
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]
Lettera «P»
Indice linkato:
- Pace
- Padre
- padre
- Parabola
- Paradiso
- Paradossale
- Paragonare/paragone
- Parlare
- Parole
- Parole e pensieri
- Partecipazione
- Particolare
- Passato
- Passione
- Patria
- Paura
- Pazienza
- Peccato
- Pena del contrappasso
- Penitenza
- Pentecoste
- Perdono
- Perfectus
- Perfezione
- Persona e compagnia
- Personalità
- Persuasione
- Pietà
- Pigrizia
- Plagio
- Poesia
- Popolo
- Portico di Salomone
- Positività
- Possedere/possesso
- Povertà
- Preconcetto
- Preferenza
- Preghiera/pregare
- Presente
- Presenza/presenza
- Presenza eccezionale
- Prete
- Pretendere
- Pretesto
- Profeta/profezia
- Profondo
- Programma
- Promessa
- Proporre/proposta
- Prossimità
- Prova
- Provare
- Punto di fuga
- Purezza/purità
- Pusillanime/pusillanimità
Pace
240 – Dal paragone fra quello che ti senti dire in pubblico e quello che ti senti dire in privato, può stabilirsi una luce di conferma che ti porta ad una sicurezza realmente pacifica e utile, creativa (Perché non c’è creatività se non nella pace, e la pace c’è dove i fattori della realtà sono in sospensione giusta, nel rapporto giusto).
436 – Allora si vivono i frutti supremi del rapporto tra l’uomo e il suo destino: la letizia, nella avversa e buona fortuna, e la pace nei rapporti.
La pace nella società può essere portata solo da questi uomini.
Un uomo che sia al governo, solo se ha sperimentato tutta questa traccia, può lavorare veramente per la pace.
La letizia e la pace: non sono parole dell’altra vita, sono parole di questa vita.
La pace è il bene dell’esilio, come la felicità è il bene della patria.
La patria è l’eternità, il bene della patria è la felicità.
L’esilio è la strada della vita, la pace è il bene di questa strada.
475 – La prima pace è la prima certezza assoluta che entra nel nostro spirito.
La prima certezza assoluta, a mio avviso, è questa: un adulto non può negare che in questo istante l’evidenza più grande che ha – non c’è una evidenza più radicale e potente di questa – è che non si fa da sé.
561 – Il dolore appartiene al sentimento umano esattamente come la gioia e la letizia: «La pace, chi la conosce, in parti uguali, di dolore e gioia è fatta» (Paul Claudel L’annuncio a Maria).
Padre
(Cfr. anche Destino, Dio, Mistero)
473 – Nessuno dei trecento ricercatori di Dio radunatisi a Milano, nessuno poteva dire: «Padre».
Nessuno, non veniva in mente a nessuno.
Se qualcuno l’avesse avuto in mente e l’avesse detto, non era il Padre, era l‘origine (l’origine è un concetto più «razionale» che la parola Padre).
padre
342 – […] Il padre è un punto dell’essere importantissimo, è il segno immediato del Mistero che ci ha fatti, il segno immediato di Dio, qualunque uomo sia stato – degno o non degno non c’entra, è l’essere segno che c’entra-.
Questa è la forza per cui, invece, un altro ha scoperto il proprio padre man mano che il tempo passava dopo la sua morte; e adesso l’ha piantato dentro di sé, e rinascono in lui ricordi che non aveva mai avuti, particolari che non aveva mai sottolineati.
E parlasse a tutto il mondo direbbe: «Mio papà…Mio padre…».
Il tempo che passa inoltra nel mistero dell’eternità della persona che è scomparsa, se essa è presa sul serio; se essa è riconosciuta, dopo; se essa, dopo, trova in noi gratitudine, chiunque sia stata, anche se uno non avesse conosciuto suo padre, anche se uno non avesse conosciuto addirittura sua madre, essendo stato adottato da altri.
Soltanto nella maturità si può raggiungere questa cosa grande cui ho accennato prima.
Parabola
121 – (Gli apostoli) dopo le prime parabole, andavano là a dirgli: «Maestro spiegaci queste parabole qui».
Tutti stavano là, fino a quando diceva le parabole era come Adriano quando dice le barzellette – tutti sono lì con la bocca aperta a sentire i racconti, perché la parabola era un racconto -, ma dopo, finito il racconto, tutti andavano via, mentre il bello incominciava lì: cosa voleva dire quel racconto?
Gli apostoli che erano familiari ormai con Lui, andavano là sopo a dirgli: «Senti, cosa hai voluto dire con questa parabola?». E Lui la spiegava.
Paradiso
150 – Il paradiso è il massimo, il supremo e il definitivo della connessione tra l’oggetto e il soggetto: il soggetto è il cuore dell’uomo che aspira alla felicità; Dio è l’oggetto di questo desiderio perché Dio è la felicità; il massimo del rapporto è quel possesso evidente che è il paradiso.
393 – Se la preghiera è desiderio espresso, la dinamica del desiderio nella povertà è la comanda che ciò per cui essa è necessaria che accada.
Per cosa è necessaria la povertà? Per conoscere e possedere: che questo possesso avvenga.
In paradiso sarà il possesso di Dio, non un distacco per avere possesso.
Paradossale
410 – Abbiamo già detto che non è mai contraddittorio, ma è paradossale ciò che diciamo.
La spiegazione della realtà non è contraddittoria, ma è paradossale.
Contraddittoria è una cosa contro un’altra, paradossale è una cosa accanto ad un altra: non si sa come facciano a stare insieme, ma di fatto sono una cosa sola.
E ciò che vince è il fatto.
E vi sfido a sentire una frase o a leggere una riga di quello che vi diciamo che non sia paradossale, che non implichi un paradosso.
Perciò l’obiezione che fate nascere da quella riga o da quel brano di discorso, l’obiezione come di fronte a una contraddizione, è sbagliata fin dalla partenza: troviamo il bianco e il nero nella stessa cosa, come di fatto è nella natura.
La speranza parte paradossalmente dalla povertà.
È proprio non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia, la fiducia in ciò che realmente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginitività nella creazione, nell’edificare.
Paragonare/paragone
239 – Il tuo paragone deve andare non a quello che senti tu, non a quello che a te dice la tal persona (prete o non prete, capo o non capo), ma a quello che dice la tal persona – che è la guida della comunità, per esempio – in pubblico.
Perché quello che veramente dico, è quello che dico in pubblico.
Voi capite che la coscienza della responsabilità che ho di fronte a una domanda che mi si porga in pubblico è molto più grande che se sto parlando con te singolarmente, personalmente.
244 – Dal paragone fra quello che ti senti dire in pubblico e quello che ti senti dire in privato, può stabilirsi una luce di conferma che ti porta ad una sicurezza realmente pacifica e utile.
paragone vs definizione filosofica
447 – «E nel tramonto fulgido i cuori in Te si immergano»(inno delle lodi «Eterno Dio, immutabile», ora media del lunedì, libro delle ore).
Fa un paragone immediato fra il mare di luce che il sole trascina con sé, il mare reso rosso dal tramonto del sole, e Dio; fa un paragone fra i due e il paragone illumina chi è Dio.
Dio è un mare di mare e Dio è un mare di luce: sono paragoni.
Ma al bambino è il paragone che fa capire le cose, non è una definizione filosofica.
448 -Se uno capisce di essere un bambino di fronte al Mistero è avido di sentire tutte le parole che possono essere dette.
Ma nel 99% dei casi voi subìte questo paragone, non lo fissate e, perciò, non potrà mai diventare ricchezza di una vostra filosofia, cioè di un vostro definitivo pensiero.
Il paragone non vi illumina, non aggiunge nulla alla conoscenza di Dio; alla conoscenza di Gesù ancora meno, perché è un uomo: cosa c’entra il sole che tramonta e il mare rosso con un uomo che saluta sua madre e dice: «Ciao vado»? non ci pensate mai.
Mentre, per chi ci pensa, ogni parola, ogni frase, ogni nesso illumina la conoscenza di quest’uomo.
Il sole che tramonta nel mare e il mare rosso di fuoco illuminano il cuore di questo uomo e il temperamento di questo uomo.
Allora io vi voglio più bene, perché la mia vita ne è illuminata, rischiarata, riscaldata, definita.
Parole
185 – La parola è quella figura lì che ti indica qualcosa che tu hai afferrato nella realtà, ci sui hai preso possesso nella realtà: un contatto con la realtà che tu hai avuto.
La parola definisce una esperienza che è un contatto con la realtà.
La parola è l’indice di una esperienza, cioè del modo con cui una realtà, o la realtà in un suo aspetto, vi si palesa, ti colpisce.
341 – Un parola bella è bella se è vera.
Ma una parola bella e vera, quanto più tu la ripeti, tanto più è bella.
Se una parola ripetuta di stufa, è perché non l’hai né conosciuta né amata anche la prima volta: l’hai sentita, hai «creduto» d’averla capita!
Una parola vera non si può sentire neanche una volta senza sentirsi un po’ attaccati ad essa.
Così, tutto il dialogo che facciamo tra di noi nasce da alcune parole che io ho sentito quando avevo dieci anni, che sono state ripetute poi tante volte, migliaia di volte.
Ma come le capisco adesso! Credevo di capirle allora!.
448 – Se uno capisce di essere un bambino di fronte al Mistero, allora è avido di sentire tutte le parole che possono essere dette; tutte le parole che possono essere dette illuminano di più, chiariscono di più, fanno capire di più, se uno ha la fame e la sete necessarie, la semplicità di cuore necessaria.
Non si può pensare di conoscere Gesù senza passare per la trafila scolastica di pensieri espressi, di parole dette, spiegate e rispiegate, non capite e rispiegate; perché poi la conoscenza e la spiegazione diventano luce in me quasi d’incanto, non perché le parole sono spiegate, non perché i punti sono razionalizzati.
449 – Non si può conoscere Dio, non si può riconoscere Gesù, se non atraverso la trafila di parole e pensieri che l’uomo trova e dice.
Quando pensieri e parole sono dette quasi per modo di dire – per riempire il tempo o per dirimere una curiosità che rimarrebbe altrimenti vuota -, che si impone usando questi pensieri e queste parole, si impone come controfigura.
L’attenzione, cioè, che questi pensieri e queste parole destano verso Cristo, si sofferma su questa controfigura.
Quindi invece che tramite, punto di passaggio obbligatorio – meno male che è obbligatorio, perché così si capisce per dove si passa, si è sicuri di dove andare -, invece che punto di passaggio o punto di arrivo.
Si identifica troppo il nome di Gesù con il nome e cognome della controfigura, o si identifica Dio con l’effetto che la controfigura fa sul temperamento o sullo stato d’animo.
450 – Volevo dire che, per capire cosa è la carità, non solo bisogna parlarne, ma bisogna continuamente parlarne.
Ed è soltanto attraverso questo parlarne che un filo d’oro può essere coniato, perché è attraverso parole e pensieri che esprimi qualcosa che non è parola o pensiero, che è più che parola, più che pensiero.
parole astratte vs vere
310ss – Il pensiero triste è questo: quando parliamo, diciamo cose sacrosantamente vere – tanto che c’è un «vantaggio» solo: non potete trovare una ragione contro quello che vi diciamo, una ragione che valida per contrattaccare quello che vi diciamo (per fuorviare sì, ma per andare contro no!) – ma il problema è che le parole che usiamo per voi – salvo per chi è poeta o giovane madre, salvo che chi tra voi è poeta o è già giovane madre: per chi è poeta o giovane madre, quello che diciamo è anche esperienzialmente sentito, è anche una sofferenza sentita, è qualcosa di drammatico -, per la maggior parte di voi sono termini astratti.
311 – Non sono astratti per noi che abbiamo settant’anni, sono esperienza per chi ha fatto una storia umana: sono astratti per chi non l’ha ancora fatta, come voi che avere soltanto brandelli di scontro con la realtà.
Le parole più grandi, le parole che piomberanno sulla testa come le montagne sulla testa di coloro che saranno radunati nella valle di Giosafat, queste montagne che ci cadranno sulla testa saranno l’evidenza delle esperienze di vita che abbiamo avuto, dove il fiore dell’esperienza elementare o dell’ideale è stato sconfitto da una paura, da una vigliaccheria, da una grettezza, da una pusillanimità, da un tornaconto immediato che non si voleva abbandonare.
