
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]
Lettera «R»
Indice linkato:
- Radice
- Raduno
- Ragione
- Ragionevole/ragionevolezza
- Ragioni
- Rapporto
- Razionalismo
- Razionalità
- Reazione
- Realtà
- Redimere
- Regno
- Regola
- Religioni
- Religiosità
- Responsabilità
- Ricchezza/ricco
- Riconoscere/riconoscimento
- Ricordo
- Riiniziare
- Rimanere
- Rinascita
- Ripetere
- Riprendere
- Rischio
- Rispetto
- Risposta/rispondere
- Risveglio
- Riva
- Rivelazione
Radice
382/383 – Un fiore guardato scoprendo la prospettiva sterminata, infinita – infinita nel senso letterale della parola – della radice che lo fa consistere, nella prospettiva cioè del Mistero che in esso si esprime: questo è un possesso del fiore senza paragone più grande.
383 – L’immagine della radice che va a finire, che va all’infinito e che costituisce il piccolo fiorellino del campo, questa è filosofia, ed è senza paragone una nota più ricca che dire: «Viola mammola, fiore gentile, non c’è aprile senza di te»!
396 – E se io ti guardo per quello che sei, vale a dire come un fiore la cui radice è infinita perché per sua natura dice il Mistero, non posso non guardarti con rispetto, con respectus.
Raduno
(cfr. anche: assemblea, domande)
66/67 – Tutte le volte che ci raduniamo, il radunarsi è l’estrema esposizione della volontà di di chi vi conduce, di chi vi guida a nome di Dio, di chi vi parla a nome di Dio.
Trovate un’altra cosa che facciamo che sia più importante di quella che ha la forma di un raduno?
Il radunarsi è l’estrema esposizione della volontà di Dio.
L’ordine del radunarci è la cosa più importante dopo l’ordine di radunarci.
67 – C’è l’ordine di di radunarci: cosa facciamo? C’è l’ordine del radunarvi: il raduno è concepito come un certo ordine di cose con cui voi dovete impegnarvi.
Così se noi ci raduniamo, ci deve essere anche detto come dobbiamo radunarci.
Ragione
(cfr. anche: intelligenza)
23 – La ragione raggiunge la certezza o la pienezza di un «vero» attraverso approssimazioni, passi approssimativi.
26 – Voi avete fatto oggi un sacrificio, oggi, per una ragione.
Per una ragione: questo esalta l’uomo, questo fa diventare grande l’uomo.
Senza che la ragione cresca, l’uomo resta rattrappito.
Se l’uomo è rattrappito, è rattrappito il gusto della bellezza, è rattrappito il gusto dell’amore, è rattrappito il gusto dell’amicizia, è rattrappito il gusto del buono, del vero, del giusto: è rattrappito tutto.
37 – Le ragioni possono non costringere quando la libertà agisce ingiustamente, contro se stessa.
L’unico «danno» della religione vera, vale a dire del Dio con noi che ci invita alla sua compagnia, è che ci costringe ad essere ragionevoli.
La ragione è salvata solo qui.
[…] La fede salva la completezza della ragione dall’abisso della sua perdita.
Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, e nella totalità dei suoi fattori c’è un punto di fuga, c’è un punto in cui i conti non tornano: invece che cerchio stretto, invece che incastro, l’esperienza razionale si spalanca, si spalanca nella fame e nella sete di un orizzonte diverso.
51 – L’evidenza è quell’avvenimento che porta in sé esaurientemente le ragioni del suo essere affermato.
«Maria Teresa è una piacevole persona»: lui è di questo parere, io anche, altri meno.
Ma questa diversità non è prodotta dalla stessa sorgente di ragioni, perché l’evidenza esalta il punto di vista da cui si parte: il nostro è un punto di vista su di lei che non coincide col punto di vista di un altro.
Allora le ragioni dell’evidenza per noi non sono ragioni per l’evidenza per lui.
Ma l’evidenza è sempre e solo ciò che ha in sé, rivela in sé, le ragioni del suo porsi.
Il dubbio sull’evidenza è immoralità.
C’è una osservazione fondamentale: la ragione è esigenza di conoscere la realtà sperimentata – è nella esperienza che la realtà rivela se stessa – secondo la totalità dei suoi fattori.
52 – Quando l’evidenza riguarda un contenuto di irresistibile attrattiva, non c’è niente da fare.
Che cosa occorrerebbe per dimostrare la non verità eventuale di questa situazione?
Innanzitutto la verità di questa situazione è collocata tutta nel nel valore semantico, nel valore di segno della cosa: se questa prospettiva ti lancia per una prospettiva che non ha fine (Se ha un fine, non è secondo la natura dell’uomo, non terrebbe conto di tutti i fattori inerenti all’esperienza stessa; e infatti non è razionale, proprio perché la ragione è esigenza di conoscenza secondo la totalità dei suoi fattori).
79ss – La verità ultima, il senso della vita, delle cose, è mistero.
Cosa vuol dire? Che non si può conoscere, che non può essere conosciuto dall’uomo solo con la sua ragione.
Che cosa l’uomo con la sua ragione può conoscere?
Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.
Perché la ragione può conoscere l’esistenza del Mistero?
Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.
80 – La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
La ragione è coscienza della realtà […]: fa vedere i fattori di cui la realtà è composta.
Nella totalità dei fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (autocoscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.
Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.
In ogni singola esperienza, nella rilevazione dei criteri che giudicano l’esperienza stessa e con cui dall’esperienza si può giudicare il mondo, questa emergenza dei criteri ultimi per la ragione è immediatamente sensibile, è immediata, è automatica.
Si chiama esperienza elementare.
84 – È vero che la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori; è vero che in questa coscienza la ragione genera, rigenera continuamente e utilizza, come criterio ultimo che giudica il rapporto tra l’uomo e la realtà che sta sperimentando, principi che sono dentro di lui, permanenti dentro di lui: il suo cuore.
Ma è proprio vero che questo è tutto? Innanzitutto, è proprio vero che la ragione conta tutti i fattori?
La ragione conta i fattori[…] quando arriva in fondo manca qualche cosa.
85 – (Dopo l’esempio del bambino che smonta la sveglia) Se la ragione conoscesse tutti i fattori del mondo o tutti i fattori di cui una cosa è fatta, mancherebbe ancora un fattore, che è fuori dal numero, fuori dai pezzi e genera la forma unitaria di cui tutti i pezzi sono funzione, parte.
Perciò, la ragione – che è la mente del bambino – non è capace di fare la sveglia perché manca un fattore: la capacità di farla, cioè l’idea della sveglia.
L’idea è una altra cosa, è fatta di altro: di spirito.
In tale modo la ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero una fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calcolabili dell’esperienza stessa.
86 – «La ragione è misura di tutte le cose»: in che cosa sbaglia? Sbaglia se non giustifica che manca qualche cosa[…]: l’abbiamo chiamato punto di fuga.
La ragione all’evidenza che manca qualche cosa, all’insoddisfazione preferisce la soddisfazione orgogliosa di dire: «Li ho contati tutti».
«Se io avanzo, riesco a conoscerlo. Presto o tardi, se avanzo, lo conoscerò».
E questo è contraddittorio con la natura dell’operazione con cui la ragione si scontra con la realtà; in qualsiasi modo si scontri con la realtà deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.
88 – Comunque, di fronte al Mistero, la ragione non può dire: «Se io ci do dentro, la conosco»
Nossignore! La ragione, davanti al Mistero, rimane limitata.
Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a sé stessa, non è compiuta.
89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.
Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.
È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia da solo a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.
Ed è conseguenza, allora, non l’uso scaltro della ragione, ma dell’uso umile della ragione, del più umile uso della ragione che è la dove la ragione diventa bambino: frigna, chiede, domanda, cioè prega.
La preghiera appartiene all’orizzonte culturale normale, naturale dell’uomo.
96 – Una volta arrivati alla fede, per addentrarsi nel Mistero, per addentrarsi nella conoscenza del Figlio di Dio, del Verbo o dello Spirito che fa il mondo, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, il gratuito affacciarsi ai confini del reale umano usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della ragione.
È grazia questo potenziamento delle capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa capace di penetrare anche quest’Altro.
97 – La fede è un metodo di conoscenza.
Qual’è lo strumento di conoscenza che ha l’uomo?
La ragione: la ragione è il mezzo di conoscenza che l’uomo ha.
Perciò la fede è un metodo di conoscenza della ragione.
Non è un sistema di pietà, non è una devozione a Dio, non è un sentimento verso Gesù Cristo: è un metodo di conoscenza della ragione.
Perché della ragione? Perché la ragione è il sistema con cui l’uomo conosce.
Il fattore di conoscenza nell’uomo è un metodo di conoscenza della ragione.
È un metodo di conoscenza della ragione per via indiretta, attraverso un testimone.
168/169 – (A proposito della storicità dei Vangeli e della venuta della parusia che dai vangeli sembra imminente) Siccome non possiamo negare l’evidenza che abbiamo davanti, diciamo: «Abbiamo fiducia nei testimoni che ci hanno riportato la tradizione».
Allora la ragione comincia a lavorare all’interno di questa fiducia e può trovare il modo di capire questi testi senza arrivare alla conclusione che Gesù sbagli.
169 – Per arrivare a questo bisogna usare la ragione in un certo modo e documentare che cosa sia accaduto in questi testi.
Per far questo bisogna prima di tutto avere questa fiducia, perché la ragione, in tutti i modi in cui si può muovere, si muove sempre dentro una certa posizione che la persona ha in rapporto con la realtà.
207 – Abbiamo sempre detto: primo la ragione è percezione della realtà secondo la totalità dei suoi fattori; secondo, a questa totalità dei fattori appartiene l’esigenza del vero, del bello, del giusto.
Del contenuto autentico di questo ci è data esperienza diretta solo attraverso la fede: l’esperienza della giustizia, della verità e della bellezza fatta carne – carne: Gesù – è la fede che ce la fa riconoscere.
235 – « Ma parole che corrispondono al cuore che cosa vuol dire? Parole ragionevoli! La ragione è scoprire la corrispondenza tra quello che uno dice della realtà e quello che il cuore aspetta dalla realtà; la corrispondenza tra quello che uno dice della vita e le esigenze che il cuore ha sulla vita, come dice Il senso religioso» [Si può vivere così? – p.115].
Parole ragionevoli, che corrispondono alla realtà nostra, corrispondono alla realtà della nostra esperienza, secondo la totalità dei suoi fattori.
288 – Il possedere umano è quando con la ragione uno afferra la realtà che ha davanti secondo la totalità dei suoi fattori, secondo la totalità di fattori che solo la ragione può afferrare.
