Temi: Si può (veramente?!) vivere così? (2)

Edizione di riferimento

Indice alfebetico dei temi

ABCDEFG/HILMNOPRSTUV

[NOTA BENE: i corsivi di frasi o interventi, in rosso sono frasi riportate dal libro «Si può vivere così?», quelli in viola sono invece interventi, domande e citazioni di questo libro]

Indice linkato:


459 – Nella misura in cui c’è un calcolo, diminuisce l’amore.

Il contrario del calcolo è qualsiasi tipo di amore.

«La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma. La ragione di una azione è il ritorno che l’azione ha.» [Si può vivere così? p.459]

Normalmente tutte le nostre azioni sono ragionevoli nella misura in cui sono un calcolo, altrimenti sono un colpo di testa.

Qui è proprio il contrario.

Questo fenomeno – la carità – a chi lo vede vivere con lealtà, con sincerità, appare come una azione senza ritorno: è un gesto senza aspettarsi niente di ritorno.


(Cfr. anche: conversione)

110 – Che Dio si sia fatto uomo è un avvenimento che per Giovanni e Andrea è apparso quando sono andati là, per Giuseppe è apparso quando è nato il bambino, per i pastori quando hanno visto questo bambino e per i Magi quando sono andati là ad adorarlo; e per noi quando vediamo qualcosa di così cambiato che non si potrebbe immaginare niente al mondo capace di questo cambiamento, in noi o in un altro.

121 – Perché è giusto riconoscerlo come presente?

Intervento: «Perché cambia»

Perfetto! Ricordati queste parole e prega la Madonna che te le faccia vivere e sentire addosso a te. Allora non avrai dubbi, perché è immediato: diventa una evidenza diretta. Avete capito? chi ha detto no? spiega tu.

122 – Intervento: «C’è perché cambia. Non devo immaginarmelo, devo riconoscere qualcosa presente».

L’avvenimento è il cambiamento che avviene in te, o nell’altro, o nell’altro.

Riconoscere il tuo cambiamento, essere sorpreso dal tuo cambiamento, dirmi: «Come fa a cambiare così questa qui? Come ha fatto?». «Perché vive la coscienza del rapporto con Cristo

Ma, dunque, Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente – che è lei – e perciò la memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è cominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine dei secoli.

Ma si capisce proprio che l’avvenimento di Dio fatto uomo è sempre presente quando si percepisce, quando si può riconoscere che questo uomo cambia me: cambia me, ha la forza di cambiare me.

Non di schianto, ma cambia me, e cambia te, se tu vivi in un certo modo: se tu lo riconosci.

159 – Non è l’ascolto che ti cambia, ma il guardare che ti cambia.

282 – La speranza è ciò per cui Cristo portò la croce: la fede fu la condizione per cui poté portarla, ma il portar la croce è stata la speranza di Cristo.

Cambiare in speranza l’esperienza di sacrificio e di rinuncia è di una concretezza sterminata, tanto è vero che agli uomini è impossibile, eccetto a chi si appoggia alla fede, a chi fa la memoria di Cristo.

L’effetto per cui si mobilita il tuo presente ti deriva dalla fede, ti è reso possibile dalla fede.

È in questo cambiamento che tu ti muovi.

«La fede senza le opere è morta»[Gc 2,26], diceva san Giacomo: se non ti fa muovere e cambiare la fede è morta.

283 – Intervento:«In che senso la fede muore se non suggerisce una trasformazione, un cambiamento della vita?».

La coscienza di questa Presenza ti dà la ragione completa, sempre rinnovata, che spiega la grande importanza dell’istante che tu vivi e non ti lascia mai accasciare da nessuna suggestione, e ti fa camminare verso il punto a cui sei incamminato: il punto a cui sei incamminato è la tua felicità, cioè l’incontro con la gloria di Cristo.

Attraverso di noi, se nella fede a Cristo, nella coscienza della Tua presenza, o Cristo, cambio: cambio i preconcetti, cambio il mio modo di fare, aspiro a cose migliori – se ti hai compassione di me, perché da solo non cambierei niente.

367 – Quello che mi sembra entrare per i muscoli e per le ossa nostre come un brivido è che bisogna proprio cambiare vita: c’è un altro modo di vivere, di bere, di mangiare, di guardare l’uomo, di guardare la donna; c’è un altro modo!

Dove il passato può essere preso in braccio come il bambino può prendere il suo bambino piccolo, dove il presente è lieto anche di fronte ad una bara, e dove il futuro, così gremito di oscurità, diventa certo.

416 – Perché se tutto è abbracciato da quel , se è sincero quel come lo è per Simone, allora tutto sarà toccato da quel ; e quando sarà toccato cambia.

Tu t’accorgerai di cosa avviene dopo che cambia.