Il vero nostro nemico è che le nostre parole sembrano astratte.
Non siete scusabili […] Non avendo mai ragioni adeguate contro di noi, contro le nostre «parole astratte», non potete proteggervi dai nostri obici.
312 – Siamo condannati all’accusa di usar parole astratte: siete voi privi di vita, non noi che siamo astratti.
Privi di storia siete, bambini! State attenti a come andate a vanti, altrimenti potrete giungere alla mia età senza storia.
capire e ripetere le parole
352/353 – Le parole che usiamo sono sempre giuste, ma è il ripeterle che le fa sentire sempre più parola, cioè espressione della nostra coscienza di essere o della coscienza di un essere.
452 – Vorrei centellinare nella vostra testa, goccia per goccia, il significato delle parole importanti perché, se si capiscono, è come tirarsi giù dalla schiena uno zaino pieno zeppo alla fine di una lunga scarpinata.
540 – Lo scopo del cammino di quest’anno è che cominciate a capire i termini in cui Gesù ha parlato agli uomini, in cui la Chiesa parla agli uomini di tutti i tempi – perché quel che dice Gesù e quello che dice la Chiesa è per gli uomini di tutti i tempi: sempre le stesse parole -, che abbiate a incominciare a comprendere le parole.
542 – Capire le parole e soprattutto scoprire il tipo di esperienza che viene illuminato da questo senso che la parola ha e viene spiegato nella sua genesi, nel suo sorgere, nel suo divenire, nel suo svolgersi.
Vi facciamo fare il cammino di quest’anno per farvi capire che cosa vuol dire la parola con cui l’esperienza cristiana è indicata, con cui la realtà dal punto di vista cristiano è indicata, come genesi, come sviluppo, come destino.
parole che Cristo ha portato
323 – Le parole che Cristo ha portato sono parole umane: è partito da parole umane e ha introdotto coloro che lo ascoltavano al Mistero che sta dietro le parole dell’uomo.
parole che legano a Cristo
73ss – Parole che legano a Cristo
74 – Parleremo della fede, della speranza e della carità.
Capir bene cosa vogliono dire queste tre parole, comprendere bene i corollari che immediatamente ne scaturiscono, significa creare già l’impalcatura che tutta la vita riempirà, tutta la vita renderà luminosa e attraente.
origine delle parole
268 – Ho parlato del bambino con sua madre per indicare l’origine stessa di queste parole: l’origine di queste parole sta nell’ove si agita appena nato e incomincia un cammino che non finirà mai più: volente o nolente, lo riconosca o non lo riconosca, non finisce più!
valore delle parole
48 – Abbiamo detto che il valore di una parola, di un termine, è dato dalla esperienza della realtà che indica.
La parola approssimazione dipende dal tipo di realtà che noi viviamo.
Il tipo di rapporto tra la realtà, i nostri occhi e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è abbastanza nebuloso.
È soltanto attraverso una approssimazione sempre più grande che ciò che la cosa è non «si vede totalmente», ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.
267 – Il significato delle parole essenziali, come lo pretende il messaggio cristiano, è lo stesso significato che hanno nel rapporto del bambino con sua madre.
Le parole hanno un valore naturale, come hanno un valore sopra-naturale (un valore nel sentimento dell’uomo che Cristo ha: il soprannaturale è questo).
Il valore che hanno nel sentimento dell’uomo che ha Gesù di Nazareth è identico al valore che hanno nell’ambito dei rapporti tra uomo e uomo.
310 – E il pensiero triste è questo: quando parliamo, diciamo parole sacrosantamente vere – tanto che c’è un «vantaggio» solo: non potete trovare ragioni contro quello che diciamo (per fuorviare sì, ma per andare contro no!) -, ma il problema delle parole che usiamo per voi – salvo per chi è poeta o è già giovane madre: per chi è poeta o giovane madre, quello che diciamo è anche esperienzialmente sentito, è anche una sofferenza sentita, è qualcosa di drammatico, già drammatico -,per la maggior parte di voi sono termini astratti.
Non sono astratti per noi che abbiamo settant’anni, sono esperienza per chi ha fatto una storia umana; sono astratti per chi non l’ha ancora fatta, come voi che avete soltanto brandelli di scontro con la realtà.
Parole e pensieri
449 – Se uno capisce di essere un bambino di fronte al Mistero, allora è avido di sentire tutte le parole che possono essere dette; tutte le parole che possono essere dette illuminano di più, chiariscono di più, fanno capire di più, se uno ha la fame e la sete necessarie, la semplicità di cuore necessaria.
Non si può pensare di conoscere Gesù senza passare attraverso la trafila scolastica di pensieri espressi, di parole dette, spiegate e rispiegate, non capite e rispiegate.
450 – Volevo dire che, per capire che cosa è la carità, non solo bisogna parlarne, ma bisogna continuamente parlarne.
Ed è soltanto attraverso questo parlarne che un filo d’oro può essere coniato, perché è attraverso parole e pensieri che esprimi qualcosa che non è parola o pensiero, che è più che parola, più che pensiero.
Partecipazione
258 – Tutto è comunione, tutto è partecipazione, tutto è comunicazione, la parola più comprensibile è: tutto è partecipazione.
Particolare
479 – Staccarsi da te significa staccarsi dal naso, dagli occhi, dai capelli, dal particolare: è il particolare che tradisce la totalità.
515 – La verginità, secondo la concezione cristiana è guardare ogni realtà – dalla testa di Mario alla chioma del Monte Bianco – senza rompere il nesso che questa realtà ha con la totalità del significato, col cosmo, che vuol dire l’ordine della totalità del significato.
Non rompere il nesso tra un particolare, il bicchiere in cui bevo, e la totalità del significato: infatti, ha senso anche bere un goccio d’acqua, ha senso per il mondo; su ogni atto grava il peso dell’eterno.
580 – Come ha fatto Gesù, da Giovanni e Andrea e Simone, ad arrivare fino a mia mamma?
È arrivato attraverso il flusso generativo e attraverso il flusso comunicativo di una cultura, di un pensiero, di una mentalità di popolo; quindi attraverso una generazione che ha creato una certa storia, è arrivato a un particolare, l’ha inglobato e si è comunicato ad esso.
Passato
361ss – Per Giovanni e Andrea quel giovane uomo che avevano davanti agli occhi, che aveva citato anche la parola «Messia», quell’uomo spiegava il passato ( la parola «Messia» raccordava quell’istante, quelle ore che stavano passando sentendolo parlare, con tutto il passato del loro popolo); chiariva il presente, perché rappresentava una evidenza così limpida, le parole essendo dette con una superiorità eccezionalmente persuasiva; e non avevano il problema del futuro, tanto era risolto.
Bisogna sempre concentrare la nostra preoccupazione sul presente.
Il passato, poi, è redimibile nella chiarezza dell’oggi.
Passione
232 – Intervento: «Che ad ogni conoscenza consegue una affettività è una evidenza. Ma perché oggi nessuno più dice così?»
Perché oggi non si ha passione per l’essere, non si ha passione per il vivere, tanto è vero che non si mettono più neanche al mondo i figli; non si ha passione per l’essere, non si ha passione per la vita, non si ha passione per il destino, non si ha passione per niente.
Si ha passione per i soldi: «L’usura, la lussuria e il potere» (Eliot, Cori da «La Rocca»)
514 – Il sacrificio è perché il rapporto con il mondo sia libero e così insorga, sorgente divina nella carne dell’uomo, la suggestività più grande che esista nell’esperienza umana: la passione per il mondo.
Perché tu sei imprigionato nella piccola passione, nella breve passione che hai, sei imprigionato nella breve stanza dei suoi giochi e sembri un bambino che sta da mattina a sera con la donna che lo accudisce nella stanza dei bambini.
La passione per il mondo, non per la propria stanza nel mondo.
Patria
436 – La letizia e la pace: non sono parole dell’altra vita, sono parole di questa vita.
La pace è il bene dell’esilio, come la felicità è il bene della patria.
La patria è l’eternità, il bene della patria è la felicità.
L’esilio è la strada della vita, la pace è il bene di questa strada.
Paura
103ss – Intervento: «Io ho notato che quando nell’esperienza subentra la paura,anche se è riconosciuta irragionevole, essa ha come il potere di annientare questo tipo di coerenza rispetto alla ragione. Perché accade così e qual’è il punto su cui far leva in questi momenti?»
Nell’uomo c’è come una malattia mortale che la Chiesa chiama peccato originale: un venir meno delle forze.
104 – È un vuoto in me tra la mia ragione e la mia volontà, è una divisione tra la mia intelligenza e la volontà a quel livello fondamentale che si chiama libertà.
105 – Come si fa a superarlo?
Gli apostoli lo hanno superato: primo, quando era presente Gesù; secondo; quando erano insieme.
Presenza di autorità e di compagnia sono i primi due fattori che sperimentalmente fanno superare la paura.
Ma non oltre un certo limite: quando la paura diventa grande, anche questi due fattori cadono.
La paura diventa oggettivamente grande quando la società ti dice: «Se tu rimani cattolico, ti uccido; ti metto in prigione e ti uccido»: la paura della morte.
Oppure la paura diventa grande perché uno ti dice: «No, ragazzo, questo rapporto non è giusto, vissuto in questo modo non è giusto», perché tu hai un’altra vocazione, o perché il rapporto non è trattato dignitosamente, secondo lo scopo per cui Dio l’ha permesso (perché tutto ciò che è, è permesso da Dio); la paura c’è quando il dir di sì è molto sconveniente per un sentimento che gravemente sentiamo.
Oppure la paura diventa grande per una minaccia per i propri amici, per la propria causa, per i propri parenti, per la propria parte.
Tutti gli apostoli hanno provato questo momento di paura grande, e tutti hanno creduto, tutti sono stati travolti dalla paura.
Ma c’è una terza cosa che colui che odia l’uomo, satana, non aveva ben tenuto presente, non aveva calcolato.
Se Cristo è risorto e rivela e svela il Mistero mandando il suo Spirito, non c’è paura che tenga.
La grazia.
Ed è solo questa che a un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere e ciò che il grande uomo non è riuscito a compiere.
Quindi il grande uomo è grande perché è strumento del disegno del Mistero, del disegno del Padre.
287 – «Signore, aiutami a non avere paura».
Aver paura vuol dire che l’incognito è più forte del Mistero: no,non può essere! Non può essere matematicamente! «Onnipotente, eterno Dio.»
528 – Intervento: «Che cosa aiuta a vincere la paura? Gli altri che mi stanno precedendo?».
Ma all’uomo Gesù, a Gesù uomo, giovane adolescente quindicenne, bambino di dodici anni, pieno di una consapevolezza che noi non siamo capaci di immaginare, come faceva a passargli la paura di essere solo – da solo nel mondo, sfidando il mondo intero a parlare del Padre; il mondo che ha come criterio supremo l’uomo misura di tutte le cose-?
Che cosa gli ha fatto passare la paura?
Il riconoscimento familiare e la parola e il dialogo che aveva con il Padre, di notte.
564 – Chi parte avendo paura del più, perde anche il meno: «A chi più ha, più sarà dato; a chi meno ha, meno sarà dato e sarà tolto anche quello che ha» (Mt 13, 12 e 25, 29 / Mc 4,25 / Lc 8, 18 e 19, 26).
paura e certezza del futuro
285/286 – «La certezza del futuro è basata su una cosa presente che riconosci con certezza; la certezza di un presente ti rende certo di un futuro». [Si può vivere così? pag. 152].
Intervento: «A me capita, rispetto al futuro, di provare a volte come un sentimento di paura di perdere le cose cui più tengo».
La certezza di quello che hai incontrato o è intelligente o è senza intelligenza.
In questo secondo caso hai paura del futuro.
Se vivi la compagnia come utopia, hai paura del futuro.
«Non avere paura piccolo gregge, io ho vinto il mondo» (Lc 12, 32 e Gv 16, 33).
È una compagnia la cui certezza e la cui forza è Lui, è la Sua presenza: allora non teme di nulla.
Per questo quando senti il vento della paura muoversi da sud, nei deserti dell’Africa prega Gesù: «Signore aiutami a non avere paura».
Aver paura vuol dire che l’incognito è più forte del Mistero: non, non può essere! Non può essere matematicamente! «Onnipotente, eterno Dio.»
Pazienza
313 – Il tempo è necessario per la maturità di una descrizione o per la maturità di un fatto in azione.