Se la tua ragione capisce, comprende, enumera tutti i fattori razionalmente dignitosi che compongono l’oggetto che hai davanti, tu puoi non subire emozioni.
Mentre un certo tipo di emozione sarebbe l’esito naturale del comprendere.
Il secondo strumento per possedere è l’affetto, l’affezione.
373 – Innanzitutto ogni cosa che si fa ha una ragione.
La ragione implica sempre una connessione tra il caffelatte e la vita della giornata.
Sempre la ragione è l’indizio di una rapporto tra quel che si fa e la totalità.
453ss – L’iintelligenza dell’uomo dice: «Ho capito: c’è qualcosa d’altro».
Se non dicesse così non sarebbe più ragione, perché ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori, e qui tutti i fattori non bastano.
454 – Se io dico: «Questa presenza non ci può essere; siccome io non posso capire come faccia ad essere, non ci può essere» – e questa sarebbe l’unica obiezione «razionale», nel senso di un atto della ragione -, se io dico così è contro la ragione, è irrazionale!
455 – C’è il Mistero. […] non c’eri, se ci sei è perché dipendi da quello.
Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo.
Ti livelli in modo diverso nel rapporto: così la carità c’entra con il Mistero; diventa possibile in questo caso la carità.
Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.
Sembra impossibile rassegnarsi, ma non rassegnarsi è evidentemente contro la ragione.
456 – La carità è una affezione che porta l’intelligenza ad ascoltare con serietà la vocina «Non basta».
La carità entra in gioco già in qualche modo con la natura, in quanto la persuade ad essere fedele nella percezione del Mistero.
«[…] Non si può capire né come né quando, ma è la sua fisionomia eccezionale, la sua Presenza eccezionale; se non lo riconoscessi presente perché non lo capisco, perché non capisco come fa ad essere presente, andrei contro la ragione» [Si può vivere così? p.270].
458 – «Perché la ragione dice: «È» oppure “Non è”. dire “È”, e aggiungere: “Non so spiegarlo”, lascia la ragione perfettamente e onorevolmente coerente con se stessa» (Si può vivere così? p.270/271).
Quante scoperte sono state fatte così.
Se dico: «Non so spiegarmelo, perciò lo cancello come problema». Vado contro la ragione.
461 – La ragione della carità – se non avesse ragioni, neanche una ragione, non sarebbe più un gesto umano, sarebbe abominevole -, la ragione unica che può avere la carità per essere gratuita, è il bene dell’altro.
Il bene dell’altro è che l’altro conosca e ami Cristo, il suo destino reale, il bene-bene.
Perciò la carità, come gesto umano, non esce dalla grande regola della ragionevolezza.
[…] È ragionevole chi impedisce alla ragione di sopraffare l’esperienza.
Sottomettere la ragione alla esperienza: questo è l’uomo ragionevole.
Dentro qui, quindi, si annida l’origine della definizione della ragione che noi abbiamo sempre dato.
Il fenomeno che tu incontri è carità quando ha come unica ragione il bene dell’altro ed esclude ogni calcolo di ritorno.
472 – La parola ragione in noi tende ad intristirsi immediatamente perché ce l’hanno insegnata come «due+due fa quattro», come matematica, ce l’hanno insegnata come scienza.
L’oggetto proprio della ragione si chiama verità; la verità è la realtà dell’essere in quanto esiste secondo una varietà che non «contraddice», ma «profetizza» l’immensità del Mistero infinito.
547 – Per comprendere il vero, per arrivare alla verità, il problema non è avere una ragione capace di svolgere in logica intuizioni nervosamente evidenti che si sono avute in principio; starei per dire che per Gesù non c’entra la ragione per accostare e capire che cosa è la verità.
Cosa c’entra? L’atteggiamento dell’animo: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio».
[…] Cioè beati coloro che di fronte a una proposta non hanno nulla da difendere.
La definizione che abbiamo sempre dato di ragione – coscienza della realtà, di una realtà, secondo la totalità dei suoi fattori – spiega quel che sto dicendo.
Se tu non sei semplice e povera di spirito, se non vuoi la verità più di te stessa, se non vuoi la verità più di quanto ti pare e piace, allora introduci qualcosa di estraneo che devi difendere e che altera lo sguardo alla cosa in discussione.
550 – Abbiamo detto che la ragione è come un occhio che vede le forme, però le forme shoccano l’occhio e l’occhio reagisce a secondo che siano belle e buone, e l’oggetto di colora: si colora di bello, di buono, di brutto, così che la conoscenza è terminata quando è nato l’affetto.
L’affetto appartiene alla definizione della conoscenza, cosa che nessun altro vi ha mai spiegato.
ragione e carità
457 – Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere un fattore che si chiama carità.
Madre Teresa di Calcutta la si sente nell’esperienza, ma non capisci come fa ad essere così, proprio non riesci a capirlo: puoi solo ammirarla.
ragione e Cristo
94/95 – La ragione non può dimostrare la divinità di Cristo, perché la divinità in quanto personalmente presente in una realtà umana non è oggetto proprio della ragione.
95 – La ragione può arrivare al fatto che si trova di fronte a qualcosa di eccezionale, non può arrivare a definire chi è Gesù Cristo, in quanto divino che si comunica all’umano.
Dire che oggetto della ragione possa essere la presenza del divino come tale, vuol dire che la ragione è capace di conoscenza del divino, della natura del divino, di ciò di cui il divino è costituito? No, per questo ci vuole un’altra cosa.
È l’Oceano che l’Ulisse dantesco cerca di valicare, ma l’oceano se lo mangia.
Il mare Mediterraneo è l’ambito della ragione (che Ulisse conosceva bene), è il livello della realtà come ambito della ragione; l’oceano è il livello della realtà come sorgente di tutto, cioè il divino.
ragione e cuore
84 – È vero che la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori; è vero che in questa coscienza la ragione genera, rigenera continuamente ed utilizza, come criterio ultimo che giudica il rapporto tra l’uomo e la realtà che sta sperimentando, principi che sono dentro di lui, permanenti dentro di lui: il suo cuore.
86 – La ragione è come una luce che, illuminando la lastra, fa vedere tutti i fattori, tutti i costoloni ma, insieme, fa vedere una cosa che sembra oscura ma che , puf, puf puf!, c’entra dappertutto: è il cuore, sono gli ideali, la difficoltà inizia come fatica morale, la fatica morale della non presunzione, del non pretendere.
ragione e fede
37 – L’unico “danno” della religione vera, vale a dire del Dio con noi che ci invita alla sua compagnia, è che ci costringe ad essere ragionevoli.
La ragione è salvata solo qui.
Un delle ultime frasi di un recente libro del Papa dice proprio questo: la fede salva la completezza della ragione dall’abisso della sua perdita.
Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, e nella totalità dei suoi fattori c’è un punto di fuga, c’è un punto in cui i conti non tornano: invece che cerchio stretto, invece che incastro, l’esperienza razionale si spalanca, si spalanca nella fame e nella sete di un orizzonte diverso.
79ss – La verità ultima, il senso della vita, delle cose, è mistero.
È un mistero.
Che cosa vuol dire? Che non si può conosceere, che non può essere conosciuto dall’uomo solo con la sua ragione.
Che cosa può conoscere l’uomo con la sua ragione può conoscere?
Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.
Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
80 – Nella totalità dei fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa, i principi a cui essa si affida per essere ed esistere.
Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato CUORE.
Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.
Esperienza elementare cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé; per essere completo, cioè per essere perfectus.
81 – Il contenuto dell’esperienza è la realtà.
82 – Il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.
83 – Il punto di partenza è l’esperienza.
Non quel che si prova, ma quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili.
85 – Se la ragione conoscesse tutti i fattori del mondo o tutti i fattori di cui una cosa è fatta, mancherebbe ancora un fattore, che è fuori dal numero, è fuori dai pezzi, e genera la forma unitaria di cui tutti i pezzi sono funzione, parte.
Il tale modo la ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero un fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calolabili dell’esperienza stessa.
L’idea della sveglia è oltre il livello dei pezzi.
86 – L’abbiamo chiamato punto di fuga.
87 – Se la tua natura è l’esigenza di conoscere tutti i fattori della realtà, anche l’esistenza di questo inafferabile è fattore della realtà
La ragione si scontra con la realtà: in qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.
88 – La ragione, davanti al Mistero, rimane limitata.
Cosa deve fare allora la ragione di fronte al Mistero?
89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.
Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.
È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.
130 – Il problema della fede, il gioco della ragione nella fede, avviene con questa domanda: «Chi è costui? Come fa ad essere così?».
Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domanda: «Come fa ad essere così?», non con l’impressione formidabile che destava Gesù, ma come riflesso di quella.
145 – Intervento: «Ho letto un articolo di Severino sul Corriere della Sera, e mi ha attirato il titolo, perché era: “Dio? Può essere tutto tranne che una evidenza della ragione“. In questo articolo Severino spiega che se la ragione arriva a conoscere il divino, allora il divino non è più tale. Io rispetto a questa cosa, non sapevo spiegare perché per me non era……»
L’articolo di Severino è tale e quale la mia prima ora di scuola al Berchet, quando io sono entrato in classe e in fondo alla classe uno ha alzato la mano – si chiamava Pavesi – mi ha detto: «È inutile che venga qui a far scuola. Per far scuola bisogna ragionare. Ora, tra ragione e fede non c’è nessun contatto, allora è inutile che venga qui a parlare».
Rispondete!
Se rispondete a questa cosa qui rispondete anche a Severino, ma se non rispondete a questa cosa qui, non è che non rispondete a Severino, è che non avete letto con intelligenza il libro, perché il libro (Il Senso Religioso) vi risponde.
150 – Intervento: «Perché io ho la fede e un altro no? La fede è un problema solo di ragione e libertà o c’è qualcosa di più misterioso?»
Scusami, se tu hai la fede significa che impegni in essa tutta la tua ragione e tutta la tua libertà; ragione e libertà sono alla radice della fede.
Invece che la fede si riconduca alla ragione e alla libertà: no, mai detto.
Siccome la fede è diretto rapporto col Mistero, c’è il Mistero di mezzo, la cui necessaria comunicazione, se vuol farsi conoscere dall’uomo, si chiama grazia.
Che qui occorre ragione e libertà non significa che occorra soltanto ragione e libertà; ma qui, proprio perché occorre anche altro, innanzitutto occorre tutta la tua ragione e tutta la tua libertà.
177 – Per il problema fede e ragione c’è di mezzo l’amore alla verità.
