Si può (veramente?!) vivere così? (7)

Edizione di riferimento

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV

[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]

Indice linkato


(cfr. anche: distacco, mortificazione, prova, scendere fino in fondo, strappo)

113 – Facendo la fatica di remare, facendo la fatica di andare contro, facendo la fatica del sacrificio, giunge a un punto in cui risorge, si spalanca in essa qualcosa che neanche lontanamente prima sentiva di poter capire.

221 – L’altro mi dice queste cose non per una sua politica.

Ti aiuta a superare ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa, ti sembra di dover perdere qualcosa.

282 – E compiere un sacrificio è un test di concretezza molto più di qualsiasi emozione.

La speranza, infatti, è ciò per cui Cristo portò la Croce: la fede fu la condizione per cui poté portarla, ma il portar la croce è stata la speranza di Cristo.

Cambiare in speranza l’esperienza di sacrificio e di rinuncia, è di una concretezza sterminata, tanto è vero che agli uomini è impossibile, eccetto a chi si appoggia alla fede, a chi ha memoria di Cristo.

469 – Uno, avendo riconosciuto questo come sua strada (la verginità), si inoltra, e nel suo cuore per un certo tempo persiste la percezione del proprio sacrificio come commozione.

470 – Certamente viene quel giorno o un giorno in quel periodo dell’anno o un giorno in quella stagione in cui l’emozione cade, e cade contemporaneamente non al cadere della verità della cosa, ma al cadere della sperimentabilità della cosa: non sono più commosso, perché non sperimento più che dover sacrificare qualcosa per l’altro è come avere il centuplo.

492 – Non c’è un sacrificio compiuto da un soldato della prima, seconda, terza, quarta guerra mondiale, che non dia corpo alla storia della croce di Cristo, che è il passaggio alla Risurrezione.

494ss – Cosa è il sacrificio?

45 – Il sacrificio, o la croce, non solo è inevitabile per chiunque; ma è inevitabile perché l’atto che compiamo sia giusto, cioè sia vero e buono.

Sacrificio e dolore sono inevitabili per chiunque, in qualunque tempo della vita.

Se la croce è così necessaria, vuol dire che non c’è atto della vita dell’uomo, non c’è azione vera e buona che non implichi un sacrificio.

Se è così statisticamente generale, non solo è un fattore determinante l’esistenza, ma è un fattore determinante la natura dell’azione in cui l’esistenza si concreta, in cui l’esistenza si traduce, in cui l’uomo crea.

Più precisamente, senza sacrificio l’azione non è se stessa, cioè non è vera nel suo significato, non è buona nella sua conseguenza.

Se nessuna azione può essere vera e buona senza che implichi in qualche modo un sacrificio, vuol dire che un’azione in qualche modo è impostura se non implica un sacrificio.

497 – La coscienza di essere peccatori è l’aspetto più acuto del dolore, è lo svelarsi più chiaro della necessità del sacrificio.

Io volevo sottolinearvi che la parola sacrificio diventa valore ai nostri occhi e non obiezione, [..] se la sorprendiamo come unica condizione perché la nostra azione «sia».

In tutti gli atti che compiamo tendiamo ad affermare noi stessi secondo una menzogna acuta, che è pretesa, presunzione, reattività, odio, gelosia, invidia.

Una mamma non può aiutare il suo bambino per un giorno senza fare centotrè sacrifici almeno.

È partendo da questa osservazione che si capisce in che consista il sacrificio.

498 – Il sacrificio è una purità che implica una luce.

È una purità in quanto accetta un dolore o una riscossa perché il rapporto che si sta vivendo con una persona o col proprio dovere di lavoro, di studio, di casa, sia più vero; accetta il giudizio per cui il rapporto diventi più vero, meno equivoco, e per cui il rapporto, invece che affermare sé, affermi l’altro, sia utile all’altro.

499 – L’assenza di sacrificio sottolinea la menzogna che è presente nell’azione, sottolinea una menzogna presente.

Qual’è il sentimento che il sacrificio afferma come sentimento più forte della vita?

Il sacrificio afferma come il sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non mi riesce di affermarla.

500 – La vita è piena di sacrificio, ma è meglio che sia piena di sacrificio, perché altrimenti non sarebbe vera.

Rimanendo nell’ambito della gioia che la donna cerca nell’uomo e viceversa non c’è corrispondenza, mai: ciò che corrisponde di più alla gioia che un uomo ha di sentirsi camminare verso il destino con la sua donna, è un’altra cosa, è il «Vieni, signore, Gesù»: vieni, Signore, sul nostro cammino; dà consistenza al nostro rapporto, che sia vero.

501 –

La fonte della menzogna si chiama idolo, ed è la proiezione che Satana fa, su un determinato oggetto di rapporto, del suo odio all’uomo e a Dio.

Il sacrificio consiste quindi nell’offrire come tributo la fatica della propria azione, la fantasia del proprio agire e il gusto del proprio operare alla verità e non a ciò che non è verità, cioè all’idolo.

Il sacrificio è lo strumento contro l’idolatria: non ci è comandato di non amare, ma ci è detto come amare.

Non cedere all’idolo (è la natura del sacrificio); è una lotta contro l’idolatria, perciò implica tutto: intelligenza, cuore e operatività.

C’è una seconda nota perché sia completa questa osservazione capitale sulla natura del sacrificio: il rapporto che ho non è vero se non vuole ciò che la natura dell’oggetto esige come suo orizzonte pacifico.

L’amore, nella sua realtà è affermar l’altro, affermare il bene dell’altro, volere il bene dell’altro, volere il destino dell’altro.

502 –Primo, il sacrificio è necessario in generale, per ogni azione dell’uomo, perché l’azione dell’uomo sia affermazione del vero e non di una menzogna, e la sua cordialità sia tributata non a un idolo, ma al Mistero vivente.

Secondo, senza sacrificio la nostra azione non nasce mai dalla carità, non c’entra con la carità, non ama mai!

  • Senza sacrificio la nostra azione non può amare, né l’uomo, né le cose.
  • Senza sacrificio, il rapporto con l’uomo non è vero.
  • Senza sacrificio non si ama niente e nessuno, eccetto che la reattività ultimamente animalesca del proprio io.

Perché senza sacrificio non si vuole bene all’altro.

Dire: «Ti amo» significa affermare il destino dell’altro, cioè che conosca Dio e che, comunque faccia famiglia, viva la famiglia come gloria di Cristo!

503 – Il risultato è che, se si cerca questa carità, se il rapporto vive il sacrificio di sostituire alla propria immagine e al proprio progetto il misterioso progetto di Dio, scoprirai di amare molto di più quella persona vivendo obbediente alla tua strada, fedele alla tua strada, perché il tuo cuore si inerpicherà là dove ti sembrava un sogno potere affrontare la roccia scoscesa, la strada in salita.

Senza sacrificio l’azione è contro la verità, perciò è per l’impostura: converte il cuore ad adorare l’idolo.

E senza sacrificio il rapporto con l’altro è un rapporto non di carità, non dettato dall’amore, cioè dal desiderio del bene dell’altro, anzi del destino dell’altro.

504 – Il sacrificio statisticamente è un fenomeno assolutamente generale; non si può fare un’azione senza sacrificio.

Altrimenti quell’azione diventa: primo, bugiarda, fa adorare l’idolo, fa sperare in ciò in cui non si può sperare; e, secondo, è contro la carità, non è una azione fatta per il bene del proprio fratello e, quindi, per il bene dell’umanità, per la gloria di Cristo.

La natura del sacrificio si capisce se si tengono presenti queste due osservazioni.

505 – «La natura è fatta per la felicità e il sacrificio è contrario a questo; e perciò è almeno incomprensibile, il sacrificio dal punto di vista naturale è incomprensibile. […] Per questo Pavese, nel suo diario, quando era ancora ragazzo, a diciassette anni, scriveva che il sacrificio è una cosa inconcepibile, “bestiale”lui dice (Da il Mestiere di vivere)» [Si può vivere così? p.321].

508 – Intervento: «Perché il sacrificio è impossibile eliminarlo

Perché l’Essere, il mistero dell’Essere implica le stelle del cielo, che sono una cosa fantastica!

Ma implica anche che Dio, il Mistero, sia messo in croce, sia assassinato da assassini, da deliquenti.

Il sacrificio è necessario perché è un aspetto ineliminabile della figura intera del mondo come la concepisce il Mistero che lo fa.

Il sacrificio, dunque, è necessario perché c’è, e c’è perché il Mistero che fa il mondo, fa un disegno che implica la croce di ogni uomo.

Qui c’è un punto fermo davanti al quale Pavese si ribellerebbe: direbbe che il sacrificio per il sacrificio è una cosa bestiale, disumana.

509 – Sperimentalmente siamo nelle condizioni di scoprire come, accettando quella condizione che ci ripugna, noi diventiamo più “noi stessi”, più uomini, più fecondi: non accettandola diventiamo più sterili, in tutti i sensi: dal senso letterale del far bambini al senso metaforico della generazione come opere e come lavoro.

Il Mistero viene e muore per noi; non noi per Lui, ma Lui per noi, per primo: ci ama per primo.

Accettare la condizione del Mistero è amare il Mistero, e nella vita non c’è nessun altro scopo immaginabile più valido di questo.

514 – Non puoi guardare in modo vero niente senza sacrificio, se non con un distacco dentro: c’è come un strappo, c’è come una esorbitanza di richiesta.

Il Mistero del sacrificio è condizione del rapporto con la presenza di questo destino, con la presenza di Gesù – non puoi dire, dunque, «Gesù», non puoi dir «Tu» a Gesù, non puoi dire, dunque, «Gesù è presente», se non con un sacrificio che si applica a tutti i rapporti, a qualsiasi livello: ogni rapporto è lasciato intatto là dove si trova.

Ma il sacrificio è a qualunque livello, qualunque: se tu uomo ti innamorassi di una donna e abbandonassi la strada e stessi con questa donna, sarebbe piena di sacrificio la tua strada e insulsa e senza sbocco-.

Il mistero del sacrificio è condizione affinché sia libero il tuo rapporto con il mondo, non schiavo.

Senza sacrificio il rapporto avrebbe lo stesso peso che gli dai tu.

Così l’oggetto ti dominerebbe, perché il peso che gli dai tu è quello che ti costringe a sentire istintivamente l’oggetto che scegli; l’oggetto che scegli ti impone se stesso e tu credi di essere tu a sceglierlo e a dargli il peso che vuoi.

Il sacrificio, dunque, è perché il rapporto con il mondo sia libero e così insorga sorgente divina nella carne dell’uomo, la suggestività più grande che esista nell’esperienza umana: la passione per il mondo.

Perché tu sei imprigionato nella piccola passione, nella breve passione che hai, sei imprigionato nella breve stanza dei tuoi giochi e sembri un bambino che sta da mattina a sera con la donna che lo accudisce nella stanza dei bambini.

539 – Il sacrificio che è il contenuto di ogni vocazione, riunisce la terra, dà unità al mondo.

La libertà del mondo, la liberazione del mondo è opera del sacrificio: è tutta una analogia con il mistero della croce.


523 – Intervento: «Allora io pensavo: il sacrificio che a me viene chiesto adesso, quello della verginità, è per amare, per poter amare veramente, anche le persone che hanno attraversato la mia vita e che magari non vedrò più per tutta la vita?».

Sì, ha come conseguenza l’eternità di ciò che credi d’aver perso, ha come conseguenza l’eternità.

Siccome la verginità è dedizione a Cristo, in questa dedizione tu salvi l’eternità di ciò che hai amato.

La verginità non è la negazione di nulla, afferma la condizione per cui può diventare eterno ciò che ami o ciò che hai amato.

Ma non può diventare eterno ciò che hai amato se non attraverso la mediazione della sua utilità per il mondo.

Perciò è una operazione: le suore di clausura la chiamano offerta, istante per istante.


501ss – Ecco che cosa è il sacrificio: il non cedere all’idolo.

Il sacrificio è lo strumento contro l’idolatria: non ci è comandato di non amare, ma ci è detto come amare.

Non cedere all’idolo (è la natura del sacrificio); è una lotta contro l’idolatria, perciò implica tutto: intelligenza, cuore e operatività.

C’è una seconda nota perché sia completa questa osservazione capitale sulla natura del sacrificio: il rapporto che ho non è vero se non vuole ciò che la natura dell’oggetto esige come suo orizzonte pacifico.

L’amore, nella sua realtà è affermar l’altro, affermare il bene dell’altro, volere il bene dell’altro, volere il destino dell’altro.

502 –Primo, il sacrificio è necessario in generale, per ogni azione dell’uomo, perché l’azione dell’uomo sia affermazione del vero e non di una menzogna, e la sua cordialità sia tributata non a un idolo, ma al Mistero vivente.

Secondo, senza sacrificio la nostra azione non nasce mai dalla carità, non c’entra con la carità, non ama mai!

  • Senza sacrificio la nostra azione non può amare, né l’uomo, né le cose.
  • Senza sacrificio, il rapporto con l’uomo non è vero.
  • Senza sacrificio non si ama niente e nessuno, eccetto che la reattività ultimamente animalesca del proprio io.

Perché senza sacrificio non si vuole bene all’altro.

Dire: «Ti amo» significa affermare il destino dell’altro, cioè che conosca Dio e che, comunque faccia famiglia, viva la famiglia come gloria di Cristo!

503 – Il risultato è che, se si cerca questa carità, se il rapporto vive il sacrificio di sostituire alla propria immagine e al proprio progetto il misterioso progetto di Dio, scoprirai di amare molto di più quella persona vivendo obbediente alla tua strada, fedele alla tua strada, perché il tuo cuore si inerpicherà là dove ti sembrava un sogno potere affrontare la roccia scoscesa, la strada in salita.

Senza sacrificio l’azione è contro la verità, perciò è per l’impostura: converte il cuore ad adorare l’idolo.

E senza sacrificio il rapporto con l’altro è un rapporto non di carità, non dettato dall’amore, cioè dal desiderio del bene dell’altro, anzi del destino dell’altro.

504 – Il sacrificio statisticamente è un fenomeno assolutamente generale; non si può fare un’azione senza sacrificio.

Altrimenti quell’azione diventa: primo, bugiarda, fa adorare l’idolo, fa sperare in ciò in cui non si può sperare; e, secondo, è contro la carità, non è una azione fatta per il bene del proprio fratello e, quindi, per il bene dell’umanità, per la gloria di Cristo.

La natura del sacrificio si capisce se si tengono presenti queste due osservazioni.

514 – Non puoi guardare in modo vero niente senza sacrificio, se non con un distacco dentro: c’è come un strappo, c’è come una esorbitanza di richiesta.

Il Mistero del sacrificio è condizione del rapporto con la presenza di questo destino, con la presenza di Gesù – non puoi dire, dunque, «Gesù», non puoi dir «Tu» a Gesù, non puoi dire, dunque, «Gesù è presente», se non con un sacrificio che si applica a tutti i rapporti, a qualsiasi livello: ogni rapporto è lasciato intatto là dove si trova.

Ma il sacrificio è a qualunque livello, qualunque: se tu uomo ti innamorassi di una donna e abbandonassi la strada e stessi con questa donna, sarebbe piena di sacrificio la tua strada e insulsa e senza sbocco-.

Il mistero del sacrificio è condizione affinché sia libero il tuo rapporto con il mondo, non schiavo.

Senza sacrificio il rapporto avrebbe lo stesso peso che gli dai tu.

Così l’oggetto ti dominerebbe, perché il peso che gli dai tu è quello che ti costringe a sentire istintivamente l’oggetto che scegli; l’oggetto che scegli ti impone se stesso e tu credi di essere tu a sceglierlo e a dargli il peso che vuoi.

Il sacrificio, dunque, è perché il rapporto con il mondo sia libero e così insorga sorgente divina nella carne dell’uomo, la suggestività più grande che esista nell’esperienza umana: la passione per il mondo.

Perché tu sei imprigionato nella piccola passione, nella breve passione che hai, sei imprigionato nella breve stanza dei tuoi giochi e sembri un bambino che sta da mattina a sera con la donna che lo accudisce nella stanza dei bambini.


505ss La natura è fatta per la felicità e il sacrificio è contrario a questo; e perciò è almeno incomprensibile, il sacrificio dal punto di vista naturale è incomprensibile. […] Per questo Pavese, nel suo diario, quando era ancora ragazzo, a diciassette anni, scriveva che il sacrificio è una cosa inconcepibile, “bestiale”lui dice (Da il Mestiere di vivere)» [Si può vivere così? p.321].

506 – L’aspetto materiale delle cose, l’aspetto temporale delle cose offusca la visione del pensiero, la purità dello sguardo dello spirito, la gratuità dell’amore

507 – Cosa vuol dire essere Memores? coloro che guardano la realtà immedesimandosi con Cristo.

Immedesimiamoci con Gesù e guardiamo tutte le cose come le guardava Lui.

Allora sentiremo nascere in noi una contentezza; cominceremo a comprendere la giustizia, anche di quello che agli uomini solitamente appare come inganno e menzogna.


499 – Il sacrificio afferma come il sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non mi riesce di affermarla.

Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco: muore, due giorni dopo muore.

Non riesci ad affermare l’oggetto dell’amore – la presenza è l’oggetto proprio dell’amore – compiutamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.

500 – È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: “Vieni Signore Gesù“, vieni Tu, perché Tu sei morto in croce, solo Tu, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice me, ma come conseguenza!

La vita è triste, ma è meglio che sia triste, perché se non fosse triste, sarebbe disperata.

Che vuol dire: la vita è piena di sacrificio, ma è meglio che sia piena di sacrificio, altrimenti non sarebbe vera.


495ss -Il sacrificio, o la croce, non solo è inevitabile per chiunque; ma è inevitabile perché l’atto che compiamo sia giusto, cioè vero e buono.

Sacrificio e dolore sono inevitabili per chiunque, in qualunque tempo della vita; ma quello che io volevo sottolineare è un’altra cosa, ed è questa l’osservazione più drammatica: se la croce è così necessaria, vuol dire che non c’è atto della vita dell’uomo, non c’è azione vera e buona che non implichi un sacrificio.