Ti può mancare questo, ma se la causa è che occorra ancora del tempo, la pazienza che devi avere è come educatrice.
Se ti manca del tempo la questione è abbastanza tranquilla, è normale: abbi pazienza.
547 – E uno che avesse la pazienza di leggere queste quattrocento pagine (Vita e Destino di V. Grossman)…ecco la parola che entra nell’atteggiamento in cui Dio ci ha messi: pazienza!
pazienza di Dio
422 – «Colui cui appartiene il tempo, è buono, tanto è vero che prima che ancora che muoia per noi, e quindi risorga per noi, aggiunge tempo a tempo, prolunga il nostro tempo: “Iddio ha pazienza perché voi vi correggiate”.»
Piangete, amici miei, dovete cominciare a piangere su di voi stessi.
Non c’è niente di più terribile nemico di noi stessi, ma non c’è nessun punto più amabile della terra come noi stessi.
pazienza e capire
544 – La meraviglia è un frutto dell’ignoranza quando uno non capisce nulla; ma la meraviglia è il vero frutto di quell’iniziare capire che rivela tutta l’originalità e l’impossibilità di capire al momento, e la necessità che per capire totalmente occorre una storia.
E qui entra la grande parola tempo. Il tempo.
Basta il tempo? No, occorre pazienza.
Peccato
(Cfr. anche: errore, menzogna, sbaglio)
103 – Nell’uomo c’è come una malattia mortale che la Chiesa chiama peccato originale; un venir meno delle forze.
Il concetto di peccato, in greco, è indicato con una parola che vuol dire «venir meno delle forze»: amartìa, amartanein.
269 – […] affondare sempre più nel Mistero.
Se covi questo desiderio, il clima della tua vita cambia, e tu lo capisci, innanzitutto quando sbagli: la gioia, che pur si propone alla tua vita, può essere equivoca, può essere superficiale; ma la cosa da cui capisci di più è come senti il peccato.
È triste, triste perché è contro – non perché è contro il vero, contro la legge -, perché è contro di te, contro di te, Signore.
E questo ti rimane come una tristezza che è il sottofondo della faccia di san Pietro, specialmente dopo gli ultimi tradimenti.
294 – «Ogni cosa è bene», anche la morte.
Ma sant’Agostino aggiunge un commento più grave ancora che dire «morte»: «anche i peccati» (il peccato è negativo, appare come una negatività, appare come una negatività senza alcun paragone, neanche con la morte).
311 – (L’uomo) Per toglierla (la propria impotenza) ha incominciato a fare il primi delitti, cioè il primo male, il primo peccato; ed è una soluzione brutta, e uno lo sente anche se non lo dice.
316/317 – Intervento: «Io volevo capire meglio quando dice che uno non deve fermarsi più di mezzo secondo sul proprio peccato».
Uno diventa grande amando.
Se un bambino, come regola, dovesse star lì a rincrescersi per ogni piatto che rompe, dovrebbe stare per sette giorni a guardare il piatto rotto.
«Tutto questo non è mai esistito» (Milosz: Miguel Mañara): il perdono di Dio è un atto creatore.
317 – Cerchiamo di prendere coscienza del perdono di Dio, non dei nostri peccati.
386/387 – Intervento: «Si può uscire dal confessionale oppressi dai propri peccati esattamente come si è entrati […].»
387 – Vado a confessarmi e prevale l’immagine di quel che ho fatto sulla grandezza e certezza del perdono: il perdono non ricrea.
peccato e “amartein”
104 – Il concetto di peccato, in greco, è indicato con una parola che vuol dire «venir meno delle forze»: amartìa, amartanein.
coscienza del peccato e misericordia
424/425 – Il dolore del peccato non è l’umiliazione di sé, come ben diceva l’abate a Miguel Mañara.
425 – La riuscita della vita non è la gloria dell’uomo; la riuscita della vita è la gloria di Cristo.
La gloria di Cristo verso di me peccatore è la misericordia che ha.
Perciò verso di me io divento misericorde, per gratitudine a Cristo.
497 – Quante volte mi avete sentito dire che noi non possiamo compiere una azione buona se non partendo dalla coscienza di essere peccatori?
Ora la coscienza dell’essere peccatori è l’aspetto più acuto del dolore, è lo svelarsi più chiaro della necessità del sacrificio.
peccato originale
103 – Intervento: «Tu dici che la fiducia è un problema di coerenza con una evidenza della ragione. Io ho notato che quando nella esperienza subentra una paura, anche se è riconosciuta irragionevole, essa ha come il potere di annientare questo tipo di coerenza rispetto alla ragione. Perché accade così?»
Perché entra questa paura? Se ho le ragioni, perché entra questa paura? Cosa rispondevamo nel capitoletto de Il Senso Religioso?
Nell’uomo c’è come una malattina mortale che la Chiesa chiama peccato originale: un venir meno delle forze.
In concetto di peccato, in greco, è indicato con una parola che vuol dire «venir meno»: amartìa, amartánein.
134 – Il peccato originale è la parola più odiata da tutta la mentalità contemporanea, perché dichiara un limite a ciò di cui l’uomo, come ragione e come libertà, è capace; così a un certo punto la ragione diventa affermazione di bugia e la libertà sostentatrice di una menzogna.
L’idea di peccato originale è mistero perché non dimostrabile direttamente, ma è dimostrabile indirettamente come l’ipotesi che meglio spiega la situazione dell’uomo.
Se tu ammetti il peccato originale, capisci come mai l’uomo sente l’ideale dell’amore ma odia, piega subito l’amore a egoismo fino all’odio.
202 – Intervento: «Ho visto in me il rischio che il riferirsi al peccato originale possa essere un alibi, mentre è la mia responsabilità che non si muove».
La vita è una domanda che Dio pone a noi, tanto è vero che io dico sempre che la prima risposta a Dio è una domanda nostra a Dio, perché da soli saremmo incapaci.
La libertà è responsabilità, lo sbagliare è responsabilità tua, altrimenti non sarebbe sbagliare tuo.
384 – C’è il peccato originale, e quanto più uno ha potere, tanto più il peccato originale si esercita in lui, si manifesta in lui.
Chi determina la società è chi ha il potere, perciò la società non è pedagogica a capire queste cose.
Pentecoste
106 – Se Cristo è risorto e rivela e svela il Mistero mandando il suo Spirito, non c’è paura che tenga.
Si chiama risorto e il suo Spirito che domina il mondo, il quale entra nel mondo innanzitutto attraverso i chiamati – la Pentecoste -, e poi si diffonde nel mondo[…] si chiama grazia.
Ed è solo questa che a un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere e ciò che il grande uomo non è riuscito a compiere.
Perdono
209 – Infatti, uno che dice «Sì» così (quello di Pietro), può far male dieci volte al giorno, tutti i giorni, ma, piuttosto che lasciare l’uomo cui dice di sì, accetta di morire: è più facile accettare di morire che evitare gli sbagli di tutti i giorni.
Perciò gli sbagli di tutti i giorni sono perdonati, perché «Molto è perdonato a chi molto ha amato».
316 – «Riprendere a sperare dopo un nostro errore è un gesto così grande che il poeta Péguy lo definisce “il segreto mistero della speranza”, perché il perdono del male è proprio mistero. “Il segreto mistero della speranza che con acque cattive fa acqua pura e fa anime fresche con vecchie anime”: è la rinascita» [Si può vivere così? p. 173].
387 – Vado a confessarmi e prevale l’immagine di quel che ho fatto sulla grandezza e certezza del perdono: il perdono non ricrea.
Soltanto lo stesso identico gesto della povertà può staccarmi da me stesso e farmi diventare ilare: perché Cristo vive e Cristo è mio, Cristo è per me. Questo è importante.
388 – Per andare via dalla confessione realmente liberi, liberi dai propri mali che si sono confessati, non basta averli confessati: dipende dalla chiarezza, dalla affezione e dalla certezza che Cristo c’è e Cristo è il perdono.
Per questo si può uscire finalmente liberi dalla confessione: se la confessione è andar da Cristo, non se è altro.
417 – «È da questo perdono, è da questo potere che viene in me, è da questo poter far tutto insieme a Lui che si stabilisce la mia forza, a Lui che mi è fedele “Tu mi sei fedele. Io sono debolissimo, tu mi sei fedele: sono capace di tutto”-, è da questa fiducia profonda e semplice che nasce il banchetto più grande della casa: il figliol prodigo» [Si può vivere così? p. 238]
444 – Se tu riconosci con chiarezza che tu hai sbagliato e ti accorgi di essere perdonato e accetti questo perdono, il sollievo c’è subito, tanto la vita ci è data e la continuità della vita ci è data, tanto la vita ci è data e la letizia della vita ci è data.
Quello che c’è ci è dato.
485 – Capacità di perdono, che vuol dire ridare spazio e libertà all’altro in se stessi. Uno ti ha offeso: viene escluso dal tuo giro.
Il perdono è farlo rientrare: gli ridai uno spazio e una libertà.
perdono vs vendetta
491 – Non è giusto neanche credere nella vendetta: la vendetta, essendo il contrario del perdono, non produrrà mai niente di buono.
Perfectus
(Cfr. anche: perfezione)
80/81 – Esperienza elementare cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé (satisfacere); per essere completo, cioè per essere perfectus (perfetto, completo); e perché, dal punto di vista del riflesso estetico, la bellezza si renda visibile, oggetto maneggevole; e perché il tempo sia buono, sia bontà; e perché l’esistere sia felicità, come dice il primo libro della Sapienza.
Perfezione
(Cfr. anche: perfectus)
565 – La santità, la perfezione della vita, non sta nel numero degli sbagli non fatti o fatti; la perfezione della vita sta nella certezza che la forza di un Altro mi renderà capace di fare tutto quello che devo fare per raggiungere il mio destino.
Persona e compagnia
257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo; […] è nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità di contentezza.
persona più vicina
257 – Così, per essere naturalmente fecondo, per essere naturalmente contento, l’uomo cerca l’appoggio di altri uguali a sé.
La definizione della donna per l’uomo è dunque innanzitutto compagnia; ma risulta un aspetto diverso, perché la compagnia deve avere qualcosa di diverso.
È un’altra cosa che compie, corrispondente a qualche aspettativa che nell’uomo è aperta.
È nella realtà soprannaturale, è nella realtà umana investita da Cristo, dove si è reso presente Cristo, che l’avvenimento dell’io supera la sua solitudine in tutti i sensi, come scopo del vivere, dell’esistenza dell’io, e quindi della vita dell’io, della storia dell’io, del destino dell’io.
Personalità
(Cfr. anche: “io“, persona, uomo)
65/66 – L’ordine è la condizione per affermare la meta, il realizzarsi compiuto della personalità umana, che è il dinamismo più qualificato, complesso e dignitoso dell’universo.
II valore di una personalità umana è stabilito in uno scopo che l’uomo raggiunge in un certo modo, un certo modo che chiamiamo – per intenderci – ordine.
Persuasione
160 – Se tu guardi quello che parla, come lo dice, questo ti persuade.
Vedi: se è vero lo vedi, con gli occhi.
Questo è metodo che occorre scegliere e a cui aderire.
Pietà
124 – La pietà serve a tutto, perché ha la promessa di essere utile per questo mondo e per l’altro.
Pigrizia
45 – Se sei pigro, dopo essere stato caldo e vivo fino a un anno fa, ritorna a un anno fa.
Esser pigro vuol dire perder tempo e il «perder tempo a chi sa più spiace» [Dante, Purgatorio, canto III, v.78].
E siccome anche se dici: «Mi metto, non perdo più tempo neanche…», ti trovi dopo due settimane ad averne perso più di prima, capisci che tutto è dato, tutto è dono, e devi chiederlo.
Plagio
84 – Se non fosse vero che i princìpi con cui giudicare la propria esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da altro da sé per giudicare sé.
Plagio: l’uomo sarebbe un plagiato; plagiato è quel fenomeno di esperienza in cui i criteri con cui l’esperienza giudica se stessa sono inoculati violentemente da qualcosa che sta al di fuori e non provengono da se stessi.
Poesia
383 – Chi pretende di definire non è un poeta e quindi neanche un filosofo, perché la vera filosofia è nata come poesia, e il vertice della filosofia ancora si esprime in poesia.
Popolo
278 – Pensate, erano dodici, i nomi sono stati scritti.
