Temi: Si può (veramente?!) vivere così? – 5

edizione di riferimento

Indice alfabetico dei temi

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV


[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]

Indice linkato


540 – Diciamo sempre che la vocazione la costruisce Dio, non la scegliamo noi.

La Madonna poteva immaginarsi quello che sarebbe successo, quello a cui era destinata? Assolutamente no.

577 – Qual’è il metodo adottato da Dio? Guardare che, di tutto quello che abbiamo detto in tutti gli anni della nostra storia, questo è il punto cruciale più importante, e capirlo è importante, e per capirlo veramente bisogna pregare la Madonna e lo Spirito Santo, e leggere il testo Il tempo e il tempio, che anche il Papa ha letto, quasi rieccheggiandolo nel suo discorso di domenica a Loreto proprio nel suo punto iniziale: il Mistero, per farsi conoscere, non parla all’orecchio di uno che dorme, non parla alla mente di uno che riflette, entra dentro la storia come un fatto.


379 – «Un uomo non può godere la donna se non stando a una determinata distanza; altrimenti ne può godere, ma nel senso puramente istintivo del termine. Una madre che non ha mai conosciuto un momento in cui fissa il suo bambino e, fissandolo da un metro o due di distanza, pensa al suo destino: “Chissà che destino avrà questo mio bambino”, una donna che non ha fatto così, non ha mai gustato l’essere madre, mai;non può mai essere stata educatrice valida, mai; non conosce la creatura che ha lì. Ma questo, della madre e del bambino, è il paradigma per tutto; perché tutto, per ognuno di noi, per l’uomo, tutto è come un bambino che nasce dal suo seno, tutto»[Si può vivere così? p. 224].

420 – È più madre una che butta fuori il feto dal ventre o chi educa al destino, cioè chi tira su un essere e lo accompagna per il suo destino?

Buttar fuori il feto e lasciarlo lì! E il lasciarlo lì non è lasciarlo lì: lasciarlo lì è non educarlo al destino.

Per che cosa lo hai generato? Per che cosa lo hai fatto nascere?

506 – Se una madre è guardata con la coscienza che Cristo aveva di sua madre, a cui non una malattia, ma se stesso avrebbe opposto, provocandole il dolore più atroce.

Pensa a come Cristo guardava sua madre, mentre saliva la croce (ricorda i tre misteri di Péguy, di cui metà sono sulla Madonna, e tentano di descrivere la coscienza che Cristo aveva del male che faceva a sua madre – Lui, a sua madre! – per obbedire al Padre) -, se tu guardi le cose con gli occhi di Cristo, l’equivoco svanisce e resta il brivido che viene quando hai superato un brivido.

507/508 – «Guarda, mamma, che non mi voglio sposare e entro tra i Memores Domini». Oddio! Tua madre si strappa i capelli,

Fai molto più il bene di tua madre, vuoi più bene a tua madre dandole questo dolore che neanche guardandola con la coscienza che, per colpa sua, hai detto no a Cristo.

Vorresti molto bene a tua madre; e tu dopo lo senti e non sai come togliere da tua madre la responsabilità che anche essa condivide con il tuo «no», di cui anch’essa avrebbe colpa.


543 – Non puoi pretendere di sapere il perché prima di fare il passo; se pretendi di sapere prima di seguire sei finito.

La prima cosa è un intendimento sincero e un impegno reale con i passi, le parole e i canti che fa chi mi precede.

Per seguire bisogna guardare e muoversi secondo quel che si vede.

Guardare, come diceva il famoso padre gesuita de la Potterie: «La fede è un cammino dello sguardo».


273 – […] Però Rose può fare amicizia lì e Francis può lasciarsi ammazzare dai miliziani di Amin davanti a suo padre perché non vuole promettere di non andare più a Scuola di Comunità.

531 – (Pietro di Craon) …disseminava la Francia di grandi cattedrali e stava lavorando in quel momento alla sua più grande opera, la cattedrale di Reims, dedicata a santa Giustizia, una martire, di cui si era trovato il corpo – il corpicino, perché aveva otto anni; come gli innocenti del vangelo, senza nessun merito, eppure è santa poiché martire.

Perché tutto vien da Dio: la vocazione viene esclusivamente da Dio, è Dio che determina e decide fisionomia di ognuno.


438 – «Lui […] ti arriva addosso con le nostre presenze, che siamo come le fragili maschere, la fragile pelle, le fragili maschere di qualcosa di potente che è Lui che sta dentro, che non sono né io né lui né te, eppure passa attraverso me, passa anche attraverso lui e le cose di oggi non te le dice nessuno» [Si può vivere così? p.258/259].


479/480 – Per capire quello che è oltre la linea di demarcazione del nostro modo di esistere – che è materiale e spirituale allo stesso tempo, perché è lo spirituale attraverso il materiale -, se vuoi giungere a capire ciò che è spirituale, devi passare attraverso il materiale e, perciò, attraverso una immaginazione: non potendone fare esperienza diretta, devi arrivarci attraverso una immaginazione.

480 – Tu hai due immagini.

La prima: di una persona a cui vuoi bene, immagini, guardandola in faccia, di andare in fondo, in fondo alla sua faccia; in fondo alla sua faccia c’è un Altro: per questo l’adori, puoi adorarla. Se non vai fino a questo punto non puoi adorarla, sei impostore, vuoi derubarla. Vale a dire vuoi arricchire te stesso di una sensazione, non amarla.

La seconda immagine dice: per amare una persona deve strapparti da essa; strapparti dall’aspetto o dagli aspetti che bloccavano il tuo interesse.

Perciò, sia l’andare a fondo che lo strapparti hano la stessa natura originante: sono immagini che la tua esperienza materiale di permette di compiere, che realmente imbragano un idea grande che sta al di là del limite materiale da cui l’immagine è tratta.

482 – Dire: «Chissà come (Giuseppe) la guardava» già implica lo strappo dalle condizioni nostre banali (sono veramente banali, miserabili, con tortuosi fini); o vuol dire penetrare quella faccia fin dove nasce. Si può dire così di Maria e Giuseppe, sì o no? Fate voi un paragone migliore di questi due.

Ma il paragone lo dovete tirar fuori voi dalla vostra esperienza materiale. Perché – diceva Guardini – non c’è nessuna filosofia più “materialista” di quella cristiana.

Intervento: «Allora per la carità si vive sempre un apparente contrasto?».

Molto giusto: hai tirato le somme del nostro discorrere. Vivere la carità verso una persona significa sempre subire questo tipo di contrasto, proprio perché è la verità nell’affermare l’altro.

Affermare il suo aspetto materiale, concreto, l’apparenza esistente, e affermare il suo eterno appaiono in contrasto: devi esprimerli contrastandoli.

Ma quanto più li devi esprimere contrastandoli, tanto più senti l’unità che c’è dentro.


391 – La ragionevolezza è solo questo: il particolare in funzione del tutto.

Allo stesso modo Cristo ci invita alla povertà, cioè ci invita ad un rapporto di possesso che non si realizzi secondo quel che uno sente: allora l’universo intero sostiene questa particolare cosa – perché ogni particolare è sostenuto dall’universo intero – sarebbe in funzione del tuo piacimento in quel momento.

Per questo quando il piacimento è serio, e uno allora fa famiglia, l’universo grida: «Per sempre! Indissolubile!».

«Ma allora se è così – grida san Pietro alle stelle, verso le stelle -, se è così, non conviene più sposarsi». E Gesù di rimando: «Voi non capite ancora queste cose, ma ci sono eunuchi perché ammalati all’origine, eunuchi che si sono resi tali per piacere ai re, ed eunuchi che così vivono per il regno dei cieli» [Mt 19,1-11], cioè per la verità della totalità.

La stessa ragione che valeva prima, quando Gesù ha parlato della indissolubilità del matrimonio, adesso vale per la verginità: per spiegare l’indissolubilità del matrimonio, parla della verginità.


(cfr. anche risveglio)

299 – (Il Mistero) mi sveglia ogni mattina, mi dice «Coraggio» ogni mattina, mi dice «Pulisciti» ogni mattina mi dice «Alè», diventando così compagno cento volte di più che non per tutti gli altri, diventando compagno durante la giornata.

È impossibile che poi, durante la giornata, nella solitudine in cui pur ti trovassi, non ci sia un accenno di sguardo, di vicinanza, un gesto che ti sia eco di quel risveglio del mattino, se il risveglio del mattino è riconosciuto fatto da un altro: Mistero, nel segno.

401 – […] Se non c’è uno che gusta il mattino, è inutile che esista il mattino. Se uno non sente il canto della Adriana sul mattino, per che cosa c’è il mattino.

Il silenzio è la memoria del mattino che si risveglia, che è la resurrezione di Gesù; questa certezza assoluta del futuro, proiettata sul sentimento che ci ingombra l’animo alle sei e un quarto di quella mattina in cui ci svegliamo e in cui si innesta la guerra tra la consapevolezza ideale, l’amore alla vita, l’amore all’essere e la sopportazione del tempo della esistenza, la guerra tra l’amore e la sopportazione.


128 – Lo stupore, o contemplazione, è una domanda che l’oggetto esista, continui ad esistere, continui ad esistere per me, ci sia per me, sussista per me.

E quanto più esiste e quanto più lo guardi, tanto più cresce lo stupore; e dalla acerbità della prima impressione, tu vieni alla maturità di una comprensione i cui quasi anneghi dalla tenerezza e dalla soddisfazione.


70 – Si capisce ili tema generale della vita: la vita è un cammino.

Un cammino […] a mia esperienza, è la cosa più difficile da far passare, perché riassume il bisogno di tutte le altre: la vita dell’uomo è un cammino.