Più precisamente, senza sacrificio l’azione non è più se stessa, cioè non è vera nel suo significato, non è buona nella sua conseguenza.

Se nessuna azione può essere vera e buona senza che implichi in qualche modo un sacrificio, vuol dire che in qualche modo un’azione è impostura se non implica un sacrificio.

497 – La coscienza di essere peccatori è l’aspetto più acuto del dolore, è lo svelarsi più chiaro della necessità del sacrificio.

In tutti gli atti che compiamo tendiamo ad affermare noi stessi secondo una menzogna acuta, che è pretesa, presunzione, reattività, odio, gelosia, invidia.

502 – Il sacrifico è necessario in generale per ogni azione dell’uomo perché l’azione dell’uomo sia affermazione del vero e non di menzogna, e la sua cordialità sia tributata non a un idolo, ma al Mistero vivente.

506 – L’aspetto materiale delle cose, l’aspetto temporale delle cose offusca la visione del pensiero, la purità dello sguardo dello spirito, la gratuità dell’amore.

Ed è l’apparente ineluttabilità di questo che a Pavese faceva usare la parola «bestiale» a proposito del sacrificio: «Il sacrificio e il dolore sono una cosa bestiale»-

L’apparente ineluttabilità: prima di tutto, infatti, questa apparenza delle cose passa, anche il dolore più atroce passa, anche senza la morte.

508 – «Insomma, sacrificio qui, sacrificio là….il sacrificio è impossibile evitarlo, e su tutto incombe il sacrificio più grosso che si possa concepire, che è morire» [Si può vivere così? p. 324].

Intervento: «Perché il sacrificio è impossibile evitarlo? Perché è ovvio?

Perché è ovvio che ci siano le stelle del cielo? Perché ci sono! Perché l’Essere, il mistero dell’Essere implica le stelle del cielo, che sono una cosa fantastica!

Ma implica anche che Dio, il Mistero, sia messo in croce, sia assassinato da assassini, delinquenti,

Il sacrificio è necessario perché è un aspetto ineliminabile della figura intera del mondo come la concepisce il Mistero che lo fa.

Il sacrificio, quindi, è necessario perché è un aspetto ineliminabile della figura intera del mondo come la concepisce il Mistero che lo fa.

Il sacrificio è necessario perché c’è, e c’è perché il Mistero che fa il mondo, fa un disegno che implica la croce e la partecipazione alla croce di ogni uomo.

513 – Che (la verginità) riconosca il mistero del sacrificio come condizione e non come fine.

La strada della verginità esige che tu riconosca il destino presente a te, presente nella storia, presente nel mondo; ed esige che tu riconosca il mistero del sacrificio, che il sacrificio è necessario.

La croce, cioè il sacrificio, è condizione inevitabile, condizione, non fine.


114 – E il profondo la ragione non lo vede, ma se le è testimoniato, se le è fatto vedere, dopo non ne può più fare a meno; potrà aver paura del sacrificio, rinunciare al sacrificio, ma sempre si sentirebbe minorata, sempre.


575 – La parola sacrificio si distingue dalla parola fatica per una dignità che ha dentro, per una misteriosità che ha dentro, che la parola fatica non ha.

Il sacrificio è la fatica per il destino, ma il destino riverbera nella fatica che fa per esso la grandezza sua.

Se tu fai fatica per amore del destino, la nobiltà del destino si riflette nella grandezza d’animo con cui accetti il sacrificio per esso.


111 – (Per Mounier che metteva a capotavola la sua figlia) la figlia idiota era il segno dello spirito infinito, del rapporto cono l’infinito, che è l’anima, nascosta come dentro la tomba di una materia resa opaca dalla malattia.

Riconosciuta e accettata e offerta a Cristo, con la sua croce, perché salvasse il mondo.

163 – La salvezza è ora, è già dentro, come diceva il profeta Isaia: «Io faccio una strada nuova. Ma non te ne accorgi neanche. Ecco io faccio una strada nuova, non te ne accorgi?» [Is 43,19].

477 – «Redimere vuol dire far essere, cioè salvare; salvare vuol dire in latino conservare. Conservarlo per che cosa? Perché si compia, perché sia completamente se stesso e perciò perché sia eterno: senza la parola eterno un io non diventa più se stesso e tantomeno si compie» [Si può vivere così? p.291].

523 – Siccome verginità è dedizione a Cristo, in questa dedizione tu salvi l’eternità di ciò che hai amato.

Ma non può diventare eterno ciò che hai amato se non attraverso la mediazione della sua utilità per il mondo.

Perciò è una operazione: le suore di clausura la chiamano offerta, istante per istante.


315 – Leggi bene i salmi; in quasi tutti i salmi c’è dentro questo pensiero: «ma ritornerà a noi», «Ci farà ritornare a Sion».

I salmi sono una struttura di risposta alla domanda fatta, perché sono parole che Dio ha messo in bocca all’uomo, una preghiera in cui si lamenta.

Cioè Dio non teme nessun contenuto, purché tu sia – alla fine – piegato alla domanda e disponibile all’essere fatto.


207 – Non credo si possa dire che si ripeta troppo il paragone che a me pare più evidente, più immediatamente evidente: quando la Samaritana guardava quell’individuo dall’altra parte del pozzo che la fissava, che la guardava – mentre le parlava, la guardava -, lei non sapeva più dove mettere gli occhi, perché dove aveva trovato nella vita un uomo che la guardasse così?

306 – «La forma della felicità sono io – dice Cristo alla Samaritana ,Se bevi la mia acqua, non ti vien più sete in eterno» (Gv 4,13).

486 – Per sentire mio l’uomo che mi è antipatico, estraneo, antipatico o nemico, che mi ha fatto del male, per sentirlo mio – ma è un controsenso! -, bisogna capovolgere la mentalità.

Così, Gesù, che era giudeo, nemico dei samaritani, di fronte alla donna samaritana, alla donna nemica, ha condiviso con essa un pezzo del suo tempo, ha condiviso con essa un pezzo della sua coscienza, ha condiviso con essa un input che l’ha travolta.


130 – Il paragone tipico per il cristiano qual’è? È la santità. Madre Teresa di Calcutta è una cosa eccezionale…ma anche tu puoi diventare come lei! Sì, ma non come sforzo tuo, misura tua: deve c’entrare qualcosa d’altro.

298/299 – La santità è accettare che la cosa brutta o la cosa pesante o la cosa controproducente – così mi sembra! – che mi sta davanti sia il luogo e lo spazio dove il Mistero è presente a me: mi sveglia ogni mattina, mi dice «Coraggio» ogni mattina, mi dice «Pulisciti» ogni mattina, mi dice «Alè», diventando così compagno cento volte di più che non per tutti gli altri, diventando compagno durante la giornata.

466 – Forse che leggere le vite dei santi non è conoscere di più Gesù, l’esperienza di Gesù? Ma chi non è semplice non sa riconoscere i santi; per un semplice tutti sono santi, o tutti sono facilmente santi (eccetto lui stesso).

531 – (Pietro di Craon) disseminava la Francia di queste grandi cattedrrali e stava lavorando in quel momento alla sua più grande opera, la cattedrale di Reims, dedicata a santa Giustizia, una martire di cui si era trovato il corpo – il corpicino, perché aveva otto anni; come gli innocenti del vangelo, senza nessun merito eppure santa poiché martire.

Perché tutto viene da Dio, la vocazione viene esclusivamente da Dio, è Dio che determina e decide la fisionomia di ognuno-.

535 – Pietro di Craon: «Sii benedetta (Violaine) nel tuo casto cuore! Santità non è farsi lapidare in terra di paganìa o baciare un lebbroso sulla bocca, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più in alto.» [Paul Claudel, L’Annunzio a Maria].

565 – Intervento: «Io volevo chiedere come la responsabilità di fronte alla vocazione non diventa affanno o ansia sulle cose da fare».

Questa è una domanda molto bella e molto giusta, e saper rispondere a questa domanda sinceramente è la chiave di volta della santità.

La santità, la perfezione della vita, non sta nel numero degli sbagli non fatti o fatti; la perfezione della vita sta nella certezza che la forza di un Altro mi renderà capace di fare tutto quel che devo fare per raggiungere il mio destino.

Si è senza affanno nella vita spirituale quando si ha la certezza della forza di Dio.

Il problema della nostra santità, cioè il problema della nostra salvezza, non diventa ansia perché Colui che mi ha amato fino a chiamarmi ha una forza tale che vince qualsiasi nemico.


(Cfr. anche soddisfazione in “Si può vivere così?”)

80/81 – Intervento: «Che cosa significa che i criteri con cui giudicare l’esperienza nascono dall’esperienza

Esperienza elementare cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé (satisfacere); per essere completo, cioè per essere perfectus.


(cfr. anche: errore, menzogna, peccato)

209 – «Pietro, mi vuoi bene?», «Sì, sì».

Questo è l’inizio della morale.

Gli sbagli di tutti i giorni sono perdonati, perché «Molto è perdonato a chi molto ha amato» (Lc 7,47).

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente.

524 – Anche se uno sbaglia mille volte al giorno, ed è incoerente mille volte al giorno, ma mille volte al giorno sente il dolore della sua incoerenza e riprende in mano il cammino, rappresenta una partecipazione alla croce di Cristo di valore assoluto, un esempio di amore senza nessun ritorno.


153 – «Il “no” non nasce da ragioni, mai: nasce da uno scandalo. Lo scandalo è una parola greca che vuol dire una pietra su una strada, un inciampo. L’inciampo nel cammino alla verità è una forma di menzogna, si chiama preconcetto: uno si è già fatto, si è già fabbricato il suo parere su di Lui. Cristo è contrario a quello che io vorrei: io politico, io innamorato, io che ho sete di denari, io che voglio far carriera, io che voglio la vita sana. È contrario a ciò in cui uno ripone la sua speranza: inutilmente, perché non c’è nessuna speranza che poi accada. Il “no” nasce soltanto dal preconcetto» [Si può vivere così? p48]


197 – «La libertà è imperfetta, e proprio perché è imperfetta può scegliere una cosa che non è giusta. La capacità di scelta è propria di una libertà in cammino, non di una libertà compiuta. La scelta non appartiene alla definizione della libertà: la libertà è soddisfazione totale. L’errore, la possibilità dell’errore, appartiene a una libertà che non è ancora libera, che non è ancora libertà, che non ha ancora raggiunto la soddisfazione totale» [Si può vivere così? p. 72]. (Cfr. anche da Si può vivere così? la libertà).

La scelta non appartiene alla definizione essenziale della libertà.

La libertà che cosa è? È essere soddisfatti, trovare una risposta a quello che si desidera.

332 – Non è razionale dire: «Non c’è niente, dunque tutto si distrugge»; il no non è razionale perché non tiene conto, per potersi dire, dell’impeto che è risorto per essere risorto proprio adesso, non tiene conto di ciò che lo crea.

Non c’è una ragione che ci costringa alla negazione: la nostra è una opzione, una scelta, che mantiene tutta la drammaticità e il disagio di una scelta che non ha una ragione adeguata.

374 – Il giudizio si traduce in una affezione, nel prestarsi a una cosa per usarla oppure per non usarla: uno sceglie.

514 – Il mistero del sacrificio è condizione affinché sia libero il tuo rapporto con il mondo, non schiavo.

Senza sacrificio il rapporto avrebbe lo stesso peso che gli dai tu.

Così l’oggetto ti dominerebbe, perché il peso che gli dai tu è quello che ti costringe a sentire istintivamente l’oggetto che scegli; l’oggetto che scegli impone se stesso e tu credi di essere tu a sceglierlo e a dargli il peso che vuoi.


198 – La libertà per Dio è possedere ciò per cui è fatto, cioè se stesso.

In una situazione, invece, in cui uno ha di fronte una cosa che lo persuade fino ad un certo punto, può rispondere no o può rispondere : la scelta è l’indice di una libertà ancora in cammino, non di una libertà che è giunta al destino, cioè alla realizzazione continua.


(cfr. anche: chiamata, vocazione)

511 – «La scelta di alcuni […]Cristo per realizzare la sua opera nel mondo sceglie alcuni» [Si può vivere così? p.349].

Ti ha scelto Lui per primo.

512 -Tra miliardi, tra l’infinito e l’infinito numero di esseri ci sei tu.

Così nasce la prima scelta.

516 – «Per compiere la sua opera ha scelto alcuni…a cui ha aggiunto, nella fila del tempo, il nostro nome, il vostro nome; se siete qui, in qualche modo vi ha tirato i capelli, in qualche modo ha almeno sfiorato il vostro abito, se siete qui vi ha toccati; in qualunque modo abbia fatto vi ha toccati, vi ha chiamati» [Si può vivere così? p.350].

Poi, del resto, non può essere strano questo metodo: per far vedere la bellezza sceglie le stelle – sceglie le stelle, non i sassi che ci sono nel bosco -, e così qui: sceglie le stelle per far vedere questa cosa.

Le stelle sareste voi!

534 – Pietro di Craon (Paul Claudel, L’Annunzio a Maria). «Non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’Opera che l’ha scelta».

Questa è l’idea fondamentale: non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’Opera che l’ha scelta.


(cfr. anche: distacco, mortificazione, sacrificio, strappo)

478ss – «Una persona vuole veramente bene a un’altra persona quando si stacca da essa e vede in essa il possesso di un Altro, cioè di Dio. Non «si stacca da essa», ma «va fino in fondo ad essa»,perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla, neanche un capello del capo, come diceva Gesù, neanche un soffio appena accennato» [Si può vivere così? p. 292].

479 – In fondo ad essa che c’è? Che c’è in fondo alla persona? C’è il suo destino, altrimenti quello che vuoi è rubare ad essa, strumentare per te stesso qualcosa di essa, tradendo il fondo di essa, ciò di cui è fatta e per la cui manifestazione è fatta, il godimento ultimo per cui essa c’è: perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla.

Sono tutte e due metafore dello stesso tipo.

Nella prima devi immaginarti che uno entri in te fino in fondo alla tua faccia; in fondo alla tua faccia sta un Altro, che è la tua felicità.

Nella seconda, staccarsi da te significa staccarsi dal naso, dagli occhi, dai capelli, dal particolare: è il particolare che tradisce la totalità.

480 – Tu hai due immagini.

La prima: di una persona a cui vuoi bene, immagini, guardandola in faccia, di andare in fondo, in fondo alla tua faccia; in fondo alla sua faccia c’è un Altro: per questo l’adori, puoi adorarla. Se non vai fino a questo punto, non la puoi adorare, sei impostore, vuoi derubarla.

Amarla vuol dire entrare nella faccia di una persona, e camminare, camminare, camminare fino in fondo: in fondo, non facendosi da sé c’è un Altro.

La seconda immagine dire: per amare una persona devi strapparti da essa; strapparti dall’aspetto o dagli aspetti che bloccavano il tuo interesse.

Perciò, sia l’andare al fondo che lo strapparti hanno la stessa natura originante: sono immagini che la tua esperienza materiale ti permette di compiere, che realmente imbragano una idea grande che sta al di là del limite materiale da cui l’immagine è estratta.

Amare uno andando fino in fondo alla sua faccia per giungere là dove è creato, è un sacrificio per te, perché tu ti vorresti fermare o sei invitato a fermarti a ogni passo che fai.

487 – Qui è stata coperta dal plaid della parola «strappo» o dalla parola «scendere fino in fondo alla faccia»…

Ma la parola più bella è «scendere fino in fondo alla faccia»!

È un itinerario vincente e lunghissimo che, in fondo in fondo, finirà quando lo vedremo.

Quando vedremo Gesù, finirà anche questo lungo viaggio dentro la tua faccia.


(Cfr. anche: dubbio)

228 – Perciò non venite alle assemblee da investigatori, che spesso traduce qualcosa di peggio: un preconcetto che…

Si chiama «scetticità» questa estrema figura dell’investigatore che sei tu, del piccolo, «cimice» investigatore dell’infinito Iddio.

Invece il piccolo cuore del più piccolo bambino riceve luce dall’eternità nella sua semplicità.


251 – Se uno è in confusione o non sa cosa fare, allora ancora di più chiede.

Chiede ancor di più, perché uno che è in confusione è come uno schizofrenico, cioè non ha più niente che va d’accordo con il resto, è diviso in due, sempre diviso in due.


463 – Comunque, il problema è: «scienza non fa senza lo ritener l’aver appreso» (Paradiso, canto X, v24).

Non basta aver l’impressione di capire: scienza non è capire, ma è ritenere ciò che si è capito.

Questo ti farà intravedere il valore enorme, grande come la cappa del cielo, della memoria, ché la memoria tutto trattiene.

472 – La parola ragione in noi tende a intristirsi immediatamente, perché ce l’hanno insegnata come “due più due fa quattro”, come matematica, ce l’hanno insegnata come scienza.

E già come scienza non dovrebbe intristirci, perché la scienza è una scoperta: fai tutti i passi ben motivati, ben misurati, ma quello che scopri, scopri!


472 – E già come scienza non dovrebbe intristirci, perché la scienza è una scoperta: fai tutti i passo ben motivati, ben misurati, ma quello che scopri, scopri!

Non è la conseguenza dei passi; i passi ti portano su quel davanzale naturale da cui vedi lo spettacolo della scoperta.

La scoperta è uno spettacolo e l’attore di questo spettacolo è Chi fa tutte le cose.


204/205 – «Ma la cosa più bella è il concetto di strappo e di mortificazione. Strappandoti a quello che ti emoziona di più per amore di ciò che ti corrisponde di più, che è più giusto, la mortificazione per affermare la legge morale (cioè il rapporto con il destino invece che ciò che ti attira l’istinto), questa mortificazione non elimina niente: omnis creatura bona (ogni cosa è bene)» [Si può vivere così? 82].

A furia di strappi arrivo al mio scopo. Senza questi strappi, prima di tutto, non arriverei mai allo scopo.