206/207 – Se tu obliteri, se tu dimentichi uno dei fattori, non è più la totalità ciò di cui ti interessi: non è più razionale.
Non solo non è più razionale, ma non è più neanche veramente fede, perché è sulla ragionevolezza che la fede gioca la sua verità.
La fede è sfida alla ragione proprio perché compie la ragione.
In che senso la fede compie la ragione?
207 – La fede fa raggiungere cose che altrimenti da soli non sapremmo raggiungere.
E di quelle cose noi abbiamo bisogno naturale, originale,
Più semplicemente abbiamo sempre detto: primo, la ragione è la percezione della realtà secondo la totalità dei suoi fattori; secondo, a questa totalità dei fattori appartiene l’esigenza del vero, del bello, del giusto.
Del contenuto autentico di questo ci è data esperienza diretta solo attraverso la fede: l’esperienza della giustizia, della verità e della bellezza fatta carne, carne: Gesù – è la fede che ce la fa riconoscere.
Se lasci via la carne la fede non interessa più a nessuno.
ragione e libertà/grazia
36 – Hai detto giustamente che le ragioni non ci incastrano nel senso meccanico e matematico del termine.
Perché l’uomo è libertà! C’è nell’uomo la libertà! La libertà è una capacità infinita; infatti la libertà è rapporto con l’infinito.
È dunque la libertà il valore della ragione.
La libertà è il luogo dove il valore della ragione si attua, si sente, è vissuto.
96 – Una volta che si è arrivati alla fede, per addentrasi nel Mistero, per addentrarsi nella conoscenza del Figlio di Dio, del Verbo o dello Spirito che fa il mondo, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, il gratuito affacciarsi ai confini del reale umano usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della ragione.
È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare in quest’Altro.
150 – Intervento: «Perché io ho la fede e un altro no? La fede è un problema solo di ragione e libertà o c’è qualcosa di più misterioso?».
Scusami, se tu hai la fede significa che impegni in essa tutta la tua ragione e tutta la tua libertà; ragione e libertà sono alla radice della fede.
Invece che la fede si riconduca alla ragione e alla libertà: no, mai detto.
Siccome la fede è diretto rapporto col Mistero, c’è il Mistero di mezzo, la cui necessaria comunicazione, se vuol farsi conoscere dall’uomo, si chiama grazia.
Che qui occorre ragione e libertà non significa che occorra soltanto ragione e libertà; ma qui, proprio perché occorre anche altro, innanzitutto occorre tutta la tua ragione e tutta la tua libertà.
ragione e metodo della fede
97 – Primo: la fede è un metodo di conoscenza.
Secondo: qual’è lo strumento di conoscenza che la l’uomo? La ragione: la ragione è il mezzo di conoscenza che l’uomo ha.
Perciò la fede è un metodo di conoscenza della ragione.
Non è un sistema di pietà, non è una devozione a Dio, non è un sentimento verso Gesù Cristo: è un metodo di conoscenza della ragione.
Perché della ragione? Perché la ragione è il sistema con cui l’uomo conosce.
Il fattore di conoscenza dell’uomo è un metodo di conoscenza della ragione.
Non degli angeli, della ragione!
Come mai, se è un metodo di conoscenza della ragione si chiama fede? Che metodo di conoscenza è?
È un metodo di conoscenza della ragione per via indiretta, attraverso un testimone.
ragione e Mistero/mistero
79 – La verità ultima, il senso della vita, delle cose, è mistero.
Cosa vuol dire? Che non si può conoscere, che non può essere conosciuto dall’uomo solo con la sua ragione.
Che cosa l’uomo con la sua ragione può conoscere?
Solo l’esistenza del Mistero è comprensibile alla ragione.
Perché la ragione può conoscere l’esistenza del Mistero?
Perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.
85ss – Se la ragione conoscesse tutti i fattori del mondo o tutti i fattori di cui una cosa è fatta, mancherebbe ancora un fattore, che è fuori dal numero, è fuori dai pezzi, e genera la forma unitaria di cui tutti i pezzi sono funzione, parte.
Il tale modo la ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero un fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calolabili dell’esperienza stessa.
L’idea della sveglia è oltre il livello dei pezzi.
86 – L’abbiamo chiamato punto di fuga.
87 – Se la tua natura è l’esigenza di conoscere tutti i fattori della realtà, anche l’esistenza di questo inafferrabile è fattore della realtà.
La ragione […] in qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.
88 – Di fronte al Mistero la ragione non può dire: «Se ci do dentro, lo conosco».
La ragione davanti al Mistero rimane limitata.
Cosa deve fare la ragione di fronte al Mistero?
89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.
Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.
È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.
Ed è conseguenza, allora, non dell’uso scaltro della ragione, del più umile uso della ragione che è là dove la ragione diventa bambino: frigna, chiede, domanda, cioè prega.
La preghiera è domanda al Mistero che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l‘atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.
96 – Una volta che si è arrivati alla fede, per addentrarsi nel Mistero, per addentrarsi nella conoscenza del Figlio di Dio, del Verbo o dello Spirito che fa il mondo, è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’essere agisce: la grazia, cioè il gratuito donarsi, il gratuito affacciarsi ai confini del reale umano usa della logica, della capacità critica, della capacità di sistematicità della garione.
È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare anche l’Altro.
382 – L’alt che l’onda della ragione deve accettare nell’invadere la spiaggia di un essere – sia esso piccolo o grande – è un abbandono per cui tu lo possiedi, perché ne affermi il Mistero.
Questa modalità fa essere l’uomo contento e carico di lode per ciò che esiste, lo fa essere religioso.
ragione e obbedienza
237 – «Questi sono stati ragionevoli: ragionevole è stato Simone, ragionevoli sono stati gli apostoli che sono rimasti lì, impacciati perché anche loro non capivano. L’hanno seguito lo stesso: questa è l’origine di un atteggiamento affettivo» [Si può vivere così? p.117].
Questo attaccamento affettivo, che quei dodici hanno verso di Lui, questo aderire a Lui nonostante non capissero, è l’inizio dell’obbedienza; l’inizio del concetto di obbedienza, il quale nasce dalla ragione.
errori/limiti della ragione
41ss – Il primo uso scorretto della ragione è quello di pretendere di dare giudizi su cose che non si è preparati a conoscere, a cui non ci si è preparati.
42 – Secondo uso scorretto della ragione: quando il sentimento, l’affetto, prevale sulla intelligenza della realtà.
Terzo uso scorretto della ragione: quando uno pretende di dare un giudizio fissando l’attenzione su una parte della questione dilatando ad ispirazione per il giudizio sul tutto l’effetto che la considerazione di questa parte gli fa dell’anima: è la dinamica del preconcetto.
86ss – Quarto.«La ragione è misura di tutte le cose»: in che cosa sbaglia? Sbaglia se non giustifica – per una distrazione, o una approssimazione veloce e impaziente, o una affermazione presuntuosa – che manca qualcosa: l’abbiamo chiamato «Punto di fuga».
87 – La ragione, anche quando coglie questa fuoriuscita, anche quando coglie che non riesce a spiegarsi tutto, o pretende di affermare: «Se io avanzo, riesco a conoscerlo. Presto o tardi, se avanzo, lo conoscerò».
88 – Comunque, di fronte al Mistero, la ragione non può dire: « Se io ci do dentro, lo conosco».
La ragione, davanti al Mistero, rimane limitata.
Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a se stessa, non è compiuta.
Quinto. Cosa deve fare la ragione di fronte al Mistero?
L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.
Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.
La preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.
106/107 – Il mondo non vuole misure diverse dalla proprie, specialmente il mondo di questi quattro secoli: c’è, esiste quello che posso misurare io, quello che posso spiegare io, quello perciò che posso rifare io.
Perché la pretesa che la ragione sia misura di tutte le cose significa che la ragione può rifare tutte le cose, mentre la cosa più importante fra tutte – che le cose siano – la ragione non la può fare.
oggetto della ragione
472 – L’oggetto proprio della ragione si chiama verità; la verità è la realtà dell’essere in quanto esiste secondo una varietà che non «contraddice», ma «profetizza» l’immensità del Mistero divino.
Ragionevole/ragionevolezza
(cfr. anche: ragione, ragioni, razionalità)
18 – Ma come la vita, ciò di cui è fatta la vita è di un Altro, così tutta questa strada la farà un Altro, la svolgerà un Altro.
«In questo senso il gesto che compite non ha un valore ipotetico, cioè “vediamo se…”, ma è profondamente ragionevole perché quello che capite che ci deve essere dentro qui è qualcosa che corrisponde profondamente all’esistenza del vostro cuore, alla sete e alla fame del vostro cuore, al destino della vita» [Si può vivere così? p. 6].
Dunque, non è ipotetico – come se prevalesse la curiosità; la prima volta può essere curiosità, ma la seconda no, non vieni più -, non è ipotetico ma ragionevole; in qualche modo ti provoca, in qualche modo ti suggestiona (nel senso che ti dà un suggerimento), in qualche modo ti obbliga, ti obbliga!
20 – «E, per questo, è ragionevole l’incominciare, è ragionevole tutto ciò che corrisponde al desiderio della vita».
«È ragionevole che voi abbiate incominciato oggi, perché c’è stato qualcosa che vi ha fatto presentire l’esigenza del vostro cuore – l’esigenza di felicità, di giustizia, di verità e di bellezza del cuore, troverà risposta su questa strada. E la ragionevolezza è la risposta alla esigenza del cuore. Quando una cosa è ragionevole? Quando corrisponde alle esigenze del cuore. Perciò, se su questa strada avete intuito di poter trovare la risposta alle esigenze del vostro cuore, fare questa strada è ragionevole, anche se non la si conosce ancora».
25 – «Qual’è il primo passo? La ragionevolezza dello stare qui, è ragionevole che siate venuti qui. Perché è ragionevole? Si dice ragionevole ciò che corrisponde alle esigenze del cuore. Le esigenze del cuore sono ultimamente e profondamente esigenze di felicità, di perfezione e di felicità, esigenza del destino per cui si è fatti.» [Si può vivere così? p. 8].
La vocazione è la ricerca di una risposta alle esigenze del cuore.
La vocazione assicura una corrispondenza alle esigenze di questa vita: «Pur vivendo nella carne, vivo nella fede» [Gal 2,20].
Non esiste uno spirituale se non dentro un carnale.
152 – Non esiste niente di più ragionevole, di più razionalmente evidente, di più facilmente documentabile come razionalità, che la fede in Cristo, che l’adesione a Cristo.
235 – Parole ragionevoli che corrispondono alla realtà nostra, corrispondono alla realtà della nostra esperienza, secondo la totalità dei suoi fattori.