Mentre per i medioevali era chiarissimo – tanto è vero che l’uomo era chiamato homo viator, l’uomo viandante -, a noi sembra che quello che abbiamo nell’istante possa durare per sempre.

92 – Se il Mistero è la verità dell’uomo e come Mistero la verità non si può conoscere, se il Mistero coincide con quell’uomo lì, la verità è quell’uomo lì.

Cosa è la verità? È questo uomo presente.

Questo è il salto mortale contro cui tutti gli uomini di questi secoli si sono ribellati.

Non fu così per quelli prima di loro, fino al 1100, al 1200, per quella gente grandissima che ha riempito l’Europa di popolazione, sfidando i grandi forestoni di cui era coperta, non temendo le bestie umane che pullulavano in quelle foreste, trasformando la belva umana in pacifica convivenza fraterna e l ‘istinto in amore, come quello tra l’uomo e la donna, o tra amico e amico.


231 – Si può conoscere uno senza conoscerlo in particolare; per il fatto che appartiene ai Memores Domini, si capisce che agisce secondo quel triplice criterio (1-segue chi poggia tutto sulle esigenze originali, 2- quando lo fa gratuitamente, 3 – lo aiuta).

355/356 – «Dalla libertà delle cose, che la povertà porta con sé, nasce un sentimento che nessun altro ha se non chi è povero, cioè chi non fissa in determinate cose da lui scelte la speranza della sua vita. Uno può fissare la speranza della sua vita in una determinata cosa che Dio gli dà; se uno entra nel Gruppo Adulto deve sperare la felicità della sua vita dal Gruppo Adulto, in quanto Dio gli ha dato questa vocazione e nella misura in cui è alla mercè della modalità che Dio usa e con cui Dio usa le cose» [Si può vivere così? p. 216-217].

357/358 – Dio, dandoci l’esistenza, crea come un seme e prevede per questo seme una trama di sviluppo sempre misteriosa ai nostri occhi.

Se questa trama ti fa passare attraverso l’alveo del Gruppo Adulto, alla tua felicità ti conduce attraverso il Gruppo Adulto: non attraverso le suore francescane, ma attraverso il Gruppo Adulto.

Per questo bisogna essere estremamente leali e autentici nel vivere la contestualità per cui la nostra vita passa.

507 – Cosa vuol dire essere Memores Domini? Coloro che guardano la realtà immedesimandosi con Cristo.

Immedesimiamoci in Gesù e guardiamo tutte le cose come le guardava Lui.

589/590 – L’Associazione dei Memores Domini è composta da laici che si impegnano davanti a Dio a vivere la Memoria di Cristo dentro il lavoro.

Due sono pertanto, i fattori individuabili nel progetto spirituale della Memores Domini:

  • la contemplazione, intesa come Memoria tendenzialmente continua di Cristo. Cristo, infatti, è la consistenza di tutte le cose ed è presente nella storia attraverso la personalità del battezzato e la comunione con i fratelli.
  • la missione, cioè la passione di portare l’annuncio cristiano con la propria persona trasformata dalla memoria.

L’Associazione si propone di attuare una presenza missionaria per riportare la fede nella vita degli uomini incontrandoli ovunque, ma, in particolare, nei diversi ambiti del mondo del lavoro: scuola, ufficio, fabbrica.

Ogni associato si impegna alla missione vivendo il proprio lavoro o la propria professione come luogo dellamemoria di Cristo, cioè traducendo ogni attività in Offerta, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II: «I battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile luce» [Lumen Gentium n.10; cfr.n 35].


121 – Intervento: «Cosa c’entra la memoria con la convivenza?»

La presenza al suo fatto, la coscienza che il suo fatto è una cosa presente, si chiama memoria.

Perciò, è la memoria la condizione per la convivenza.

La memoria è il riconoscere come presente quell’avvenimento che è iniziato nel passato. E perché è giusto riconoscerlo come presente?

Intervento: « Perché cambia»

Perfetto. Ricordati queste parole, e prega la Madonna che te le faccia vivere e sentire addosso a te. Allora non avrai dubbi, perché è immediato: diventa una evidenza diretta.

122 – Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente e perciò la memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è incominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine dei secoli.

163 – La memoria di Cristo, che è tale in quanto tende ad essere continua – e diventa continua…perché a settant’anni, diversamente che a diciassette anni, è centodue volte più continua! -, è riverbero della continuità con cui Gesù di Nazareth, uomo-Dio, ora, mi pensa.

188 – Pensate […] a quando Pietro è diventato vecchio e il pensiero di Gesù per lui è diventato certamente abituale, ma sempre, dentro quel ricordo, quella memoria, certamente dominava l’immagine della prima volta che l’aveva visto, quando gli si è avvicinato e da lontano si è sentito scrutare da quell’individuo – a cui era tutto teso con curiosità -, e si è sentito guardare così fino in fondo che è stato afferrato nell’animo, definito da quello sguardo.

229 – Scenario di contesto vuol dire che tutti i fattori attivi, più o meno drammatici, della memoria che si deve imparare a vivere hanno un luogo che, anche fantasiosamente, diventa come palcoscenico; tutto ciò che s’ha da imparare o di cui si sente il bisogno o a cui si sente necessaria una risposta, si situa su quel palconoscenico.

281 – A mio avviso la speranza sembra più astratta della fede, perché la fede più concreta della speranza è, normalmente, una fede come sentimento, come emozione.

Non è la memoria, perché se è memoria di un fatto, allora la fede diventa sostegno per cui io oggi, dopo duemila anni, compia i passi che debbo compiere, faccia i sacrifici che debbo fare.

283 – «Riconoscere il contenuto di una Presenza che è incominciata duemila anni fa, riconoscerla presente adesso, come si chiama? Memoria, perciò la speranza ha un nesso radicale con la parola memoria, così che senza memoria non ci può essere speranza» (Si può vivere così? pag. 151].

426ss – «[…] Il segmento che mette in rapporto la sera precedente e il giorno dopo si chiama memoria, e la memoria è la continuità dell’esperienza di un presente[…]La memoria è la continuità di una Presenza» [Si può vivere così? p. 258].

Se la memoria è coscienza di un Presenza, la coscienza di questa Presenza deve essere in ogni azione?

427 – Il valore di ciò che sta accadendo in voi – il valore, cioè il rapporto con l’eterno, il merito per l’eterno, la grandezza dell’animo con cui entrerete nell’eterno,la grandezza della vita eterna, sta nella fedeltà alla memoria.

463

«Scienza non fa senza lo ritener l’aver appreso» [Dante, Paradiso, canto X, v.25]

Non basta aver l’impressione di capire: scienza non è capire, ma ritenere ciò che si è capito.

Questo mi farà intravedere il valore enorme, grande come la cappa del cielo, della memoria, ché la memoria tutto trattiene.

Come si fa ad avere un istante di sussulto per un viso, se non si trattiene per sempre? Sarebbe una cosa triste, non accettabile, la vita.

Invece che affermare l’Essere come è, invece che la gratitudine al Mistero che fa le cose per aver creato un viso così, di avermelo fatto vedere, invece che questa gratitudine, una ripugnante reazione, un’effimera, superficiale e inutile reazione; e poi finire con il dimenticare.

Se (le memorie sono convertite dal di dentro) diventano strumento per la maturità della memoria, elemento che fa scoprire sempre di più quell’indefinibile, incomparabile, ma sensibilmente realizzabile Gesù con cui fare amicizia, a cui dire di sì.

517 – Bisognerebbe fare come il pellegrino russo, come aveva imparato a fare lui, con il passare degli anni: ricordare Dio una volta al giorno, poi dieci volte, poi sento volte, poi mille volte, poi diecimila volte, finché il Suo nome coincida con il respiro.


352 – Allora, aiutiamoci a chiarire, perché una cosa si può presentire, o intuire, o anche sommariamente capire, e non essere ancora chiara.

Quanto più invece, è chiara, tanto più è permanente sia come memoria sia come possibilità di fedeltà da parte nostra, sia come sequela: se una cosa è chiara, resta in mente e si sa di più che cosa seguire.


121 – Intervento: «Che cosa c’entra la memoria con la convivenza?»

La presenza al suo fatto, la coscienza che il suo fatto è una cosa presente, si chiama memoria.

Perciò, è la memoria la condizione per la convivenza.

La memoria è il riconoscere come presente quell’avvenimento che è iniziato nel passato.

E perché è giusto riconoscerlo come presente?

Intervento: «Perché cambia».

Perfetto! Ricordati queste parole, e prega la Madonna che te le faccia vivere e sentire addosso a te. Allora non avrai dubbi, perché è immediato: diventa una evidenza diretta.



463 – Non basta aver l’impressione di capire: scienza non è capire, ma ritenere ciò che si è capito.

Questo mi farà intravedere il valore enorme, grande come la cappa del cielo, della memoria, ché la memoria tutto trattiene.

Come si fa ad avere un istante di sussulto per un viso, se non si trattiene per sempre? Sarebbe una cosa triste, non accettabile, la vita.

Invece che affermare l’Essere come è, invece che la gratitudine al Mistero che fa le cose per aver creato un viso così, di avermelo fatto vedere, invece che questa gratitudine, una ripugnante reazione, un’effimera, superficiale e inutile reazione; e poi finire con il dimenticare.

Se (le memorie sono convertite dal di dentro) diventano strumento per la maturità della memoria, elemento che fa scoprire sempre di più quell’indefinibile, incomparabile, ma sensibilmente realizzabile Gesù con cui fare amicizia, a cui dire di sì.