Proprio perché le creature sono tutte buone e giuste, io mi attacco a ognuna a cui arrivo; ma se consento a questo di dominare la mia vita, la mia vita diventa senza scopo: lo scopo viene supplito dalla reattività o dall’istintività, che non è razionale.

205 – Mentre lo scopo è razionale – riguarda la mobilitazione del mio rapporto con la totalità del creato -, l’istinto o la reazione sono prodotti immediati che durano quel che durano, come miccia di una bomba.

Se lo scopo è fissato in base all’ordine del tutto o – come si dice – alla volontà di Dio, o a Cristo, perché Cristo è il nome della totalità della realtà, allora tutto rimane calmo e tutto si compie nella calma, non c’è nessuna deflagrazione.

C’è lo strappo ma non la deflagrazione, c’è la mortificazione ma non l’abbandono: niente è rinnegato di quel che c’è.

E, arrivando allo scopo che mi ha fissato Iddio, tutti gli strappi che ho accettato di fare me lo fanno vedere con molto più acume, con molta più attenzione, con molto più timore e rispetto, con molta maggiore intensità: è il centuplo quaggiù.

242 – La categoria della gloria: il nostro scopo non è Gesù Cristo, il nostro scopo è lo scopo di Gesù Cristo, lo scopo che aveva Gesù Cristo, la gloria del Padre.


107 – Il fatto di Dio che diventato uomo, di fronte a un mondo con simile pretesa, non può che destare rabbia, ribellione, cioè lotta.

Lo strumento principale in cui questo si avvera è la scuola: essendo lo strumento normale con cui lo Stato educa le persone, la scuola deve applicare questa lotta contro il cristianesimo.

E non è contro il cristianesimo quando parla male del cristianesimo; è contro il cristianesimo quando, in qualunque modo, dice che c’è solo quello che l’uomo può misurare.


20 – Purtroppo ci sono tanti di voi che non hanno fatto neanche il primo volume della Scuola di Comunità, invece proprio la Scuola di Comunità ci ha allenato, ci dovrebbe aver allenato a questo passo.

La Scuola di Comunità non c’è per chi ha la vocazione alla verginità, ma non c’è niente che prepari al cammino della vocazione alla verginità più della Scuola di Comunità.

La Scuola di Comunità è un torrente di ragioni.

41/42 – Il primo uso scorretto della ragione è quello di pretendere di dare giudizi su cose che non ci si è preparati a conoscere, a cui non ci si è preparati: occorre una preparazione, occorre una scuola (la Scuola di Comunità è un esempio d’applicazione di questo principio).

99 – Ci si può fidare di Gesù? È fidabile? Perché il problema è questo: se è fidabile o no, se il testimone è fidabile o no, se può contarci delle storielle oppure ci conta ili vero.

Per questo, capite, occorre va far bene la Scuola di Comunità e immedesimarsi bene col testo più importante dei quattro della Scuola di Comunità, che è il secondo: All’origine della pretesa cristiana.

La pretesa cristiana è la pretesa che Cristo ha che gli uomini gli credano.


163 – Uno capisce di diventar se stesso solo di fronte a queste cose, cioè di fronte a uno che viva così, che lo tratti così, che lo guardi così, che lo pensi così sempre.

Perché la memoria di Cristo , che è tale in quanto tende ad esseere continua, è riverbero della continuità con cui Gesù di Nazareth, uomo-Dio, ora, mi pensa.

246 – Intervento: «L’obbedienza e la sequela sono la legge naturale con cui io divento me stessa, e questo è una cosa che mi dà conforto; quando sto con voi, infatti, non mi perdo. Però, nel presente, è come se io non mi giocassi, e così rimango sempre triste

Come per il bambino: non sono i comandi della mamma, ma la mamma è presenza per il bambino!

E il bambino segue la mamma, aderendo a quel che dice, cento volte disobbedendo e due volte al giorno obbedendo, ma è attaccato alla mamma.

249 – «Man mano che lo capisci, non dipendi più da chi te lo dice; man mano che te lo si dice, chi te lo ha detto è come se diventasse una cosa sola con te stesso: segui te stesso. Al limite l’estrema forma dell’obbedienza è seguire la scoperta di se stessi operata alla luce della parola e dell’esempio di un altro, senza del quale uno brancicava nel buio, o viveva da animale» [Si può vivere così? p.125]

Intervento: «Volevo capire meglio cosa significa questo “seguire se stessi“, perché dall’esperienza che faccio, più capisco che quello che mi si dice corrisponde al mio cuore, più mi viene da attaccarmi a chi me lo dice».

Se l’altro ti dà ragioni che corrispondono al tuo cuore, risposte che sono aderenti al tuo cuore, seguendo lui segui più te stessa, perché ti conosci più di prima.

La spiegazione che ti è data, la ragione che ti è data, dilata la tua percezione di te stessa, dilata la tua autocoscienza, capisci più te stessa.

Perciò, seguendo l’altro, segui paradossalmente di più te stessa.

308 – Il punto di vista vero su di te è quello di Gesù.

Ma, siccome non ti ha fatta storta, è la tua “stortura” che deve essere cambiata e vinta.

Non devi essere diversa: devi diventare più te stessa; non devi lasciare qualcosa di te, devi diventare più te.


46 – Per capire Dio bisogna essere uomini.

Essere uomini vuol dire aver verso Dio lo stupore e la dipendenza; avere verso Gesù lo stupore e la confidenza; avere verso gli altri la rassegnazione e la pietà che si ha per se stessi.

201 Affezione ad esso (il destino), perché uno per natura è spinto ad amare se stesso, e uno non ama se stesso se non ama il suo destino ultimo.

390 – Se in qualche modo non si percepisce l’immanenza del Dio presente, del divino presente, di un Oltre presente, di un Tu presente, si è legati a quel che si sente, non a sé: si ha disprezzo di sé, vergogna di sé, ci si sente carogna, ma legatissimi a quel che si sente.


370/371 – Affermare l’altro come significato di sé: non il significato di sé, ma come significato di sé, l’altro entra nel significato di me.

Affermare l’altro come significato di sé, cioè come appartenenza al significato di sé: tu appartieni alla definizione di me stesso: il tu appartiene alla definizione di me. Questo è amore.

Affermare l’altro come significato di se stessi: affermare l’altro come essere e affermare l’altro come parte del significato di sé, come appartenente alla definizione di me stesso.

Ma se è affermazione dell’altro come significato di me, il significato di me non sono io: è abbandono di me, è povertà.

Affermar l’altro come significato di sé, ma se è affermar l’altro come significato si sé, vuol dire rinunziare al fatto che il significato di me sia io stesso (che è proprio dell’egoista o dell’egocentrico, del dittatore).

384 – Affermar l’altro che c’è: già questo inizia il distacco da me.

Ma la cosa diventa compiuta quando l’altro lo affermo come significato di me, come parte del significato di me, come appartenente al significato di me.

Il che vuol dire: il significato di me non sono io stesso.

E il significato di me mi è dato dal contesto, cioè dal disegno di Dio, cui l’altro che affermo appartiene.

E questa è povertà, perché è riconoscere che il significato non è in me stesso.

Tutta la cultura dal Trecento in poi, tutta la cultura europea si è ribellata a questo: …«Se Dio c’è non c’entra», perché quello che c’entra sono io: io porto il mio significato, e lo porto perché sono il significato di me stesso.

Fermarsi a comprendere in che senso l’altro è parte del significato di me, fino a che punto io devo rispettare l’altro: fare questo è difficile, l’uomo resiste a questo.

385 – Quindi non solo perché hai il peccato originale ti è difficile questo abbandono di te come significato di te, ma perché la società ha favorito questa menzogna.


52 – La verità di questa situazione è collocata tutta nel valore semantico, nel valore di segno che ha la cosa: se questa attrattiva ti lancia per una prospettiva che non ha fine (se ha un fine, non è secondo la natura dell’uomo, non terrebbe conto di tutti i fattori inerenti all’esperienza stessa; e infatti non è razionale, proprio perché la ragione è esigenza di conoscenza secondo la totalità dei fattori).

96 – L’identità tra Mistero e segno di cui io parlo è una identità reale al suo vertice: pensate alla suprema attuazione di questo, che è l’Eucarestia; più identità tra Mistero e segno dell’Eucarestia non c’è.

265/266 – Le attrattive di questa presenza suscitano gli ideali della vita: la bellezza, la verità, la creatività, il lavoro.

Tutto l’attaccarsi che l’uomo fa a questi ideali – si attacca l’uomo a questi ideali – e, perciò la stima che porta ai suoi desideri, lo accecano sulla provvisorietà di essi: l’uomo non vede che tutti questi sono segni, dei segni lungo la strada.

275 – L’apparenza diventa una immensa menzogna se non è segno di Lui.

Perciò l’uomo saggio cammina verso il suo destino imparando a scoprire tutto e a vivere tutto come segno, come segno di Lui.

285 – Gesù farà venire in mente a te cose da cui essere aiutata.

Per esempio, che la mattina, quando ti svegli, tu renda abituale in te come primo pensiero il pensiero di Colui che ti sta vicino, del Mistero che coincide con il segno.

E il segno è lì è la sedia, il papà, la mamma…Capisci?

Come per me il segno erano quei trentacinque amici, quei trentacinque compagni, di cui molti son diventati proprio amici (specialmente tre!).

298 – Il mistero coincide con il segno.

Noi andiamo a Dio attraverso dei segni che sono più o meno vicini a seconda che ci facciano impressione più o meno.

Ma cosa vuol dire che il Mistero coincide con il segno? Vuol dire che tu guardi una faccia per quello che veramente essa è nella misura in cui essa ti richiama alla sua essenza, alla sua natura: luogo dove diventa presente l’Eterno, il Mistero.

Intervento: «Riguardo alla domanda e alla coincidenza tra segno e Mistero: io sto facendo molta fatica nel lavoro e mi sto chiedendo:”Questo è il posto giusto per me?”,e sto pregando Dio

La santità è accettare che la cosa brutta o la cosa pesante o la cosa controproducente – così mi sembra! – che mi sta davanti sia il luogo e lo spazio dove il Mistero è presente a me: mi sveglia ogni mattina[…] diventando così compagno cento volte di più che non per tutti gli altri, diventando compagno durante la giornata.

299 – Che il Mistero coincida con il segno è una cosa molto più grande e affascinante di quanto stiamo dicendo ora.

Però quel che stiamo dicendo adesso c’entra, anzi la speranza è uno dei corollari più importanti di questa identità: il Mistero coincide con il segno.

Un Mistero che non coincida con il segno è proprio di tutte le religioni del mondo, che sono tutte dualiste: il mistero è una cosa astratta, lontana, misteriosa, spirituale; mentre a noi, quello che importa, è il concreto.

337ss – L’uomo fa coincidere le sue eccessive attese con una donna che ha davanti, con ciò che ha davanti, mentre ciò che ha davanti rimanda ad altro che egli non sa, ma che attende e non sa neanche di attenderlo.

Cristo è venuto per chiarire questo gioco: «Tutto è segno di me. Tutto parla di me».

Tutto ciò che è grande nella vita è profezia di Lui.

La verità più affascinante di una donna o di una musica o di una cosa bella è di essere segno di qualcosa d’altro.

Quando l’uomo presènte questo immediatamente piega l’animo ad attendere l’altra cosa: anche davanti a ciò che può afferrare, ma attende un’altra cosa.

La speranza non è in quello che puoi afferrare, ma in qualcosa d’altro.

338 – Gesù, tu sei altro e sei più grande di quello in cui io fisso umanamente, o fisserei umanamente, la mia speranza; ma tu non sei fuori di quello in cui io fisso la mia speranza[…], tu sei dentro.

La parola cristiana è la parola umana cui è stato rivelato, svelato, il suo vero oggetto, che non annulla niente, che non manda via nulla, ma di tutto svela la verità: tutto rivela come segno di sé.

Il segno è per sua natura provvisorio, eccetto quello che ti porta a Cristo; quando il segno è segno di Cristo, rimane, come Cristo, per l’eternità.

339 – Mistero e segno coincidono: il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani; il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

La speranza cristiana è la più ricca apertura alla realtà, la più ricca scoperta della realtà, la più grande esaltazione della realtà che l’uomo possa conoscere.

Se non si scandalizza della contraddizione per cui deve lasciare qualche cosa, se abbandona qualche cosa, quel volto, quel panorama, quella musica, diventano eterni, appartengono al corpo di Cristo.

Se lasci qualche cosa!

Innanzitutto la tua pretesa su di essi; in secondo luogo la tua immagine di essi; in terzo luogo se accetti che essi siano segno, ma non segno come quello stradale (il segno stradale ti rimanda una città che non c’entra niente con la freccia): le creature amate, stimate, che ci attirano, non sono una indicazione di dove sia Cristo – la bellezza del mondo – ma sono luoghi dove Cristo si incarna per toccare te, per richiamare te, per essere servito da te, per essere amato da te, per essere utilizzato per il suo contributo alla salvezza del mondo.

Seguire e guardare. Seguire e guardare.

342 – Il padre è un punto dell’essere importantissimo, è il segno immediato del Mistero che ci ha fatti, il segno immediato di Dio, qualunque uomo sia stato – degno o non degno non c’entra, è l’essere segno che c’entra -.

380 – La scoperta del più grande avviene abbandonando le proprie evidenze sperimentali; le vivi fino in fondo, in fondo capisci che c’è un vento che ti butta al di là di esse – il vento dello Spirito ti butta al di là di esse -: il famoso punto di fuga, che si chiama anche segno.

Che una cosa sia segno vuol dire che, a un certo punto, ti butta al di là di se stessa.

405 – Quello che nella nostra vita è simbolo, segno, riflesso – ma la parola più giusta è segno – è ciò che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto con questo uomo.

È dentro quello che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto totalizzante – obiettivamente – con Cristo, è guardando l’esperienza che più è segno del nostro rapporto con Cristo, che si capiscono le cose, si incominciano a intravedere le cose.

438 – Guardi Gesù che ti raggiunge […] con le nostre presenze: fragili maschere, segni fragilissimi e quasi esotici, quasi bugiardi.

Ma non siamo bugiadi, tu ed io siamo poveretti: fragili maschere, fragili segni.

Fragili maschere, fragili segni di qualcosa di potente: tanto è vero che mi raggiunge adesso qui.

481ss – Se Dio, il Mistero, è diventato carne, nato dalle viscere di una donna, non si può capire niente di questo Mistero se non partendo da esperienze materiali.

Ecco perché l’esperienza che un bel viso desta è segno.

Ma perché un viso sia segno «di sovrumani fati e d’aurei mondi», bisogna che ti strappi a qualcosa d’altro, cioè di qualcosa di inerente all’esperienza che fai: devi trasformare l’esperienza.

Deve subire una metamorfosi la faccia che hai davanti; se non subisce un cambiamento non l’ami più, si perde il divino, si perde il meglio della faccia: è triste.

482 – Vivere la carità verso una persona significa sempre subire questo tipo di contrasto, proprio perché è la verità nell’affermare l’altro.

Affermare il suo aspetto materiale, concreto, l’apparenza esistente, e affermare il suo eterno appaiono in contrasto: devi esprimerli contrastandoli.

Ma quanto più li devi esprimere contrastandoli, tanto più senti l’unità che c’è dentro.

483 – Una preferenza è tale in quanto è segno dell’ultimo, del grande, del totale, del finale: dell’ultimo.

Se tu guardi la foglia di un albero, o se tu guardi il capello che viene sul naso della tua compagna, o se tu guardi i sentimenti del tuo cuore, quello che guardi condensa tutta la forza della ragione,condensa tutta la capacità affettiva, condensa l’impeto costruttivo, condensa il genio dell’io in quanto segno dell’ultimo.

Una cosa è veramente segno dell’ultimo se, quanto più essa si immedesima con la coscienza di te stesso, quanto più la capisci e quanto più l’ami tanto più desta interesse alla totalità del mondo.

484 – Quanto più una cosa è segno del tutto, tanto più la sua considerazione, l’amore ad essa, il connubio con essa, genera un abbraccio a tutto ciò che c’è, una emozione e una commozione per l’umanità di ogni viso e di ogni situazione.

Andare in fondo vuol dire cogliere qualcosa in modo autentico, come segno di Dio.

496 – Sentendo quel che sento e vedendovi ballare, la gioia che mi destate va al di là di quel che vedo.

Perché quel che vedo è un simbolo, è un segno: la bontà di quel che vedo, la verità di questa gioia è di essere segno di altro.

Neanche a uno tra voi viene in mente di pensare ad altro, o a questo altro

557 – Immaginati che la faccia della tua donna sia come un punto di fuga, un punto che si apre dentro lo scenario dell’universo, e da quel buco lì intravedi da dove viene la luce per tutto, che illumina tutto e da dove viene quel fiato che fa la forma di tutto.

Cioè guardi la donna come segno del Mistero, il segno di un’altra cosa.

Perciò mantieni il sentimento.

560 – Mistero, che è il destino, e segno, che è la cosa attraverso cui il destino ti si palesa, sono la stessa cosa.


(cfr. anche: obbedienza, rimanere)

215ss – Vivere l’obbedienza sinteticamente viene significato dal verbo seguire, immaginativamente è seguire.

Quando è giusto seguire?

216 – Prima di seguire, cosa occorre perché sia giusto seguire, doveroso seguire?

Intervento: «La fede».

Questa risposta è molto giusta tanto è vero che abbiamo parlato di obbedienza nella parte dedicata alla fede.

Dico che è giusto seguire quando è ragionevole, quando ci sono delle «ragioni» per seguire.

Ci sarebbe un aggettivo in più da aggiungere alla parola «ragioni»: «adeguate».

217 – Come si fa a capire quando si hanno ragioni adeguate per seguire?

La ragione adeguata per seguire una persona, per obbedire a una persona è che di quella persona mi posso fidare.

218 – Per obbedire, perciò, bisogna innanzitutto rendersi conto del perché mi posso fidare di quella persona.

Intervento: «Ma che differenza c’è dalla fede, allora

La fede è un giudizio: «Di questa persona mi posso fidare».