391 –
La ragionevolezza è solo questo: il particolare in funzione del tutto.
541 – È solo l’esperienza che dà il contenuto vero alle parole, come diceva Jean Guitton: «“Ragionevole” designa colui che sottomette la ragione all’esperienza».
ragionevolezza nel seguire Cristo
118 – Ma come faceva a credergli quel gruppetto di aficionados che gli era andato dietro per tre anni?
Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui dovevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi».
Questo è un modo ragionevole di procedere, è un modo ragionevole di credere: «credere», perché si afferma una cosa per testimonianza di un’altra persona; «ragionevole», perché si hanno motivi adeguati, per fidarsi di lei.
ragione vs ipotetico
18 – «In questo senso il gesto che compite non ha un valore ipotetico, cioè “vediamo se…”, ma è profondamente ragionevole perché quello che capite che ci deve essere dentro qui è qualcosa che corrisponde profondamente all’esistenza del vostro cuore, alla sete e alla fame del vostro cuore, al destino della vita» [Si può vivere così? p. 6].
Dunque, non è ipotetico – come se prevalesse la curiosità; la prima volta può essere curiosità, ma la seconda no: non vieni più -, non è ipotetico, ma ragionevole; in qualche modo ti provoca, in qualche modo ti suggestione, in qualche modo ti obbliga, ti obbliga!
Ragioni
(cfr. anche: ragione, ragionevolezza, razionalità)
14 – La ragione per cui uno è voluto venire qui oggi e incomincia una strada, può essere perché l’ha incominciata un altro, suo amico. «Eh, ma è una ragione questa?»
«Sì, è una ragione». Perché è una ragione? È una ragione perché è secondo la linea naturale del cuore, secondo lo sviluppo normale di una ragione.
24 – […] Per compiere questa strada bisogna andare di ragione in ragione.
È la ragione che stabilisce il sostegno, la colonna di sostegno del cielo – cioè del divino – che sta sopra la terra.
26 – Senza che la ragione cresca, l’uomo resta rattrappito.
Se l’uomo è rattrappito, è rattrappito il gusto della bellezza, è rattrappito il gusto dell’amore, è rattrappito il gusto dell’amicizia, è rattrappito il gusto del buono, del vero, del giusto: è rattrappito tutto.
32/33 – […] Quasi quasi, non ci interessano neanche gli errori che facciamo; ma la ragione di quello che facciamo sì, perché l’uomo incomincia da qui: non è uomo, non è umano fare una cosa senza ragione, senza che l’adeguata ragione sia ricercata o, già trovata, brandita e portata avanti, gridata da me.
68 -Sviluppare questo; e se ci preme, come faremo a sviluipparlo? Primo dicendovi le ragioni per cui uno vive lui queste cose, dicendovi che cosa significano per lui: parlarvi di queste cose dandovi le ragioni di queste cose.
104 – Ci sono tutte la ragioni e, quando si tratta di aderire, non riesco ad aderire: c’è questo iato, questo distacco abissale che sembra irrisolvibile.
È un vuoto in me tra la mia ragione e la mia volontà, è una divisione tra l’intelligenza e la volontà a quel livello fondamentale che si chiama libertà.
152ss – «Sappiate rendere ragione a chiunque della fede che è in voi»[1Pt 3,15].
Questa è la ragione: «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù».
La ragione per cui io seguo Cristo è perché seguire Cristo è bello.
Bello non soltanto dal punto di vista estetico; il bello – come lo definivano gli antichi – è lo splendore del vero.
Noi vogliamo una fede intelligente: «Sappiate rendere ragione della speranza che è in voi».
La nostra fede deve essere intelligente, deve saper rendere conto a noi stessi innanzitutto, perché sia fonte di quella tenerezza, di quella capacità di amore e di quell’entusiasmo di dedizione che sono le cose migliori della vita.
153 – « Il no non nasce da ragioni, mai: nasce da uno scandalo. […] Cristo è contrario a quello che io vorrei: io politico, io innamorato, io che ho sete di denari, io che voglio far carriera, io che voglio la vita sana. È contrario a ciò in cui uno ripone la speranza: inutilmente, perché non c’è nessuna speranza che poi accada. Il no nasce soltanto dal preconcetto» [Si può vivere così? p.48].
373 – Ogni cosa che si fa ha una ragione.
La ragione implica sempre una connessione tra il caffelatte e la vita della giornata.
Sempre la ragione è l’indizio di un rapporto tra quel che si fa e la totalità.
Anche se uno non ci pensa, quello che fa lo fa per una ragione.
459 – «La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma. La ragione di una azione è il ritorno che una azione ha» [Si può vivere così? p. 271].
ragioni e religione
24 – Mi ricordo, il figlio di Manzù, che era mio scolaro, in terza liceo una volta si alzò e mi disse: «Ma questa religione è una religione troppo pesante, troppo complicata! Va alla ricerca di complicazioni, di “ragioni“. Invece la religione è semplice, carica di sentimento...»
Sì, come quella religione che sta perdendo tutto il mondo, sta perdendo da ogni parte, ha perso tutti!
È la ragione che stabilisce il sostegno, la colonna di sostegno del cielo – cioè del divino – che sta sopra la terra.
Rapporto
48 – La nebulosità è proprio del rapporto tra la realtà e gli occhi dell’uomo, sia come conoscenza che come affezione, per cui quel che si dice della conoscenza vale anche per l’affezione.
Il tipo di rapporto tra la realtà, i nostri occhi e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è nebuloso.
È soltanto attraverso una approssimazione sempre più grande che ciò che la cosa è non si «vede totalmente» , ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.
144 – Il giudizio si forma quanto più vivi la convivenza.
Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza: non «si complica», ma diventa evidente.
Il rapporto tra persona e persona tocca il massimo della complicazione o problematicità all’inizio.
183 – Il rapporto tra persona e persona non è io più io: io più io vuol dire un mondo più un mondo. C’è una profondità senza fondo.
194 – «La libertà è il rapporto con l’infinito, con Dio, il rapporto realizzato con il Mistero. La libertà è la capacità di raggiungere il destino, la libertà è il nesso, il rapporto con il destino ultimo, è la capacità di raggiungere Dio come destino ultimo. Noi viviamo la libertà come una capacità di qualcosa che deve venire alla fine» [Si può vivere così? p. 69].
196 – Intervento: «Come faccio a capire, a riconoscere se un rapporto è adeguato perché aiuta la mia libertà, cioè mi aiuta proprio a seguire il destino per cui sono fatta? Nella compagnia vocazionale mi è più chiaro, però con gli altri rapporti no».
Molto giustamente: gli altri rapporti si presentano sempre in modo equivoco, sempre.
E devi fare molta più fatica per non renderli equivoci, per togliere l’equivoco, perché c’è di mezzo una interpretazione che diventa mediazione alterante.
Per questo, ad esempio, è semplicissimo capire se il rapporto tra due persone è giusto o no: se fa ardere dal desiderio che tutti si vogliano bene così.
205 – Lo scopo è razionale, l’istinto o la reazione sono prodotti immediati che durano quel che durano, come la miccia di una bomba.
Perché poi, alla fine, se sono rapporti che non sono stati sorpresi con la modalità con cui tu sei invitato a prendere possesso di tutte le cose e servire tutto il mondo, questa sorprendente polarizzazione dell’istinto o della reaziona a un certo punto scoppia; scoppia vuol dire deflagra: è una bomba che scoppia.
206 – Il dramma è il rapporto io-tu, tant’è vero che abbiamo sempre distinto il dramma dalla tragedia: la tragedia distrugge, termina distruggendo; il dramma termina costruendo una dimora.
Non ci può essere rapporto io-tu in cui venga soppresso quello che caratterizza l’io e caratterizza il tu: l’io e il tu sono caratterizzati dalla libertà.
260 – Se questo destino è diventato uomo ed è tra di voi, ed è riconosciuto tra di voi, allora sì uscireste dall’università con la volontà di un conseguente rapporto che, se non è con chi è lì, sarà con chi è là, e voi vivrete la stessa vita che avete vissuto lì; allora sì non sentirete nessuna distanza.
261 – Dopo quarant’anni non sono neanche un pò disunito dal mio amico Pigi che è in Brasile o da coloro che, oramai diventati genitori, mi presentano il loro bambini: tra me e loro c’è qualcosa di troppo serio, e il troppo serio, nella vita, non è la vita, ma è il Mistero che si dimostra nella vita, che si contesta delle circostanze della nostra vita.
E non c’è rapporto con nessuno dei miei amici che non lo implichi, che non me lo ricordi.
366 – Si può usare il termine «possesso di Cristo»: indica la totalità della presenza di Cristo nell’istante che stai vivendo e la sua totale immanenza a te, totale presenza a te.
È questo rapporto che può fondare la letizia del presente e la certezza del futuro.
Il cristianesimo è proprio rapporto, rapporto presente.
Rapporto non dice tanto a voi, però tenetela presente questa parola: è una parola che non è astratta, ma sembra astratta e, d’altra parte, sostituirla è impossibile.
Anche per la Trinità c’è il concetto di relazione (relazione è rapporto): relazione è la parola che si usa quando si parla del Mistero.
È un rapporto presente la sintetica misericordia con cui uno abbraccia tutto il passato, è lieto del presente anche di fronte a una bara ed ha certezza per il futuro.
381 – Si sfiacca il rapporto con l’altro, se io pretendo di non essere soltanto gioioso della sua esistenza, ammirato della sua apparenza e tutto carico del presentimento della sua interiorità, della profondità del suo essere, perciò del Mistero che è in lui.
431 – San Pietro poteva sbagliare sempre ed essere vero nel dire: «Sì, ti amo».
È su questo livello che deve attestarsi la nostra vita, su qualcosa di apparentemente generico come, realisticamente, è il rapporto con il Dio fatto uomo, con questo uomo Dio.
455 – «Perdonami, perdona le mie colpe, come io perdono le colpe che contro di me han fatto costoro» [cfr Mt 6,12].
Ti livelli in modo diverso nel rapporto: così la carità c’entra con il Mistero; diventa possibile, in questo caso, la carità.
Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.
466 – Tu prendi rapporto con una persona nella speranza di esser capita, di capirla di più, di intenderti; di aiutarvi, di muovervi l’uno per l’altro, di muovervi.
499 – Non riesci mai ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compitamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.
rapporto affettivo
96 – E se l’esperienza dell’amore in humanis sembra avere nel rapporto uomo-donna la sua espressione più suggestiva, io debbo potere conoscere e approfondire il mio rapporto familiare con Cristo e la mia affezione a Cristo così da ritrovarci dentro a un altro livello, più profondo e più suggestivo, la suggestività dell’amore dell’uomo e della donna.