470 – Se la sorgente si inaridisce e io debbo andare avanti solo con la forza di volontà, per coerenza, perché non posso negare che le cose stanno così, il centuplo dove vado a prenderlo?

In quei momenti è la memoria del passato, la memoria della storia avuta – ciò che ti è accaduto, ciò che hai fatto per quello che ti era accaduto -, è la memoria storica che ti salva; e ti salva l’esito di questa memoria storica, che è la compagnia in cui sei.


(Cfr. anche: domanda, preghiera)

45 – Renditi bambino di fronte a Lui.

Ti rendi bambino quando mendichi, sapendo che mendicare è domandare a Lui, perché a questa età lo sai.

69 – Si invoca Dio, si stende la mano e si mendica: si mendicano da Dio, dalla Verità, tutte le verità.

Si mendica da Dio che anche il nostro cuore lo conosca e conosca la verità di tutte le cose.

89 – L’ultima categoria della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.

Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.

La preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere. E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre più la risposta, si chiama fede.

210 – Abbiamo sempre tradotto, per capire questo «si purifica», cioè questa attività etica, morale con «si sforza di essere puro».

Ultimamente, questo sforzo si traduce, si annida in un grande grido di domanda, in una grande domanda, o in una grande mendicanza di capacità di amore.

313 – «La fedeltà nell’appartenenza, che è la stoffa della pazienza o la fatica della speranza, ha un modo di esprimersi. Quale? La domanda; è il domandare o, meglio ancora – siccome non è il domandare di uno che è qualche cosa lui è vuole altro, ma è domandar tutto -; è mendicanza» [Si può vivere così? p. 172].


225ss – C’è un difetto, chiamiamolo demoniaco, perché è proprio un difetto che copre una menzogna: un forma che appare domanda e che domanda non è (è tutto quel che volete, ma domanda non è).

La domanda implica […] la moralità come ricerca del vero.

226 – Che cosa è avvenuto nelle vostre assemblee?

Non domanda fu l’asssemblea ma investigazione.

227 – Come siete qui nelle assemblee? Al massimo con una curiosità da spettatori, pronti ad intervenire come investigatori senza pietà, acri, pronti soltanto ad una cosa: a difendere il proprio niente, non permettendo che altri pretenda di aver ragione.

Dovete prepararvi all’assemblea.

Prepararsi all’assemblea vuol dire pregare, quindi chiedere a Dio che si riveli,che venga, che risponda, che corrisponda, che io sia capace di non stare lì irrigidito, ma di allargare le braccia ad accettarlo come il grande amico senza del quale non avrebbero né occhi, né parola anche le persone più care.

Perciò non venite alle assemblee da investigatori che spesso traduce qualcosa di peggio: un preconcetto che….

249 – Le domande non devono essere espressione di una curiosità, di un tentativo di rivalsa contro il parere di chi ha parlato, scettiche, non devono essere domande inquisitorie; le domande debbono essere mendicanzamendicare di capire il proprio volto, di capire il proprio cuore -, devono essere, cioè, vere domande o domande di veritò su di sé.


cfr. cambiamento

67ss – Quello che proponiamo tendenzialmente deve desiderare e cercare lo sviluppo della vostra mens.

La mens è il cuore dell’uomo come origine di quegli schemi in base ai quali si vedono e si giudicano tutte le cose.

Mens è la misura (in latino metior, misurare), la misura con cui tu misuri tutte le cose.

Il valore delle cose, il peso delle cose, la leggerezza delle cose, è con la mens che si definisce, si misura.

Si chiama mentalità.


486 – Volere che l’altro sia, far di tutto perché l’altro sia, aiutarlo ad essere, rispettandolo nei suoi tentativi e fedeli a ciò che gli si deve.

Questi sono i punti emergenti di una diversa mentalità da tutto il mondo.

«Nella misura in cui nell’uomo agiscono questi attegggiamenti nuovi, avvengono anche altre due cose, sinteticamente espressive del possibile cambiamento dell’uomo. Prima di tutto avviene un cambiamento di mentalità» [Si può vivere così? p. 293].


(Cfr. anche: errore, peccato, sbaglio)

275 – «Tutto in Lui consiste» [Col 1,17].

Questo è lo scopo del mondo: che si riveli che cosa è il mondo.

Allora noi comprendiamo che viviamo con vergogna una immensa menzogna; l’apparenza diventa immensa menzogna se non è segno di Lui.

276 – La gloria di Cristo è la scoperta di cui la realtà è fatta; diventa la fine di una menzogna: la fine di una illusione che, portata avanti con accanimento, si chiama menzogna.

501 – Ecco cos’è il sacrificio: il non cedere all’idolo.

La fonte della menzogna si chiama idolo, ed è la proiezione che Satana fa, su un determinato oggetto di rapporto, del suo odio all’uomo e a Dio.


154/155 – In ebraico la parola «falso» e la parola «effimero» – ciò che è passeggero (effimero) e ciò che è menzognero (falso) – hanno la stessa radice. Ciò che passa è menzognero, quant’è vero!

E ancora di più, dirò che la Bibbia, il linguaggio ebraico, usa la stessa radice per «effimero», per «menzognero», per «uomo».

155 – Che cosa non è menzognero? Quello che è più che uomo: là dove l’uomo si radica nel mistero di Dio.

Giovanni e Andrea, quando guardavano la sua faccia, non vedevano una menzogna, coglievano la modalità suprema secondo cui l‘effimero – e quindi la possibilità incombente di falsità – si strappa all’equivoco, si identifica con la presenza del Mistero, dell’Eterno: «Filippo, chi vede me vede il Padre».

La bugia più malinconica, più triste, con le conseguenze umane più sottilmente amare, è l’amore dell’uomo alla donna senza che esso implichi questo affondarsi nel Mistero, senza Cristo.


64 – «Incomincia la santa Messa» vuol dire: incomincia il momento più tuo della giornata, dove puoi addirittura rendere tuo quello che ancora impacciato si avvisaglia all’orizzonte dele cose, o dove quello che si nasconde dentro il cuore delle cose incomincia ad essere oggetto del dono di Dio.

Dire: «Andiamo a Messa» vuol dire compiere il gesto più personale che esista.

«Dio, fammi capire quel che è necessario, fammi capire quel che è vero, fammi capire quello che è sorgente di bellezza, cioè di ordine; fammi capire quello che è sorgente di letizia. Dammi letizia».


544 – La meraviglia è il frutto dell’ignoranza quando uno non capisce nulla; ma la meraviglia è il vero frutto di quell’iniziare capire che rivela tutta la originalità e l’impossibilità di capire al momento, e la necessità che per capire totalmente occorre una storia.

E qui entra la grande parola tempo. Il tempo.

Basta il tempo? No, occorre pazienza.


184 – «Quando vi sentite liberi?»: che principio implica questo? Il metodo, cioè una modalità per trovare una risposta – metodo è una parola greca che vuol dire «strada per» -, la strada, per trovare una risposta a questa domanda, qual’è? È una esperienza provata, è qualcosa che si prova!

Per questo la domanda fatta non rimanda a niente […]eccetto che alla vostra umanità.

195 – Se il metodo è giusto, è corretto, cioè corrisponde alle esigenze del problema, presto o tardi ci arrivate; ma se non avete il metodo, anche se la vostra risposta è dogmaticamente giusta, siete ignoranti, e a chi, domani, con scaltrezza vi dicesse il contrario, voi – senza accorgervi che è il contrario – direste: «Sì bravo!»

383 – Le note secondarie valgono di più degli accenti principali in tutto quel che diciamo, perché le note secondarie rivelano il metodo e le profondità cui esso porta, mentre le parole più grosse tematizzate sono semplicemente degli epifenomeni, degli aspetti delle cose.


144 – Il metodo matematico usa l’evidenza in funzione di qualcosa di più complicato, di più complesso; mentre il fatto che un uomo sia grande è una esperienza, non immediata nel senso cronologico, anzi dopo una certa convivenza, dopo un certo tempo: quanto più gli stai insieme, tanto più si fa; è una evidenza che si fa standoci insieme.

Mentre negli altri casi i metodi usati per la conoscenza quanto più li usi e li sviluppi tanto più si complicano, questo, quanto più stai insieme, tanto più si semplifica.

576 – Se l’oggetto è il Mistero, per conoscerlo c’è un solo metodo, che esso si sveli, che esso si dica.


510 – Nell’atteggiarsi del Mistero che fa tutte le cose, che fa le stelle e fa le vostre facce, c’è un assetto che assume verso di voi e che non assume verso la stragrande maggioranza degli uomini; c’è un assetto particolare, c’è una cosa particolare che per voi ha messo in rilievo: a destra o a sinistra, sfiorandovi il vestito o toccandovi i capelli.

516 – «Per compiere la sua opera ha scelto alcuni…a cui ha aggiunto, nella fila del tempo, il nostro norme, il vostro nome; se siete qui, in qualche modo, vi ha tirato i capelli, in qualche modo ha almeno sfiorato il vostro abito, se siete qui siete stati toccati; in qualunque modo abbia fatto vi ha toccati, vi ha chiamati» [Si può vivere così? p. 350]

575ss – Per comunicarsi agli uomini, per farsi conoscere e creare quello stupore che rende evidente la corrispondenza al cuore di una cosa assolutamente sconosciuta prima, il Mistero ha usato un metodo, ha scelto un metodo.

Poteva restare nascosto, un ignoto che la mente dell’uomo cerca di penetrare con i suoi picconi, coi picconi del pensiero, con le scarpe chiodate dell’indagine.

In tutto il mondo e sempre gli uomini hanno pensato che questo fosse il metodo.