L’obbedienza (o li seguire) è una conseguenza etica, una conseguenza pratica, una conseguenza di mossa, una conseguenza attiva: «Siccome mi posso fidare, lo seguo».

L’obbedienza non è la fede! È la conseguenza etica, morale, cioè di comportamento, che nasce dalla fede.

219 – Quando io ho ragioni adeguate per fidarmi di una persona così da seguirla, da obbedirle?

La parola «obbedienza» indica una azione, io obbedisco in una azione; seguire vuol dire obbedire in tante azioni, in un seguito di azioni.

Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona (stiamo parlando dell’ambito di cose che ci interessano: della vita, della vita come cammino).

220 – Primo, è razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano.

221 – Secondo fattore: l’altro mi dice queste cose per una gratuità.

La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attattaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.

Terzo fattore: ti aiuta.

Ti aiuta a superare ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa, ti sembra di dover perdere qualcosa.

222 – A questo punto ci siamo! Abbiamo chi seguire, le caratteristiche che rendono ragionevole il seguire, e dobbiamo seguirlo.

Aderire a se stessi vuol dire seguire l’altro: questo è un paradosso, è il paradosso che ha fatto cedere Eva.

Da quando c’è l’uomo, questo è il paradosso che è la prova della libertà: per essere me stesso devo seguire l’altro.

Questa è la prima cosa che corrisponde al cuore: io c’ero, se voglio esserci devo seguire un altro.

245 – Perché obbedisci?

Perché quello ti rivela il tuo destino e parla secondo le esigenze del tuo cuore; le supera – il destino le supera, però le supera realizzandole.

Lo segui perché corrisponde al tuo cuore, è appassionato al tuo destino.

Obbedire, seguire chi vuole il tuo destino, identifica il seguire, l’obbedire, con l’amicizia; chiarisce come obbedire e seguire sono la vera amicizia.

L’obbedienza è la virtù di questo volere il bene dell’altro.

Quanto più segui chi ti vuole bene, tanto più sei te stesso.

Il soggetto dell’obbedienza è l’io di fronte al destino; l’atto obbediente rende l’io più io.

272 – Se pretendi di esaurire la conoscenza prima di seguire, ti metti in una prigione da cui non uscirai più.

Cosa vuol dire seguire? Guardare.

Secondo il linguaggio oggettivo degli uomini, seguire vuol dire guardare.

315 – Se tu non fai quello che ti è detto, se tu non segui, le cose si complicano; se tu segui anche quando non hai voglia, non dico che ti viene la voglia in quel momento, ma la voglia ti ritornerà.

Forse per capire la complessità greve e nello stesso tempo la possibilità di libertà viva del discorso che stiamo facendo, bisogna ridirsi con chiarezza la parola seguire qualcuno, seguire: «Venite a vedere», «Seguimi», «Tu seguimi».

«Seguimi»: perché il seguire è essenzialmente il mettere il piede su un passo di strada che non si conosce, tutto giocato nella fiducia di chi sta davanti.

338 – Se tu segui la compagnia che Cristo ha iniziato, se tu ci segui, incominci da questo mondo la prima intuizione dell’altro mondo.

543s – La prima cosa è seguire chi è davanti a voi e vi dice:«Và di qui» e ti accorgi dopo che c’è un baratro di qua.

Non puoi pretendere di sapere il perché prima di fare il passo: se pretendi di sapere prima di seguire, sei finito.

Per seguire bisogna guardare e muoversi secondo quel che si vede.

544 – Seguire, che è guardare, muovendosi però, non stanto lì fermo a dire: «Aaah!».


152 – «Sappiate rendere ragione a chiunque della fede che è in voi»[1 Pt 3, 15].

Questa è la ragione: «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù».

La ragione per cui io seguo Cristo è perché seguire Cristo è bello.

238 – «Seguire Cristo vuol dire avere gli stessi sentimenti di Cristo, gli stessi sentimenti che Cristo ebbe verso il Padre; seguire Cristo vuol dire assimilare, assumere lo stessso atteggiamento che Cristo ebbe verso il Padre» [Si può vivere così? p. 118].


270 Vedere è seguire: nella storia del pensiero umano e dell’esperienza umana, vedere è seguire, vedere e seguire sono sinonimi.

Tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne ha la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.

272 – Cosa vuol dire seguire? Guardare.

Secondo il linguaggio oggettivo degli uomini, seguire vuol dire guardare.

543/544 -Per seguire bisogna guardare e muoversi secondo quel che si vede.

Guardare, come diceva il famoso padre gesuita de la Potterie: «La fede è un cammino dello sguardo», la fede è il cammino che è fatto guardando chi è più avanti, è il cammino dello sguardo.


219 – Quando io ho ragioni adeguate per fidarmi di una persona così da seguirla, da obbedirle?

La parola «obbedienza» indica una azione, io obbedisco in una azione; seguire vuol dire obbedire in tante azioni, in un seguito di azioni.

Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona (stiamo parlando dell’ambito di cose che ci interessano: della vita, della vita come cammino)?

220 – Primo, è razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano.

221 – Secondo fattore: l’altro mi dice queste cose per una gratuità.

La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.

Terzo fattore: ti aiuta.

Ti aiuta a superare ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa, ti sembra di dover perdere qualcosa.

238 – Una obbedienza – cioè un attaccamento favorevole, una preferenza riconosciuta -, in quanto detta una continuità di vita, si impone come continuità della vita, si chiama «seguire».

Il verbo completo della parola «obbedire» è la parola «seguire».


245 – Quanto più segui chi vuole il tuo bene, tanto più sei te stesso: non «ti vendi», ma «ti ritrovi».

Il soggetto dell’obbedienza è l’io di fronte al destino; l’atto obbediente rende l’io più io.

249 – «Man mano che lo capisci, non dipendi più da chi te lo dice; man mano che te lo si dice, chi te lo ha detto è come se diventasse una cosa sola con te stesso: segui te stesso. Al limite l’estrema forma dell’obbedienza è seguire la scoperta di sé stessi operata alla luce della parola e dell’esempio di un altro, senza dei quali uno brancicava nel buio, o viveva da animale» [Si può vivere così? p. 125].

Se l’altro ti dà ragioni che corrispondono al tuo cuore, risposte che sono aderenti al tuo cuore, seguendo lui segui di più te stessa, perché ti conosci più di prima.

La spiegazione che ti è data, la ragione che ti è data, dilata la percezione di te stessa, dilata la tua autocoscienza, capisci di più te stessa.

Perciò, seguendo l’altro, segui paradossalmente di più te stessa.


215ss – Vivere l’obbedienza sinteticamente viene significato dal verbo seguire, immaginativamente è seguire.

Quando è giusto seguire?

216 – Prima di seguire, cosa occorre perché sia giusto seguire, doveroso seguire?

Intervento: «La fede».

Questa risposta è molto giusta tanto è vero che abbiamo parlato di obbedienza nella parte dedicata alla fede.

Dico che è giusto seguire quando è ragionevole, quando ci sono delle «ragioni» per seguire.

Ci sarebbe un aggettivo in più da aggiungere alla parola «ragioni»: «adeguate».

217 – Come si fa a capire quando si hanno ragioni adeguate per seguire?

La ragione adeguata per seguire una persona, per obbedire a una persona è che di quella persona mi posso fidare.

218 – Per obbedire, perciò, bisogna innanzitutto rendersi conto del perché mi posso fidare di quella persona.

Intervento: «Ma che differenza c’è dalla fede, allora

La fede è un giudizio: «Di questa persona mi posso fidare».

L’obbedienza (o li seguire) è una conseguenza etica, una conseguenza pratica, una conseguenza di mossa, una conseguenza attiva: «Siccome mi posso fidare, lo seguo».

L’obbedienza non è la fede! È la conseguenza etica, morale, cioè di comportamento, che nasce dalla fede.

219 – Quando io ho ragioni adeguate per fidarmi di una persona così da seguirla, da obbedirle?

La parola «obbedienza» indica una azione, io obbedisco in una azione; seguire vuol dire obbedire in tante azioni, in un seguito di azioni.

Quando io obbedisco con ragione adeguata a una persona (stiamo parlando dell’ambito di cose che ci interessano: della vita, della vita come cammino)?

220 – Primo, è razionale seguire un altro, obbedire a un altro, quando mi comunica e mi rivela una concezione della vita e del suo destino che poggia tutta quanta sulle esigenze originali del cuore, che sono comuni a tutti gli uomini, quando fonda una concezione della vita che poggia sulle esigenze comuni del cuore umano.

221 – Secondo fattore: l’altro mi dice queste cose per una gratuità.

La gratuità è l’amore al destino dell’altro e basta; l’unico motivo per cui me lo dice è l’attattaccamento al mio destino, alla letizia della mia vita e alla felicità da raggiungere.

Terzo fattore: ti aiuta.

Ti aiuta a superare ciò che è contrario a queste esigenze; ti aiuta al sacrificio, cioè a quell’aspetto di coscienza per cui, aderendo alle esigenze del cuore, ti sembra di dover rimetterci qualcosa, ti sembra di dover perdere qualcosa.

222 – A questo punto ci siamo! Abbiamo chi seguire, le caratteristiche che rendono ragionevole il seguire, e dobbiamo seguirlo.

Aderire a se stessi vuol dire seguire l’altro: questo è un paradosso, è il paradosso che ha fatto cedere Eva.

Da quando c’è l’uomo, questo è il paradosso che è la prova dellal libertà: per essere me stesso devo seguire l’altro.

Questa è la prima cosa che corrisponde al cuore: io c’ero, se voglio esserci devo seguire un altro.

245 – Perché obbedisci?

Perché quello ti rivela il tuo destino e parla secondo le esigenze del tuo cuore; le supera – il destino le supera, però le supera realizzandole.

Lo segui perché corrisponde al tuo cuore, è appassionato al tuo destino.

Obbedire, seguire chi vuole il tuo destino, identifica il seguire, l’obbedire, con l’amicizia; chiarisce come obbedire e seguire sono la vera amicizia.

L’obbedienza è la virtù di questo volere il bene dell’altro.

Quanto più segui chi ti vuole bene, tanto più sei te stesso.

Il soggetto dell’obbedienza è l’io di fronte al destino; l’atto obbediente rende l’io più io.


141 – Di fronte a Cristo vien la domanda: «Chi è questo qui?».

Davanti a questa domanda posso aderire o no: la libertà.

La libertà viene dopo che la proposta è fatta.

La libertà, che viene dopo la proposta fatta, dipende dalla semplicità con cui il cuore è cresciuto e cresce.

Semplicità vuol dire: dalla fedeltà con cui il cuore cresce secondo la posizione in cui l’ha messo Dio creandolo.

Non è un problema di fede, è un problema di moralità umana.

153 – Concetto: sei concepito da qualcosa che sta prima, concepito da qualcosa che sta prima.

Segui, prosegui questa dipendenza sempre.

«Ti rendo grazie, o Padre, perché hai nascosto queste cose a quelli che si credono qualcosa e le hai rivelate ai semplici»[Mt 11,25].

Semplice è chi prosegue la modalità con cui è concepito e non introduce qualcosa di estraneo perché immaginato da lui o insistito nell’ambiente.

158 – (Al giovane ricco Gesù disse)«Seguimi, vieni con me».

Quello non rispose, tanto era evidentemente ingiusto rispondere di no.

Ma non era così semplice e aperto al sacrificio da dirgli di «», e perciò stette fermo.

227 – La preparazione che Dio fa dell’uomo alla grande esperienza del creato, alla grande avventura della realtà, qual’è?

La semplicità del bambino, dei poveri di spirito.

393 – Dir sì a Cristo vuol dire quello che Cristo diceva nel Vangelo: «Ti ringrazio, Padre, perché hai rivelato queste cose, hai fatto comprendere queste cose a chi è semplice» [ Mt 11,25; Lc 10,21), cioè a chi ha un atteggiamento di accettare, di riconoscere e di accettare tutto ciò che è, tutto ciò che gli si presenta davanti, tutto ciò che è positivo, e non pretende esaurire la comprensione delle cose.

448 – Se uno capisce di essere bambino di fronte al Mistero, allora è avido di sentire tutte le parole che possono esere dette.

546ss – Il vangelo la chiama «semplicità».

Undicesimo capitolo di san Matteo: «Ti ringrazio Padre, perché hai svelato queste cose a chi non crede di sapere, ma agli umili, ai semplici di cuore»(Mt.11,25).

«Beati in poveri in spirito»(Mt5,3; Lc 6,20): il povero è colui che non ha da difendere niente, di fronte alla realtà non può opporre niente – zero, niente!

547 – Se tu non sei semplice e povera di spirito, se non vuoi la verità più di te stessa, se non vuoi la verità più di quanto ti pare e piace, allora introduci qualche cosa di estraneo che devi difendere e che altera lo sguardo alla cosa in discussione.

Se sei semplice dici pane al pane e vino al vino.

548 – Il cammino del Signore è semplice come quello di Giovanni e Andrea – semplice.

E anche di Simone! Non la decisione di Simone a dir di sì, ma quella semplicità per cui il è nato dalla convivenza di tre anni.

La via del Signore è semplice come quella di Giovanni e Andrea, di Filippo e Simone, che hanno cominciato ad andare dietro a Cristo: per curiosità e desiderio.

Non c’è altra strada al fondo, oltre questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero.

551 – Non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà non deve difendere nulla di fronte alla Presenza.

552 – Chi fa questo si sente libero, incomincia a capire cosa è la libertà; non «incomincia con il capirla», «incomincia con il respirarla»: è contento, è contento del giorno che verrà.

Intervento: «La semplicità a me sembra come una assenza di ragione, una ingenuità di fronte alla realtà quasi…» …quasi selvaggia, da selvaggi, da incivili.

Io insisto nel definire semplicità l’atteggiamento, la posizione dinamica, viva, di fronte alla realtà, in cui Dio crea l’uomo e perciò appare subito nel bambino, perché il bambino è l’uomo che incomincia a muoversi.

Il bambino, con tutta la sua semplicità, possiede la condizione per capire il vero dell’uomo a quarant’anni.

564 – Il semplice si lascia attrarre da ciò che è più grande, più bello e più buono.

Chi parte avendo paura del più, perde anche il meno: «A chi più ha, più sarà dato; a chi meno ha, meno sarà dato e sarà tolto anche quello che non ha»[Mt 25, 29].


123/124 – C’è una connessione per cui in proporzione alla tua sensibilità e attenzione – in proporzione alla tua intelligenza, ma alla sensibilità della tua intelligenza (alla sensibilità che la tua intelligenza ha della vita, al sentire ciò che vive), e in proporzione alla tua attenzione ad ascoltare quello che la tua sensibilità ti dice – puoi essere unita.

124 – Anzi la coscienza dell’essere lontana ti rende più unita, più preoccupata di essere unita, che neanche tutte le turbolenze effimere e caotiche delle tue compagne qui.

Andate a leggere, per esempio, i libri dei Padri del deserto: che razza di sensibilità avevano, che conoscenza avevano delle cose umane.


555 – Il sentimento che hai è naturale, semplicemente constatabile come dinamica di bisogno che Dio mette nel cuore dell’uomo, di qualsiasi uomo, perché qualsiasi uomo, se non è eunuco, ha il piacere di vedere la faccia della donna, e certe prospettive, col tempo che cresce, nascono.

Prima di tutto per avere il centuplo non bisogna lasciare quel sentimento, tagliare quel sentimento, abolire quel sentimento; anzi, il primo centuplo è riconoscere il valore di quel sentimento, che così come ti è venuto è provvisorio.

556 – IL sentimento come tale non è da eliminare.

Come si fa a trattenere un sentimento senza eliminarlo ma avverandolo?

Il centuplo riguarda l’avveramento, l’avverarsi, il diventar vero del sentimento umano.

«Diventar vero» vuol dire, innanzitutto, che si mette in situazione di permanenza, di durata: niente gli può resistere, niente lo può far scomparire, niente!


339 – L’esempio di Leopardi serva a comprendere la collusione con cui il sentimento umano opera col sentimento divino.

Non sei vero se guardi il tuo bambino, se guardi il tuo amico, se guardi l’uomo per cui spendi la vita, non sei vero con loro se non intravedi, incominci a intravedere, accetti di intravedere, accetti di incominciare a intravedere nella loro sembianza la presenza di qualcosa d’altro, la presenza di un Altro, la presenza del Mistero che si è fatto carne, e aveva un volto, un bel volto, era un bel giovane, era un uomo.


555ss – Il centuplo viene considerato istintivamente alla stregua della consolazione che mi darebbe l’affezione di quel giovanotto.

Capisco le ragioni che Gesù ha di imporsi a me, però il centuplo di quel sentimento non me lo dà.

L’obiezione al centuplo viene da qui: che immagini il centuplo come il centuplo del sentimento che hai abbandonato.

Il sentimento che hai è naturale, semplicemente constatabile come dinamica di bisogno che Dio mette nel cuore dell’uomo, di qualsiasi uomo, perché qualsiasi uomo, se non è eunuco, ha il piacere di vedere la faccia della donna, e certe prospettive, col tempo che cresce, nascono.

Prima di tutto per avere il centuplo non bisogna lasciare quel sentimento, tagliare quel sentimento, abolire quel sentimento; anzi, il primo centuplo è riconoscere il valore di quel sentimento, che così come ti è venuto è provvisorio.

556 – IL sentimento come tale non è da eliminare.

Come si fa a trattenere un sentimento senza eliminarlo ma avverandolo?

Il centuplo riguarda l’avveramento, l’avverarsi, il diventar vero del sentimento umano.

«Diventar vero» vuol dire, innanzitutto, che si mette in situazione di permanenza, di durata: niente gli può resistere, niente lo può far scomparire, niente!

558 – Insomma, capite come deve essere il centuplo?

Il centuplo è lo stesso sentimento, ma come è stato voluto da Dio, come sua spia, come suo sintomo, come suo segno.

Uno che arriva a questo punto è capace di non arrabbiarsi più ed è capace di morire per l’altro.