196 – Intervento: «Come faccio a capire, a riconoscere se un rapporto è adeguato perché aiuta la mia libertà, cioè mi aiuta proprio a seguire il destino per cui sono fatta? Nella compagnia vocazionale mi è chiaro, però con gli altri rapporti no.»
Molto giustamente: gli altri rapporti si presentano sempre in modo equivoco, sempre.
È semplicissimo capire se il rapporto fra due persone è giusto oppure no: se fa ardere dal desiderio che tutti si vogliano bene così.
Paradossalmente un amore è preferenziale quando ti fa struggere dalla voglia che tutti si amino così, quando ti piega a quello che sembra il contrario di se stesso.
260 – Quando il rapporto sarebbe necessario come esigenza da soddisfare, come la fame che deve avere il suo cibo, come la sete che deve avere la sua bevanda, come la solitudine che deve avere la sua compagnia?
Quando aveste vissuto quegli anni facendo emergere nel sentimento che vi legasse, nei preventivi che faceste, il destino vostro.
Ma se questo destino è diventato uomo ed è tra di voi, ed è riconosciuto tra di voi, allora sì uscireste dall’università con la volontà di un conseguente rapporto che, se non è con chi è lì, sarà con chi è là, e voi vivrete la stessa vita che avete vissuto lì; allora sì non sentirete nessuna distanza.
261 – Dopo quarant’anni non sono neanche un pò disunito dal mio amico Pigi che è in Brasile o da coloro che, oramai diventati genitori, mi presentano il loro bambini: tra me e loro c’è qualcosa di troppo serio, e il troppo serio, nella vita, non è la vita, ma è il Mistero che si dimostra nella vita, che si contesta delle circostanze della nostra vita.
E non c’è rapporto con nessuno dei miei amici che non lo implichi, che non me lo ricordi.
526 – Ma l’affezione non si può sospendere: il problema affettivo gioca il rapporto diretto col divino; il rapporto affettivo ha talmente connessione col destino che crea, che è fatto per creare.
rapporto con Dio
30 – È molto più concreta la figura del rapporto tra Dio e l’uomo così come la concepisce la Bibbia, così come l’ha rivelata Dio stesso: una tensione, una promessa, che costituisce la nostra carne, le nostre ossa, il nostro cuore, e la risposta è l’ultima parola dell’Essere; l’ultimo volto della realtà è la risposta di una promessa, Dio è la risposta a una promessa.
229/230 – Il luogo e il tempo sono costitutivi del rapporto tra l’uomo e Dio così come Dio l’ha concepito.
Dovunque siamo, in qualunque situazione versiamo, qualunque stato d’animo abbiamo, dobbiamo andare a Dio attraversando le situazioni come ce le manda.
273/274 – L’ultimo numero di Tracce (2 febbraio 1995) ha come “Parola tra noi” Dio: il tempo e il tempio, che è tutto sulla gloria di Cristo.
Parla di Dio, il suo rapporto con il mondo segue uno strano metodo: Dio si mette in rapporto col mondo fissando un luogo, entra in rapporto con un luogo che si chiama tempio; questo tempio a un certo punto si è cambiato in una casa, la casa di Nazareth, per un uomo che vi stava dentro, Gesù.
Quello è il punto in cui il Mistero entra nel mondo: quel luogo, quella casa.
517 – Quella ragazza nel suo ufficio, se offre a Dio l’istante in cui è, a chi lo offre? All’infinito! ha un valore infinito.
È il rapporto tra l’infinito e il mondo che conta, non il rapporto tra te che fai l’erbivendolo e il mondo, fra te che fai il professore di chimica e il mondo.
Non è questo che influisce sul mondo, è il tuo rapporto con Dio.
Quel che fai come professore di chimica è rapporto con Dio; se non vivi questo, non vale niente.
579/578 – Se Dio si è fatto conoscere allora, entrando nel mondo come un piccolo bambino, poi adulto, poi grande, poi lo hanno ammazzato, poi è risorto, come facciamo noi a prendere rapporto con Lui in modo tale da conoscerlo e da stupirci, come l’hanno conosciuto e se ne sono stupiti Giovanni e Andrea?
Quello che era il corpo di un bambino, quello che era la figura di un giovane e di un uomo, comunicava se stesso, si faceva conoscere e stupiva dapprima i seguaci permanenti, quel gruppo di fedeli a Lui.
Fedeli, perché di una convivenza la caratteristica suprema è la permanenza, altrimenti non è una convivenza.
Questa convivenza si è dilatata fino alla casa di mia mamma, la quale l’ha detto a me: si è dilatata fino a me.
E l’affare continua, e continuerà fino alla fine del mondo!
rapporto e sacrificio
501ss –
Ecco che cosa è il sacrificio: il non cedere all’idolo.
La fonte della menzogna si chiama idolo, ed è la proiezione che Satana fa, su un determinato oggetto di rapporto, del suo odio all’uomo e a Dio.
Il sacrificio è lo strumento contro l’idolatria: non ci è comandato di amare, ma ci è detto come amare.
Non cedere all’idolo: è una lotta contro l’idolatria, perciò implica tutto: intelligenza, cuore e operatività; c’è una seconda nota perché sia completa questa osservazione capitale sulla natura del sacrificio: il rapporto che ho non è vero se non vuole ciò che la natura dell’oggetto esige come suo orizzonte pacifico.
502 – Primo: il sacrificio è necessario in generale per ogni azione dell’uomo, perché l’azione dell’uomo sia l’affermazione del vero e non di una menzogna, e la sua cordialità non sia tributata a un idolo, ma al Mistero vivente.
Secondo, senza sacrificio la nostra azione non nasce mai dalla carità.
Senza sacrificio il rapporto con l’uomo non è vero.
Senza sacrificio non si ama niente e nessuno, eccetto che la reattività ultimamente animalesca del proprio io.
503 – Il risultato è che, se si cerca questa carità, se il rapporto vive il sacrificio di sostituire alla propria immagine e al proprio progetto il misterioso progetto di Dio, scoprirai di amare molto di più quella persona vivendo obbediente alla tua strada, fedele alla tua strada, perché il cuore si inerpicherà là dove ti sembrava un sogno potere affrontare la roccia scoscesa, la strada in salita.
Senza il sacrificio l’azione è contro la verità, perciò è per l’impostura: converte il cuore per adorare l’idolo, la menzogna.
E senza il sacrificio il rapporto con l’altro è un rapporto non di carità, non dettato dall’amore, cioè dal desiderio del bene dell’altro, anzi del destino dell’altro.
504 – Il sacrificio statisticamente è un fenomeno assolutamente generale; non si può fare un’azione senza sacrificio.
Altrimenti quell’azione diventa: primo, bugiarda, fa adorare l’idolo, fa sperare in ciò in cui non si può sperare; e, secondo, è contro la carità, non è una azione fatta per il bene del proprio fratello e, quindi, per il bene dell’umanità, per la gloria di Cristo.
514 – Il mistero del sacrificio è condizione affinché sia libero il tuo rapporto con il mondo, non schiavo.
Senza sacrificio il rapporto avrebbe lo stesso peso che gli dai tu..
Così l’oggetto ti dominerebbe.
Il sacrificio, dunque, è perché il rapporto con il mondo sia libero e così insorga, sorgente divina nella carne dell’uomo, la suggestività più grande che esista nell’esperienza umana: la passsione per il mondo.
rapporto vero
270 – Non esiste rapporto vero se non è domanda.
498 – Il sacrificio è una purità che implica una luce.
È una purità quando accetta un dolore o una riscossa perché il rapporto che sta vivendo con una persona o col proprio dovere di lavoro, di studio, di casa, sia più vero; accetta il giudizio per cui il rapporto diventi più vero, meno equivoco, e per cui il rapporto, invece che affermare sé, affermi l’altro, sia utile all’altro.
Razionalismo
88 – Comunque, di fronte al Mistero, la ragione non può dire: «Se io ci do dentro, lo conosco».
Questo «darci dentro» sembrò agli uomini del 1700 sulla porta: basta aprire la porta e ci siamo.
A quelli del 1800 sembrò più vicino ancora.
Alla fine del 1800 han detto: «Ci manca soltanto saper affrontare scientificamente la psicologia e la sociologia e poi abbiamo conosciuto tutto»
Invece, nossignore! La ragione, davanti al mistero, rimane limitata.
Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a se stessa, non è compiuta.
166 – L’Ottocento è il secolo della ragione applicata, quella che dovrebbe risolvere le questioni – ha preteso negare l’avvenimento cristiano.
313 – Non crediamo esistenzialmente in Dio: Dio è un fattore della meccanica universale come per il razionalismo dell’Ottocento.
Razionalità
(cfr. anche: ragione, ragionevolezza, ragioni)
razionalità e moralità
525 – Un ragazzo si avventa addosso alla ragazza. Perché? sono raptus maniaci? No, non necessariamente.
La radice del suo errore sta in un grande desiderio di compimento, di soddisfazione, di possesso della bellezza, di bene compiuto, di bene realizzato: sono esigenze del cuore, quelle che fondano i criteri della razionalità, gli stessi criteri che fondano la moralità, gli stessi.
La moralità è la razionalità applicata alle cose.
razionalità e verginità
515 – La verginità, secondo la concezione cristiana, è la razionalità in atto, l’estrema razionalità in atto.
La verginità, secondo la concezione cristiana, è guardare ogni realtà senza rompere il nesso che questa realtà ha con la totalità del significato, col cosmo, che vuol dire l’ordine della totalità del significato.
Volenti o nolenti la totalità di significato si chiama Cristo.
Se devi rispettare il nesso che la donna che hai tra le mani ha con Cristo, tiri via le mani.
Ditemi se non è lo sgorgare di una razionalità senza termine, un’onda di razionalità che invade tutto, perciò purifica tutto, rende luce a tutto, dà vero volto ad ogni cosa.
Reazione
463 – Come si fa ad avere un istante di sussulto per un viso, se non si trattiene per sempre? Sarebbe una cosa triste, non accettabile.
Invece che affermare l’Essere come è, invece che la gratitudine al Mistero che fa le cose per aver creato un viso così, di avermelo fatto vedere, invece che questa gratitudine, una ripugnante reazione – ripugnante in tutti i sensi, in un modo o nell’altro -, una effimera, superficiale e inutile reazione; e poi finire con il dimenticare.
Realtà
29 – Quali erano i sentimenti predominanti nello stato d’animo di un ebreo devoto?