Dodici: pensate quanti sono stati, quanti siamo e quanti saremo.
È una realtà, che si chiama popolo di Dio, l’insieme di coloro che lo riconoscono, che riconoscono che in Lui tutto consiste, «tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3): è un uomo, un uomo con questa potenza.
307 – […] «Io sono Dio» riecheggia: la voce diventa presente attraverso tutti coloro che lo ascoltano, che lo odono e fanno da ponte.
Qui non si tratta di un ponte radio, si tratta di una creazione di una realtà umana diversa, si tratta di generazione di popolo, di generazione di un tipo umano così diverso che ne nasce una gens, ne nasce una razza umana diversa, diceva Paolo VI.
Nella miseria della nostra pusillanimità, noi saremo parte di questa razza umana diversa.
420/421 – Così è per la nascita di un popolo: è una concezione della vita, è un sentimento del reale, è una onestà di fronte alle circostanze, è una risposta intensa di fronte a una provocazione, secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità.
421 – Generare un popolo non vuol dire buttar fuori dal seno di una donna, vuol dire comunicare una cultura, cioè una concezione, una percezione, un affezione, un impegno, una serietà nel lavoro, una genialità del lavoro, una capacità di abbraccio e di ospitalità.
Un popolo è una concezione, un sentimento.
Nel nostro breve popolo che è il Gruppo Adulto ognuno di voi mi interessa più che mio padre e mia madre; è più vicino, prossimo, inerente, immedesimato: «Ma non vedete che siete membra l’uno dell’altro?».
492 – Non sappiamo niente di canti popolari […] perché non c’è più popolo.
Non credo che ci siano sintomi più gravi della distruzione di un popolo che l’assenza di canti popolari abituali.
Ma c’è un popolo che non tradisce mai, non viene meno mai: il popolo che siamo noi.
Questo popolo è pieno di canzoni, pieno di canti per l’eternità.
493 – In un raduno come questo, allora, è più necessario che si cantino i canti del popolo di Dio in cammino verso la patria.
Il popolo di Dio in cammino verso la patria siamo noi: genti di tutte le razze, di tutti gli stati, di tutte le età, di tutte le condizioni, come un essere solo, come un popolo solo.
Questo popolo non dimentica i suoi canti.
Anzi, quanto più è ufficiale il raduno, tanto più è obbligatorio il canto.
La carenza dei canti del popolo, che squalifica tutte queste generazioni, è un brutto indice: il popolo non esiste più, se non nella casa di Dio, che è il mondo.
E anche il popolo, nel senso carnale del termine, dobbiamo rieditarlo noi, dobbiamo farlo rinascere in noi, imparando, perciò, i canti popolari di qualunque tipo, basta che siano belli!
Lo strumento per ridestare il cuore, lo strumento principale è il canto.
Questo è un esempio dell’incidenza della fede sulla vita terrena del singolo, della famiglia, del popolo.
580 – Come ha fatto Gesù, da Giovanni e Andrea e Simone, ad arrivare fino a mia mamma? È arrivato a mia nonna! Alla mia bisnonna.
Al mio papà è arrivato attraverso mio nonno e mio bisnonno, che erano incalliti… non dico atei, ma quasi.
È arrivato attraverso il flusso generativo e attraverso il flusso comunicativo di una cultura, di un pensiero, di una mentalità di popolo (mentalità di popolo: cultura); quindi attraverso una generazione che ha creato una storia, è arrivato a un particolare, l’ha inglobato e si è comunicato ad esso.
Portico di Salomone
579 – Dopo che è venuto lo Spirito Santo si sono radunati sotto il portico di Salomone.
Il luogo era il portico di Salomone e quel gruppo di persone sempre lo stesso.
E siccome era Pasqua e gli Ebrei venivano da tutte le parti del mondo, andando al tempio vedevano sempre quel gruppo lì e dicevano: «Ma chi sono quelli lì?».
«Sono quelli che seguono quel poveraccio che hanno ammazzato, faceva miracoli e l’hanno ammazzato. Ma loro credono che sia risorto».
Poi, da quel buco lì, sono arrivati a Kerala, in Spagna, poi sono arrivati fino a lui e a me e così è arrivato anche a voi.
Positività
(Cfr. anche: apertura)
64 – Questa positività naturale non è una virtù, cioè non è un’opera dell’uomo – prodotto della libertà -, ma è opera di Dio: crea le montagne e, creando te, crea uno che, diventando cosciente della presenza delle montagne, dice: «Che bello!».
Perciò originalmente, la conoscenza del reale, di ciò che è, ottiene l’interesse attonito dello sguardo umano, dell’uomo come un bambino.
290ss – Intervento. «La mia vita arriverà al compimento solo se si fonda su una presenza che riconosco e seguo. È nel seguire questa oggettività che è possibile la certezza, cioè l’atteggiamento positivo di fronte alla realtà?»
Di fronte alla realtà io posso avere un atteggiamento scettico, negativo, o un atteggiamento simpatetico, positivo.
291 – Lei ha chiamato certezza l’atteggiamento positivo.
L’atteggiamento positivo verso la realtà – non scettico, negativo – da che cosa deriva? Dalla compagnia? Qui siamo tentati di essere più cauti nel rispondere; ma non deriva dalla compagnia: deriva ancora dalla natura.
La certezza realmente c’entra anche con la compagnia: se una compagnia rispetta naturalmente le cose originali, favorisce in noi una posizione positiva e, perciò, istiga la curiosità verso le cose.
Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo? Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro una speranza.
Se nell’affrontare una cosa non hai speranza, non è positivo il tuo atteggiamento.
292 – Perciò, riassumendo, una positività di fronte alla vita, alla realtà, non la introduciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura; la compagnia ci rende più facile accettare questo, anche attraversando condizioni brutte, situazioni complesse.
293 – La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo.
positività e compagnia
291ss – La certezza realmente c’entra anche con la compagnia: se una compagnia rispetta naturalmente le cose originali, favorisce in noi una posizione positiva e, perciò, istiga la curiosità verso le cose.
Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo? Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro una speranza.
Se nell’affrontare una cosa non hai speranza, non è positivo il tuo atteggiamento.
292 – Perciò, riassumendo, una positività di fronte alla vita, alla realtà, non la introduciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura; la compagnia ci rende più facile accettare questo, anche attraversando condizioni brutte, situazioni complesse.
293 – La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo.
positività e libertà
295 – Intervento: «Se la posizione positiva di fronte alla realtà è un atteggiamento naturale, allora vuol dire che mantenerla è un problema di libertà?».
Giusto! È un problema di libertà: tocca a te; è qui dove casca l’asino (tu ed io!).
È una questione di libertà, ma è qui il punto dove si vede la fragilità della libertà.
È qui dove l’uomo capisce la sua debolezza.
positività vs sospetto/dubbio
169ss – Se l’individuo si pone verso la realtà con sospetto, guarderà tutte le cose con sospetto; appena trova un intoppo, lo interpreta in favore del suo sospetto.
Se invece è uno che si pone di fronte alla vita non con sospetto ma con positività, non è che lui, davanti a quella duplice versione delle cose, sia genialmente e stranamente – profeta ispirato – portato alla versione positiva.
Ma c’è un fattore, che gli altri non considerano e che lui, siccome è aperto, considera.
170 – Allora c’è un altro modo per spiegarlo: se è positivo, va alla ricerca di questo modo.
171 – Chi parte con posizione di sospetto, sempre, necessariamente, è obbligato a cancellare alcuni fattori in gioco.
179 – È solo un atteggiamento positivo che arma, ti mette in lizza per scoprire la verità di una cosa.
181/182 – Quello che di bene la posizione positiva ti ha portato a fare non puoi scordarlo; non puoi dimenticare che un atteggiamento positivo di fronte a una questione di verità ti ha portato ad essere migliore in questa cosa e in quest’altra.
Mentre il sospetto rabbuia tutto.
291 – Di fronte alla realtà io posso avere un atteggiamento scettico, negativo, o un atteggiamento simpatetico, positivo.
Possedere/possesso
129 – Se tu guardi il cielo stellato, non ti viene da negare lo stupore e sovraccaricarlo o vincerlo con una domanda: «Come posso io possedere tutte queste cose qui?».
Anzi, questa domanda ti viene, ma dopo, però.
Quando hai accettato che il cielo è stato fatto da Dio, che il cielo stellato è fatto da un Altro, allora incominci a possederlo; ma non perché prendi le stelle come le pere dall’albero.
288 – «Abbiamo detto che la speranza è la certezza nel futuro che si appoggia sulla certezza di un presente. Ma un presente è veramente presente nella misura in cui tu lo possiedi» [Si può vivere così? p. 156]
Intervento: «Puoi spiegare “nella misura in cui tu lo possiedi“?»
Il possedere umano è quando con la ragione uno afferra la realtà che ha davanti secondo la totalità dei suoi fattori […] che solo la ragione può afferrare.
Il secondo strumento per possedere è l’affetto.
350 – Non mi direte che la serietà del vivere è essere al Parlamentno italiano, o anche inglese, o anche americano: sono giochi terribili di gente che vuole possedere e nasta!
368 – «La libertà non solo causa letizia, la libertà nei rapporti non solo causa letizia – cosa vuol dire libertà nei rapporti? Che il rapporto è poggiato su qualcosa che permane, cioè sul divino che permane -, non solo la libertà ti causa letizia, ma ti fa scoprire che non sei privo di niente, non ti manca nulla, non ti manca nulla perché tutto è tuo. Come mai tutto è tuo? Perché hai ciò che ti è necessario, hai tutto cioò che ti è necessario» [Si può vivere così? p.220]
382 – Un fiore guardato scoprendo la prospettiva infinita sterminata, infinita – infinita nel senso letterale della parola – della radice che lo fa consistere, nella prospettiva cioè del Mistero che in esso si esprime: questo è un possesso del fiore senza nessun paragone più grande.
Questa seconda modalità fa essere l’uomo più contento e carico di lode per ciò che esiste, lo fa essere religioso – che è la parola più piena che ci sia – o lo fa essere poeta, almeno poeta.
390 – Se in qualche modo non si concepisce l’immanenza del Dio presente, del divino presente, di un Oltre presente, di un Tu presente, si è legati a quel che si sente, non a sé: si ha il disprezzo di sé, vergogna di sé, ci si sente carogna, ma si è legatissimi a quel che si sente.
La povertà, perciò, comporta un modo di possedere, un modo di rapporto, un modo di possesso e di presa.
391 – Cristo ci invita alla povertà, cioè ci invita ad un rapporto di possesso che non si realizzi secondo quel che uno sente: allora l’universo intero che sostiene quella particolare cosa – perché ogni particolare è sostenuto dall’universo intero – sarebbe in funzione del tuo piacimento.
Per questo, quando il piacimento è serio, e uno allora fa famiglia, l’universo grida: «Per sempre! Indissolubile!».
401 – Non bisogna mai dimenticare: «Che importa se prendi tutto il mondo e poi perdi te stesso?» (Mc 8,36): perdi ciò che possiedi, perdi Colui che possiede; tutto svanisce.
406ss – […] Guardandoti dentro, tu capisci, capisci che il voler bene a una persona non è prenderla, ma è abbandonarsi.
L’abbandono è come se ti liberasse, non nel senso che ti libera della persona, ma ti libera nel rapporto con la persona: l’hai senza preoccupazione di averla, ce l’hai, qualunque sia la risposta.
407 – Monsignor Galbiati: «Tutto questo è mio. Per adesso lo lascio lì», cioè per adesso lo accetto come Cristo l’ha voluto e lo vuole.
Quello di Monsignor Galbiati di fronte allo spettacolo della natura era un abbandono.
Non abbandono nel senso che lascia lì.
L’abbandono indica un modo di presa, il modo vero della presa: la presa di una cosa nella sua realtà finale, fin nella sua sorgente.
La sorgente della cosa essendo Dio, è una presa della cosa fino al palpito della intelligenza e della sapienza del cuore con cui Dio la crea.
Scusate, ma Monsignor Galbiati sul terrazzo e tutta la catena delle Alpi…più chiaro che il sentimento di quell’uomo era di possesso!
408 – Intervento: «Allora l’abbandono non è abbandono della cosa, ma è abbandono di noi stessi come capaci di capire, capaci di prendere la cosa?»
Come possessori della cosa! Perché qui il termine di paragone è la povertà.