576 – «Il Mistero si è rivelato a noi».

A questo metodo scelto da Dio l’uomo di oppone; perché se Dio ha scelto un metodo e se l’uomo sapendolo ne sceglie un altro, si oppone.

Dice a Dio: «No, me ne infischio del tuo metodo. Io voglio conoscerti con la mia indagine».

Se Dio sceglie un metodo, l’uomo deve stare a questo metodo; anche perché il sano filosofare ci osserva che il metodo del pensiero è definito dall’oggetto che si considera, non è stipulato o affermato dal soggetto, non è inventato da me.

Se l’oggetto è il Mistero, per conoscerlo c’è un solo metodo: che esso si sveli, che esso si dica.

577 – Qual’è il metodo scelto da Dio?

Il Mistero per farsi conoscere, non parla all’orecchio di uno che dorme, non parla alla mente di uno che riflette, entra dentro nella storia come un fatto.

È un fatto, o, meglio ancora, con una parola più appropriata: un avvenimento.


(Cfr. anche: fede)

97 – La fede è un metodo di conoscenza.

Qual’è lo strumento di conoscenza che ha l’uomo? La ragione: la ragione è il mezzo di conoscenza che l’uomo ha.

Perciò la fede è un metodo di conoscenza della ragione.

Non è un sistema di pietà, non è una devozione a Dio, non è un sentimento verso Gesù Cristo: è un metodo di conoscenza della ragione..

Perché della ragione? Perché la ragione è il sistema con cui l’uomo conosce.

Come mai, se è un metodo di conoscenza della ragione, si chiama fede? Che metodo di conoscenza è? È metodo di conoscenza della ragione per via indiretta, attraverso un testimone.

98 – Se la fede è un metodo di conoscenza della ragione attraverso un testimone, il problema è che questo testimone sia credibile, cioè che questo testimone parli con verità per me sicura: non dica balle!

Se la fede è un metodo di conoscenza, non c’entra col cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.

102 -.«Qual’è la sorpresa più grossa che avete avuto la volta scorsa? Sentir parlar di fede in cui non c’entrano né Dio, né la Madonna, né i Santi, ma sentir parlar di fede come aspetto della ragione, l’aspetto più importante dell’uso della ragione. Perché più importante? Perché su di essa è fondata la convivenza, la storia, la cultura. Ma prima ancora perché tale metodo implica l’impegno della totalità della persona» (Si può vivere così? p. 34)

103 – Il giudizio circa la credibilità del testimone è un giudizio che do con la mia ragione.

144 – Il metodo matematico usa l’evidenza in funzione di qualcosa di più complicato, di più complesso; mentre il fatto che un uomo sia grande è una esperienza, non immediata nel senso cronologico, anzi dopo una certa convivenza, dopo un certo tempo: quanto più gli stai insieme, tanto più si fa; è una evidenza che si fa standoci insieme.

Mentre negli altri casi i metodi usati per la conoscenza quanto più li usi e li sviluppi tanto più si complicano, questo, quanto più stai insieme, tanto più si semplifica.


98 – Se la fede è metodo di conoscenza, non c’entra col cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.

I nove decimi di quello che sappiamo dell’era neozoica, prezoica, dell’ultima glaciazione, che la terra dura da più di duemilioni di anni….queste cose non le sapremmo se non ci fosse questo metodo di conoscenza, perch ci vengono dette dagli scienziati, da chi ha studiato.

È un metodo di conoscenza dell’uomo, della natura umana.

Non potremmo vivere in società, perché se ognuno di voi dovesse vivere insieme agli altri che sono qui, sempre titubante, sempre all’erta perché non sa se chi parla dice bene o gli dice una bugia, per ingannarlo o per intendersi…non ci si intente più.

117 – Io faccio un incontro con una certa personalità: un astronomo che la scoperto la distanza della galassia più vicina a noi, che è Andromeda: «Due milioni di anni luce», dice.

Due milioni di anni luce: misuralo tu se sei capace!

Lì è giocoforza che ti fidi, altrimenti non va più avanti l’astronomia.

È un caso di cultura, no? Per essere certo non dovrai misurare anche tu la distanza tra la terra e Andromeda.

Il tuo atteggiamento lo indurrai da altre cose che sai della persona: se convivi con lui o se hai rapporti stabili di amicizia con lui ecc…..

Io ho raggiunto un giudizio di certezza su di lui; di questa persona mi posso fidare.

148 – (Dire di essere nate a Napoli) è un atto di fede, perché lei non sapeva di nascere quando è nata a Napoli, non si è accorta che nasceva all’ombra del Vesuvio che stava fumando. Questo è un atto di fede.

Questo è il metodo con cui la natura fa andare avanti la storia.

Se si toglie questo metodo, per affermare la necessità dell’evidenza, la storia si sarebbe fermata all’eta della pietra.


98 – Se la fede è metodo di conoscenza, non c’entra col cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

C’entra con il cristianesimo questa idea di conoscenza indiretta? Sì, perché il cristianesimo parla del mistero di Dio.

L’uomo scruta Dio? Studia Dio?

99 – No! Attraverso un testimone, attraverso un testimone che si chiama Gesù.

Gesù è fidabile? Perché il problema è questo: se è fidabile oppure no, se può contarci storielle oppure ci conta il vero.

Il cristianesimo è la conoscenza attraverso un testimone umano, di una cosa che umanamente non si può sapere: la natura di Dio e la vita di Dio, la natura del Mistero e la vita del Mistero.

112 – «Il fatto in cui per la prima volta il problema di chi fosse Cesù si è posto è il primo istante in cui il problema della fede è entrato nel mondo, non della fede come semplice metodo della ragione, ma come metodo della ragione applicato a qualcosa di sopra-ragionevole, che sta al di là della ragione, impensabile, inconcepibile: la fede come metodo della ragione applicato a qualcosa di inconcepibile, perché tutto quello che diceva quell’uomo lì era inconcepibile» [Si può vivere così? p. 38].


109 – (I pastori a Betlemme) era per via diretta che capivano che c’era qualcosa di eccezionale – cioè miracolo -, c’era un mistero dietro, perché loro non se lo potevano spiegare.

Si chiama avvenimento.

120 – Perché non c’è miracolo più grande per un uomo che sentirsi scoperto in quello che neanche lui ha tenuto presente, sentirsi svelato il suo passato quando neanche lui ci pensava oramai più (come Maddalena, come Zaccheo, come la Samaritana).

582 – E poi si riconoscono i miracoli, perché il primo problema dei miracoli è di essere riconosciuti come tali.

Quando Lazzaro è risorto, molti sono corsi a Gerusalemme ad accusare Gesù.

Ed era risorto un morto che già puzzava.


518 – (Francis il primo martire del movimento) È perché non lo invochiamo che non siamo degni dei suoi miracoli; se lo invocassimo con fede, il martire farebbe miracoli, come ne ha sempre fatti.


149 – Iddio è di questo parere: che nonostante tutto quello che hai fatto, spera in te.

È il sistema di Dio, di chiama misericordia.

309 – «Ma la misericordia del Signore sta proprio nella pazienza con cui ripete nel tempo le cose» [Si può vivere così? p. 164]

417 – La festa più inconcepibile, perciò la festa più grande della casa, è il perdono. E quanto più grande è l’infedeltà, tanto più grande è – se avviene – il perdono, tanto più clamorosa è la festa.

Un figlio può essere buono, può essere cattivo; prima del buono e prima del cattivo viene il fatto che è figlio.

Questa è la misericordia: amare il fatto che è figlio più che sia buono o cattivo.


418 – Il figliol prodigo ha avuto fiducia nel padre, da qui è sorta la festa, la festa travolge tutto.

Questa tensione a travolgere tutto, come un mare che invade tutto, si chiama missione: è il comunicarsi della consapevolezza della gioia propria del fatto cristiano a tutti e a tutto.

Si comunica all’ambiente, si comunica alle pietre, si comunica ai mattoni: si comunica a tutto.


(Cfr. anche: Destino, Dio, Padre)

79 – La verità ultima, il senso della vita, delle cose, è mistero.

È mistero: cosa vuol dire? Se il senso della vita e del mondo, della realtà, se l’ultimo valore della realtà è mistero; cioè se Dio – che è un altro termine di valore ultimo, senso ultimo, destino – è mistero, cosa vuol dire?

Che non si può conoscere, che non può essere conosciuto dall’uomo solo, solo con la sua ragione.

Che cosa l’uomo con la sua ragione può conoscere?

Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.

La ragione può arrivare fino a scoprire la esistenza del Mistero.

Perché la ragione può conoscere l’esistenza del Mistero? Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.

85ss – La ragione implica l’affermazione del mistero, intendendo per mistero un fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calcolabili dell’esperienza stessa.

87 – Se la tua ragione è l’esigenza di conoscere tutti i fattori della realtà, anche l’esistenza di questo inafferrabile è fattore della realtà.

La ragione […] in qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.

92 – Di Lui tutto consiste; questa è la definizione del Mistero, perché del Mistero tutto è fatto, tutto è fatto di Mistero; tutto è fatto di quello lì!

Questo è il salto mortale contro cui tutti gli uomini di questi secoli si sono ribellati.

93/94 – La ragione non sa il «come» sia, nello stesso tempo, uomo e Dio, ma risponde finalmente all’ultimo pertugio aperto, il sibilo: il Mistero è uno fra noi.

La verità, il Mistero è un uomo tra di noi: seguiamolo, e quanto più lo si segue, tanto più conosceremo la verità, e la verità ci renderà liberi.

131 – La realtà di Cristo affonda nel Mistero che lo costituisce: Cristo è Dio.