Prima di tutto che la vita è una promessa, la realtà appare promettente.
48 – Di quale tipo di realtà si tratta? della certezza di un certo campo del conoscere, della certezza di un certo tipo di realtà presente nella realtà tutta.
La parola approssimazione dipende dal tipo di realtà che noi viviamo.
La nebulosità è proprio del rapporto tra la realtà e gli occhi dell’uomo, sia come conoscenza che come affezione, per cui quel che si dice della conoscenza vale anche per l’affezione.
Il tipo di rapporto tra la realtà, i nostri occhi e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è nebuloso.
È soltanto attraverso una approssimazione sempre più grande che ciò che la cosa è non si «vede totalmente» , ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.
275 – La gloria di Cristo è il fenomeno per cui gli uomini riconoscono – per una grazia potente, per un dono potente – di che cosa sono fatte le cose, gli uomini e le cose, di che cosa la realtà è fatta: è fatta di Cristo.
294/295 – Intervento: «Hai detto che ogni cosa è bene, che la realtà è tutta positiva. Ma che tutto quanto mi circonda sia positivo, io non riesco a coglierlo: immediatamente ciò che mi balza agli occhi è la durezza della giornata e della vita stessa, il fatto di dover stare attenta che non mi freghino. Comunque noto che in tutto questo, in fondo, sono contenta. e forse…»
Essere contenti dentro una realtà negativa viene da un altro principio, viene da un’altra realtà, viene da un altro fattore di presenza.
Scusami, devi ammetterlo: non puoi essere contenta di ciò che è male, di ciò che è di peso.
…dicevi?
Intervento: «È forse questa contentezza il riverbero in lontananza della positività della realtà?»
Certo! Questa contentezza è il riverbero della positività della realtà.
È esattamente l’eredità, o la testimonianza, che Gesù ha lasciato agli apostoli prima di morire: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» [Gv 15,11].
E aveva davanti agli occhi una giornata brutta, doveva essere ammazzato, e tutto il suo lavoro reso inutile.
Che cosa gli faceva parlar di «gioia»? Un altro fattore, il mistero del Padre:«Quello che il Padre vuole io lo faccio sempre» [Gv 15,31], «Sono solo, ma io non sono solo, perché il Padre è con me» [Gv 8,16].
295/296 – Intervento: «Se la posizione positiva di fronte alla realtà è un atteggiamento naturale, allora vuol dire che mantenerla è un problema di libertà?»
Giusto! È un problema di libertà: tocca a te; è una questione di libertà, ma è qui il punto dove si vede la fragilità della libertà.
Come è vero che la natura ci mette davanti alla realtà con la curiosità, è altrettanto vero che è come se fossimo incapaci di tenere questa posizione: molto più facilmente diventiamo scettici e smarriti, ipocondriaci e irosi, invece che lieti. Questo dipende dalla libertà.
Se vivo sinceramente la compagnia creata da Cristo, divento capace di far permanere questa positività.
coscienza della realtà
80ss – La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
La ragione è coscienza della realtà, cioè la realtà diventa trasparente, come emergente dentro un bagno di luce – questo bagno di luce si chiama ragione – che fa vedere tutte le sue costole, come una radiografia.
Nella totalità dei fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.
Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.
Il cuore è automatico, sentir battere il proprio cuore è automatico.
Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.
Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.
Esperienza elementare che cosa vuol dire?
La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé; per essere completo; e perché, dal punto di vista del riflesso estetico, la bellezza si renda visibile, oggetto maneggevole.
81 -Il contenuto dell’esperienza è la realtà.
(Provare…) fin qui non è esperienza, ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di un pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.
82 – Il provare, il mero provare assurge a dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.
La realtà, in quanto emerge a livello di coscienza ed origina una reazione, fa sentire all’uomo qualcosa, provoca un provare, ma non è ancora esperienza.
83 Diventa esperienza quando il provare è nel contempo giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, se è veramente bello, se è veramente buono, se è veramente felice.
83 – Nell’esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi ti fa balzare fuori i criteri del cuore, ti desta il cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.
202 – Coscienza del destino e coscienza della realtà: il destino non è nient’altro che il significato ultimo della realtà, ciò per cui la realtà vale la pena che sia.
522 – Ripetere son delle parole, degli schemi, dei ritmi; dire è fatto di se stessi, cioè di coscienza della realtà (o giudizio) e di affermazione della realtà (che è coraggio affettivo), il coraggioso affetto di affermare ciò che è.
Redimere
(Cfr. anche: salvare)
477 – «Redimere vuol dire far essere, cioè salvare; salvare vuol dire in latino conservare. Conservarlo per che cosa? Perché si compia, perché sia completamente se stesso e perciò perché sia eterno: senza la parola eterno un io non diventa più se stesso e tanto meno di compie» [Si può vivere così? p.291].
Regno
Regno dei cieli
64 – «E se non sarete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» [Mt 18,3; Mc 10,15; Lc 18,17; Gv 3,3].
Il regno dei cieli è il regno dell’Essere.
Regno di Cristo
73 – Ci troviamo per riflettere sul cammino in cui Dio ci ha messo, per comprenderne le ragioni, per sorprenderne perciò il valore.
E il suo valore ti renderà soggetto di missione, di testimonianza, cioè utile alla costruzione del mondo per il regno di Cristo, che è l’unica ipotesi di unità tra gli uomini e le cose, cioè l’unica premessa, l’unico fattore creativo per una concezione unitaria e organica di tutto, dove ogni cosa serva all’altra e non ci sia niente di superfluo nel senso cattivo del termine.
Regola
432 – Bisogna guardare se amiamo o se non amiamo, se amiamo quella Presenza o non la amiamo.
E ci sono momenti in cui ti fermi da tutto e la guardi, e le parli.
La regola – cioè l’ordine della compagnia, se è la vera compagnia – fissa quei momenti.
Religioni
24 – Mi ricordo, il figlio di Manzù, che era mio scolaro, in terza liceo una volta si alzò e disse: «Ma questa religione è una religione troppo pesante, troppo complicata! Va alla ricerca di complicazioni, di “ragioni”. Invece la religione è semplice, carica di sentimento...».
Sì, come quella religione che sta perdendo tutto il mondo, sta perdendo da ogni parte, che ha perso da ogni parte, ha perso tutti!
È la ragione che stabilisce il sostegno, la colonna di sostegno del cielo – cioè del divino – che sta sopra la terra.
95 – Tutte le religioni sono un tentativo di attacco al Mistero, d’attacco non in senso negativo.
religioni vs cristianesimo
53 – Quando sono stato invitato dai buddhisti giapponesi a parlare nella città di Nagoya, sul confronto tra buddhismo e cristianesimo, io ho parlato per un’ora.
Ho parlato per 57 minuti di ciò che identificava l’esperienza della realtà per il buddhista e per il cristiano, ed ero tutto proteso a dimostrarne l’identità: sotto la diversità dei termini, l’identità del contenuto.
Ma quando, negli ultimi tre minuti, ho detto che questa armonia di cui tutto il creato è fatto, questa corrispondenza ultima di cui tutte le cose sono soggetto e contenuto di destino, è diventato uomo, è nato dal seno di una ragazza di 15-17 anni, capivo io, nel dire queste parole, l’impossibilità a dirle: era impossibile dirle, e io le ho dette.
Mi era impossibile come uomo, ma non mi era impossibile come uomo che ha fatto un certo incontro.
299 – Il Mistero coincide con il segno.
Un Mistero che non coincida con il segno è proprio di tutte le religioni del mondo, che sono dualiste: il Mistero è una cosa astratta, lontana, misteriosa, spirituale; mentre a noi, quello che importa, è il concreto.
E, invece, non possiamo stringere una mano amica se non stringendo il Mistero.
473 – «Nessuno dice a Dio: “padre” come noi, dice san Paolo nella lettera ai Galati 4,6.
Nessuno dei trecento ricercatori di Dio radunatisi a Milano, nessuno poteva dire: «Padre».
Nessuno, non veniva in mente a nessuno.
Religiosità
382 – Un fiore guardato scoprendo la sua radice infinita – infinita nel senso letterale della parola – della radice che lo fa consistrere, nella prospettiva cioè del Mistero che in esso si esprime: questo è un possesso del fiore senza nessun paragone più grande.
Questa modalità fa essere l’uomo contento e carico di lode per ciò che esiste, lo fa essere religioso – che è la parola più piena che ci sia – o lo fa essere poeta, almeno poeta.
542 – Senza un riferimento che dispieghi un significato, e senza un riferimento a un movimento affettivo di cui si capisca la direzione, non si può essere religiosi coscientemente, si può essere religiosi incoscientemente o, meglio, si può essere religiosi genericamente.
Responsabilità
140 – «La responsabilità di fronte al fatto. Ultimo punto: la risposta.» [Si può vivere così? p.47].
Io farei sei punti: il quarto è la nostra domanda «Chi è costui?»; il quinto è la risposta sua, perché non dimostriamo noi che è Dio; allora il sesto è il coraggio di dir di sì: la nostra parte come coraggio.
562 – Al di fuori della nostra convivenza e di ciò per cui ci mettiamo insieme non c’è niente a cui interessi veramente lo sviluppo della tua conoscenza della realtà, del mondo, di te stesso, dell’altro; tutti se ne infischiano, specialmente gli insegnanti a scuola.
Invece, questo si vede dal di fuori che è un ambito curioso, ti incuriosisce e, appena entrata, per certe parole che vengono spiegate, stupisce.
Il che dura uno, due, tre, quattro volte; la quinta sei già abituata, se non hai assunto con responsabilità domande e risposte, se non hai scavato in te la strada della domanda e la strada della risposta, se non hai cercato di partecipare al motivo e al metodo.
582/583 – Noi non neghiamo che la responsabilità è dell’io, ma sottolineaimo il fatto che l’io, per sviluppare la sua responsabilità, è facilitato dalla compagnia.
Infatti nella Chiesa, ognuno è responsabile di fronte a Dio, ma è legato a tutti insieme e il corpo misterioso di Cristo,la comunione fa la liberazione.
responsabilità e libertà
198 – La libertà è responsabilità di fronte a un bene che ti si offre, e Dio ti offre come bene quello per cui ti ha fatto, cioè Gesù, il Verbo in cui tutto consiste, il re dell’universo.
In una situazione in cui uno ha di fronte una cosa che lo persuade fino a un certo punto, può rispondere no o può rispondere sì: la scelta è l’indice di una libertà ancora in cammino, non di una libertà che è giunta al destino, cioè alla sua realizzazione compiuta.