Proprio perché non è mio, in quanto non mio, io mi appoggio, mi appoggio tutto, mi abbandono tutto.
È solo a qualcosa che non è mio che mi posso abbandonare totalmente.
409 – Quando uno riconosce che non possiede lui, allora si può abbandonare a ciò che possiede la cosa.
Non alla cosa, si può abbandonare a chi fa la cosa, a ciò che possiede la cosa, e ciò che possiede la cosa non è la stessa cosa: è un’altra cosa.
Se non è l’uomo a possedere, tanto meno è la cosa a possedersi: le stelle del cielo non sanno chi sono, non si possiedono neanche come inizio di quella riflessione su di sé che è l’autocoscienza.
L’autocoscienza è solo nell’uomo dentro l’universo.
L’autocoscienza è l’inizio di un possesso.
Pretendere, perché c’è come inizio, di essere la sorgente del possesso completo: questo è l’orrore dell’uomo che Dio denunzia come peccato originale.
410 – Proprio là dove uno capisce che la persona o la cosa che ha davanti o l’avvenimento che accade non lo possiede lui – perché non lo fa lui, non può sperare di possederlo, perché la sua vita è breve, ma più breve ancora è la misura della sua forza-, allora può abbandonarsi a ciò che fa quella cosa […] al Mistero da cui sorge la catena delle alpi, al Mistero da cui sei sorto tu.
Uno può abbandonarsi sicuro, sicurissimo, se la cosa non è sua.
È proprio non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia, la fiducia in ciò che realmente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginatività nella creazione, nell’edificare.
411 – Proprio ciò che manca dimostra che tu non possiedi.
Ma riconoscendo questa assenza di possesso, riconoscendo la tua povertà, la tua impotenza di fronte alla sorella down o all’amico che ti tratta male, tu ti abbandoni o puoi abbandonarti a quella origine misteriosa, a quella oscurità dalla quale sorgono le cime delle Alpi.
412 – Vedi tutto, di cui la maggior parte è nel buio; questo buio cui abbiamo fatto riferimento con la parola Mistero – il Mistero da cui tutte le cose nascono, da cui tutte le cose sono possedute, sono fatte: sono possedute perché sono fatte-.
Uno possiede ciò che è capace di fare.
E l’uomo dallo zero non può fare nanche una piccola mosca, neanche un filo d’erba […]
Mentre ciò che fa il filo d’erba è ciò che possiede il grande Monviso: è lo stesso.
L’abbandono è il non possedere niente; il bambino è totalmente abbandonato a sua madre, perché non possiede niente.
423 – L’amore o incomincia come dolore o resta come documento di una famelicità di possesso.
La famelicità di possesso è assolutamente precaria: mi spiace per me e anche per te, per tutti!
479 – «Uno possiede veramente una persona, ama veramente una persona, vuole bene a una persona, quando si stacca da essa e vede in essa un Altro» è lo stesso – identico – che dire: «Una persona è amata quando è voluto il suo destino».
C’è il suo destino, altrimenti quello che vuoi è rubare ad essa, strumentare te stesso qualcosa di essa, tradendo il fondo di essa, ciò di cui è fatta e per la cui manifestazione è fatta, il godimento ultimo per cui essa c’è: perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla.
525 – il centuplo è un altro modo di guardare, di esser commossi, di servire, di adorare, cioè di possedere.
Un ragazzo s’avventa addosso alla ragazza.
Perché? Sono raptus maniaci? No, non necessariamente.
La radice del suo errore sta in un grande desiderio di compimento, di soddisfazione, di possesso della bellezza, di bene compiuto, di bene realizzato: sono le esigenze del cuore.
Il paragone tra possesso verginale e possesso non verginale è il paragone tra un possesso creativo, oggettivamente utile per il mondo intero, e un possesso che casualmente può essere creativo e, quando lo è, non lo è per il mondo: non è utile per il mondo, se non casualmente.
possesso di Cristo
366 – La speranza è solo quando affronti il tempo partendo da qualcosa che hai presente e che non è tuo; qualcosa che è più di te stesso, ma non è tuo.
È più che te stesso, è qualcosa che viene prima; c’è qualcosa che viene sempre prima, e l’importante è qualcosa che viene prima: ciò che nel presente è in te e non è tuo.
Si può usare il termine «possesso di Cristo»: indica la totalità del presenza di Cristo nell’istante che stai vivendo e la sua totale immanenza a te, totale presenza a te.
Tutta la chiave di volta è un possesso presente, o, meglio, un rapporto presente, una relazione presente.
Povertà
73 – Il superfluo ingombra la purità dell’ordine, ed è per questo che nella storia del cristianesimo che dedica la sua vita a Dio nel convento o nel monastero fa professione di rinuncia al superfluo: la donna è superflua per l’uomo se non è amica, ma «amica» è una persona: e il fare quello che si giudica più giusto è superfluo, per cui l’obbedienza basta ed è più sicura; e la povertà non solo è utile, ma è necessaria, per spazzare via il superfluo.
343ss – Una delle parole che maturano e impongono la loro grandezza di implicazioni e di evidenti derivazioni, che spostano sempre oltre il limite della loro applicabilità, della loro capacità di spiegare, una di queste parole è la parola povertà.
Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità si traducono in gesti, in progetti , in riprese, in pianto e gioia.
344 – La parola povertà è una delle tre, ma per capirla in modo tale da amarla, occorre una certa diuturnità, occorre un certo tempo.
La povertà, in tutte le sètte o in tutte le religioni in cui viene citata e raccomandata, è per un disprezzo del mondo, per una affermazione spiritualistica del valore dell’uomo: per affermare il valore spirituale dell’uomo bisogna distaccarsi dalle cose (distaccarsi vuol dire perderle!).
345 – L’esaltazione della povertà c’è soltanto nel cristianesimo autentico, ortodosso.
Perché non è un disprezzo di niente: è il non riporre la propria certezza in niente salvo che in un presente […] ciò che ci è presente sempre: la presenza di Gesù, che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno con le circostanze, con la coda dell’occhio la vedete là..
Noi non tremiamo e temiamo, soltanto siamo un pò fragili e incerti nell’affermarlo, cioè nell’afferrarlo.
La povertà è una conseguenza del dilatarsi fino agli estremi confini della speranza.
La speranza dilata i suoi confini fino all’espremità del mondo, fino alla soglia del cielo; la povertà è una conseguenza di essa.
La povertà che cosa è?
Non porre la speranza della felicità in un oggetto fissato da noi.
Sfido uno di voi ad aver già sentito questa definizione di povertà, che è profondamente contraddittoria a tutte le immagini di povertà che vi siete fatti.
Mentre la povertà è una virtù che nasce dall’ontologia profonda dell’uomo: il suo essere una cosa sola con Cristo, essere alla presenza di Cristo.
346 – La povertà è quella libertà dalle cose – anche dalle facce – che avviene come conseguenza della identificazione chiara di ciò da cui possiamo sperare la felicità, di quella Presenza da cui ci aspettiamo tutto, che è tutto.
347 – Una libertà dalle cose: non una libertà nel senso di indifferenza, è il contrario della indifferenza.
È un appassionato aderire alla cosa, ma che non ti definisce.
Il segno della povertà così intesa è la letizia. La letizia non fiorisce su un altro terreno.
La letizia nasce esclusivamente sul terreno di questa coscienza di povertà.
La povertà è la coscienza della vera ricchezza: stabile, certa, che sfida l’eterno, sfida il tempo e lo spazio, e costruisce, con tutto costruisce, non dimentica nulla, anche una virgola sola c’entra con essa, non viene persa.
348 – Intervento: «Mi aiuti a capire meglio il lavoro diuturno rispetto alla parola povertà?»
La tua domanda vale per tutti i contenuti delle lezioni che stiamo facendo.
La tua domanda non vale solo per la povertà: vale per tutto, per esempio anche per il perdono.
Primo proposito per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una sola cosa con Cristo; con Lui, figli del Padre.
Devi volerlo, devi desiderarlo!
354 – «Se Dio, Dio presente, Cristo, se Cristo ti dà la certezza di compiere ciò che ti fa desiderare, allora tu sei liberissimo dalle cose; nasce l’immagine della libertà, innanzitutto come libertà dalle cose. Non sei schiavo di niente, non sei legato a niente, non sei incatenato a niente, non dipendi da niente: sei libero» [Si può vivere così? pag. 216].
Intervento: «Puoi spiegare meglio il concetto di povertà legato all’istante?»
Se io sto facendo una cosa e sono libero, non sono attaccato: sono povero, libero nel senso di povero. Son dentro con tutte le cose che faccio con tutta la mente e con tutto il cuore, e quanto più sono intenso in questa immanenza, tanto più sono libero dentro, le faccio quasi cantando.
368 – «Il povero è chi è certo di alcune grandi cose (per cui costruisce una cattedrale anche se vive in una catapecchia, essendo così cento volte più uomo di chi ha come orizzonte ultimo un appartamento confortevole). Perché essere poveri è essere certi? Perché la certezza implica l’abbandono e il superamento di sé: “Sono piccolo, sono niente, la cosa vera e grande è un’Altra» [Si può vivere così? pg.221].
369 – Quando entrerete nelle case, davanti alla clausola della povertà – che si identificherà sommariamente nel dare tutto quanto il vostro stipendio e i soldi che avete al fondo comune, dal quale vi verrà data la quota mensile di cui avere bisogno – non fate le “piaghe”, siate piene di abbandono, che vuol dire dono di sé e libertà dalle cose: il dono di sé ad un altro che è Gesù, e libertà dalle cose.
«È questa povertà che rende pieni, liberi, attivi, vivi, perché la legge dell’uomo è l’amore, cioè l’affermazione di un Altro come significato di sé» [Si può vivere così? p.221].
Che strano: la povertà nasce dalla fede attraverso la speranza, da una parte; e, dall’altra, trova subito un’altra mano, e diventa dono di sé a un altro, abbandono di sé a un altro, cioè amore: l’affermazione di un altro come significato di sé, non quel che fisso io, non quel che immagino io.
Così, la povertà può definirsi con questa frase: l’affermazione di un altro come significato di sé.
L’affermazione di un altro come significato di sé, per sé è amore, ma dinamicamente, come avviene, è povertà, perché ti libera da ciò a cui ti appiccicheresti.
384 – Affermare l’altro – perché c’è – come parte del significato di me; e il significato di me mi è dato dal contesto, cioè dal disegno di Dio, cui l’altro che affermo appartiene.
E questa è povertà, perché è riconoscere che il significato di me non è me in stesso.
Tutta la cultura dal Trecento in poi, tutta la cultura europea si è ribellata proprio a questo.
L’uomo si ribella al fatto di affermare l’altro come parte del significato di sé; l’uomo si ribella a questo che è in fondo povertà.
La povertà è, perciò, un ingrediente necessario alla conoscenza vera, alla conoscenza del vero significato del contesto di tutto.
386ss – Intervento: «Si può uscire dal confessionale oppressi dai propri peccati esattamente come si è entrati. Mi sembra che questo c’entri con la povertà, perché la povertà che permette il distacco mi sembra che sia la stessa che permette di distaccarsi dai propri peccati».
Tutti fan così, nel senso che per una grande maggioranza la Confessione non vale, non valet, non ha consistenza esistenziale, non incide sull’esistenza, perciò tanto meno incide sulla storia.
387 – La povertà avviene perché una certezza più grande permette che ci strappiamo da qualcosa cui fino ad allora siamo legati.
Vado a confessarmi e prevale l’immagine di quel che ho fatto sulla grandezza e certezza del perdono: il perdono non ricrea.
Soltanto lo stesso identico gesto della povertà può staccarmi da me stesso e farmi diventare ilare: perché Cristo vive, Cristo è mio, Cristo è per me.
Questo è importante.
388 – Per andar via dalla dalla confessione realmente liberi, liberi dai propri mali che si sono confessati, non basta averli confessati: dipende dalla chiarezza, dalla affezione e dalla certezza che Cristo c’è e Cristo è il perdono.
La povertà – che è distacco dai sentimenti di padronanza, di attaccamento, di legame, di schiavitù quindi, che il modo di usar le cose produce in me – è resa possibile dal fatto che c’è Cristo, che la presenza dominante è Cristo, che l’oggetto del mio sguardo è Cristo.
Per questo si può uscire finalmente liberi dalla confessione: se la confessione è andar da Cristo, non se è altro.