E noi non abbiamo la percezione sperimentale di che cosa voglia dire essere Dio per un uomo, non possiamo saperlo.

134 – L’idea di peccato originale è un mistero perché non è dimostrabile direttamente, ma è dimostrabile indirettamente come l’ipotesi che spieghi meglio la situazione dell’uomo.

Se tu ammetti il peccato originale, capisci come mai l’uomo sente l’ideale dell’amore ma odia, piega subito l’amore a egoismo fino all’odio.

136/137 – La vocazione alla verginità è inspiegabile anche nella sua difficoltà oltre che nel suo valore.

137 – È come l’impossibilità apparente di raggiungere una cosa bellissima.

Tu non sai come ci arriverai, è mistero come arrivarci, ma ci arrivi.

Cioè non «ci arrivi», capisci che «ci stai arrivando».

270 – Non è del tutto vero che prima c’era la definizione, adesso c’è il senso del Mistero e perciò si conosce di più.

La definizione riconduce a parole note; se è Mistero, non può essere ricondotto a parole note – può essere indicato da parole note – ma tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne ha la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.

320 – Ma come Lui non sapeva, così il modo con cui il suo avvenimento si svolga nella nostra vita è parte del mistero.

Ma se tu questa tristezza la offri, unendo la tua vita alla vita di Cristo, questa tristezza sta paradossalmente insieme a una leggerezza o a una tenerezza, a una gioia; perché in fondo è una sicurezza: la sicurezza che il mistero di Dio, facendo giustizia di tutto, realizzandosi, salverà tutto.

324 – Ma senza che il Mistero si riveli lui a noi, dica sé a noi – come nell’amare una persona: tu non la puoi conoscere veramente se essa non ti si rivela -, quello che pensiamo del Mistero, che immaginiamo del Mistero, l’interpretazione che diamo della parola, stringe la parola, la colloca in prigione.

Per tutta la gente attorno a noi la speranza è messa in prigione, a languire in prigione.

363 – La speranza del futuro non è in quello che posso fantasticare io del mio futuro,ma è come il senso ultimo, il senso del destino, perciò il senso del Mistero, cioè Gesù.

È inutile fare tutti i passaggi: il Mistero che fa tutto l’universo è diventato uomo ed è il significato del vivere in quanto, attraverso la nostra collaborazione, dà forma ad una azione presente.

366 – Per la Trinità c’è il concetto di relazione (relazione è rapporto): relazione è la parola che si usa quando si tratta del Mistero.

394 – Il detto prima di capire vuol dire disponibilità. La povertà è disponibilità.

È la disponibilità alla semplicità del cuore, questa è l’ultima forma di povertà della conoscenza.

La legge generale, secondo la quale non si può capire se non si parte da una ipotesi positiva, qui diventa omaggio al Mistero, alla misteriosa bontà del Creatore: Egli è padre anche se fa morire, Egli è padre anche se castiga, Egli è padre anche se fa venire i terremoti.

408 – Era evidente agli occhi del mio papà la figura del suo bambino, quando pendeva sopra la mia testa per vedere i disegni che facevo, era evidente chi era il suo bambino, ma era mistero il suo bambino, era mistero come esistesse.

440 – Noi non possiamo non accedere e non essere ripresi dalla nube del Mistero, perché innanzitutto Cristo è mistero, ma ciò non toglie che era un uomo che mangiava e beveva.

Ma la sua sostanza non era nel mangiare e nel bere: era nel Mistero.

Noi, invece, abbordiamo il rapporto con Lui, nella preghiera o nella riflessione anche intelligente, come se innanzitutto fosse quello che si vede, a prescindere da ciò che è lo stesso suo soggetto, cioè dal Mistero.

Essenziale in Lui: è Figlio di Dio, nato da donna, perciò si vede che mangia e che beve.

Ed è questa ineliminabile condizione del Mistero che oscura i monti lontani dalla cima in giù e mostra soltanto le vette che emergono dall’oscurità, ma fan venir voglia di andare là e, incominciando dal basso, salire per l’erta lunghissima del Monviso e arrivare in cima.

454/455 – Il concetto di «Non basta» è dunque la premessa che rende possibile la vita, lo scopo positivo della vita, la grandezza della vita, la nobiltà della vita: di una vita dove tutte le cose che ci sono, più le conti e meno bastano.

C’è un altro fattore.

455 – Lo chiamo Mistero perché non è misurabile, non è finito, non è decifrabile, non è pesabile.

Giunto a questo punto, tu sei costretto a sentire come un brivido e, riguardando i cento pezzi che hai prima fissati e incontrati, li rivedi, li reincontri in un altro modo, con il senso di quel Mistero che ti grava sulle spalle, con l’incombente presenza di quell’ignoto, di quell’ineffabile, di quell’onnipotente.

Capisci allora che tu dipendi da quello: non c’eri, se ci sei è perché dipendi da quello.

I cento quadretti non c’erano: ci sono perché sono dipesi da quello, li ha fatti Lui, come ha fatto me.

Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo; non posso trattarle da estraneo, con dispregio, giudicandole.

Ti livelli in maniera diversa nel rapporto: così la carità c’entra con il mistero; diventa possibile, in questo caso, la carità.

Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.

Sembra impossibile rassegnarsi al Mistero quando fa morire una figlia di cancro, quando fa morire un padre di AIDS.

Sembra impossibile rassegnarsi, ma non rassegnarsi è evidentemente contro la ragione.

465 – Tutto è soltanto il Mistero: è solo il Mistero che è tutto.

Anche Gesù è come se venisse dentro il Mistero, in fondo al Mistero, al margine tra il Mistero e il mondo creato; tanto è vero che Gesù obbedì al Padre: se obbedisce vuol dire che viene dopo.

472 – L’oggetto proprio della ragione si chiama verità; la verità è la realtà dell’essere in quanto esiste secondo una varietà che non «contraddice», ma «profetizza» l’immensità del Mistero finito.

474 – Come fai ad imitare il Mistero se neanche lo vedi, se talmente non lo conosci che non hai mai avuto un solo sentimento verso il Mistero?

Mai, in vent’anni di vita, neanche un solo sentimento verso il Mistero, in trent’anni di vita neanche una volta sola un sentimento verso il Mistero.

Non hai mai applicata l’intelligenza per sapere che cosa vuol dire, per sapere di che cosa è fatto, non hai mai lanciato le tue mani desiderose di toccare quasi sensibilmente la struttura di questo Mistero, e devi imitarlo!

Come fai ad imitarlo, se mai neanche hai pensato che cosa è? Che nesso c’è tra il Mistero e me?

Io sono fatto da Lui.

Il nesso originale tra il Mistero e me è che il Mistero mi fa, è sorgente da cui viene la mia acqua.

Avendoci fatti con l’intelligenza, deve essere intelligente questo Mistero; avendoci fatti con il bisogno di affezione, deve essere affettivo questo Mistero.

Altrimenti l’affezione e l’intelligenza da che parte vengono?

La morale è imitare Dio.

Ma come fai, se è Mistero e tu non lo conosci, non ti ha provocato nè un sentimento né una immagine, niente, niente, zero al quoto.

C’è un nesso che non puoi sfuggire: ti ha fatto, anzi ti fa.

475 – Imitare Dio, imitare il Mistero, Colui che ti fa, nella carità: perché, come ti fa, come ti ha fatto e come si è comportato con te nella storia, ti ha fatto capire che la sua vita,la vita del Mistero, l’essenza del Mistero, la stoffa del Mistero, il sangue del Mistero, il cuore del Mistero, è amore.

Carità, cioè amore: Caritas Deus est, Dio è amore.

Non lo potevamo capire da soli certamente, ma quando è nato dalle viscere di una donna ed è diventato grande, ce l’ha detto Lui.

508 – Intervento: «Perché il sacrificio è impossibile evitarlo? Perché è ovvio?».

Perché è ovvio che ci siano le stelle nel cielo? Perché ci sono! Perché l’Essere, il mistero dell’Essere implica le stelle nel cielo, che sono una cosa fantastica!

Ma implica anche che Dio, il Mistero, sia messo in croce, sia assassinato da assassini, da delinquenti.

Il sacrificio è necessario perché è una aspetto ineliminabile della figura del mondo come la concepisce il mistero che la fa.

Il sacrificio è necessario perchè c’è, e c’é perché il Mistero che fa il mondo, fa un disegno che implica la croce e la partecipazione alla croce di ogni uomo.

509 – Sperimentalmente siamo nelle condizioni di scoprire come, accettando quella condizione che ci ripugna, noi diventiamo più «noi stessi», più uomini, più fecondi; non accettandola diventiamo più sterili, in tutti i sensi: dal senso letterale del far bambini al senso metaforico della generazione come opere e come lavoro.

Siccome si tratta del Mistero, quello che scopriamo nel verso positivo mentre ci appariva in verso negativo, dobbiamo portarlo al limite.

Portiamo al limite estremo questa osservazione: solo chi muore, vive; solo chi dà la vita per l’altro – l’altro è l’«implicitazione» della parola mistero: il diverso, il non me, perciò l’oltre ragione -, afferma se stesso.

Perciò, in questo immediatamente urgente squilibrio e contrasto, se accetto la contraddizione in cui il Mistero mi mette, trovo che non è contraddizione, ma che è la strada per la fecondità del mio io, è la strada per la fecondità della vita.

Portiamo questo al limite estremo: solo chi muore per l’Altro, cioè per il Mistero, vive.

«Vieni, Signore, in questa situazione!» E il Mistero viene e muore per noi; non noi per Lui, ma Lui per noi, per primo: ci ama per primo.