199 – La presenza di Cristo riconosciuta incomincia a fargli vivere quella felicità che l’aspetta per l’eternità.
Perché l’eternità o incomincia qui o non c’è, secondo la mia affermazione che ciò che in qualche modo non si rivela dentro l’esperienza del presente, del nostro presente, con c’è; non “non c’è lì“, non c’è, non esiste.
Perciò, la libertà è la nostra responsabilità vissuta verso questo scopo.
E la libertà è responsablità vissuta verso questo scopo tanto che essa è fatta di soddisfazione: la libertà è essere soddisfatti in modo vero, autentico, anche se incompiuto.
Impegnare la propria libertà nella responsabilità di fronte a Dio è un impegno per la propria felicità.
203 – La libertà è responsabilità, lo sbagliare è responsabilità tua, altrimenti non sarebbe un tuo sbagliare.
La libertà è responsabilità, cioè risposta. Libertà implica responsabilità.
Uno è responsabile di fronte a Dio: può rispondere bene, può corrispondere alla domanda che Dio gli dà, alla scelta che Dio fa, e usa bene la libertà; può non corrispondere, e allora usa male la libertà.
Insomma, l’esistenza della libertà è quella che assicura la grandezza dell’uomo.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» [Gen 1,26], che è il paragone più terribile che si possa immaginare: l’uomo paragonato a Dio.
E la dote più grande di Dio è la libertà infinita, e quindi, questa libertà, Dio la comunica anche all’uomo; l’uomo può rispondervi bene o può rispondervi male: rimane in lui la radice della responsabilità.
responsabilità vs affanno
565 – Intervento: «Io volevo chiedere come la responsabilità di fronte alla vocazione non diventa affanno o ansia sulle cose da fare».
La perfezione nella vita sta nella certezza che la forza di un Altro mi renderà capace di fare tutto quello che devo fare per raggiungere il mio destino.
Si è senza affanno nella vita spirituale quando si ha la certezza nella forza di Dio; la forza di Dio, la forza è la compagnia di Gesù, la forza è guardare in faccia Gesù.
Ricchezza/ricco
269 – Non so come dirlo in altro modo, ma domandare è la ricchezza di chi non ha niente. di nostro cosa abbiamo? La potenza di chi non ha niente è di domandare.
381 – Di fronte a una persona che io amassi, tanto sono ricco e gioioso nell’affermarne la presenza, nel sentirne la presenza, nell’affermare la sua esistenza, altrettanto, immediatamente superassi questo limite, pretendessi superare questo lembo di spiaggia, mi sfiaccherei.
Si sfiacca il rapporto con l’altro, se io pretendo di non essere soltanto gioioso della sua esistenza, ammirato della sua presenza e tutto carico del presentimento della sua interiorità, della profondità del suo essere, perciò del Mistero che è in lui.
387 – Chi è ricco continua la tradizione: è diventato ricco lottando e ammucchiando piccolo su piccolo; e così levarsi anche una piccola cosa è realmente stridente.
Riconoscere/riconoscimento
317 – Intervento: «Ma se non è secondo le nostre immagini l’esaudimento, come lo riconosceremo?»
Se non è secondo le nostre immagini, lo riconosceremo perché ci cambierà il cuore e, perciò, ci cambierà la fantasia e l’immagine stessa: non si desidera più quello che si desiderava prima, cioè si desidera quello che si desiderava prima, ma in un altro modo, più grande: il centuplo quaggiù (più grande).
riconoscere Cristo
122 – L’avvenimento è il cambiamento che accade in te, o nell’altro, o nell’altro, o nell’altro.
Riconoscere il tuo cambiamento, essere sorpreso dal tuo cambiamento, dirmi: «Come fa a cambiare così questa qui? Come ha fatto?».
«Perché vive la coscienza del rapporto con Cristo.»
Ma, dunque, Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente – che è lei – e perciò la memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è incominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine dei secoli.
Si capisce proprio che l’avvenimento di Dio fatto uomo è sempre presente quando si percepisce, quando di può riconoscere che questo uomo cambia me: cambia me, ha la forza di cambiare me.
142 – «È semplice riconoscerlo» vuol dire che chi ha semplicità d’animo, la mossa potente dello Spirito santo, del Mistero, lo muove a capire facilmente.
278 – La gloria di Cristo è il riconoscimento che tutto consiste in Lui: tu sei fatta di Lui.
E questo riconoscimento nasce dal cuore dell’uomo, dal cuore mio come dal cuore di Simone che dice: «Sì, Signore, io ti amo».
Ma la gloria di Cristo urge il limite del mio riconoscimento, esige che si spalanchi, che si comunichi agli altri; in quanto si comunica agli altri, il mio riconoscimento di Cristo si chiama testimonianza.
Così il suo riconoscimento si dilata.
È una realtà che si chiama popolo di Dio, l’insieme di coloro che Lo riconoscono, che rinoscono che in Lui tutto consiste.
571 – «Che cosa fa crescere il desiderio di riconoscere Cristo dentro la circostanza presente?»
L’amore alla verità, la perfezione della cosa e, quindi, l’utilità reale della cosa per il mondo, per gli uomini e per il mondo e, quindi, la bellezza, che è lo splendore del vero.
Se una cosa non ha rapporto con l’infinito, non è; e, infatti, non sarebbe.
Ricordo
333 – Nella vita che cosa rimane, se tutto è una esaltazione sognante che si riduce ad una illusione, ad un inganno? Di tutta la vita, di tutta la storia di ieri, dell’esperienza dell’altro ieri, di tutto rimane una «rimembranza acerba», cioè il dolore.
Il dolore è sempre una rimenbranza, un ricordo, acerbo e amaro.
Riiniziare
403/404 – Intervento: «È normale la sensazione di riiniziare daccapo?».
La sensazione di reiniziare daccapo non solo è normale, ma è l’essenza della libertà.
È dell’essenza della libertà che tu compia questo gesto non perché l’hai già compiuto, ma perché lo compi adesso.
Rimanere
(cfr. anche: obbedienza, seguire)
278 – Tutti coloro che nei quarant’anni di storia ho visto andarsene dal nostro movimento, per una obiezione che avevano – una obiezione anche giustissima -, non han capito più nulla; chi è rimasto capisce, così che non dice più quello che diceva dieci anni fa.
Rinascita
316 – «Riprendere a sperare dopo un nostro errore è un gesto così grande che il poeta Péguy lo definisce “Il segreto mistero della speranza”, perché il perdono del male è proprio mistero. “Il segreto mistero della speranza che con acque cattive fa acqua pura e fa anime fresche con vecchie anime”: è la rinascita. Il Battesimo è il principio di questa rinascita, principio che opera per cento anni se uno campa cento anni, per 103 se uno campa 103 anni, che opera 1.299 volte se uno ha fatto 1.299 peccati e che opera 10.003 volte se uno ha fatto 10.003 peccati» [Si può vivere così? p.176].
Ripetere
92 – Chi è costui? Debbo ripetere le sue parole, sono costretto a ripetere le sue parole, perché non ho nessun dato di esperienza da contrapporre alle sue parole, ho soltanto dati di esperienza che preconfermano le sue parole: le confermano.
309 – «Ma la misericordia del Signore sta proprio nella pazienza con cui ripete nel tempo le cose, ci fa ripetere nel tempo le cose; ripetendo e poi ripetendo, sentendo la gragnola sulla testa e poi un altro colpo di gragnola, e poi un altro colpo ancora, finalmente queste parole penetrano nel cervello, fino a incominciare a penetrare il cuore. Prima penetrano il cervello e perciò non vogliono dire ancora quasi nulla, ma poi penetrano nel cuore e allora incominciano a voler dire qualcosa» [Si può vivere così? p.164/165].
341 -Una parola bella e vera, quanto più tu la ripeti, tanto più ti piace.
Se una parola ripetuta ti stufa, è perché non l’hai né conosciuta né amata anche la prima volta: L’hai sentita, hai “creduto” di averla capita!
Una parola vera non si può sentire neanche una volta senza sentirsi attaccati un pò ad essa.
E quanto più tu la ripeti, tanto più essa ti interessa e ti piace.
Così, tutto il dialogo che facciamo tra noi nasce da alcune parole che io ho sentito fin da quando avevo dieci anni, che sono state ripetute poi tante volte, migliaia di volte.
Ma come le capisco adesso! Credevo di capirle allora! Le capivo, le capivo come un ragazzo di undici o dodici anni che legga la Divina Commedia senza aiuti: o è un genio, oppure capisce quel che capisce.
Non siete d’accordo? Se siete d’accordo su quel che ho detto, siete d’accordo che occorre del tempo per capire le cose.
Se tu vedi una bella cosa e la lasci lì, e dieci anni dopo ritorni ad essa, è peggio che la prima volta.
Per la trascuratezza con cui hai trattato quella cosa che hai trovato – che in sé era bella e suggestiva -. adesso la trovi bella e suggestiva, ma senza tutta la misura grande dentro di sé che avrebbe avuto con un suo ritorno ad essa, con una ripetizione continua, una memoria della cosa.
343 – Credete voi che padre Kolbe sarebbe morto dove è morto, in quel buco dove è soffocato con gli altri, nudo come un cane, se non ci fosse stata in lui una ripetizione continua di un certo ricordo di Cristo in croce, di Cristo come di colui del quale condividere la battaglia per il mondo, la lotta per la salvezza dell’uomo, per la libertà dell’uomo, per la felicità dell’uomo?
Era piena la sua vita di questi pensieri.
348 – Primo proposito per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una cosa sola con Cristo; con Lui, figli del Padre.
«Figli del Padre»: a me non diceva nulla questa frase, anche negli anni di teologia, anche quando sono diventato prete.
Allora Cristo mi esaltava, ma questa parola – figli del Padre: son dovuto diventare vecchio per capirla.
Però, se non l’avessi ripetuta continuamente anche senza sentirla bene, adesso non la capirei.
349 – È così che l’uomo diventa uomo: ripetendo continuamente.
È ripetendo continuamenti gesti di consapevolezza imposti che il bambino li rende diuturni, cioè si rende uomo adulto, compiuto e normale.
352 – Non lasciatemi dir cose a cui, in qualche modo, non vi sentite di aderire, che in qualche modo già non vi si rivelino.
Non «non lasciatemele dire» – perché le dico comunque! -, ma fatemele ripetere, domandate spiegazioni, domandate che cosa significhino (il che vorrà dire ripetere).
ripetere e capire/conoscere
341ss -Una parola bella e vera, quanto più tu la ripeti, tanto più ti piace.