398 – «La povertà non è abbandonare, ma è definita dal cammino verso l’avere, verso la verità dell’avere» [Si può vivere così? p.233-238].
408 – Intervento: «L’abbandono non è abbandono della cosa, ma abbandono di noi stessi come capaci di capire, capaci di prendere la cosa?»
Come possessori della cosa! Perché qui il termine di paragone è la povertà.
La sorgente della fiducia è la povertà, e la povertà è il distacco, è che «non è mio».
Proprio perché non è mio, in quanto non mio, io mi appoggio, mi appoggio tutto, ,o abbandono tutto.
È solo a qualcosa che non è mio che mi posso abbandonare.
411 – Intervento: «Io volevo chiedere cosa è questo “tutto”. Perché in questa strada io faccio esperienza di qualcosa che mi corrisponde, però a volte – per esempio di fronte alla morte o al fatto di avere una sorella down oppure a un amico che mi tratta male, non mi basta».
Ciò che manca ti impedisce di farti da te l’immagine del tutto.
Te lo impedisce, perché non basta, quel che pensi tu non basta.
Se pretendi di dire: «Mi basta», sei finita; è il contrario della povertà: già possiedi e questa è la tua fine.
Proprio ciò che manca dimostra che tu non possiedi.
Ma riconoscendo questa assenza di possesso, riconoscendo la tua povertà, la tua impotenza di fronte alla sorella down o all’amico che ti tratta male, tu ti abbandoni o puoi abbandonarti a quella origine misteriosa.
povertà cristiana vs povertà delle religioni
344/345 – La povertà, in tutte le sètte o in tutte le religioni in cui viene citata e raccomandata, è per un disprezzo del mondo, per una affermazione spiritualistica del valore dell’uomo: per affermare il valore spirituale dell’uomo bisogna distaccarsi dalle cose (distaccarsi vuol dire perderle!).
345 – Una esaltazione della povertà c’è soltanto nel cristianesimo autentico, ortodosso.
Perché non è un disprezzo di niente: è il non riporre la propria certezza in niente salvo che in un presente. […] La presenza di Gesù che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno con le circostanze.
La povertà è un dilatarsi fino agli estremi confini della speranza.
La speranza dilata i suoi confini fino all’estremità del mondo, fino alla soglia del cielo; la povertà è una conseguenza di essa.
povertà di spirito
546 – «Beati i poveri di spirito» (Mt 5,3 – Lc 6,20): il povero di spirito è colui che non ha da difendere niente, di fronte alla realtà lui non può opporre niente – zero, niente!-.
Tutto quello che ha gli è stato dato, gli è dato.
547 – È un problema di atteggiamento: «Beati i poveri di spirito», cioè beati coloro che di fronte alla proposta non hanno nulla da difendere, nessun preconcetto, non hanno nessun preconcetto, ma devono guardare in faccia la proposta, devono capire quello che vuol dire.
Non basta dire sì: bisogna sapere perché la proposta esige il «sì».
Se tu non sei semplice e povera di spirito, se non vuoi la verità più che te stessa, se non vuoi la verità più di quanto ti pare e piace, allora introduci qualcosa di estraneo che devi difendere e che altera lo sguardo alla cosa in discussione.
551 – Questa è la decisione: se essere e rimanere e affrontare tutto come il gesto creatore che mi ha fatto, con gli occhi sbarrati – senza «ma», senza «se», senza «però», senza obiezione (sarebbe preconcetto una obiezione – sempre!- come oscuramento della evidenza)-: povertà di spirito, povertà di cuore.
Non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difender nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo cui la natura – cioè Dio – mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità umana più matura che è la domanda.
povertà e amore
369 – «È questa povertà che rende pieni, liberi, attivi, perché la legge dell’uomo – il dinamismo stabile di quel meccanismo naturale che si chiama uomo- è l’amore, cioè l’affermazione di un Altro come significato di sé» (Si può vivere così? p. 221)
370 – Cos’è amare? È affermare l’altro.
Tu appartieni alla definizione di me stesso; tu appartieni alla definizione di me.
Ma se è affermazione dell’altro come significato di me, il significato di me non sono io: è abbandono di me, è povertà.
povertà e conoscenza
378 – «La povertà appartiene a una legge dinamica della conoscenza, a una legge del dinamismo della conoscenza: per conoscere occorre un distacco» [Si può vivere così? p. 223].
Non si può conoscere se non nella povertà.
Se tu sei ricco dei tuoi preconcetti, delle tue ideologie, dei tuoi a-priori, se sei imbarazzato da essi, non conosci più
380 – La virtù della povertà appartiene così alla dinamica del nostro esistere che si applica sempre alla conoscenza, che è l’azione comunque fondamentale, originale dell’esistere.
Povertà e fede/speranza
345 – Una esaltazione della povertà di questo genere c’è soltanto nel cristianesimo autentico, ortodosso.
Perché non è un disprezzo di niente: è il non riporre la propria certezza in niente salvo che in un presente.[…] la presenza di Cristo, che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno con le circostanze.
Noi non tremiamo e temiamo, soltanto siamo un pò fragili e incerti nell’affermarlo, cioè nell’afferrarlo.
Vale a dire, la povertà è una conseguenza del dilatarsi fino agli estremi confini della speranza.
La speranza dilata i suoi confini fino all’estremità del mondo, fino alla soglia del cielo; la povertà è una conseguenza di essa.
La povertà cosa è? Non porre la speranza della felicità in un oggetto fissato da noi.
399 – «La fiducia (fede), ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita.[…]È la povertà in senso positivo, è il senso positivo della povertà: la fiducia, fidere se alicui (affidarsi a uno)» [Si può vivere così?]
408 – Intervento: «Allora l’abbandono non è l’abbandono della cosa, ma abbandono di noi stessi come capaci di capire, capaci di prendere la cosa?»
Come possessori della cosa! Perché qui il termine di paragone, ricordiamolo è la povertà.
La sorgente della fiducia è la povertà, e la povertà è il distacco, è che «non è mio».
Proprio perché non è mio, in quanto non mio, io mi appoggio, mi appoggio tutto, mi abbandono tutto.»
410 – È proprio non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia in ciò che realmente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginatività nella creazione, nell’edificare.
povertà e letizia
347 – E il segno di questa libertà dalle cose qual’è? La letizia!
La permanenza della coscienza, il maturare della coscienza, il fatto che questa diventa abituale ha come segno proprio la letizia.
Il segno proprio della povertà così intesa è la letizia.
La letizia non fiorisce su un altro terreno.
La letizia nasce esclusivamente sul terreno di questa coscienza di povertà.
La povertà è la coscienza della vera ricchezza: stabile, certa, che sfida l’eterno, sfida il tempo e lo spazio, e costruisce, con tutto costruisce, non dimentica nulla, anche una virgola sola c’entra con essa.
358 – «Dalla libertà dalle cose – che nasce dalla certezza che Dio compie – una condizione di letizia: è qui che la fede fa nascere la letizia» [Si può vivere così? p. 217].
La letizia è lo stato d’animo pieno di respiro e di libertà di uno che è certo della sua felicità.
359 – Intervento: «Cosa significa che la letizia implica una comprensione dell’essere?»
Se uno percepisce le cose – tutto ciò che è – e innanzitutto la propria esistenza come un qualcosa dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità, allora dominano gratitudine, certezza e fiducia (componenti della letizia).
povertà e sì a Cristo
393 – «Si può dire che la povertà applicata al conoscere è anche il dire dì a Cristo prima che il capire?»
Il problema non è capire. […] ma è dir sì prima di capire: e questo è distacco.
Il bambino è l’esempio di questa povertà, perché il bambino è povero – non ha niente il bambino -, ma è davanti alla realtà con gli occhi spalancati e la bocca aperta, curioso.
394 – Il sì detto prima di capire vuol dire disponibilità.
La povertà è disponibilità.
È la disponibilità alla semplicità del cuore, questa è un’ultima forma di povertà della conoscenza.
Le legge generale, secondo la quale non si può capire se non si parte da una ipotesi positiva, qui diventa omaggio al Mistero, alla misteriosa bontà del Creatore: Egli è padre anche se fa morire, Egli è padre anche se castiga, Egli è padre anche se fa venire i terremoti.
Non è una cosa da poco: questa povertà è l’aspetto supremo della povertà.
Staccarsi dalle proprie vie, dai propri parametri, dalle proprie misure di certezze è povertà, è povertà sublime.
La povertà sublime è questa.
povertà e verginità/obbedienza
71 – C’è uno strapparsi da sé che si chiama obbedienza, e c’è una figura dello strapparsi da per andare a – il liberarsi da ciò che è più ristretto per andare verso qualcosa di più largo – che si chiama povertà.
Il sacrificio dello strappo per andare più avanti, per possedere di più, si chiama obbedienza; e l’allenamento a questo strappo si chiama povertà.
343/344 – Una di queste parole che maturano e impongono la loro grandezza di implicazioni, che spostano sempre oltre il limite della loro applicabilità, della loro capacità di spiegare, una di queste parole – invece normalmente buttata via anche da quelli che se ne fanno un ornamento (la fanno il centro della loro teologia, la teologia dei poveri, ili vangelo dei poveri) – è la parola povertà.
Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e in gioia.
La parola povertà è una delle tre, ma per capirla in modo tale da amarla, occorre una certa diuturnità, occorre un certo tempo.
proposito per la povertà
348 – Primo proposito per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una cosa sola con Cristo; con Lui, figli del padre.
«Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile nella giornata».
E questa è la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.
La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.
povertà vs possesso
381/381 – Che una cosa sia segno vuol dire che, a un certo punto, ti butta al di là di sé stessa.
Conquisti questo: l’intuizione di un esistente che, mentre tu lo affermi, tu devi abbandonare.
Devi distaccarti da esso perché sei troppo piccolo, non riesci ad abbracciarlo, non riesci a definirlo: questa è povertà.
L’opposto della povertà sarebbe pretendere di definirlo:definire una cosa è possedere una cosa.
Non poter definire una cosa vuol dire povertà di fronte ad essa.
Preconcetto
42 – Uso scorretto della ragione: quando uno pretende di dare un giudizio fissando l’attenzione su un una parte della questione e dilatando ad ispirazione per il giudizio sul tutto l’effetto che la considerazione di questa parte gli fa sull’anima: è la dinamica del preconcetto.
153 – Il preconcetto, da qualunque parte venga, è qualcosa che ammetti tu.
Gli apri la porta, gli dai il bicchiere di vino, alterando così la semplicità con cui l’aria di casa tua ti era stata data e avevi cominciato a berla.
L’unico preconcetto è ciò che ti fa, senza del quale non potresti esserci.
174 – Quando si ha un preconcetto, se si è attaccati a se stessi, si porta avanti questo preconcetto impeterriti fino a quando si trova qualcosa che sembri finalmente dar spunto per una conferma.
175 – Quando uno parte da un preconcetto, alla fine la sua ragione diventa irragionevole, arriva a fare delle affermazioni che sono veramente stupide, anzi non solo sono stupide, ma sono anche contro l’evidenza.
185 – La parola è l’indice di una esperienza, cioè del modo con cui una realtà, o la realtà in un suo aspetto, vi si palesa, ti colpisce.
È il contrario del teorico; è tutto teorico quello che non è esperienza.
Tutta la filosofia moderna non nasce dall’esperienza, ma è un’applicazione di un a-priori, cioè di un preconcetto.
228 – Non venire alle assemblee da investigatori, che spesso traduce qualcosa di peggio: un preconcetto.
304 – Qualunque altra cosa che tu aggiunga o trattenga nascostamente dentro le pieghe della domanda è un preconcetto che vuoi salvare e che ti complica.
Preferenza
(Cfr. anche: prossimità)
196 – Paradossalmente, un amore è preferenziale quando ti fa struggere dalla voglia che tutti si amino così, quando ti piega a quello che sembra il contrario di se stesso.
237 – Il sì di Pietro a Gesù, la preferenza profonda che Pietro aveva per Lui, è un atteggiamento affettivo che vince.
Questo attaccamento affettivo, che quei dodici hanno avuto verso di Lui, questo aderire a Lui nonostante non capissero, è l’inizio del concetto di obbedienza.
483 – Una preferenza è tale in quanto è segno dell’ultimo, del grande, del totale, del finale: dell’ultimo.