561 – Il centuplo quaggiù vuol dire che il sentimento non deve essere eliminato ma aumenta: aumenta con come chili, aumenta come valore, aumenta come natura propria.

Il centuplo quaggiù significa un trasformarsi anche del tempo e dello spazio per cui la lontananza è il dolore, non una diminuzione.

E il dolore appartiene al sentimento umano esattamente come la gioia e la letizia.


365 – Un sentimento è vero quando risponde a tutte le domande del tempo, il tempo non si ferma un istante.

Bàrricati contro il tempo: non lo fermi un istante, non lo puoi fermare un istante.


568 – La difficoltà in queste cose sta nella distanza che c’è tra il giudizio e il sentimento come emozione o come reattività.

Il giudizio è una verità che si riconosce e si afferma; l’emozione è una reazione del proprio temperamento – e momentanea, per di più! -.

L’uomo è chi cammina in base al giudizio e non in base alla reazione, perché in base alla reazione anche i topi si muovono.


(cfr. anche: obbedienza, rimanere, seguire).


524 – «Questo anticipo che presente nel rapporto con te come ti vedrò per sempre nella trasparenza eterna, nella trafigurazone eterna, nella serietà dell’eterno, si chiama centuplo quaggiù. Siamo chiamati ogni giorno, la sera, a domandarci quanto centuplo abbiamo vissuto.» [Si può vivere così? 353]


57 – La grande questione è la serietà.

È la serietà, senza serietà non potete immaginarvi la faccia di uno.

La faccia di uno non la potete immaginare e ricordare se non in un istante di serietà, altrimenti non ricordate l’immagine di uno.


287 – Mentre nel ‘68 la tragedia era data dalla egemonia che pretendeva il marxismo, adesso, nel disastro generale, nella confusione generale, nella mancanza di certezze, nella mancanza di positività di oggi, nella mancanza di ideali, nella aridità di oggi, l’unica cosa che l’uomo può immaginarsi che gli dia conforto è il mettersi insieme.

404 – […] è sempre ripetuto.

Anzi quanto più lo si ripete, tanto più diventa consapevole di motivi, chiaro nelle ragioni, intenso come forza di fedeltà.

Chiunque spacca questa fedeltà va alla deriva.

È quanto ho sempre detto a tutti quelli che, specialmente dopo il 68, andavano con gli altri: «Se avete un interrogativo e rimanete fedeli, il tempo che passa vi risponde, vi giuro che il tempo che passa vi risponde».

Non c’e n’è uno che sia rimasto fedele e non debba dire: «Sì è vero».


Certo! Se chi pretende la tua obbedienza ti porta ragioni che corrispondono alle esigenze del tuo cuore, vuol dire che quello che ti comanda vale o varrebbe per tutti gli uomini: non è una proposta di una concezione settaria, non è un tentativo di rapina!

Ti propone dei valori che vanno bene per tutti, farebbero più soddisfatti tutti.


88 – Comunque, di fronte al Mistero, la ragione non può dire: «Se io ci do dentro, lo conosco».

Questo «darci dentro» sembrò agli uomini del 1700 lì sulla porta: basta aprire la porta e ci siamo.

Alla fine del 1800 han detto: «Ci manca soltanto saper affrontare scientificamente la psicologia e la sociologia e poi abbiamo conosciuto tutto».

Invece, nossignore! La ragione, davanti al Mistero, rimane limitata.

166 – Il secolo dei lumi, dell’innamoramento dell’uomo per la sua ragione astrattamente concepita è il Settecento; mentre l’Ottocento è il secolo della ragione applicata, quella che dovrebbe risolvere le questioni e ha preteso negare l’avvenimento cristiano.


108 – Intervento: […] Com’è che Cristo può diventare effettivamente così concreto per me?».

È solo il tempo che passa che rende esperienza – perché Cristo è Dio diventato uomo, perciò è Dio che si obbliga a diventare esperienza carnale nell’uomo -: verrà il tempo in cui, sorprendendoti ad osservare una donna che ti commuove, capirai che diversità c’è tra lo sguardo di allora e lo sguardo di adesso, e avrai pietà per l’infantilismo di adesso, o dovrai avere misericordia per l’egoismo di adesso.

280 – Padre Ignace de la Potterie parla dell’itinerario dello sguardo.

Itinerario dello sguardo, cioè il cammino che avviene dentro lo sguardo, che è come quello che dicevo io: quando uno vede una faccia[…] si inoltra dentro la faccia, dentro lo sguardo, allora vede una cosa più profonda; e guarda ancora e vede una cosa più profonda; e guarda, e guarda, e guarda, e guarda, fin quando arriva là dove la faccia nasce da una fontana: springs.


188 – Pensate […] a quando Pietro è diventato vecchio e il pensiero di Gesù per lui è certamente diventato abituale; ma sempre, dentro quel ricordo, quella memoria, certamente dominava l’immagine della prima volta che l’aveva visto, quando gli si è avvicinato e da lontano si è sentito scrutare da quell’individuo – a cui era tutto teso con curiosità -, e si è sentito guardare così fino in fondo che è stato afferrato nell’animo, definito da quello sguardo.

Quello sguardo lo coglieva nel suo animo originale, tanto che gli ha cambiato nome: «Ti chiamerai Pietro» [Gv 1, 42].


(Cfr. anche: aderire)

404 -Per aderirti coscientemente, il deve essere continuamente ripetuto, continuamente.

Nell’esistenza libera non c’è un come pura conseguenza di un precedente: è sempre ripetuto.

Anzi, quanto più lo si ripete, tanto più diventa consapevole dei motivi, chiaro nelle ragioni, intenso come forza di fedeltà.

547 – «Beati i poveri in spirito», cioè beati coloro che di fronte alla proposta non hanno nulla da difendere, nessun preconcetto, ma devono guardare in faccia la proposta, devono capire cosa vuol dire.

Non basta dir di : bisogna sapere perché la proposta esige il «».


140 – « e) La responsabilità di fronte al fatto. Ultimo punto: la risposta» [Si può vivere così? p.47].

Io farei sei punti: il quarto è la nostra domanda «chi è costui?» ; il quinto è la risposta sua, perché non dimostriamo noi che è Dio; allora il sesto è il coraggio di dir di : la nostra parte di coraggio.

La lealtà con la nostra affezione, cioè l’unità dell’io, la lealtà con me stesso, mi deve far dir di .

393 – Il problema non è capire come Lui dica così […] ma è dir di prima di capire: e questo è un distacco.

Parlando della ragione, a che cosa corrisponde questo? Alla categoria della possibilità!

Dir a Cristo vuol dire quello che Cristo diceva nel Vangelo: «Ti ringrazio, Padre, perché hai rivelato queste cose, hai fatto comprendere queste cose a chi è semplice» [Mt 11,25; Lc 10,21], cioè a chi è in atteggiamento di accettare, riconoscere e di accettare tutto ciò che è, tutto ciò che gli si presenta davanti, tutto ciò che è positivo, e non pretende esaurire la comprensione delle cose.

415 – Da questo può essere riconosciuto un compito nella propria vita, che è quello di aiutare il disegno di Dio a svolgersi, a procreare, a essere fecondo, a prolungarsi.

436 – Intervento: «Come mi accorgo se il mio generico a Cristo non è un astratto e formale?»

Se qualcosa cambia.

Prima di tutto c’è un sentore del cuore: uno capisce, uno percepisce che è vero il suo .

Se questo è continuato nel tempo, partecipato nel tempo, questa percezione della sua sincerità che subito hai, diventa confermata dall’evidenza del tempo.

566 – Non può essere una obiezione al mio il fatto che io sia debole e fragile come una foglia al vento: non può essere una obiezione, perché «la tua forza è più grande della mia debolezza» [2 Cor 12,9].

La santità non è una nostra capacità, è una capacità di Gesù, della forza di Gesù, dello spirito di Gesù in noi, è la forza dello Spirito in noi.


95 – Per questo, per capire quando dico che uno consacra la vita a Gesù, per capire quando parlo del sì di san Pietro, per il quale «l’amore della mia vita sei Tu, la mia vita sei Tu», per capire cosa vogliono dire frasi di questo genere bisogna essere intenti alla propria esperienza di vita, bisogna vivera la coscienza dell’esperienza dell’amore.

142 – Ti manca una cosa: cosa è questo «vieni con me

È il sì di Pietro! Perché san Pietro gli ha detto di sì? Perché era attaccato.

165 – Quando Pietro disse: «Sì, signore, tu lo sai che io ti amo», era già dentro l’eterno: sulla soglia.

Ed è questa soglia anche il definirsi della moralità.

Uno che sia su questa soglia come il di Pietro, che dalla moralità abbia solo la direzione, la volontà, la simpatia, è già puro, anche se «chi ha questa speranza si purifica continuamente» [Cfr. Gv 3,3].

208/209 – Quella domanda furtiva che Gesù fece, inaspettata, a san Pietro: «Simone, mi ami tu?», e quello dice: «», trapassando con questo tutti i ricordi malevoli, che oberavano la sua memoria, di quel che aveva fatto in quegli anni – l’unico ad aver avuto l’«onore» di essere chiamato satana da Gesù-.

209 – Ma lui capisce che non c’entra niente quello: lui gli vuol bene! «Pietro mi vuoi bene?», «Sì, sì»; «Ma mi vuoi bene?», «Eh »; «Ma mi vuoi proprio bene più di questi?» – «più di questi» è un paragone assolutamente contingente , pratico, concreto, materiale, carnale – «Io non so come sia, ma è così»: ti devo dir di sì

Questo è l’inizio della morale.

Infatti, uno che dice «» così può far male dieci volte al giorno, tutti i giorni, ma piuttosto che lasciare l’uomo cui dice , accetta di morire.

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente.

E infatti, la verginità è l’amore a una persona presente.

237 – Il di Pietro a Gesù[…] è un atteggiamento affettivo che vince.

[…] O amare se stessi fino al disprezzo della vita, o amare Dio più di se stessi.

Questo attaccamento […] è l’inizio del concetto di obbedienza,[…]il quale nasce dalla ragione.

246/247 – Di fronte a una presenza, uno è colpito e dice: «Gli vado dietro!»,

«Sì ti vengo dietro!».

247 – Il è il «ti vengo dietro».

Poi commette assassinii, ma dopo il centesimo assassinio – li ha fatti dimenticando tante cose, risentendo i rimorsi -, se dopo cento assassinii quella presenza lì ti dicesse: «Ma cosa ha i fatto? con chi sei?», con tutto il dolore del mondo direbbe: «Con te».

Così il di Pietro non è una decisione, ma è l’emergenza di qualcosa che si era creato giorno per giorno, come un filo che attraversava tutte le sue giornate, perché non c’era niente come quell’uomo lì.

Questo non gli ha impedito di farsi dare del satana da Lui, di rinnegarlo.

278 – La gloria di Cristo è il riconoscimento che tutto consiste in Lui: tu sei fatta di Lui.

E questo riconoscimento nasce dal cuore dell’uomo, dal cuore mio e dal cuore di Simone che dice: «Sì, Signore, io ti amo».

315 – Subito dopo il«Sì, ti amo», «Tu seguimi».

Il «Sì, io ti amo» non vuol dire preoccuparsi di chissà quali cose.

«Seguimi»: perché il seguire è essenzialmente il mettere il piede su un passo di strada che non si conosce, tutto giocato sulla fiducia in chi ti sta davanati (fiducia è il senso di attaccamento che dà la fede).

403 – Nella morale cristiana l’unica cosa che non c’è è la matematica, non esiste la matematica, non esiste la misura.

Il di san Pietro a Cristo che misura aveva dentro?

Che prospettiva di anni aveva dentro?

Impossibile concepirla: è e basta.

427 – Nessuno capisce perché insisto o che cosa significhi che il sì di Pietro a Cristo è l’inizio della moralità.

Perché nessuno lo capisce? Perché c’è una mentalità formalistica e moralistica ingenerata dalla collettività – che è il luogo dove l’uomo è più schiavo e meno libero – che non permette al cristianesimo di avere una concezione tra l’Infinito e l’io così libero, così grande, così misericordioso da parte di Dio.

430 – Memoria non significa che ad ogni azione si pensi a Lui; non è neanche necessario che sia così.

È necessario che tu ami questo.

Per questo si capisce perchè il sì di san Pietro è l’origine della morale: il sì di san Pietro, non l’analisi del come e quando, o delle leggi rispettate o no.

La morale è il sì di san Pietro, che è una amorosità espressa.

431 – E il di Simone, che è generico, è generale, investe la totalità della persona nella sua espressione, anche là dove tutte le sue espressioni potevano essere contraddittorie.

Puoi sbagliare sempre: san Pietro poteva sbagliare sempre ed esser vero nel dire: «Sì, io Ti amo».

548 – Non è la decisione di Simone a dir di , ma quella semplicità per cui il è nato dalla sua convivenza di tre anni.

Questa è la scelta della libertà, che coincide con una storia nel tempo.

566/567 – Non può essere una obiezione al mio il fatto che io sia debole e fragile come una foglia al vento: non può essere obiezione, perchè «la tua forza è più grande della mia debolezza».

La santità non è una nostra capacità, è una capacità di Gesù, della forza di Gesù, dello Spirito di Gesù in noi, è la forza dello spirito in noi.

Intervento: «[…] Io mi accorgo che l’azione, subito dopo aver domandato, non è determinata da quella Presenza».

Questo è il problema più grave della morale, della concezione della moralità.

Domando a Dio di essere sincero e non sono sincero; domando a Dio di essere puro e sono barcollante.

567 – Il sì di Pietro è pronunciato persuaso, profondamente persuaso e commosso.

E non c’entrava il fatto che Pietro l’avesse tradito o avesse potuto tradirlo ancora; non ci pensava!

Noi possiamo dire a Gesù: « la mia simpatia è per te, tutta la mia simpatia è per te».

È vero, il è vero.


(Cfr. anche: certezza)

127 – L’eccezionalità porta a una sicurezza nel rapporto con la persona, così che quando questa persona dicesse cose a me incomprensibili, non le butto via come se fossi l’ultimo traguardo della misura, ma le trattengo.

296 – «Il desiderio diventa sicuro di sé quando […] domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza lo ha promesso» [Si può vivere così? p.161].

Se l’uomo nasce dal grande Mistero, è sicuro quando si appoggia al Mistero da cui nasce, cioè quando domanda che avvenga quello per cui il Mistero lo ha fatto, quello per cui il Mistero gli ha fatto insorgere domande e desideri.

Se il Mistero ti ha fatto – perché non ti sei fatto da te -, sei tanto più sicuro quanto più la domanda al Mistero poggia sui sentimenti originali con cui il Mistero ti ha fatto.

297 – Quanto più chiedi al Mistero, tanto più sei sicuro che quello che ti darà sarà il compimento di quello che ha iniziato: «Chi ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento» [Fil. 1,6].

Questa è la frase più tranquillizzante che esista al mondo, e perciò dovrebbe essere sulle mura delle vostre case, perché la sicurezza è data dal fatto che mi abbandono a Colui che mi ha fatto.


86 – (Ibambino di fronte alla sveglia smontata) Era un piccolo bambino e non un orologiaio svizzero.

Se non si riesce a far la sveglia, manca quel fattore che mette insieme tutto: manca il senso della sveglia.

«La ragione misura di tutte le cose»: in che cosa sbaglia?

Sbaglia se non giustifica che manca qualche cosa, secondo la famosa poesia di Rebora.

C’è un punto in cui si sente l’aria uscire: l’abbiamo chiamato «punto di fuga».


(cfr. anche: lavoro personale)

57 – Per leggere occorre silenzio.

si capisce cosa è il silenzio quando dieci, cento, mille volte, si è cercato di far silenzio.

Il primo modo per prepararvi è leggere, per cui occorre mezz’ora di silenzio.

Se uno ha i crampi ventiquattro ore sul ventiquattro, non può far molto silenzio.

Normalmente mezz’ora di silenzio si può trovarla, quando volete.

Come si vede che la grande questione è la serietà.

58 – Intervento: «Il silenzio, è proprio silenzio

Sì.

Intervento: «E se uno si perde

Se si perde, si ritrovi! Sai come si fa? se si perde, basta che si abitui…siccome si perde ogni volta che si mette a far silenzio, prende una sveglia, la punta dopo un quarto d’ora, la sveglia squilla, si ritrova!

Il silenzio è dialogo.

314 – Intervento:«[…] La mezz’ora di silenzio: se sono più lieta, mi è meno difficile farlo; mentre, se sono giù, è più difficile. Vorrei un aiuto su questo,perché io voglio essere contenta; mi vien da dire: “Non posso esser qui e non esser contenta”».

Puoi star qui e non essere contenta…in attesa dell’esser contenta!

Sei qui non perché un Altro t’ha messo qui, ed è una obbedienza inesorabile; se non lo accetti, tutta la vita perde senso.

400 – Non abbiamo mai parlato veramente del silenzio.

Soprattutto non lo facciamo mai, il vero silenzio non lo facciamo mai.

Il vero silenzio è la cosa più importante dopo il generare, il generare da uomini[…] vuol dire creare significato al tempo che si utilizza:[…] l’importante è il senso che si genera, il senso che si definisce, il senso che si assicura, perché far nascere senza senso, è senza senso.

Fare silenzio: il peso di prendere il libro e sentire le frasi più importanti pesare sulla nostra esperienza, il giudicare come viviamo, immaliconirci perché non lo pensiamo mai, chiedere come si faccia a ricordarselo, scoprire la compagnia e l’amicizia innanzitutto come sostegno in questa memoria, appoggiarsi a ciò cui Dio ci ha fatto appartenere: alla compagnia, che si chiama, con proprietà di parola, communio, comunione, appoggiarci ad essa per riprendere.

401 – Il silenzio è la memoria del mattino che si risveglia, che è la resurrezione di Gesù; questa certezza assoluta del futuro, proiettata sul sentimento che ci ingombra l’animo alle sei e un quarto di quella mattina in cui ci svegliamo e in cui si innesta la guerra tra la consapevolezza ideale, l’amore alla vita, l’amore all’essere e la sopportazione del tempo dell’esistenza, la guerra tra l’amore e la sopportazione, la lotta, quindi, tra la letizia dell’esistenza e quella tolleranza cupa, ultimamente cupa e ottusa, che squalifica le nostre ore.