Accettare la condizione del Mistero è amare il Mistero, e nella vita non c’è nessun scopo immaginabile più valido di questo.

543 – «L’importante è il senso religioso – avrebbe detto il buddhista di Ceylon o il protestante di Tubinga, parlando -, l’importante è che tutti si tenda a quello scopo che si nasconde dietro la realtà, a quel mistero che sottende la realtà, generico».

Ma nessuno di questi innanzitutto ti chiede di imparare quello che lui ha vissuto, quello che lui sperimenta, quello che lui sceglie come strada, perché e in che senso gli appare più vera, più compiuta, più affettivamente impegnata, più creativa, perciò più umana delle altre.


510Nell’atteggiarsi del Mistero che fa tutte le cose, che fa le stelle e fa le vostre facce, c’è un assetto che assume verso di voi e che non assume verso la stragrande maggioranza degli uomini; c’è un assetto particolare, c’è una cosa particolare che per voi ha messo in riflievo: a destra o a sinistra, sfiorandovi il vestito o toccandovi i capelli.


455454/455 – Il concetto di «Non basta» è dunque la premessa che rende possibile la vita, lo scopo positivo della vita, la grandezza della vita, la nobiltà della vita: di una vita dove tutte le cose che ci sono, più le conti e meno bastano.

C’è un altro fattore.

455 – Lo chiamo Mistero perché non è misurabile, non è finito, non è decifrabile, non è pesabile.

Giunto a questo punto, tu sei costretto a sentire come un brivido e, riguardando i cento pezzi che hai prima fissati e incontrati, li rivedi, li reincontri in un altro modo, con il senso di quel Mistero che ti grava sulle spalle, con l’incombente presenza di quell’ignoto, di quell’ineffabile, di quell’onnipotente.

Capisci allora che tu dipendi da quello: non c’eri, se ci sei è perché dipendi da quello.

I cento quadretti non c’erano: ci sono perché sono dipesi da quello, li ha fatti Lui, come ha fatto me.

Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo; non posso trattarle da estraneo, con dispregio, giudicandole.

Ti livelli in maniera diversa nel rapporto: così la carità c’entra con il mistero; diventa possibile, in questo caso, la carità.

Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.

Sembra impossibile rassegnarsi al Mistero quando fa morire una figlia di cancro, quando fa morire un padre di AIDS.

Sembra impossibile rassegnarsi, ma non rassegnarsi è evidentemente contro la ragione.


324 – Voglio citare un caso umano dove si vede chiaramente come la speranza è una parola umana, ed è la dove c’è un desiderio e uno spera di soddisfarlo.

Poi magari, se la grazia di Dio ha pietà di lui, si accorge che la speranza di soddisfare quel desiderio apre un problema: non risolve un problema, apre di più un problema che sta dietro quel desiderio, tanto che l’individuo dimentica quel desiderio e si butta in quello che sta dietro il desiderio.

Il desiderio sembrava definito, era definito, ma quello che si rivela, che sta dietro quel desiderio, è il Mistero.

La parola Mistero è la parola più precisa che ci sia; il senso di impreciso e di confuso che dà è per l’infinitezza che esso è.

Ma senza che il Mistero si riveli in noi, dica sé a noi, quello che pensiamo del Mistero, che immaginiamo del Mistero, l’interpretazione che diamo alla parola, stringe la parola, la colloca in prigione.

Per tutta la gente attorno a noi la speranza è messa in prigione, a languire in prigione.


79 – Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.

Perché la ragione può conoscere l’esistenza del Mistero? Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.

85ss – La ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero un fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calcolabili dall’esperienza stessa.

87 – La ragione anche quando coglie che non riesce a spiegarsi tutto o pretende di affermare: «Se io mi avanzo, riesco a conoscerlo. Presto o tardi, se avanzo, lo conoscerò».

E questo è contraddittorio con la natura dell’operazione con cui la ragione si scontra con la realtà: in qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.

Però la ragione dice: «Io mi muovo ed entro, oso entrare nel Mistero, in quello che mi si para davanti come Mistero e mi offende perché mi si para davanti come a dire: “Tu non mi capisci, non mi puoi misurare, sono fuori dal gioco tuo!”»

88 – Comunque di fronte al Mistero, la ragione non può dire: «Se io ci do dentro, io lo conosco».

La ragione davanti al Mistero rimane limitata.

Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a se stessa, non è compiuta.

Cosa deve fare la ragione davanti al Mistero?

89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.

È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.

Ed è conseguenza, allora, non dell’uso scaltro della ragione, ma nell’uso umile della ragione, del più umile uso della ragione che è la dove la ragione diventa bambino, frigna, chiede, domanda, cioè prega.

Ma la preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.

E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.

Infatti, l’uomo dopo dice: «Adesso capisco!».

Per sé, con la ragione l’uomo non può arrivare a questo punto; ci arriva solo se accetta che il Mistero si sveli da sé.

È una posizione vertiginosa.

96 – L’identità tra il Mistero e segno di cui io parlo è una entità reale al suo vertice: pensate alla suprema attuazione di questo, che è l’Eucarestia; più identità tra Mistero e segno dell’Eucarestia non c’è.

Dopo il mistero sacramentale tutto si svolge secondo una scala analogica, cioè in proporzioni diverse.

Un volta che si è arrivati alla fede, per addentrarsi nel Mistero, per addentrarsi nella conoscenza del Figlio di Dio, del Verbo e dello Spirito che fa il mondo, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, i gratuito affacciarsi ai confini del reale umano, usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della ragione.

È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa a qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare anche quest’Altro.


53 – Se l’attrattiva irresistibile apre a una prospettiva senza limite, allora è segno di Dio: e una della frasi che mi avete sentito dire più volte in questi due anni è che il Mistero si identifica nel segno.

Non credo che la maggior parte di quelli che me l’hanno sentita dire capiscano la frase, però è una frase che non possono più perdere: il Mistero si identifica nel segno.

Ed è questo che ti fa adorare il segno, vale a dire che ti porta ad una esaltazione assoluta del sentimento che hai verso il segno, di stima e di affezione.

96 – L’identità tra il Mistero e segno di cui io parlo è una entità reale al suo vertice: pensate alla suprema attuazione di questo, che è l’Eucarestia; più identità tra Mistero e segno dell’Eucarestia non c’è.

Dopo il mistero sacramentale tutto si svolge secondo una scala analogica, cioè in proporzioni diverse.

155 – Per questo Gesù è re dell’universo, perché è in Lui che tutto questo si riassume, l’uomo nel suo rapporto profondo con il Mistero: questo diventa visibile, sensibile; e il visibile e il sensibile coincidono con il rapporto con il Mistero.

Giovanni e Andrea, quando guardavano la sua faccia, non vedevano una menzogna, coglievano la modalità suprema secondo cui l’effimero – e quindi la possibilità incombente di falsità – si strappa dall’equivoco, si identifica con la presenza del Mistero, dell’Eterno: «Filippo, chi vede me vede il Padre!» [Gv 14,9].

285 – Che la mattina, quando ti svegli, tu renda abituale in te come primo pensiero il pensiero di Colui che ti sta vicino, del Mistero che coincide con il segno.

E il segno lì è la sedia, il papà, la mamma… Capisci? come per me erano segno quei trentacinque amici, quei trentacinque compagni, ci cui molti sono diventati proprio amici (specialmente tre!).

339Mistero e segno coincidono: il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, la segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani; il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

560Mistero, che è il destino, e segno, che è la cosa attraverso cui il destino si palesa, sono la stessa cosa.


155 – Per questo Gesù è re dell’universo, perché è in Lui che tutto questo si riassume, l’uomo nel suo rapporto profondo con il Mistero: questo diventa visibile, sensibile; e il visibile e il sensibile coincidono con il rapporto con il Mistero.

Giovanni e Andrea, quando guardavano la sua faccia, non vedevano una menzogna, coglievano la modalità suprema secondo cui l’effimero – e quindi la possibilità incombente di falsità – si strappa dall’equivoco, si identifica con la presenza del Mistero, dell’Eterno: «Filippo, chi vede me vede il Padre!» [Gv 14,9].

322 – Il rapporto con il Mistero rende misterioso tutto quello che facciamo: la «densità dell’istante», l’eternità di ogni istante, la grandezza di ogni istante.

È questo che dobbiamo cercare di vivere diventandone coscienti: investire tutto quello che facciamo nell’offerta a Cristo.


89 – È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosicuto.

La preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.

E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.

324 – Il desiderio sembrava definito, era definito, ma quello che si rivela, che sta dietro quel desiderio, è il Mistero.

La parola Mistero è la parola più precisa che ci sia; il senso di impreciso e di confuso che dà per l’infinitezza che esso è.

Ma senza che il Mistero si riveli lui a noi, dica sé a noi – come nell’amare una persona: tu non la puoi conoscere veramente se essa non ti si rivela -, quello che pensiamo del Mistero, che immaginiamo del Mistero, e l’interpretazione che diamo alla parola, la colloca in prigione.

Per tutta la gente attorno a noi la speranza è messa in prigione, a languire in prigione.

576 – Se l’oggetto è il Mistero, per conoscerlo c’è un solo metodo: che esso si sveli, che esso si dica.

L’analogia più impressionante è l’io dell’uomo, è il nostro io, che non si fa conoscere se non si svela, se non si comunica, se non si dice.


199 – Rileggete il primo capitolo della Sapienza: l’uomo è stato fatto per la felicità, lo scopo del Mistero è quello di rendere l’uomo felice come sé.


429 – La matematica è la misura: essendo la documentazione dell’effimero, dell’apparenza, se ci si insiste, soffoca.