541 – Il vero errore è non sottomettere la ragione all’esperienza: è il prevaricare della dialettica, la caparbietà della domanda, la preferenza data ad un interrogativo non del tutto vero, in quanto non voluto o non veramente interrogativo, perché in ultima analisi ha un contenuto di pretesa su cui non si vuol cedere: «so già», «In fondo io devo saper già».
Preghiera/pregare
Cfr. anche: domanda, mendicanza)
33 – La domanda a Dio non è nient’altro che l’estrema espressione di questa aspirazione del cuore: il cuore chiede la felicità.
Per pregare l’unica condizione è questa: riconoscere che la risposta non c’è da nessuna parte in questo cammino terreno, quindi c’è altrove, c’è oltre.
64 – La preghiera è la cosa più nostra che esista; e tutto quello che possiamo dire, tutto quello che potete pensare, tutto quello che si è, è dentro la preghiera, perché la preghiera è fatta di domanda.
69 – La preghiera, il chiedere: questa sì è la cosa più semplice che ci sia, perché un bambino appena nasce, vagisce, cioè chiede, esprime una domanda.
89 – La preghiera appartiene all’orizzonte culturale normale, naturale dell’uomo.
La preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre più la risposta, si chiama fede.
227 – Prepararsi all’assemblea vuol dire pregare, quindi chiedere a Dio che si riveli, che venga, che risponda, che corrisponda, che sia capace di non stare lì irrigidito, ma di allargare le braccia e accettarlo come il grande amico senza del quale non avrebbero né occhi, né parola anche le persone più care.
269 – Domandare – è la differenza del bambino dall’animale: chiede -, pregare, domandare, domandare di entrare sempre più nel Mistero, di affondare sempre più nel Mistero.
346 – Come si fa ad averne coscienza sempre (della Presenza)?
Ripetendo gesti di coscienza, e stando attenti al luogo in cui Cristo stesso ci desta la coscienza, che è la compagnia vocazionale: attraverso l’autorità che non dovrebbe parlare se non provocandoci a questo; e attraverso tutte le forme del nostro stare insieme: innanzitutto la preghiera, che forma la regola.
348 – Riprendere continua coscienza di quello che si è, una sola con Cristo.
Come primo proposito: «Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile nella giornata».
E questa è la preghiera! La preghiera che è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.
385 – Ecco, allora, il senso dell’intervento sulla preghiera della nostra amica portoghese – perché bisogna definirne il senso compiuto, altrimenti si è ingiusti nel dialogo -: di riconoscere l’esistenza dell’altro come parte del significato di sé, di questa autenticità di conoscenza, di questo amore nella conoscenza, e questa povertà nell’identificare il suo valore di significato, noi non siamo capaci.
392/393 – La dinamica del desiderio nella libertà l’ha già accennata la nostra amica portoghese, perché la preghiera è desiderio espresso.
393 – Se la preghiera è desiderio espresso, la dinamica del desiderio nella povertà è la domanda che ciò per cui essa è necessaria accada.
Per che cosa è necessaria la povertà? Per conoscere e possedere: che questo possesso avvenga. In paradiso sarà il possesso di Dio, non un distacco per avere possesso.
472 – Ma come dovremo pregare questo Mistero? «Quando pregate dite: “Padre nostro che sei nei cieli“: il cielo è il profondo della terra, è la radice della terra, è lo spazio dell’orizzonte ultimo che è senza sponda.
529 – C’è un fenomeno di cui dovremo renderci sempre di più conto, c’è una parola che dobbiamo capire in che senso è esperienza – perché per noi non lo è -: è la preghiera.
La preghiera è lo sguardo che l’uomo porta a qualsiasi cosa, attraversandola tutta violentemente e giungendo all’infinito, al punto infinito in cui nasce.
E facendo così, nel guardare quella cosa, parla, io stesso divento parola, io stesso divento parola con l’infinito, all’infinito, cioè divento preghiera.
Presente
139 – Ma come facciamo, ragazzi, a radunarci parlando di queste cose, pensando a quell’uomo che non sarebbe più se non fosse presente; non sarebbe più ora e non sarebbe mai stato; con la pretesa che ha sulla mia e sulla tua vita, non sarebbe mai neanche stato se non fosse presente, presente a me e a te ora!
168 – Noi ci mettiamo davanti alla lettura dei vangeli come davanti a una presenza che si impone a noi, oggi, nel presente; una presenza che ha dentro tutta la tradizione come proprio contenuto.
Noi non possiamo partire che dal presente, da una esperienza vissuta nel presente.
192 – L’uomo parte dal presente: non c’è niente da fare!
L’uomo non può non partire dal presente: un istante fa non c’è più e un istante dopo non c’è ancora.
Perciò per conoscere la realtà l’uomo parte dal presente e s’accosta alla realtà nella misura in cui, in questo presente, allora conosce anche la realtà.
Per favore, provate a immaginare da quale altra cosa si parta per conoscere se non dal presente: ditemi un’altra cosa!
Uno potrebbe dire: «Uno parte da quello che ha in testa».
Questa è la condizione con cui accosta il reale nel presente.
199 – L’uomo con capisce questo: l’adesione a Dio, il riconoscere Dio, l’amicizia con Cristo, la memoria di Cristo, la presenza di Cristo riconosciuta incomincia a fargli vivere quella felicità che lo aspetta per l’eternità.
Perché l’eternità o incomincia qui o non c’è, secondo la mia affermazione che ciò che in qualche modo non si rivela dentro l’esperienza del presente, del nostro presente, non c’è; non «non c’è lì», non c’è, non esiste.
Tutto ciò che esiste si riflette nella conca apparentemente piccola, ma così intensamente luminosa da essere tendenzialmente infinita, della nostra coscienza presente.
345 – (La povertà) non è un disprezzo di niente: è il non riporre la propria certezza in niente salvo che in un presente.
Di tutto ciò che è presente – perché tutto ciò che non è presente, in qualche modo non c’è -, non riporre certezza, per quanto riguarda il nostro futuro, se non in ciò che ci è presente sempre: la presenza di Gesù, che è di ogni giorno, di ogni nostro impegno nelle circostanze, con la coda dell’occhio la vedete là, come la vedeva Simone sdraiato per terra: con la coda dell’occhio la vedeva e temeva, tremava e temeva.
361ss – Quell’uomo spiegava il passato, chiariva il presente […] e non avevano neanche il problema del futuro, tanto era risolto.
362 – Si può affrontare il futuro solo attraverso la tranquillità del presente.
È nel presente che si affronta il futuro
Non bisogna centrare il proprio cuore sulla risposta agli interrogativi che il futuro fa emergere: bisogna centrare il proprio cuore sulla chiarezza del presente.
Dobbiamo abbandonarci all’amore intelligente, intelligentemente ricercato come modalità, soprattutto come precisione nel fissare il proprio oggetto nel presente.
La parola più amica dell’eterno è la parola ora, non il futuro, ma ora.
contenuto del presente
363 – Adorate il presente, perché il contenuto del presente si chiama lavoro: il contenuto del presente è il significato ultimo in quanto cerca – nella nostra mente, nel nostro cuore e nelle nostre mani – di dar forma ad una azione presente
Presenza/presenza
266 – Accadde una presenza, la presenza del Verbo di Dio fatto uomo nelle viscere di Maria.
Si tratta della presenza di Colui di cui sono fatte tutte le persone e le cose, si tratta di Colui che ha creato il mondo, perciò tutte le cose create sono segno di Lui, trova la loro verità e il proprio compimento in Lui.
300 – «La grande Presenza ha dato la promessa, dà la promessa che, nella misura in cui uno domanda, sarà esaudito.[…] Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così? p.162].
345 – Un’altra valenza è che la nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza […] è amata da quest’uomo che è Dio.
346 – Si capisce benissimo che la mia certezza è fondata su una domanda, non sulla domanda come tale, sulla domanda a Uno che mi ama, a una Presenza che mi ama.
La certezza è fondata sulla Presenza.
Che cosa mi raccorda alla Presenza? La domanda.
522 – «Quando uno arrivava a venti metri da Lui, era trapassato da quella Presenza, e andava a casa con quella figura che stentava giorni a tirarsi via, doveva far fatica a tirarla via! In questo modo Cristo si metteva in rapporto con le persone realizzando una amore più utile, una amore più compagnia nel cammino, un amore che anticipava, come un sussulto, la tenerezza eterna, un amore che anticipava in tutte le cose il rapporto che ebbe con Giovanni prima di morire, quando Giovanni aveva la testa sulla sua spalla» [Si può vivere così? p.353].
Presenza eccezionale
91 – (Giovanni e Andrea) Quello a cui pensavano in certi momenti, ma sbadatamente, senza coscienza netta, davanti a quell’uomo sono obbligati a precisarlo.
Capiscono cosa vuol dire una cosa eccezionale – che pur risponde loro -: «Non c’è nessuno come questo qui. E non c’è nessuno che risponda a quello che io desidero come quest’uomo. Risponde a quel che desidero e che neanche io capisco di desiderare: non saprei io dire quel che desidero come lui sa rispondere a quel che desidero».
456 – «La carità indica il contenuto più profondo e più intimo di quella realtà suprema che la fede ci fa riconoscere. […] È nell’esperienza, perché lo si sente e, seguìto, produce effetto, cambia le cose, ma soprattutto dialoga imperiosamente con il cuore e risponde all’una, all’altra esigenza: le esigenze costitutive del nostro animo. Non si può capire né come né quando, ma è lì la sua fisionomia eccezionale, la sua Presenza eccezionale; se non lo riconoscessi presente perché non lo capisco, perché non capisco come fa ad essere presente andrei contro la ragione» [Si può vivere così? p.270].
Prete
61 – Quando ho fatto la prima riunione di preti, il primo che si è alzato mi ha detto: «Che cosa raccomanderesti a noi preti giovani?». «Che siate uomini!». «Come, che siamo uomini!?». «Che siate uomini! Per fare bene il prete dovete innanzitutto essere degli uomini».
Se siete uomini, sentite quello che è proprio degli uomini, esigenze e problemi tipici dell’uomo, vivete il rapporto con tutto quello che diventa presente e si irradia dal presente.
Nello sforzo di rispondere a tutto questo, imparate la verità sia in tutte queste cose sia quella verità di Dio che realizza la verità degli uomini.
Pretendere
541 – Il vero errore è non sottomettere la ragione all’esperienza: è il prevaricare della dialettica, la caparbietà della domanda, la preferenza data ad un interrogativo non del tutto vero, in quanto non voluto o non veramente interrogativo, perché in ultima analisi ha un contenuto di pretesa su cui non si vuol cedere: «So già», «In fondo io devo saper già».
pretendere/pretesa
71 – Quando noi ci raduneremo il sabato saremo richiamati sempre, anche se non esplicitamente, su tutti questi punti. E quanto più rifletterete – «Cosa mi hanno detto oggi? ho capito questa pagina?» -, giungerete alla domanda: «Chiedo a Dio di capire sempre di più». Non «Richiedo da Dio», ma «Chiedo»; se richiedi sei un presuntuoso, sei un pretenzioso.
551 – Questa è la decisione: se essere e rimanere e affrontare tutto come il gesto creatore mi ha fatto, con gli occhi sbarrati – senza ma, senza se e senza però, senza obiezione.
Tutto il resto tende all’equivoco, tende a mettere tra te e l’evidenza qualche cosa che inventi tu, che pre-tendi.
572 – Non è conoscendo la realtà che si conosce Cristo, perché non si ha il nesso.
È conoscendo Cristo che si conosce la realtà.
E si conosce di più Cristo domandandolo.
Perciò il peccato grave, da cui derivano tutti gli altri peccati, è l’assenza di preghiera, di domanda, ma di domanda reale, di domanda sofferta, di domanda sincera: di domanda, non di pretesa.
La maggior parte delle vostre domande sono pretese, perché hanno delle condizioni dentro, esplicitate o tenute nascoste, hanno delle condizioni dentro.
Pretesto
352 – Il libro proposto, perciò, non è un pretesto per dire quel che ti pare e piace sulla tal riga, sulla tal parola.
Pretesto vuol dire «prima del testo», prima dell’oggetto.
Prima c’è il vuoto, il vuoto mortale che si identifica con il fumo dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri.
Sentimenti e pensieri che noi opponiamo all’oggetto proposto, non come frutto di ragioni, ma come flusso di istintività prevalente.