Se una parola ripetuta ti stufa, è perché non l’hai né conosciuta né amata anche la prima volta: l’hai sentita, hai “creduto” di averla capita!
Una parola vera non si può sentire neanche una volta senza sentirsi attaccati un pò ad essa.
E quanto più tu la ripeti, tanto più essa ti interessa e ti piace.
Così, tutto il dialogo che facciamo tra noi nasce da alcune parole che io ho sentito fin da quando avevo dieci anni, che sono state ripetute poi tante volte, migliaia di volte.
Ma come le capisco adesso! Credevo di capirle allora! Le capivo, le capivo come un ragazzo di undici o dodici anni che legga la Divina Commedia senza aiuti: o è un genio, oppure capisce quel che capisce.
Non siete d’accordo? Se siete d’accordo su quel che ho detto, siete d’accordo che occorre del tempo per capire le cose.
Se tu vedi una bella cosa e la lasci lì, e dieci anni dopo ritorni ad essa, è peggio che la prima volta.
Per la trascuratezza con cui hai trattato quella cosa che hai trovato – che in sé era bella e suggestiva -, adesso la trovi bella e suggestiva, ma senza tutta la misura grande dentro di sé che avrebbe avuto con un suo ritorno ad essa, con una ripetizione continua, una memoria della cosa.
ripetere vs dire
522 – Con chi dice il «Padre nostro» stanno meglio tutti: non con chi ripete, con chi dice. Ripetere son delle parole, degli schemi, dei ritmi; dire è fatto di se stessi, cioè di coscienza della realtà (o giudizio) e di affermazione della realtà (che è coraggio affettivo), il coraggioso affetto di affermare ciò che è.
Riprendere
400 – Appoggiarsi a ciò cui Dio ci ha fatto appartenere: alla compagnia, che si chiama con proprietà di parola, communio, comunione, appoggiarci ad essa per riprendere.
Perché la cosa più necessaria per prendere è riprendere: se non riprendi, “non ci arrivi mai”.
Rischio
103 – Intervento: «Tu dici che la fiducia è un problema di coerenza con l’evidenza della ragione. Io noto che nell’esperienza subentra una paura, anche se riconosciuta irragionevole, essa ha come il potere di annientare questo tipo di coerenza rispetto alla ragione. Perché accade così? E qual’è il punto su cui far leva in questi momenti?»
Nell’uomo c’è come una malattia mortale che la Chiesa chiama peccato originale: un venir meno delle forze.
104 – Ci sono tutte le ragioni e, quando si tratta di aderire non riesco ad aderire: c’è questo iato, questo distacco abissale che sembra irrisolvibile.
È un vuoto in me tra la mia ragione e la mia volontà, è una divisione fra l’intelligenza e la volontà a quel livello fondamentale che si chiama libertà.
La mia libertà – che è capacità di aderire all’essere, di aderire a ciò che è: fatta per aderire a ciò che è, fatta per la perfezione, per la soddisfazione, per la felicità finale, per il compimento finale -, la libertà – che è l’uomo in quanto fatto per la completezza finale – non è capace di mettersi in azione, è come irrigidita.
105/106 – Come si fa a superarlo?
Gli apostoli l’hanno superato:
- primo, quando era presente Gesù.
- secondo, quando erano insieme. Presenza di autorità e di compagnia sono i primi due fattori che sperimentalmente fanno superare la paura. Ma non oltre un certo limite. Tutti gli apostoli hanno provato questo momento di paura grande, e tutti hanno ceduto, tutto sono stati travolti dalla paura.
- Ma c’è una terza cosa che colui che odia l’uomo, satana, non aveva ben tenuto presente. Che cosa sarà? Colui che ha iniziato tutto, la Forza che ha iniziato tutto, il Padre, il figlio che è diventato uomo per noi, lo Spirito che questo Figlio ha fatto entrare nel mondo: questo è più forte di qualsiasi demone, è più forte di qualsiasi paura.
106 – La grazia. Ed è solo questa che a un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere e ciò che il grande uomo non è riuscito a compiere.
Quindi, il grande uomo è grande perché è strumento del disegno del Mistero, del disegno del Padre; e la compagnia è un grande aiuto come strumento del disegno di Dio.
Rispetto
396 – Rispetto vuol dire guardare guardare una cosa dominato dalla presenza di un’altra – nel parlar volgare si dice: guardare una cosa seguendo con la coda dell’occhio un’altra-.
Quello che ci domina è ciò che fa l’altra; il Mistero che fa te domina me mentre ti guardo, mentre ti penso.
Questo è il distacco: non sei mia.
E, infatti, tutto il mio rapporto con te si esaurisce nell’affermare te, cioè nell’amarti, perché amare vuol dire affermare l’altro come significato e come presenza prevalente su se stessi.
397 – In questo caso il distacco si chiama rispetto, che deriva, se ho capito bene, da aspicio (guardare verso qualcosa) e da respicio (guardare indietro), che dilata e rafforza il significato di aspicio, rivelando che ciò che si guarda è dominato da qualcosa d’altro, che si intende, che si pensa o non può essere pensato.
Ma che può essere anche non pensato: uno può portare rispetto all’altro senza sapere tutto il gioco che sta sopra questo rispetto, tutto il distacco che implica.
485/486 – «Attaccamento all’altro, affezione all’uomo; sia come devozione (rispetto), sia come fedeltà (continuità del rispetto)» [Si può vivere così? p.293]
Risposta/rispondere
59 – Invece di cercare la risposta adeguata, dobbiamo cercare di scoprire i fattori della strada alla risposta.
La risposta è una ricerca, un ricerca senza termine.
140 – «e) La responsabilità di fronte al fatto. Ultimo punto: la risposta» [Si può vivere così? p. 47].
Io farei sei punti: il quarto è la nostra domanda «Chi è costui?»; il quinto è la risposta Sua, perché non dimostriamo noi che è Dio (noi arriviamo fino a quella domanda, una domanda inesorabile, inevitabile; non c’è nessun filosofo, nessun matematico, non c’è niente che possa rispondere; ma se io non faccio quella domanda, devo negare quello che mi è stato evidente fino all’ultimo: devo andar contro l’evidenza); allora il sesto è il coraggio di dir di sì: la nostra parte come coraggio.
230 – Sei migliore in quanto la tua risposta è determinata dalla ricerca di Gesù, dall’amore a Gesù e, quindi, dallo “smacco” dell’obbedienza a chi guida.
303 – È molto importante come arrivare qui.
Non è importante come riuscite a fare la domanda, ma come arrivate qui come soggetto della domanda.
È il soggetto della domanda che interessa la risposta! Non la formulazione, ma come vieni tu.
La domanda allora può diventare più facilmente liberazione di una angustia o spiegazione di un bisogno che hai.
304 – Se uno fa una domanda trattenendosi dentro tanti “ma“, tanti “se“, tanti “però” […] allora penetra nella domanda un fattore estraneo al contenuto della domanda.
Ed è impossibile che la domanda abbia risposta: cioè, il tecnico, dà la risposta, ma il cuore resta anchilosato nel braccio del suo castello in cui si è asseragliato, mel “ma“, nel “se“, nel “però” in cui si è asseragliato.
313 – Intervento: «Mia madre ha una grave malattia. Come accettare che le risposte che mi vengono date dalla compagnia a questo fatto non mi soddisfano?»
Dobbiamo rispondere amaramente come rispondiamo amaramente a noi stessi in questi casi, e sono tanti al giorno se si fa attenzione.
È perché non crediamo – se non per una emergenza rara, di circostanze rare – noi non crediamo che il disegno del mondo è di Dio, è volontà di Dio.
Non crediamo in Dio: Dio è una fattore della meccanica universale come per il razionalismo dell’Ottocento.
E invece Dio è alla radice di ogni pianta, di ogni erba, di ogni fiore, di ogni uomo e di ogni sasso.
È un altra cosa Dio, per questo si chiama Mistero, e non è concepibile, non è immaginabile.
544 – […]La fede è il cammino che è fatto guardando chi è più avanti, è il cammino dello sguardo.
Non è l’esito di una dialettica, non è una risoluzione immediata di tutte le domande che poni, perché una risposta immediata a una domanda che poni non la capisci perché non sei ancora evoluta; c’è da intuire a cosa si riferisce del tuo essere e della tua esperienza, che è diverso che capire totalmente.
Risveglio
(cfr. anche: mattino)
399 – L’ottimismo che si attua come abbandono , decide di ogni risveglio, di ogni ripresa di coscienza, così che il motto della vita, la formula della vita diventa quella che ha detto san Paolo: «Tutto posso, di tutto son capace insieme a Colui nel quale è la mia forza [la mia ragion d’essere, la mia ragione, la mia consistenza]» [Fil 4,13].
Riva
574 – E tu possiedi il ruscello, bevi l’acqua del ruscello, il ruscello diventa tuo, ti entra nelle vene, ti rinfresca tutto, se passi all’altra riva.
Andare all’altra riva vuol dire abbracciare tutto; stare lì vuol dire perdere tutto.
Rivelazione
89 – È solo se il Mistero si comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva conosciuto.
Ed è conseguenza, allora, non dell’uso scaltro della ragione, ma dell’uso umile della ragione, del più umile uso della ragione che è là dove la ragione diventa bambino: frigna, chiede, domanda, cioè prega.
Ma la preghiera è domanda al Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.
E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.
90 – Ma: «Dio se ci sei rivelati a me, comunicati a me!», questa domanda è l’ultimo gesto razionale, corrispondente cioè alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori
324 – Ma senza che il Mistero si riveli lui a noi, dica sé a noi – come nell’amare una persona: tu non la puoi conoscere veramente se essa non ti si rivela -, quello che pensiamo del Mistero, che immaginiamo del Mistero, l’interpretazione che diamo alla parola, stringe la parola, la colloca in prigione.
576 – «Il Mistero si è rivelato a noi»; […]A questo metodo scelto da Dio l’uomo si oppone; perché se Dio ha scelto un metodo, e se l’uomo sapendolo ne sceglie un altro, si oppone.
Così è chiaro che, se l’oggetto è il Mistero, per conoscerlo c’è solo un metodo: che esso si sveli, che esso si dica.
Indice alfabetico dei temi
A – B – C – D – E – F – G/H – I – L – M – N – O – P – R – S – T – U – V
I Temi di alcuni libri di don Giussani
- TEMI – Il senso religioso
- TEMI – All’origine della pretesa cristiana
- TEMI – Perché la Chiesa
- TEMI – Il rischio educativo
- TEMI – Generare tracce nella storia del mondo
- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
- TEMI – Attraverso la compagnia dei credenti (94-95-96)
- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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