Infatti, solo il numero e la misura esprimono con esattezza il valore della materia che è effimero e – se insistito – soffocante in qualsiasi campo.

559 – La misura della cosa è stabilita da ciò da cui essa nasce – dalla natura, che è creatura di Dio; dal cuore, che è il comunicarsi del Mistero alla creatura – ed è fissata, come termine: il Mistero diventato destino, il Mistero cui quel desiderio è destinato.


129/130 – Intervento: «…Quando mi imbatto in una presenza eccezionale, che mi stupisce, in me non nasce semplicemente la domanda: “Ma come fa ad essere così?”, ma è come se mi capitasse di volermi misurare con quella eccezionalità e volermene impadronire….»

…di dare una spiegazione.

Ti succede di voler dare una spiegazione a questa eccezionalità.

Se tu guardi il cielo stellato non ti viene da negare lo stupore e sovraccaricarlo o vincerlo con la domanda: «Come posso possedere io queste cose qui?».

130 – Il tentativo di misurarti in modo da essere grande come quella roba lì, è un atteggiamento falso e contraddittorio alla reazione della tua coscienza.

Il paragone tipico, per il cristiano, qual’è? È la santità.

Madre Teresa di Calcutta è una cosa eccezionale…ma anche tu puoi diventare come lei! Sì ma come sforzo tuo, misura tua: deve c’entrare qualcosa d’altro.


106 – Che la venuta di Cristo inizi e continui la sua storia, il suo cammino, come lotta nel mondo, non dipende dalla sua natura, ma dipende dall’atteggiamento etico, morale del mondo.

Il mondo non vuole misure diverse dalle proprie, specialmente il mondo di questi quattro secoli: c’è, esiste quello che posso misurare io, quello che posso spiegare io, quello perciò che posso rifare io.

154 – «Questa è la vittoria che vince il mondo: la fede» [Gv 5,4].

Il «mondo» è la realtà nel suo aspetto falso.

170 – Gesù dice: «Tutto il mondo parte da un pregiudizio» [1Gv 5,19], culturalmente tutto il mondo parte da un pregiudizio.

Non sono alla ricerca del vero, sono alla ricerca di pretesti per avallare il loro pregiudizio.


163 – «Ragazzi, Giovanni e Andrea difronte a Cristo capivano che era un altro mondo che si svelava loro, era un altro mondo! È un altro mondo quello di cui viviamo, per cui siamo uomini, sorgente della felicità e della pace, sorgente dell’attrattiva e della creatività: è un altro mondo. Noi dobbiamo abbordare questo altro mondo. Dio ci ha spinti sulla sua soglia, ci ha spinti al suo confine: bisogna sorpassare questo confine ed entrare. E vivere è entrare dentro questo vero mondo, infatti le cose diventano cento volte più belle» [Si può vivere così? p. 56].

338 – La speranza cristiana è la speranza del desiderio umano, ma nel suo contenuto porta un mondo diverso.

Non un altro mondo: questo mondo, dove la faccia della donna diventa più significativa, dove la musica diventa più affascinante, dove la bellezza della natura diventa più vera.

Tutto diventa più e nello stesso tempo è altro.


274 – Qual’è il senso della vita? La felicità, la bellezza, la verità…Ma la vita è inserita nella storia: qual’è il senso della storia?

Perché non si può più dire: la felicità, la verità, ma: la verità, la bellezza, la felicità di tutti, di tutti gli uomini.

«Oddio, ma è un altro mondo.» Esattamente!

Questa è la gloria di Cristo.

Tutto il disegno del mondo, tutto, dal numero dei capelli del tuo capo fino all’ultimo dolore.[…] ha un nome: Gesù Cristo.

313 – Noi non crediamo che il disegno del mondo è di Dio, è volontà di Dio.

Non crediamo in Dio, non crediamo esistenzialmente in Dio: Dio è un fattore della meccanica universale come per il razionalismo dell’ottocento.

Invece Dio è alla radice di ogni pianta, di ogni erba, di ogni fiore, di ogni uomo e di ogni sasso.


19 – La passione per il mondo è un fattore essenziale di questa strada, che adesso non avete, ma che è bello avere.

Vi lega al pensiero dell’ultima sponda e vi lega al pensiero del contesto in cui camminate, del mondo intero: qualsiasi cosa succeda nel mondo, qualsiasi uomo ci sia nel mondo, senza che lo conosciate, vi interessa.

[…] ogni giorno penetrerete in questo viaggio dentro il mondo, di interesse verso il mondo, di pietà verso gli uomini.

21/22 – Lo scopo è l’amore, l’amore a Dio e agli uomini, la pietà per il mondo.

Pietà per il mondo: chi si alza al mattino e pensa con desiderio di aiuto al mondo, prega Dio che la vita ddella sua giornata sia di aiuto al mondo? Ma solo questo dà respiro adeguato!

514 – Il sacrificio è perché il rapporto con il mondo sia libero e così insorga, sorgente divina nella carne dell’uomo, la suggestività più grande che esista nell’esperienza umana: la passione per il mondo.


35 – La suprema moralità è il grido che mendica la forza dell’Essere nella propria vita.

51/52 – Noi non parliamo mai di morale, ma non c’è frase che diciamo che non abbia una partenza in cui la morale è necessaria.

141/142 – La convivenza riesce ed è fatta, è realizzata da persone di buona volontà, dice il vangelo.

Le persone di buona volontà sono le persone morali; la persona morale è chi continua, di fronte a ogni cosa, ad avere l’atteggiamento con cui Dio l’ha messo di fronte al vulcano di Tenerife….così lo trova. La convivenza vuol dire questo.

Semplicità vuol dire: dalla fedeltà con cui il cuore cresce secondo la posizione in cui l’ha messo Dio creandolo.

Non è un problema di fede, è un problema di moralità umana.

142 – È il sì di Pietro! Perché san Pietro gli ha detto sì? Perché era attaccato.

Attaccati a me!» Vale a dire: «C’entro io con la perfezione della moralità. È buono chi riconosce e ama me».

La moralità è la sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende a essere concepita – nei particolari e nel suo insieme – così da far piacere a quella faccia.

È una adesione amorosa a una Presenza.

391 – (Quando Giussani soprese i due fidanzatini) Ero contento perché ho capito subito che, per la prima volta in vita, avevo scoperto la vera definizione di morale, la moralità della vita: il trattare una cosa particolare in funzione con il tutto.

413 – «Non arzigogolare e tendere alla perfezione, ma guardare in faccia Cristo: se uno guarda in faccia a una persona a cui vuol bene, tutto in lui si rimette a posto, tutto corre a posto, e si mette i capelli in un certo modo, e si allaccia il bottone, e ha vergogna delle scarpe sporche, e dice:”Scusami se sono così trasandato”. La sorgente della morale è voler bene a uno, non realizzare delle leggi» [Si può vivere così? p. 236/237].

473ss – «La morale è imitare Dio nella carità» [Si può vivere così? p. 286].

Morale è come si vive la propria esistenza, come la propria esistenza vive la dinamica da cui è provocata dalla sua natura.

Moralità è affrontare la realtà secondo la dinamica a cui ti sollecita il gesto che ti crea e che si vede a occhio nudo nei bambini: lì non c’è opposizione, non c’è tergiversazione.

Il titolo è tremendo: «La morale [la vita morale] è imitare Dio.»

Il comportamento della vita dell’uomo, la morale è imitare il Mistero.

474 – Come faremo ad imitarlo? Che nesso c’è tra il Mistero e me?

Io sono fatto da Lui.

Il nesso originale tra il Mistero e me è che il Mistero mi fa, è quella sorgente da cui proviene la mia acqua.

E qualche cosa del Mistero possiamo saperlo perché ci ha fatti.

C’è un nesso che non puoi sfuggire: ti ha fatto, anzi ti fa.

Questo è il pensiero che avendo portato la prima pace in me, deve portarla anche in voi.

La prima pace è la prima certezza assoluta che entra nel nostro spirito.

475 – Imitare Dio, imitare il Mistero, Colui che ti fa, nella carità: perché, come ti fa, come ti ha fatto e come si è comportato con te nella storia, ti ha fatto capire che la sua vita, la vita del Mistero, l’essenza del Mistero, la stoffa del Mistero, il sangue del Mistero, il cuore del Mistero, è amore. Carità, cioè amore: Caritas Deus est, Dio è amore.

525

566 – Intervento: «[…] Io mi accorgo che l’azione, subito dopo aver domandato, non è determinata da quella Presenza».

Questo è il problema più grave della morale, della concezione della moralità.

Il di Pietro è pronunciato persuaso, profondamente persuaso e commosso. E non c’entrava il fatto che Pietro l’avesse tradito o avesse potuto tradirlo ancora; non ci pensava!

È vero, il sì è vero. Domandati piuttosto come fai a capire come il non sia vero.


208/209 – Su mille religioni che ci fossero, mille hanno la morale che nasce come letteratura dettagliata dei fattori che costituiscono una dialettica, una dinamica letta nel suo svolgimento dalle leggi di questo svolgimento; l’uomo se osserva queste leggi, rispetta lo svolgimento.

La morale cristiana non nasce così. Quella ebraica sì, anche se è un pò corretta. Quella ebraica nasceva dall’analisi di quel che è l’uomo: creatura.

209 – La moralità (cristiana) nasce come simpatia prevalente, irresistibile, a una persona presente.

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente. E infatti, la verginità è l’amore a una persona presente.


141 – Intervento: «Mi chiedevo: tra il riconoscimento dell’eccezionalità e la domanda: “Chi è costui?” ci deve essere di mezzo una convivenza. La persona deve anche “volere” questa convivenza, no?»