200 – Intervento: «Mi fido più del cuore, cioè del fatto che quello che più mi affascina non mi porta fuori strada, ultimamente

È giusto fidarti più del cuore, se per cuore intendi quella simpatia profonda che Simone aveva verso quell’uomo che era lì, e che dopo duemila anni è qui.

209 – La moralità nasce come simpatia prevalente, irresistibile, ad una persona presente (è il sì di Pietro).

Non a delle leggi, non a una purità: a una persona presente. E infatti, la verginità è l’amore a una persona presente.


384 – Tutti gli uomini, per la creazione di Dio, sono capaci di capire questo (Per conoscere l’essere di una cosa, occorre prima di tutto riconoscerla parte di un disegno):nessuno lo capisce perché nessuno vi è educato.

La società manca di una pedagogia a questo.

Chi determina la società è chi ha il potere, perciò la società non è pedagogica a capire queste cose.

La povertà è riconoscere che il significato di me non è in me stesso.

385 -L’uomo resiste a questo.

Quindi, non solo perché hai il peccato originale ti è difficile questo abbandono di te, ma perché la società ha favorito questa menzogna.


92 – Cosa è la verità? È questo uomo presente.

Questo è il salto mortale contro cui tutti gli uomini di questi secoli si sono ribellati.

287 – Mentre nel ’68 la tragedia era data dalla egemonia che pretendeva il marxismo – e tutto il mondo sembrava afferrato da essa -, adesso, nel disastro generale, nella confusione generale, nella mancanza di certezze, nella mancanza di ideali, nella aridità di oggi, l’unica cosa che l’uomo può immaginarsi che gli dia conforto è il mettersi insieme.


200 – Il genio di Dio è l’oggettività, la presunzione del genio umano è la soggettività.

Vale a dire: l’oggettività è il reale, la soggettività è l’immaginare.


164 – Intervento: «È come se mi sentissi sempre sulla soglia, cioè nella posizione che lei descrive “Bisogna sorpassare questo confine ed entrare”. Ma quale è questo passo che occorre fare

Il nostro amico vorrebbe capire […] ma si trova sempre ad essere come su una soglia, su una soglia che non supera mai; non entra mai in merito, non entra mai nella verità dello spettacolo che ha davanti, dal momento drammatico in cui è posto.

È sempre fuori, fuori dal quadro di una realtà attraverso cui Dio ci si presenta e ci presenta il significato di tutta la realtà.

La soglia è fuori.

Amico mio, quando parlavo della soglia, parlavo della soglia fuori, ma altrove io ho usato la stessa parola soglia e si parlava di dentro: la soglia del paradiso, la soglia dell’eterno.

Tutte le volte che parliamo della soglia dell’eterno che si sperimenta in questo mondo è l’inizio dell’eterno in questo mondo.

L’amore verginale di un uomo ad una donna è una soglia dell’eterno, è un aspetto dell’eterno, è un vibrare dell’eterno dentro l’esperienza di questo mondo, è già una presenza dell’eterno in questo mondo.

165 – Su dieci volte che avrò usato la parola soglia, nove volte e mezza l’ho usata per indicare non un approccio ultimo a cui manca un passo, ma un primo passo dentro l’approccio compiuto.

Quando Pietro disse: «Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo», era già dentro l’eterno: sulla soglia.

Ed è questa soglia anche il definirsi della moralità.

Uno che sia su questa soglia come il sì di san Pietro, che dalla moralità abbia solo la direzione, la volontà, la simpatia profonda, è già puro, anche se «chi ha questa speranza si purifica continuamente» [Cfr Gv 3,3].


88 – «È un sogno», come diceva il figlio del pastore quando la giovane moglie del pastore gli parlava dei momenti belli del loro amore.

Allora lui c’era stato, e adesso dice: «Ma no, era un sogno» [Dreyer, Dies irae, Danimarca].

Cosa vuol dire sogno? Questa è premeditata strozzatura della realtà, rinnegamento della realtà.

330ss – Come dice la bellissima poesia intitolata Il pensiero dominante.

Il pensiero dominante è esattamente quello che abbiamo chiamato «sogno»: l’immagine costruita da lui, teneramente alimentata da lui, covata da lui, espressa da lui, sostenuta da lui; l’immagine del bello presente, del giusto realizzato, della giustizia realizzata, della amorosità compiuta.

332 – È esattamente quello quello che abbiamo chiamato «il sogno».

Si può vivere di sogno?

La sua brevità è assicurata e la contraddizione tragica di una catastrofe è pure assicurata: come il no, non è razionale.

333 – L’esaltazione che si genera nell’uomo – questo sogno – nella concreta esistenza condanna ad una continua delusione.

La vita è un inganno allora, sogno come inganno; una esaltazione in senso patologico: tutto – ma tutto! – come illusione.

Nella vita che cosa rimane se tutto è una esaltazione sognante che si riduce a una illusione, ad un inganno?

Di tutta la vita, di tutta la storia di ieri, dell’esperienza dell’altro ieri, di tutto rimane «rimembranza acerba»(Leopardi, Le ricordanze), cioè dolore.

335 – Nel sentire La morte e la fanciulla di Schubert, l’uomo sente uno struggimento in cui traspare l’eco di qualcosa di vago, di misterioso,.

In questa sensazione è rinchiuso il destino sognato, il destino di felicità sognato dall’uomo.


123/124 – Intervento: «Tu sottolinei l’importanza della convivenza e io sono in Germania da sola: non è una contraddizione

C’è una connessione per cui – in proporzione alla tua sensibilità e attenzione – in proporzione non alla tua intelligenza, ma alla sensibilità della tua intelligenza (alla sensibilità che la tua intelligenza ha della vita, al sentire ciò che vive), e in proporzione alla tua attenzione ad ascoltare quello che la tua sensibilità ti dice – puoi essere più unita.

Anzi, la coscienza dell’essere lontana ti rende più unita, più preoccupata di essere unita, che neanche tutte le turbolenze effimere e caotiche delle tue compagne qui.

124 – Andate a leggere, per esempio, il libri dei Padri del deserto: che razza di sensibilità avevano, che conoscenza avevano delle cose umane.

257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

È nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità di contentezza.


89 – La ragione fa conoscere la realtà all’uomo rendendo sempre più aspra e sempre più feroce la solitudine dell’uomo di fronte alla realtà.

È soltanto il bambino che si sente bene in compagnia, mentre è innegabile che una amicizia cosmica è molto più consona alle esigenze del cuore che neanche la solitudine che morde ogni tanto il tempo dell’adolescenza.


402 – La guerra tra l’amore e la sopportazione – perché la sopportazione è sempre in bilico, pendente dalla parte del suicidio (non dico in senso materiale ma anche in quello); quando Cristo e Dio vengono meno come presenze dominanti, l’aria che respiriamo, la pendenza verso il suicidio diventa più frequente -, la lotta, quindi , tra la letizia dell’esistenza e quella tolleranza cupa, ultimamente cupa e ottusa, che squalifica le nostre ore (del mattino innanzitutto e poi, quanto più, della giornata).

573 – Dimmi una cosa che tu puoi amare senza dover far la fatica di sopportare.


267 – Il significato delle parole essenziali, come lo pretende il messaggio cristiano, è lo stesso significato che hanno nel rapporto del bambino con sua madre.

Le parole hanno un valore naturale, come hanno un valore sopra-naturale (un valore nel sentimento dell’uomo che Cristo ha: il soprannaturale è questo.


120 – Gli ebrei davano il soprannome per indicare il carattere di una persona o per qualche fatto particolare della sua vita.

188/189 – Quello sguardo lo coglieva nel suo animo originale, tanto che gli ha cambiato nome (come abbiamo osservato: si usava cambiare nome per indicare un carattere emergente singolare, o qualche fatto particolare accaduto nella vita di un uomo).


169ss – Se l’individuuo si pone verso la realtà con sospetto, guarderà tutte le cose con sospetto; appena trovato un intoppo, lo interpreta in favore del suo sospetto.

Se invece è uno che si pone di fronte alla vita non con sospetto ma con positività, non è che lui, davanti a quella duplice versione delle cose, sia genialmente e stranamente – profeta ispirato – portato alla versione positiva.

170 – (A proposito della storicità dei vangeli) Tantissimi studi o libri sono scritti non per provare la verità, cioè non per un amore alla verità, ma per provare un pregiudizio o per sostenere un pregiudizio che c’è prima di iniziare lo studio.

Non sono alla ricerca del vero, sono alla ricerca di pretesti per avallare il loro pregiudizio.

171 -Iniziare aperti a tutte le possibilità è l’unico modo per mettersi nel reale e poter scoprire e riconoscere il reale.

Per cui chi parte in posizioine di sospetto sempre, necessariamente, è obbligato a cancellare alcuni fattori in gioco per poter andare avanti, per poter mandare avanti la sua parte.

174 – Quando si ha un preconcetto, se si è attaccati a se stessi, si porta avanti questo preconcetto imperterriti fino a quando si trova qualcosa che sembri finalmente dar spunto per una conferma.

Invece è banalmente un pretesto in più.

177/178 – O parti con sospetto – la parola «sospetto» è la più giusta di tutte, perché partire negativamente sarebbe troppo banale, tradiresti te stesso.

178 – Se parti con sospetto, innanzitutto sei portato a non guardare quei fattori che ti romperebbero le scatole; mentre, se parti con cuore aperto, non hai paura di nessun fattore che entri in gioco, neanche un fattore come una tradizione di mille anni che – starei per dire – non trova un corrispondente analogo.

Perciò, il non sospetto non ti fa escludere nessuna ipotesi e, soprattutto, non ti fa escludere nessun fattore che entra in gioco.


558 – «Questa gente è fatta per il mio destino», ti nasce nel tempo, non dico subito, ma nel tempo rimane e ad un certo punto cresce questo sentimento.

Quel sentimento cresce ed è veramente il centuplo di prima.

E, infatti, ti rende totalmente libero, non ti fa avere paura dell’obiezione dello spazio e del tempo.

561 – Il tempo e lo spazio sono nemici di ciò che noi, incontrandolo, immediatamente stimiamo e amiamo, perché ci fanno allontanare da esso; sia il tempo che lo spazio ci danno la possibilità di incontrarlo, ma soprattutto ci danno l’eventualità di allontanarci, e «lontano dagli occhi, lontano dal cuore», dice il proverbio.

Il centuplo quaggiù significa un trasformarsi anche del tempo e dello spazio per cui la lontananza è un dolore, non una diminuzione.

579ss – Siano in dodici, siamo in dodici miliardi alla fine del mondo, i cristiani: è lo stesso.

Non c’entra il numero, la quantità, l’esito: è la vittoria sul tempo e nello spazio.

580 – Il metodo di Dio implica un avvenimento che permane, permane come realtà di avvenimento in tutti i giorni della storia: «Sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» [Mt 28,20].

Un avvenimento continuato, che continua, sorto in un tempo e in uno spazio e che si comunica a tempi e spazi nuovi.

Come ha fatto Gesù, da Giovanni e Andrea e Simone, ad arrivare fino a mia mamma?

È arrivato attraverso il flusso generativo e attraverso il flusso comunicativo di una cultura, di un pensiero, di una mentalità di popolo; quindi attraverso una generazione che ha creato una certa storia, è arrivato a un particolare, l’ha inglobato e si è comunicato ad esso.

581 – È la continuità di un avvenimento, cioè è la continuità di una cosa che risorge continuamente, che nasce continuamente.

Nella Chiesa ognuno è responsabilie di fronte a Dio, ma è legato a tutti insieme e il corpo misterioso di Cristo, la comunione, fa la liberazione.

583 – Se volete affermare la vostra repsonsabilità personale, andate con il movimento ecclesiale che vi convince di più.

Soltanto che, essendo stati voi colpiti, sorpresi, afferrati, in un certo tempo e in un certo spazio da un certo tipo di avvenimento, la regola fondamentale è essere fedeli fino in fondo a quell’avvenimento e alle regole che esso traduce.

E, infatti, se non rispettaste questo, ma voleste scegliere le vostre regole o i vostri statuti, scegliereste voi stessi, non Cristo che è venuto o la Chiesa che l’ha reso presente.

587 – Che Cristo è risorto è stato scritto poco dopo che è morto, qualche anno dopo.

E le prove di questo diventano di giorno in giorno più inconfutabili, mentre intorno mormora la morte: non c’è niente!

Il tempo senza senso non è tempo.

Senza senso, il tempo non è più tempo.

E quel momento di tempo – tempio – del tempo diede il senso.

È un momento di tempo che dà senso a tutto il tempo.


23 – «Che coraggio ci vuole a sostenere la speranza degli uomini!» [Si può vivere così? p.7]

Noi vi diciamo: «Fà questa strada (della verginità); ti accompagniamo su questa strada, ti aiutiamo su questa strada».

Questa strada non è una ricerca scientifica, non è un qualsiasi tipo di interesse, ma è l’interesse della vita, del compimento della vita, del senso della vita; perciò è una strada di speranza, per sua natura è di speranza, della speranza per cui val la pena vivere.

150ss – Per fare questa strada occorre che si sappia dare ragione della speranza che è in noi.

È un cammino così bello, così grande, così carico di responsabilità di fronte all’universo intero, al mondo, a tutti gli uomini; così sorgente di passione per Dio, per gli uomini, che bisogna saperne rendere chiari i motivi per cui noi ci siamo.

151 – Mia zia Erminia era molto intelligente e da lei ho sentito dire per la prima volta questa frase: «Sappiate rendere ragione a chiunque della speranza che è in voi»[1 Pt 3, 15].

Questa frase io l’ho imparata da ragazzo, non capivo cosa volesse dire, ma mi ha fatto impressione e l’ho tenuta a mente bene.

Comunque, «Sappiate rendere ragione a chiunque della speranza che è in voi» è la prima condizione per essere cristiani.

152 – La ragione per cui io seguo Cristo è perché seguire Cristo è bello.

Noi vogliamo una fede intelligente: «Sappiate rendere ragione della speranza che è in voi» [Cfr. 1 Pt 3, 15].

La nostra fede deve essere intelligente, deve saper rendere conto a noi stessi innanzitutto, perché sia fonte di quella tenerezza, di quella capacità di amore e di quell’entusiasmo di dedizione che sono le cose migliori della vita.

153 – «Il no non nasce da ragioni, mai: nasce da uno scandalo (preconcetto).[…] Cristo è contrario a ciò che io vorrei: io politico, io innamorato, io che ho sete di denari, io che voglio far carriera, io che voglio la vita sana. È contrario a ciò cui uno ripone la sua speranza: inutilmente, perché non c’è nessuna speranza che poi accada. Il no nasce soltanto dal preconcetto» [Si può vivere così? p.48].

265ss – «La speranza è una certezza nella futuro in forza di una realtà presente. Perciò è la presenza di Cristo, resa nota dalla memoria, che ci rende certi del futuro. Ed è possibile un cammino senza sosta, un tendere senza limiti, a partire dalla certezza che Lui, come possiede la storia si manifesterà in essa» [Volantone di Pasqua 1996]

Sintesi per valorizzare tutto quello che abbiamo detto della speranza e impedisce che noi si abbia a sviarci.

Primo: La vita dell’uomo ha dentro di sé una presenza: la presenza delle persone e delle cose.

Le attrattive di questa presenza suscitano gli ideali della vita: la bellezza, la verità, la creatività, il lavoro.

Tutto l’attaccarsi che l’uomo fa a questi ideali e, perciò, la stima che porta ai suoi desideri, lo accecano sulla provvisorietà di essi: l’uomo non vede che tutti questi sono segni, segni lungo la strada.

Secondo: Accadde una presenza, la presenza del Verbo di Dio fatto uomo nelle viscere di Maria.

Tutte le realtà create sono segno di Lui, trovano la loro verità e il loro compimento in Lui.

Tutti gli ideali destati lungo il cammino sono in funzione di Lui, l’Ideale: i desideri dell’uomo sono efficaci solo se vissuti in funzione di Lui

Le esperienze dell’amore, della ricerca del vero, della fecondità, della costruttività sono moduli per addentrarsi nell’esperienza del Suo mistero: questo è l’ideale della vita dell’uomo dopo che Egli è venuto per rimanere fino al giorno della Sua gloria.

Terzo: Egli, perciò, deve entrare a determinare tutti i tentativi in cui la speranza umana – è il motore, la speranza – cerca l’esperienza suprema, ultima, che rende cento volte più esaltanti gli anticipi che sono le esperienze umane solite.

Quarto: L’errore rimane come dolore, non è obiezione.

Quinto: Il luogo di questo avvenimento è una compagnia ecclesiale; ecclesiale vuol dire gente che si mette insieme per Cristo.

270 – La speranza che nasce dalla fede, la proiezione nel futuro che viene dalla simpatia profonda per questa Presenza, è un buttarsi a capofitto in quella realtà, in quello spazio di mistero in cui il nostro essere potrà bere felicità da tutti i pori.

281 – «Se la fede è riconoscere una Presenza certa, se la fede è riconoscere una Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza» [Si può vivere così? p.151]

Intervento: «Perché a volte la speranza sembra più astratta della fede? Come invece c’entra, come ancora di più incide sul mio presente, sul mio istante presente

A mio avviso la speranza sembra più astratta della fede, perché la fede più concreta della speranza è, normalmente, una fede come sentimento, come emozione.

Non è la memoria, perché se è memoria di un fatto, allora la fede diventa sostegno per cui io oggi, dopo duemila anni, compia i passi che debbo compiere, faccia i sacrifici che debbo fare.

282 – La speranza è ciò per cui Cristo portò la croce: la fede fu la condizione per cui poté portarla, ma il portar la croce è la speranza di Cristo.

