomistica: la ripetizione degli atti quanto più si ispessisce, tanto più diventa abituale

Di una abitualità per cui non guardi necessariamente diritta la grande Persona presente, non vivi la memoria con schiettezza e chiarezza assoluta; però è come se la memoria lentamente diventasse come un profumo, una freschezza che si comunica alla base del tuo essere, che si comunica ad ogni iniziativa che tu prendi per agire: «Le vostre ossa saranno come erba fresca»[Is 66,14], diceva Isaia il profeta.

E man mano che si avanza, quanto più ripeti il gesto, tanto più avanza una cosa stabile in te, un atteggiamento che tende a diventar stabile, fit habitus e, tendendo a diventar stabile, ti rende più facile moltiplicare il ricordo.


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV




Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


Iscrivendoti riceverei gratis ogni nuova pubblicazione

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.