«Prima del testo» è come un gioco di bambini con soldatini, in cui indebitamente una parte dispone le cose come già vorrebbe.
Però, come è doloroso vedere in noi uomini la slealtà prevalere – prevalere: valere prima e più di tutto, di tutto il resto -, la menzogna prevalere.
Profeta/profezia
31 – Ecco, allora, che Colui che ci ha costituiti come attesa della risposta, Colui che ci ha fatti promessa ogni tanto fa scaturire nella compagnia umana dei profeti, la voce dei profeti, i quali alla genta, tutta distratta, gridano: «Badate, per favore, che siete in cammino per un’altra cosa».
I profeti, dunque, nella tenebra in cui si muove tutta questa umanità nostra, è come se lanciassero razzi di luce nella notte: un grido che rompe un silenzio triste e confuso.
Il figlio di Zaccaria fu predetto da Dio a sua madre e a suo padre come profeta che avrebbe indicato il Messia venuto, l’ultimo di profeti, il più grande tra i figli dell’uomo, il più grande tra i nati da donna.
Eppure il più piccolo dopo di lui, il più piccolo che seguisse Gesù è più grande di lui.
276 – La gloria di Cristo è l’istante in cui un uomo capisce che tutto è fatto di Cristo; lo grida: si chiama testimonianza.
A noi è dato veder prima: si chiama profezia.
Profondo
114 – I manichini sono fatti di due dimensioni: lunghezza e larghezza.
L’uomo o la donna vivi…l’uomo vivente ha la lunghezza, ha la larghezza e ha questa cosa; e se c’è un fascino non è né la lunghezza, né la larghezza, ma il profondo.
E il profondo la ragione non lo vede, ma se le è testimoniato, se le è fatto vedere, dopo non ne può più fare a meno; potrà aver paura del sacrificio, rinunciare al sacrificio, ma sempre si sentirebbe minorata.
Programma
500 – Nel ballo, quella sera, cercavano giustamente una gioia.
Ma la gioia che si ha nel programma fatto non è mai uguale a quella che si si sarebbe aspettata.
Il programma fatto, nella sua efficienza, non copriva i dieci decimi di intensità dell’aspettativa che, specialmente in certe ragazze o in certi ragazzi, l’occasione aveva suscitato.
Promessa
29 – Quali erano i sentimenti predominanti nello stato d’animo di un ebreo devoto?
Prima di tutto che la vita è una promessa, la realtà appare promettente.
136 – Nessuno di noi sa come mai è qui, eppure capisce che non c’è niente di meglio, di più bello, di più ricco di promessa che l’esser qui; e capisce che non può andar via senza andar via da sé stesso.
Sarà anche sotto la parvenza o la maschera della promessa, ma una promessa che è più densa e concreta e tangibile di questo vetro.
296 – «Il desiderio diventa sicuro di sé quando […] domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza lo ha promesso» [Si può vivere così? p. 161].
Proporre/proposta
351 – Ricordiamoci che senza lettura di una cosa non c’è lealtà di pensiero; il pensiero umano si pone e si sviluppa come presa di coscienza di un oggetto.
Questo oggetto è la proposta.
Senza proposta c’è la fantasia nostra, una gratuità di immagini che è il contrario del valore della gratuità, che è una tentata affermazione di sé, una difesa ad oltranza di diritti acquisiti, e in fondo una affermazione di quello che, in noi, altri hanno messo.
proporre e imporre
309 – Se tu vuoi bene a una persona, vorresti imporle il messaggio che ci persuade.
Come i genitori coi bambini: vorrebbero imporre loro quello che sembra giusto; non debbono imporglielo, però devono imporglielo, che è il proporglielo: il vero imporre è il proporre indefettibile.
Prossimità
(Cfr. anche: preferenza)
434 – Sostituire il «lei» con «Lui», prima di tutto investe tutti i «lei» – tutti -; e li investe secondo la gerarchia che il tuo cuore esige, secondo la predestinazione di vicinanza, di prossimità che Iddio ha stabilito, con una ricchezza di varietà quindi, con una verità di rispetto delle proporzioni delle cose.
Prova
(Cfr. anche: sacrificio)
162 – Quella fessura è una ferita dentro il ferro che recinge il tuo cuore; è in quella ferita, o feritoia, che intravedi la vita che c’è dentro (e che non senti poi, mettendo l’orecchio su tutto l’acciaio che c’è intorno).
Il problema, perciò, è: ritornare sempre a quella ferita, o farti ritornare sempre a quella ferita (questo si chiama amicizia), o qualcosa che irrompa nella tua vita e ti costringa a vivere quella ferita (e queste sono le prove che Dio manda alla vita).
Provare
81 – Di fronte a questo oggetto di conoscenza (un poeta di fronte a un ragazzo e una ragazza innamorati)[…] prova una nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.
Fin qui non è esperienza, ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire, in questo caso spontaneamente.
Punto di fuga
37 – Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, e nella totalità dei suoi fattori c’è un punto di fuga, c’è un punto in cui i conti non tornano: invece che cerchio stretto, invece che incastro, l’esperienza razionale si spalanca, si spalanca nella fame e nella sete di un orizzonte diverso.
86 – «La ragione è misura di tutte le cose»: in che cosa sbaglia?
Sbaglia se non giustifica che manca qualche cosa, secondo la famosa poesia di Rebora.
C’è un punto in cui si sente l’aria uscire: l’abbiano chiamato «punto di fuga».
Questo sibilo non lo toglie nessuno; chi toglie questo sibilo dice una menzogna patente.
115 – Arrivati al fondo dell’esperienza della vita o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.
Noi diciamo, normalmente: c’è un punto di fuga.
La fede ci porta più in là, varca la soglia.
Non perché diventiamo capaci di varcare la soglia, ma perché uno, che viene dal di là della soglia, si siede con noi a mensa e ci racconta qual che c’è al di là della soglia: Dio diventa compagno dell’uomo.
298 – Ma cosa vuol dire che il Mistero coincide con il segno?
Vuol dire che tu guardi una faccia per quello che veramente essa è nella misura in cui essa ti richiama alla sua essenza, alla sua natura: luogo dove diventa presente l’Eterno, il Mistero.
E quindi, se il mistero è dentro la faccia, è anche presente – più presente! – dietro la faccia, come fuga all’infinito (non fuga nel senso che scappa! Fuga nel senso che trascina e svolge).
380 – La scoperta più grande avviene abbandonando le proprie evidenze sperimentali; le vivi fino in fondo, in fondo capisci che c’è un vento che ti butta al di là di esse – il vento dello Spirito ti butta al di là di esse -: il famoso punto di fuga, che si chiama anche segno.
514/515 – La passione per il mondo, non per la propria stanza nel mondo! E allora uno capisce che per il mondo deve spaccare tutti i suoi giochi.
Tutti i suoi giochi devono essere aperti: tutti i giochi devono essere trafitti da un punto di fuga e il mondo raccoglie in questa fuga che si espande sempre di più, si dilata sempre di più, si approfondisce sempre di più, si appassiona sempre di più.
557 – «Immaginati che la faccia della tua donna sia come un punto di fuga, un punto che si apre dentro lo scenario dell’universo, e da quel buco lì intravedi da dove viene la luce per tutto, che illumina tutto e da dove viene quel fiato che fa la forma di tutto.
Cioè guardi la tua donna come segno del Mistero, il segno di un’altra cosa. Perciò mantieni il sentimento».
Purezza/purità
165 – Uno che sia sulla soglia come il sì di Pietro, che dalla moralità abbia solo – solo per modo di dire – la direzione, la volontà, la simpatia profonda, è già puro, anche se «chi ha questa speranza si purifica come Egli è puro» [1 Gv 3,3].
Non vien più meno – questo è impressionante – non vien più meno la volontà di camminare; uno fa quel che può, soprattutto uno fa quello che Dio gli permette di fare, ma non vien più meno.
210 – Abbiamo sempre tradotto, per far capire questo «si purifica»,cioè questa attività etica, morale, con «si sforza di essere puro».
Soltanto che questo verbo, così come è sul vocabolario, è totalmente lontano dal nostro modo di concepire: non c’è nessuna pretesa, uno capisce che non c’è alcuna pretesa.
Perciò ultimamente, questo sforzo si traduce, si annida in un grande grido di domanda, in una grande domanda, o in una grande mendicanza di capacità di amore.
Non troverete nessuna religione in cui la morale sorga a questo modo: sorga come al di fuori del campo morale, sorga per un incontro, sorga per una presenza.
497/498 – Nell’ultimo canto avete cantato: «La luce ci faccia più puri».
Ma come? la luce illumina!
498 – Che ci faccia più puri implica l’entrata di qualche altro fattore, perché «più puri» vuol dire «più buoni», più aderenti al proprio essere e più adeguati al proprio destino.
La luce è una premessa; la purezza aggiunge un concetto di libertà, un dramma di scelta, un gusto diverso, non mi capite?
La luce quale scopo ha? Quello di rendere più buoni? No! Come tale la luce è una metafora che indica il vedere, è la formula del vedere, del riconoscere.
La luce si esprime come giudizio; la purità non si esprime come giudizio, ma come giudizio attuato, realizzato.
La purità è una virtù, la luce è una condizione.
Il sacrificio è una purità che implica la luce.
È una purità in quanto accetta un dolore o una riscossa perché il rapporto che si sta vivendo con una persona o col proprio dovere di lavoro, di studio, di casa, sia più vero.
524 – Se uno dedicato alla verginità sbaglia, non sbaglia perché è dedicato alla verginità, ma sbaglia perché sospende l’attività della purezza in sé.
547 – «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» [Mt 5,8].
Dio è la verità ultima, è la verità; «puri di cuore» non vuol dire che sanno bene chi è Schleiermacher o Hegel.
È un problema di atteggiamento: «Beati i puri di cuore» cioè beati quelli che di fronte a una proposta non hanno nulla da difendere, nessun preconcetto, non hanno nessun preconcetto, ma devono guardare in faccia la proposta, devono capire cosa vuol dire.
Non basta di di sì: bisogna sapere perché la proposta esige il «sì».
551 – Questa è la decisione: se essere e rimanere e affrontare tutto come il gesto creatore mi ha fatto, con gli occhi sbarrati -senza «ma», senza «se», senza «però», senza obiezione: povertà di spirito, purità di cuore…
Pusillanime/pusillanimità
16 – Invece era altro che matura l’uva: era lei (la volpe) che era piccola! E «pusillanimità» traduce dal latino in modo perfetto questo essere piccoli di fronte all’oggetto grande che, comunque, dovrebbe essere riconosciuto in questione.
pusillanime vs bambino
563/564 – Quanto più le cose ci vengono ripetute o spiegate, tanto meno noi avendo capacità di resistere o dimostra l’ingiustizia della cosa, tanto più ci sentiamo circondati da un assalto, dall’assalto di quelle cose lì, in fondo in fondo perché non le voglio, non le vorrei: non «Non le voglio», ma «Non le vorrei».
Sono piccolo perché non desidero che la sproporzione che c’è con esse mi lasci persuadere, cioè non desidero che le cose più grandi mi attraggano per la loro grandezza più conosciuta, per la loro bellezza più partecipata.
È come se volessi farmi piccolo piccolo in un angola della sala per scappare via fuori dal primo buco che c’è dove l’acqua scorre.
Perciò ti senti piccolo, pusillanime: piccolo d’animo, pusillanime.
Devi capovolgere il senso di queste cose.
Occorre essere piccolo come dice il vangelo di san Matteo: piccolo nel senso di bambino.
Il bambino di fronte a una cosa grande si stupisce; se tu lo tiri via da quella ammirazione, rigira indietro la faccia.
Il semplice si lascia attrarre da ciò che è più grande, più bello e più buono.
Chi parte avendo paura del più, perde anche il meno: «A chi più ha, più sarà dato; a chi meno ha, meno sarà dato e sarà tolto anche quello che ha» [Cfr Mt 13,12 e 25/29; Mc 4,25; Lc 8,18 e 19,26].
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
I Temi di alcuni libri di don Giussani
- TEMI – Il senso religioso
- TEMI – All’origine della pretesa cristiana
- TEMI – Perché la Chiesa
- TEMI – Il rischio educativo
- TEMI – Generare tracce nella storia del mondo
- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
- TEMI – Attraverso la compagnia dei credenti (94-95-96)
- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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