Cambiare in speranza l’esperienza di sacrificio e di rinuncia è di una concretezza sterminata, tanto è vero che agli uomini è impossibile, eccetto che si appoggia alla fede, a chi fa memoria di Cristo.

Per questo Péguy dice che la speranza è la più bambina fra le tre virtù, e sta in mezzo a loro per essere difesa, come tra due pali; ma quello che vale è la speranza, perché è nella speranza che tu ti mobiliti verso il tuo destino, la tua perfezione, e che tu recuperi il dono originale che Dio ti ha fatto di sé-

291ss – Per natura l’uomo è posto in una posizione positiva di fronte alla realtà.

Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo?

Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro una speranza.

Se nell’affrontare una cosa non hai speranza, non può essere positivo il tuo atteggiamento.

293 – Del grande Abramo san Paolo dice in spem contra spem: egli credette sperando contro ogni apparenza di disperazione, contro ogni speranza.

Spe erectus: diritto, un uomo che cammina diritto per la positività che ultimamente le cose affermano.

La prima conseguenza di questa diversità è una speranza inesorabile come ultimo senso del rapporto con le cose, come ultimo senso del cammino tra le cose: è una positività che vince ogni avversità che si sperimenta.

301 – Tutto il fascino dell’esperienza cristiana sta qui: la scoperta che nella mia vita c’è un Tu, ci sei Tu.

Su di te fondo tutta la mia certezza, la mia speranza è in Te.

Che è tra l’altro, la conferma della grande legge della vita, che è l’amore: dalla speranza, infatti nasce l’amore: la speranza ha come oggetto ancora il bene di sé; nella certezza del bene di sé per il dono di un Altro si libera la capacità di amare questo Altro.

Voglio semplicemente dire che la dinamica è uguale nella speranza e nell’amore: è il Tu che domina la vita, come nella fede.

«Di tutto io sono capace in Colui nel quale è la mia forza» [Cfr. Fil 4,13]

302 – Ho insistito che si continuasse ancora il dialogo sulla speranza, perché […] la speranza, come un bambino esigente, diventa la cosa più difficile da gestire: perché un bambino intelligente vuole risposte chiare, comprensibili a lui e perciò elementari, semplici come espressione; e, fino a quando ha dentro un interrogativo, non è tranquillo.

Perciò ho detto: riprendiamo il dialogo sulla speranza, non perché possiamo esaurirlo con un’ora di più, in un’ora di dialettica che si aggiunga a un’altra, ma perché è necessaria una certa proporzione col tempo dato agli altri temi; e, soprattutto, perché questa parola si chiarisca il più possibile, in quanto tutta la creatività e la felicità e la gioia della vita dipendono non dalla fede e non dalla carità, ma dalla speranza.

321/322 – Se l’uomo è fatto per la felicità, Dio gliela darà: si chiama speranza.

324ss – Le domande sulla speranza verranno a galla mille volte, tra cinque anni, tra dieci anni, tra vent’anni, più di adesso; in modo diverso da adesso, ma più di adesso.

Voglio citare un caso umano dove si vede chiaramente come la speranza è una parola umana, ed è là dove c’è un desiderio e uno spera di soddisfarlo (non c’è altra parola: spera di soddisfarlo!).

Poi, magari, se la grazia di Dio ha pietà di lui, s’accorge che la speranza di soddisfare quel desiderio apre un problema: non risolve un problema, apre più di un problema che sta dietro a quel desiderio.

[…] Quello che si rivela, che sta dietro quel desiderio, è il Mistero.

Parlo dell’esperienza di Leopardi.

È un documento, la vita di Leopardi, del fatto che la speranza cristiana da una parte è una parola umana, d’altra parte è una parola umana che ha avuto spalancate, da uno che è venuto al di là di sé, le porte dell’entroterra, dei suoi precedenti misteriosi e del suo destino misterioso.

330 - «E alla tarda notte/Un canto s'udia per li sentieri/Lontanando morire a poco a poco,/Già similmente mi stringeva il core» [G. Leopardi, La sera del dì di festa]».

La speranza di cui abbiamo parlato non ha rapporti e nessi con questo? Nasce da questo!

337 – L’uomo fa coincidere le sue eccessive attese con una donna che ha davanti, con ciò che ha davanti, mentre ciò che ha davanti rimanda ad altro che egli non sa, ma che attende e non sa neanche di attenderlo.

Cristo è venuto per chiarire questo gioco: «Tutto è segno di me. Tutto parla di me».

Tutto ciò che è grande nella vita dell’uomo è profezia di lui.

La verità più affascinante di una donna o di una musica o di una cosa bella è di essere segno di qualcosa d’altro.

La speranza non è in quello che puoi afferrare, ma in qualcosa d’altro.

353 – «La non povertà si oppone alla speranza perché colloca la sicurezza nella felicità futura in un certo possesso, che può essere presente o futuro.[…]Perciò l’opposizione è che un certo possesso – presente o futuro, non mi interessa – mi fa riporre la mia speranza in esso; vuol dire che la speranza non è più riposta in Cristo. La speranza è la certezza in Cristo che fonda la certezza per il futuro; si oppone alla speranza la certezza riposta in qualcosa che fisso io, presente o futuro» [Si può vivere così? p. 214/215].

365ss – La speranza – da cui avviene la letizia e che realizza il cambiamento della nostra vita in quanto le nostre azioni vengono plasmate dal significato ultimo, inteso e atteso – è solo quando tu affronti il tempo partendo da qualcosa che hai nel presente e che non è tuo; qualcosa che è più di te stesso, ma non è tuo.

366 – È più che te stesso, è qualcosa che viene prima.

Si può usare il termine «possesso di Cristo»: indica la presenza di Cristo nell’istante che stai vivendo, e la sua totale immanenza a te; è ciò che di più tuo hai e non è tuo.

È questo rapporto che può fondare la letizia del presente e la certezza del futuro.

367 – Tutto questo è frutto della speranza che ha le sue radici che attraversano tutto il passato e che sta ancora nel presente, domina il presente ed è certezza per il futuro.

La speranza trae la sua definizione da questa certezza del futuro, l’inizio della cui fioritura è di presente.

369 – La certezza implica l’abbandono.

Siate pieni di abbandono, che vuol dire sono di sé e libertà dalle cose: il dono di sé ad un altro che è Gesù, libertà dalle cose.


297 – Il Mistero ti ha fatto concentrando il tuo io su alcune esigenze che si chiamano cuore.

«Chi ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento» [Cfr. Fil.1,6].

Ma c’è una domanda che voglio fare io: cosa c’entra la speranza col senso del destino?

La speranza è tanto più certa quanto più si identifica con una domanda al Mistero che ti ha fatto che avvenga ciò per cui ti ha fatto.

Per cosa ti ha fatto? Per la felicità, la bontà, la bellezza.


343/344 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in riprese, in pianto e in gioia.


291ss – Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo? Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro una speranza.

Se tu nell’affrontare una cosa non hai speranza, non può essere positivo il tuo atteggiamento.

292 – L’uomo si pone di fronte alla realtà con una certa speranza «naturale».

Una positività di fronte alla vita, alla realtà, non la induciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura; la compagnia ci rende più facile accettare questo, anche attraversando condizioni brutte, situazioni complesse: la compagnia ci aiuta nel sostenere questa positività.

293 – Ma qui è il miracolo – fuori di qui la compagnia si risolve in quattro parolette e basta, e sei abbandonata -; viene uno che fa una compagnia tale, crea una unità tale tra uomini che tutto, nel rapporto con questa compagnia, ti spinge ad essere favorevole nel pronostico con cui guardi la cose, ad essere carico di speranza verso le cose, in qualsiasi caso.

Tanto è vero che del grande Abramo san Paolo dice in spem contra spem: egli credette contro ogni apparenza di disperazione, contro ogni speranza.

E san Paolo definisce il cristiano, cioè chi appartiene a questa compagnia, con due parole bellissime: spe erectus, uno che cammina diritto.

Spe erectus: cammina diritto anche in mezzo alla tempesta

Spe erectus: diritto, un uomo che cammina diritto per la positività che ultimamente le cose affermano.

La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo.

E la prima conseguenza di questa diversità è una speranza inesorabile come ultimo senso del rapporto con le cose, come ultimo senso del cammino tra le cose: è una positività che vince ogni avversità che si sperimenta.


270 – La speranza che nasce dalla fede, la proiezione nel futuro che viene dalla simpatia profonda per questa Presenza, è un buttarsi a capofitto in quella realtà, in quello spazio di mistero in cui il nostro essere potrà bere felicità da tutti i pori.

281 – «Se la fede è riconoscere una Presenza certa, se la fede è riconoscere una Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza» (Si può vivere così? p.151).

Intervento: «Perché a volte la speranza sembra più astratta della fede? Come invece c’entra, come ancora di più incide sul mio presente, sul mio istante presente?».

A mio avviso la speranza sembra più astratta che la fede, perché la fede più concreta della speranza è, normalmente, una fede come sentimento, come emozione.

343/344 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in riprese, in pianto e in gioia.

La speranza è fino al compimento: questo è introdotto dal concetto di fiducia.


398/399Fiducia nasce da un verbo latino che suona fidere, fidere se alicui, affidarsi a uno. Fiducia è affidarsi a uno.

La fiducia ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita.

Un altro modo per dire la stessa cosa: è la parola abbandono.

L’abbandono è come il bambino con la madre, è la sicurezza.

410 – La speranza parte paradossalmente dalla povertà.

Come? Se tu non hai niente come fai ad affrontare il futuro?

Invece, è proprio lì non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia, la fiducia in ciò che realmente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginatività nella creazione, nell’edificare.


360 – «La fede non fa nascere la letizia immediatamente, ma mediatamente: dalla fede nasce la speranza, nella speranza è la letizia perché la letizia non può essere guadagnata e vissuta se non nella certezza di un futuro. È soltanto una storditezza che può far nascere una letizia e una gioia da qualcosa che si ha in mano nel presente» [Si può vivere così? p. 217].


283 – «Riconoscere il contenuto di una Presenza che è incominciata duemila anni fa, riconoscerla presente adesso, come si chiama? Memoria,perciò la speranza ha un nesso radicale con la parola memoria, così che senza memoria non ci può essere speranza» [Si può vivere così? p.151]


343/344 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e gioia.

345 – La povertà è una conseguenza del dilatarsi fino agli estremi confini della speranza.

La speranza dilata i suoi confini fino alla estremità del mondo, fino alla soglia del cielo; la povertà è una conseguenza di essa.

La povertà che cosa è? Non porre la speranza della felicità in un oggetto fissato da noi.

La povertà è una virtù che nasce dall’ontologia profonda dell’uomo: il suo essere una sola cosa con Cristo, essere alla presenza di Cristo.

399 – La fiducia ha dentro la speranza come compimento, cioè ha dentro la povertà come regola della vita.

410 – La speranza parte paradossalmente dalla povertà.

Come? Se tu non hai niente come fai ad affrontare il futuro?

Invece, è proprio lì non possedendo niente che emerge la vera virtù, la vera capacità di possedere, che è la fiducia,la fiducia in ciò che realmente possiede l’oggetto che ti deve dar forza, aiuto, luce, affezione, presenza, bellezza, immaginatività nella creazione, nell’edificare


356 – «Uno può fissare la speranza della sua vita in una cosa che Dio gli dà; se uno entra nel Gruppo Adulto deve sperare la felicità della sua vita dal Gruppo Adulto, in quanto Dio gli ha dato questa vocazione e nella misura in cui è alla mercè della modalità che Dio usa e con cui Dio usa le cose» [Si può vivere così? p. 216-217].


313 – «La fedeltà dell’appartenenza, che è la stoffa della pazienza o la fatica della speranza, ha un modo di esprimersi. Quale? La domanda; è il domandare o, meglio ancora – siccome non è il domandare di uno che è qualcosa lui e vuole altro, ma è domandar tutto -, è mendicanza» [Si può vivere così? p.172].


150ss – Siccome la fede è rapporto diretto con il Mistero, c’è il Mistero di mezzo, la cui necessaria comunicazione, se vuol farsi conoscere dall’uomo, si chiama grazia.

151 – Comunque, «Sappiate rendere ragione a chiunque della speranza che è in voi» (Cfr. 1 Pt 3,15) è la prima condizione per essere cristiani.

La prima condizione per essere cristiani è la ragione, che è la cosa che io ho confermata dalla prima ora di scuola che ho fatto.

152/153 – Non esiste niente di più ragionevole, di più razionalmente evidente, di più facilmente documentabile come razionalità, che la fede in Cristo, che l’adesione a Cristo.

La ragione per cui io seguo Cristo è perché seguire Cristo è bello.

La nostra fede deve essere intelligente, deve saper rendere conto a noi stessi innanzitutto, perché sia fonte di quella tenerezza, di quella capacità di amoree e di quell’entusiasmo di dedizione che sono le cose migliori della vita.


266 – Egli deve entrare a determinare tutti i tentativi in cui la speranza umana – è il motore, la speranza! Cerca l’esperienza suprema, ultima, che rende cento volte più esaltanti gli anticipi che sono le esperienze umane solite.

Una capacità di familiarità o amorosità con Cristo, un incremento del valore del lavoro, una esaltazione dell’affetto, un protagonismo storico come creazione del popolo di Dio: queste sono le conseguenze.

292 – L’uomo si pone di fronte alla realtà con una speranza “naturale”.

Un positività di fronte alla realtà, non la induciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura; la compagnia ci rende più facile accettare questo.

338 – La speranza che Cristo desta e alimenta, è la speranza umana, cui è sottratta per grazia, l’illusione che da tutte le cose proviene; non perché siano negative in sé, ma perché la loro positività è rimandare ad altro, altrimenti diventano idolo.

La speranza cristiana è la speranza del desiderio umano, ma nel suo contenuto porta a un mondo diverso.

Gesù, tu sei altro e sei più grande di quello in cui io fisso umanamente la mia speranza; ma tu non sei fuori di quello in cui io fisso la mia speranza, tu sei dentro questa faccia, tu sei dentro questa natura, tu sei dentro questa musica, tu sei dento – fatto carne – tu sei dentro.

339 – La speranza cerca in questo mondo i primi sintomi, le prime tracce dell’altro mondo: tutto diventa centuplo.

Mistero e segno coincidono: il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani; il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.


(Cfr. anche: Pentecoste)

35 – La suprema moralità è il grido che mendica la forza dell’Essere nella propria vita.

«Vieni Santo Spirito» perché lo Spirito è l’energia con cui il mistero della Trinità forgia, plasma il reale oggetto della nostra coesistenza, della nostra compagnia.

468 – «La sorgente di questa commozione, in Cristo come in me stesso, è lo Spirito di Cristo. È lo Spirito di Cristo la sorgente della compassione e della commozione; per questo Cristo lo chiama il Consolatore» [Si può vivere così? p.286].

580/581 – Ma il Signore è proprio ricco di fantasia: si chiama Spirito per quello.

E, infatti, in tutta la storia della Chiesa, la comunicazione di quello che ha voluto far conoscere di sé, di tutta la ricchezza della sua forza, della sua potenza, ha meravigliato in tutte le generazioni gli uomini, convogliandosi in tanti punti – non uno: tanti punti – in cui l’avvenimentno di Cristo si rifletteva.


25 – La vocazione non segue qualcosa di astratto, di strappato fuori, di teorico, di spirituale.

Non esiste uno spirituale se non dentro il carnale, come non può sussistere il carnale se non dentro lo spirituale (perché la carne non si fa da sé, perciò deriva da un altro principio).

479 – Per capire quello che è oltre la linea di demarcazione del nostro modo di esistere – che è materiale e spirituale nello stesso tempo, perché è lo spirituale attraverso il materiale -, se vuoi giungere a capire ciò che è spirituale, devi passare attraverso il materiale e, perciò, attraverso una immaginazione: non potendone fare esperienza diretta, devi arrivarci attraverso una immaginazione.


329 – La nobiltà dell’uomo rispetto a tutte le altre creature sta in questa possibilità che una banalità accenda e una banalità distrugga qualcosa per cui il cuore si stringe.

Questo è dunque il primo tema di Leopardi, la prima cosa che l’uomo accusa: per quanta nobiltà mantenga, non può non sentire questa sproporzione terribile, questa situazione misteriosa; e dalla banalità di qualche nota di una canto lontano per i campi rifluisce improvvisamente, come un’onda grande dentro il nostro cuore, il mistero della nostra esistenza.

330 – Questa sublimità del sentire, se ha come contenuto la tragedia di una contraddizione quotidiana, è come una terra in cui scaturisce una esaltazione dell’uomo: l’uomo si esalta.

La sproporzione sentita diventa sorgente di meditazioni vaste, cui il genio dell’uomo sa dare spazi di immagini e parole e musicalità, come in Leopardi (che non ha paragone nella letteratura italiana).

«Natura umana, or come / Se frale in tutto e vile, / Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?» (G.Leopardi, «Sopra il ritratto di  una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima)

161 – Per poterti immedesimare con Gesù, la prima cosa che devi fare è esser vero come uomo tu.

Questo ti obbliga a riflettere sull’avvenimento analogo che hai vissuto anche tu: «Come ho vissuto diversamente, più superficialmente»; allora stimi Lui, ti viene un’onda di stima per Lui e dici: «Abbi pietà di me, fammi diventare come te».

E tutta la vita ci è data per domandare questo: è una cosa bellissima.

370/371 – Amore è affermare l’altro come significato di sé – infatti io stimo ciò che è significato di me; sarebbe stupido non stimare una cosa che non avesse rapporto col mio destino (significato è destino) -, ma se è affermare l’altro come significato di sé, vuol dire rinunciare al fatto che il significato di me sia io stesso.

485 – «…non per tornaconto nostro, per un calcolo nostro; o come lo vorremmo noi. Affermazione dell’altro come è, perché c’è: questa è la vera stima dell’uomo» [Si può vivere così? p. 293]


301 – Il problema è se questo Altro è veramente presente o no.

Se non lo è, la cosa si ribalta: la certezza può essere fondata solo su di te.