La convivenza riesce ed è fatta, è realizzata da persone di buona volontà, dice il vangelo.

Le persone di buona volontà sono le persone morali: la persona morale è chi continua, di fronte ad ogni cosa, ad avere l’atteggiamento con cui Dio l’ha messo di fronte al vulcano di Tenerife.

Come Dio l’ha di fronte al vulcano di Tenerife? «Ah…». Chi va avanti «Ah…», così lo trova. La convivenza vuol dire questo.

Di fronte a Cristo vien la domanda: «Chi è questo qui?». Davanti a questa domanda posso aderire o no: la libertà.


525 – Un ragazzo s’avventa addosso alla ragazza.

Perché? Sono raptus maniaci? No, non necessariamente.

La radice del suo errore sta in un grande desiderio di compimento, di soddisfazione, di possesso della bellezza, di bene compiuto, di bene realizzato: sono le esigenze del cuore, quelle che fondano i criteri della razionalità, gli stessi criteri che fondano la moralità, gli stessi.

La moralità è la razionalità applicata alla dinamica delle cose.

Da che si vede che la verginità è l’amore alla creatività.

L’altro non è amore alla creatività, e questo è documentato dalla vigliacca, scoraggiante, ripugnante mentalità con cui adesso si concepisce il rapporto famigliare, l’idea stessa di famiglia, l’idea stessa di procreazione di figli: tutto, tutto è sconvolto da una corruzione che non vale giustificare per scusarla.


50 – L’evidenza porta in sé le sue ragioni, un viso porta in sé la sua bellezza o la sua bruttezza.

Questa evidenza ha bisogno non di intelligenza, ma di moralità: tu sei e stai sempre più coscientemente nella posizione in cui ti ha creata la mano di Dio, che è quella del bambino.


16 – La mancanza di serietà morale normalmente ha come sua arma di difesa l’ironia o la dubbiosità scettica.


142 – È il di Pietro! Perché san Pietro gli ha detto ? Perché era attaccato. «Attaccati a me!» Vale a dire: «C’entro io con la perfezione della moralità. È buono chi riconosce e ama me».

165 – Quando Pietro disse: « Signore, Tu lo sai che io ti amo», era già dentro l’eterno: sulla soglia.

Ed è questa soglia anche il definirsi della moralità.

208/209 – Quella domanda furtiva che Gesù fece, inaspettata, a San Pietro: «Simone, mi ami tu?», e quello dice «» […] Questo è l’inizio della morale.

La morale nasce come simpatia prevalente, irresistibile, a una persona presente.

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente.

E, infatti, la verginità è l’amore a una persona presente.

427 – Nessuno capisce perché insisto o che cosa significhi che il di Pietro a Cristo è l’inizio della moralità.

Perché nessuno capisce? Perché c’è una mentalità formalista e moralistica ingenerata dalla collettività – che è il luogo dove l’uomo è più schiavo e meno libero – che non permette al cristianesimo di avere una concezione del rapporto tra l’Infinito e l’io libero, così grande, così misericordioso da parte di Dio.

Dunque ad ogni azione dobbiamo aver coscienza della Presenza, altrimenti l’azione nasce gravemente down e «sarebbe meglio non essere nati» [Mt 26,24], cioè sarebbe meglio che l’azione non fosse mai nata, perché manca del fattore determinante del suo senso.

430 – Memoria non significa che ad ogni azione si pensi a Lui; non è neanche necessario che sia così.

È necessario che si ami questo.

Per questo si capisce perché il di Pietro è l’origine della morale: il di san Pietro, non l’analisi del come e quando, o delle leggi rispettate o no.

La moralità è il di san Pietro, che è una amorosità espressa.

Perciò non è necessario che tu lo pensi ad ogni azione, ma che tu desideri questa memoria, che tu desideri la coscienza di questa Presenza, che ami la coscienza di questa Presenza.

566 – Perciò non può essere una obiezione al mio il fatto che io sia debole e fragile come una foglia al vento: non può essere una obiezione, perché «la tua forza è più grande della mia debolezza»[2 Cor 12,9].


34/35 – Il massimo che può fare l’uomo che prende coscienza del suo essere creaturale è il grido a Dio che sia ciò per cui è stato destato.

Domandare a Dio di essere coerenti suppone una parte importante che la volontà dell’uomo compie per completare la volontà di Dio in sé.

Non è una domanda per la capacità della nostra coerenza; non è la coerenza l’ideale morale.

L’ideale morale è il grido – come un bambino a suo padre e a sua madre -, è il grido a Dio del bisogno supremo che uno sente, che è incapace di realizzare e di cui mendica il miracolo.

Perché è miracolo, la coerenza è miracolo, non capacità dell’uomo.

35 – La suprema moralità è il grido che mendica la forza dell’Essere nella propria vita.


209 – Credo che questa sia l’osservazione più bella che si possa fare nella concezione dell’uomo cristiano: la moralità nasce come simpatia prevalente, irresistibile, a una persona presente.

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente.

248 – La moralità è la sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende ad essere concepita – nel particolare e nel suo insieme – così da far piacere a quella faccia.

Non è un complesso di leggi, che può inventare anche uno Stato: allora c’è la moralità dello Stato (come è concepita la moralità in tutta l’epoca moderna), e c’è la moralità hitleriana, la moralità inglese, la moralità di Franco, la moralità della democrazia francese, la moralità della magistratura italiana.

Obbedire alle leggi è fariseismo.


34 – E la natura del cuore ci sospinge sempre, finché ti sospinge a un punto in cui c’è un muro, come un muro, un apparente muro, e tu non sai più andare avanti: il muro della morte.

Dunque la natura mi spinge oltre il muro della morte; la risposta c’è oltre questo muro, la risposta c’è nell’aldilà.

181Morto è chi non crea e non fa il bene, chi non costruisce e non favorisce l’opera.


19 – Soltanto i più grandi storici parlano della morte come parte della vita; come Huizinga, per esempio, il grandissimo storico olandese, il quale dice che la morte appartiene alla definizione della vita: senza la morte non c’è definizione della vita.


(Cfr. anche: distacco, sacrificio, scendere fino in fondo, strappo)

204 – «Ma la cosa più bella è il concetto di strappo e di mortificazione. Strappandoti a quello che ti emoziona di più per amore di ciò che ti corrisponde di più, che è più giusto, la mortificazione per affermare la legge morale (Cioè il rapporto con il destino invece che ciò che ti attira l’istinto), questa mortificazione non elimina niente: ogni cosa è bene.» [Si può vivere così? p.82]

205 – Se lo scopo è fissato in base all’ordine del tutto o alla volontà di Dio, o a Cristo, perché Cristo è il nome della totalità della realtà, allora tutto rimane calmo e tutto si compie nella calma, non c’è nessuna deflagrazione.

C’è lo strappo, ma non la deflagrazione, c’è la mortificazione ma non l’abbandono: niente è rinnegato di quello che c’è.


581ss – In tutta la storia della Chiesa, la comunicazione di quello che ha voluto far conoscere di sé, di tutta la ricchezza della sua forza, della sua potenza, ha meravigliato in tutte le generazioni gli uomini, convogliandosi in tanti punti – non uno: tanti punti – in cui l’avvenimento di Cristo si rifletteva.

Questi punti sono avvenimenti, vite di persone, in cui la conoscenza del Signore e l’affezione al Signore , in cui la fede cristiana, il messaggio cristiano è apparso in modo molto più naturale, molto più chiaro, molto più persuasivo, molto più invitante e molto più creativo che non negli altri punti.

Così sono sorti – con lo stesso schema di Gesù e della Chiesa – nella Chiesa, da un avvenimento iniziale, da tanti avvenimenti iniziali, tanti flussi, tanti fiumi: si chiamano movimenti; tanti movimenti.

È la continuità di un avvenimento, cioè la continuità di una cosa che risorge continuamente, che nasce continuamente.

582 – Un movimento, perciò nasce da un punto che può essere una persona o un gruppetto di persone, una esperienza che alcuni fanno, in un certo momento del tempo e dello spazio, che ad altri che la guardano fa dire: «Quelli lì sì che ci fanno capire! Adesso si capisce molto meglio. Adesso capisco!».

E allora vanno insieme, così diventa grosso, grosso, grosso, grosso, diventano i Benedettini, i Gesuiti, i Francescani, i Cappuccini.

I cosiddetti ordini religiosi sono una legge obiettiva, fisica dello sviluppo della Chiesa.

Ognuno di questi movimenti si sviluppa secondo le regole della sua anima originale: ha una certa concezione dell’intelligenza, della ragione, della affezione, dell’azione, dell’io.

Noi non neghiamo che la responsabilità è dell’io, ma sottolineiamo il fatto che l’io, per sviluppare la sua responsabilità, è facilitato dalla compagnia.

Infatti, nella Chiesa, ognuno è responsabile di fronte a Dio, ma è legato a tutti insieme e il corpo misterioso di Cristo, la comunione, fa la liberazione.

583 – Per questo seguire vuol dire obbedire, implica obbedienza alle modalità caratteristiche di un movimento.

Se volete affermare la vostra responsabilità personale, andate con il movimento ecclesiale che vi persuade di più.


476 – «Muoversi per l’altro. Ma l’amore all’altro non è una cosa generica, come un gran vento caldo improvviso in certe giornate primaverili che fa dire: “Toh, è già estate!”. La dedizione di sé all’altro non è una cosa generica, è una cosa molto concreta. Perché? Perché l’io vive, non come un nuvolone astratto, vive come atto; l’io vive come atto, si muove come atto» (Si può vivere così? p. 290))


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV




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