Lo stoicismo di tutti i tempi ha cercato questa strada, ma la risposta negativa e la disperazione conseguente hanno firmato la storia di tutti gli stoici.

Tutto il fascino dell’esperienza cristiana sta qui: la scoperta che nella mia vita c’è un Tu – non tu, ma Lui -, ci sei Tu.


110 – Ogni istante porta una novità che non c’era prima, tanto è vero che si chiama avvenimento.

L’avvenimento è il fatto che porta la novità del discorso del mondo, nella fila delle cose, nella storia.

312 – Siamo condannati all’accusa di usar parole astratte: siete voi privi di vita, non noi che siamo astratti.

Privi di storia siete, bambini! State attenti a come andate avanti, altrimenti potete giungere alla mia età senza storia.

Storia c’è quando un momento di tempo veicola, porta con sé, rende presente a tutto, il significato del tempo di tutto.

Se questo momento di tempo manca, non avete più una storia, ma avete semplicemente un orologio che misura le ore: così misurate un tempo, una quantità cronologica, non un cammino umano, perché il senso è stabilito dal tempo vissuto come cammino umano, cioè come cammino della ragione verso il presentito senso ultimo e come cammino della affezione e come risultato della costruzione.

491/492 – Chi ha una vocazione come la nostra, che è inconcepibile, è destinato ad essere nella umanità il trovatore dell’unità.

L’unità, appena si muove, produce un suono delizioso che si chiama amore, che non ha nulla da cedere al tempo e allo spazio, che il tempo non dissocia e lo spazio non dissolve.

492 – Perché tutto ciò diventi vostro, cioè esperienza vostra, deve essere per lungo tempo continuamente voluto; non «voluto», desiderato; non «desiderato», ma mendicato.

È la questione più seria della storia umana: la differenza tra ideali per cui l’uomo è pronto a morire.

548 – Non è la decisione di Simone a dir di , ma quella semplicità per cui il è nato dalla sua convivenza di tre anni.

Questa è la scelta della libertà, che coincide con una storia nel tempo.

Non è un attimo: senza connessioni non c’è il valore di un attimo,la connessione con il resto si chiama storia.


148 – (Giussani chiede: «Di che paese sei?»)

Intervento: «Napoli».

Questo è un atto di fede, perchè lei non sapeva di nascere quando è nata a Napoli, non si è accorta che nasceva all’ombra del Vesuvio che stava fumando.

Questo è un atto di fede.

Ma se lei dicesse: «Non lo so. Dicono che sia nata a Napoli, ma non sono sicura»; non sono sicuro della sua sanità mentale: chiamiamo un medico. Mi capite?

Questo è il metodo con cui la natura fa andare avanti la storia.

Se si toglie questo metodo, per affermare la necessità dell’evidenza, la storia si sarebbe fermata all’età della pietra.

E non ci sarebbe neanche la compagnia, perché per essere in compagnia bisogna essere certi che l’altro non ti voglia strozzare.


274 – Qual’è il senso della vita? La felicità, la bellezza, la verità….Ma la vita è inserita nella storia: qual’è il senso della storia?

Perché non si può più dire: la felicità, la verità, ma: la verità, la bellezza, la felicità ti tutti, di tutti gli uomini.

«Oddio ma è un altro mondo.» Esattamente!

Questa è la gloria di Cristo.


(cfr. anche: distacco, mortificazione, sacrificio, scendere fino in fondo)

70/71 – La dinamica più copiosa, sorpresa della vita, è la dinamica del lasciare.

Ma non è la dinamica più illuminante della vita: la dinamica più illuminante della vita è l’arrivare, lasciare per arrivare.

Questo fenomeno della vita è come un dinamismo che si strappa da per andare a.

Noi non sentiamo tanto un andare a, sentiamo molto di più lo strapparsi da.

Tanto che questo esige un bell’allenamento, altrimenti non ci si strappa mai e si perde sempre; si perde senza strapparsi, cioè non si è mai decisi, non si è decisi.

71 – Questo allenamento, nell’ordine dei nostri raduni, è molto importante ed è richiamato sempre.

C’è uno strapparsi da sé che si chiama obbedienza, e c’è una figura dallo strapparsi da per andare a – il liberarsi da ciò che è più ristretto, per andare verso qualcosa di più largo – che si chiama povertà.

Il sacrificio dello strappo per andare più avanti, per possedere di più, si chiama obbedienza; e l’allenamento a questo strappo si chiama povertà.

204 – «Ma la cosa più bella è il concetto di strappo e di mortificazione. Strappandoti a quello che ti emoziona di più per amore di ciò che ti corrisponde di più, che è più giusto, la mortificazione per affermare la legge morale (cioè il rapporto con il destino invece di ciò che ti attira l’istinto), questa mortificazione, non elimina niente: omnis creatura bona (ogni cosa è bene)» [Si può vivere così? p. 82].

A furia di strappi arrivo al mio scopo.

Proprio perché le creature sono tutte buone e giuste, io mi attacco a ognuna cui arrivo; ma se consento a questo di dominare la mia vita, la mia vita diventa senza scopo: lo scopo viene supplito dalla reattività o dall’istintività, che non è razionale.

205 – Mentre lo scopo è razionale – riguarda la mobilitazione del mio rapporto con la totalità del creato -, l’istinto o la reazione sono prodotti immediati che durano quel che durano, come la miccia di una bomba.

E, arrivando allo scopo che mi ha fissato Iddio, tutti gli strappi che ho accettato di fare me lo fanno vedere con molto più acume, con molta più attenzione, con molto più timore e rispetto, con molta maggiore intensità: il centuplo quaggiù.

478ss – «Una persona vuole veramente bene a un’altra persona quando si stacca da essa e vede in essa il possesso di un Altro, cioè di Dio». Non «si stacca da essa», ma «va fino in fondo ad essa», perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla, neanche un capello del capo, come diceva Gesù, neanche un soffio appena accennato» [Si può vivere così? p. 292].

479 – Non si «stacca da essa», «va fino in fondo ad essa».

In fondo ad essa cosa c’è? Che c’è in fondo alla persona?

C’è il suo destino, altrimenti quello che vuoi è rubare ad essa, strumentare per te stesso qualcosa di essa, tradendo il fondo di essa, ciò di cui è fatta e per cui la manifestazione è fatta, il godimento ultimo per cui essa c’è: perché l’amore, in quanto finisce nell’eterno, non perde nulla.

Staccarsi da te significa staccarsi dal naso, dagli occhi, dai capelli, dal particolare: è il particolare che tradisce la totalità.

480 – Per amare una persona devi strapparti da essa; strapparti dall’aspetto o dagli aspetti che bloccavano il tuo interesse. Lo bloccavano, non te lo facevano conoscere; bloccavano nel particolare quello che doveva essere tutto.

Perciò, sia l’andare a fondo, sia lo strapparti hanno la stessa natura originante: sono immagini che la tua esperienza materiale ti permette di compiere, che realmente imbragano una idea grande che sta al di là del limite materiale da cui l’immagine è estratta.

481 – Oppure: per amare una persona, per voler bene a una persona veramente, tu devi strapparti da essa, strapparti da tutti i momenti possibili e immaginabili in cui un aspetto di essa o una parte di essa dice: «Fermati qui».

Ecco perché l’esperienza di un bel viso ti desta, «di sovrumani fati […] e d’aurei mondi» – come diceva Leopardi – è segno.

Ma perché un viso sia segno di «sovrumani fati e d’aurei mondi», bisogna che ti strappi a qualche cosa d’altro, cioè di inerente alla esperienza che ne fai: devi trasformare l’esperienza.

Deve subire una metamorfosi la faccia che hai davanti; se non subisce un cambiamento non l’ami più, si perde il divino, si perde il meglio della faccia: è triste.

È triste quel che vivon tutti, è semplicemente triste.

482 – (San Giuseppe)Dire: «Chissà come la guardava» già implica lo strappo dalle nostre condizioni banali (sono veramente banali, miserabili, con tortuosi fini).

487 – Intervento: «Vorrei capire di più il nesso che c’è tra l’offerta della mia vita e la salvezza del mondo».

Questo lo vedremo un’altra volta perché c’è di mezzo un’altra parola, la parola più terribile che ci sia: sacrificio.

Qui è stata coperta da un plaid della parola «strappo» o dalla parola «scendere fino in fondo alla faccia»….

Ma la parola più bella è «scendere fino in fondo alla faccia»!

È un itinerario vincente e lunghissimo che, in fondo in fondo, finirà quando Lo vedremo.

Quando vedremo Gesù, finirà anche questo lungo viaggio dentro la tua faccia.

558 – Dapprima sono strappi forti, poi rimane sempre lo strappo, ma è come se fosse desiderato, come una madre che, per alimentare e salvare suo figlio, desidera i dolori che prova, al seno o negli impegni che assume.


299 – Non possiamo stringere una mano amica se non stringendo il Mistero.


190 – Lo struggimento della nostra vita non è un particolarismo sentimentale verso Cristo, neanche verso Gesù, ma è la gloria di Gesù come l’ha fissata il Padre.


46 – Per capire Dio bisogna essere uomini, e per amare Gesù – Dio fatto uomo – bisogna essere uomini.

Essere uomini vuol dire avere verso Dio lo stupore e la dipendenza; avere verso Gesù lo stupore e la confidenza; avere verso gli altri la rassegnazione e la pietà verso se stessi.

127/128 – «Lo stupore.Il fatto da cui parte la fede in Cristo, l’incontro da cui parte la fede di Giovanni e Andrea – dando loro una impressione assolutamente eccezionale, perciò il presentimento di qualcosa di sovrumano, mai immaginato, inimmaginabile – ha destato in loro un grande stupore. Lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta. Lo stupore nasconde dentro di sé una domanda profonda che tocca le fibre ultime del nostro essere» [Si può vivere così? p. 42-43].

Da un punto di vista psicologico, lo stupore porta a una domanda e approfondisce la domanda, chiede che la domanda sia approfondita fino alla risposta.

128 – Lo stupore aumenta la domanda.

Stupirsi e contemplare sono la forma più acuta e più pura della domanda.

La gratitudine che viene dopo è anch’essa una domanda.

Lo stupore, o contemplazione, è una domanda che l’oggetto esista, continui ad esistere, continui ad esistere per me, ci sia per me, sussista per me.

E quanto più esiste e quanto più lo guardi, tanto più cresce lo stupore.

«Chi è costui?». È stupore quando, a un certo punto , si sprigiona una richiesta circa l’identità del soggetto in questione.

«Chi è questo qui?». Così fecero con Gesù; a un certo punto lo stupore era tale: tutti i giorni ce n’era una – anzi, tante! -, tutte le sere arrivavano con la stessa stanchezza d’ammirazione.

129/130 – Se tu fai l’esperienza di una cosa eccezionale, non immediatamente ti viene la domanda: «Come faccio io a essere così?», oppure: «Come posso io prender la misura e rendermi così superiore alla norma?».

130 – Sarebbe incoerente con il tuo stupore. O dire: «È eccezionale» è un giudizio sbagliato, oppure la conseguenza di questo giudizio è lo stupore, non il cancellarlo!

Il tentativo di misurarti in modo da essere grande come quella roba lì, è un atteggiamento falso e contraddittorio alla reazione della tua coscienza.

Hai incontrato una cosa eccezionale ma non nè davvero eccezzionale, se anche tu puoi diventare come lei.

Il paragone tipico, per il cristiano qual’è?

È la santità.

Madre Teresa di Calcutta è una cosa eccezionale… ma anche tu puoi diventare come lei! Sì, ma non come sforzo tuo, misura tua: deve c’entrare qualcosa d’altro.

159 – «Se tu segui la tua stella, non puoi fallire a glorioso porto» (Inferno, canto XV, vv. 55/57). diceva Dante.

Cosa è la stella? Non è un discorso da ripetere, non sono dei giudizi da ripetere, non sono delle definizioni da dare: è qualcosa che genera stupore, che tu guardi; la stella è qualcosa da guardare.

Perciò, per esempio, non è l’ascolto che ti cambia, ma è il guardare che ti cambia.

233 – Lo stupore di fronte a una realtà bella della vita o della natura lascia nel cuore una gratitudine che è la virtù che inizia il cammino di tutte le altre virtù.

396 – Il distacco si definisce dal contesto cui la cosa o la persona che guardi appartiene.

Questo contesto è il disegno universale che procede.

Ha la sua radice lunga, lunga, lunga, infinitamente lunga, perché ha la sua radice nel Mistero.

Questo ti porta a guardare la cosa stupefatto.

Nessuno vive con questo stupore; tutti sono agri e aridi, perché nessuno vive con questo stupore: è una terra mai concimata dalla saggezza della ragione.

Ti guardi la persona o la cosa con distacco, cioè con rispetto.

562 – Intervento: «Mi sembra che all’inizio ci sia uno stupore grande per la strada che incomincia. […]. Ed è come se, davanti al sacrificio dello strappo […] lo stupore lasciasse in alcuni momenti lo spazio alla paura».

Fin quando uno è piccolo è stupito di tutto.

Man mano che diventi grande, lo stupore aumenta.

Perché lo stupore non è dell’ignoto – lo stupore dell’ignoto è assolutamente esteriore e provvisiorio -, è lo stupore di quel che si conosce che ti compie.


127/128 – «Terza caratteristica: lo stupore. Ma lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta. Lo stupore nasconde dentro di sé una domanda profonda che tocca le fibre ultime del nostro essere» [Si può vivere così? p. 42-43].

Dal punto di vista psicologico, lo stupore porta a una domanda e approfondisce la domanda, chiede che la domanda sia approfondita fino alla risposta.

128 – Lo stupore aumenta la domanda.

Stupirsi e contemplare sono la forma più acuta della domanda.

La gratitudine che viene subito dopo è anch’essa una forma di domanda.

Lo stupore, o contemplazione, è una domanda che l’oggetto esista, continui ad esistere, continui ad esistere per me, ci sia per me, sussista per me.

E quanto più esiste e quanto più lo guardi, tanto più cresce lo stupore.

«Chi è questo qui?». così fecero con Gesù: a un certo punto lo stupore era tale: tutti i giorni ce n’era una – anzi tante! -, tutte le sere arrivavano con la stessa stanchezza di ammirazione.


562 – Intervento: «Mi sembra che all’inizio ci sia uno stupore grande per la strada che incomincia. […]. Ed è come se, davanti al sacrificio dello strappo […] lo stupore lasciasse in alcuni momenti lo spazio alla paura».

Fin quando uno è piccolo è stupito di tutto.

(Nella nostra convivenza) si vede dal di fuori che è un ambito curioso, ti incuriosisce e, appena entrata, per certe parole che vengono spiegate, stupisce.

Il che dura una, due, tre, quattro volte; la quinta sei già abituata, se non hai assunto con responsabilità domande e risposte, se non hai scavato in te la strada della domanda e la strada della risposta, se non hai cercato di partecipare al motivo e al metodo.

Man mano che diventi grande, lo stupore aumenta.

Perché lo stupore non è dell’ignoto – lo stupore dell’ignoto è assolutamente esteriore e provvisorio -, è lo stupore di quel che si conosce che ti compie


129/130 – Intervento: «Paragonando queste parole con quello che accade non posso fare a meno di osservare che quando mi imbatto in una presenza eccezionale, che mi stupisce, in me non nasce semplicemente la domanda: “Ma come fa ad essere così?”, ma è come se mi capitasse di dovermi misurare con quella eccezionalità e volermene impadronire…»

…di dare a spiegazione. Ti succede di voler dare spiegazione di quella eccezionalità.

Non immediatamente ti viene la domanda: «Come faccio io a essere così?», oppure: «Come posso io prender la misura e rendermi così superiore alla norma?».

Sarebbe incoerente con il tuo stupore.

Il tentativo di misurarti in modo da essere grande come quella roba lì, è un atteggiamento falso e contraddittorio alla reazione della tua coscienza.

Il paragone cristiano qual’è? È la santità.

Madre Teresa di Calcutta è una cosa eccezionale…ma anche tu puoi diventare come lei! Sì, non come sforzo tuo, misura tua: deve c’entrare qualcosa d’altro.


327 – La sublimità del sentire è la prima caratteristica della poesia Leopardiana.

La sublimità del sentire è questo grande interrogativo che nasce dal contrasto tra l’impeto di «desiderii infiniti» e di «visioni altere» che trovano nel cuore dell’uomo la terra propria e, dall’altra parte, questa improvvisa distruzione, questo annichilimento subitaneo che una banalità qualsiasi genera.

Quindi, la sublimità del sentire è data da una specie di differenza di potenziale che c’è nell’uomo tra i «desiderii infiniti» che una cosa bella e amata e desiderata fa sorgere, e quello che l’uomo è, quell’annichilimento subitaneo che una banalità qualsiasi produce, «in nulla torna quel paradiso in un momento».

330 – Questa sublimità del sentire, se ha come contenuto la tragedia di una contraddizione quotidiana, è come una terra in cui scaturisce una esaltazione dell’uomo: l’uomo si esalta.

La sproporzione sentita diventa sorgente di meditazioni vaste, cui il genio dell’uomo sa dare spazi di immagini e parole e musicalità, come in Leopardi.


73 – Ci troviamo per riflettere sul cammino in cui Dio ti ha messo, per comprederne le ragioni, per sorprenderne il valore.

E il suo valore ti renderà soggetto di missione, testimonianza, cioè utile alla costruzione del mondo per il regno di Cristo, che è l’unica ipotesi di unità tra gli uomini e le cose, cioè l’unica premessa, l’unico fattore creativo per una concezione unitaria e organica di tutto, dove ogni cosa serva all’altra e non ci sia niente di superfluo nel senso cattivo del termine.

Il superfluo, infatti, ingombra la purità dell’ordine, ed è per questo che nella storia del cristianesimo chi dedica la vita a Dio nel convento o nel monastero fa professione di rinuncia al superfluo, fa professione di rinuncia al superfluo.

E il fare quello che si giudica più giusto è superfluo, per cui l’obbedienza basata, è più sicura; la povertà non solo è utile ma necessaria, per spazzar via il superfluo.


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV




Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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