Preoccupati del sì a Gesù, Dio fatto uomo.

463/464 – Se la vita di vocazione non è il rapporto con il Mistero e con quella Presenza reale – hic et nunc (ora, ogni giorno) – di questo Dio nato come uomo dalle viscere di una giovane donna; se questo non è vissuto come invasione capovolgitrice, come una sommossa che cambi i piani delle cose, come metanoia (cambiamento di mentalità); se quello che diciamo del nostro rapporto con Cristo non c’entra con la vita di ogni giorno – quella che si tocca con le mani, quella che si vede con gli occhi, quella che colpisce il cuore, quella in cui diventi burbero, quella in cui diventi ingiusto, quella in cui diventi egoista -; se non c’entra con questo e non cambia questo, che cosa testimoniamo? Testimoniamo un fantasma? Ma Cristo è talmente «fantasma» che dopo duemila anni, anche nel cuore dell’Argentina, cambia uno o fa vedere a uno un altro che cambia: cambia.

È se cambia

481/482 – […]Devi cambiare l’esperienza, devi metamorphousthai.

Deve subire una metamorfosi la faccia che hai davanti; se non subisce un cambiamento non l’ami più, si perde il divino, si perde il meglio della faccia: è triste.

482 – È triste quel che vivon tutti, è semplicemente triste.


441 – È un Tu che domina, non delle cose da rispettare: non delle leggi da rispettare, ma è una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.


165 – Quando Pietro disse: «Sì, Signore, Tu lo sai che io ti amo», era già dentro l’eterno: sulla soglia.

La caratteristica di chi è sulla soglia – dentro – come il si di Pietro è che continua a camminare: «Chi ha questa speranza si purifica ed egli è puro»[1 Gv 3,3].

Non vien più meno – questo è impressionante – non vien più meno la volontà di camminare; uno fa quel che può, soprattutto uno fa quello che Dio gli permette di fare, ma non vien più meno.

210 – L’amicizia è l’aiuto appassionato, come consapevolezza e come passione a vivere il rapporto con l’altra persona avendo come contenuto di interesse il suo completamento, la sua felicità, il suo destino e perciò il cammino.

Dire cammino implica per forza la foce, la meta, il cammino.

283 – La coscienza di questa Presenza ti dà la ragione completa, sempre rinnovata, che spiega la grande importanza dell’istante che tu vivi e non ti lascia mai accasciare da nessuna suggestione, e ti fa camminare verso il punto a cui sei incamminato: il punto a cui sei incamminato è la tua felicità, cioè l’incontro con la gloria di Cristo.

464 – «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua massima soddisfazione»

San Tommaso, Summa Theologiae

Lo sostiene oggi, nel portare il peso di oggi, nello strapparsi la maschera che si ha sul muso; nel costringere non gli zigomi a sorridere, ma l’anima ad essere lieta, facendole ricordare lo scopo certo del cammino, cioè facendola riaccorgere di essere su un cammino (un cammino ha una meta, altrimenti è assurdo esserci).


261 – […]Il Mistero che si dimostra nella vita, che si contesta delle circostanze della nostra vita.

E non c’è rapporto con nessuno dei miei amici che non lo implichi, che non me lo ricordi; i momenti iù amichevoli, più profondamente amichevoli, sono i momenti in cui ce lo ricordiamo tutti insieme: quando cantiamo, per esempio.

Per questo per me il canto è il fattore principe di una amicizia (a dire il vero il canto autenticamente religioso, e più ancora cristiano).

351 – Facciamo un canto, perché non si possono pensare le cose vere se non in una aura di canto.

Se non si canta, se il cuore non canta, la cosa non è vera (per questo dicevo «aura di canto».

412/413 – «Mio canto e mia forza sei Tu» [Sal 118,14?]: il canto è la bellezza; la forza, invece, è un attacco, è un contrattacco.

413 – Dalla seconda ti viene la sicurezza del tuo futuro; dalla prima ti viene la dolcezza e la letizia, l’ovvietà del tuo futuro.

Queste due distinzioni si notano soprattutto nel canto.

Il canto dà rilievo a questi due sentimenti estremi.

E non usare il tempo nell’andare a scovare queste espressioni dignitose dell’uomo che sono i canti, è un venir meno alla propaganda del vero.

492ss – È stato bello il canto che avete cantato dell’uomo che viene a casa dalla ferriere. Io lo sapevo quando avevo quattro o cinque anni, perché lo sentivo cantare; lo sentivo cantare lungo tutta la strada dalla gente che, dalla vicina grossa osteria, tornava a casa la sera.

Non sappiamo niente di canti popolari; non c’è più la possibilità, mentre si sta per dormire la sera, di sentire per le strade del proprio paese gente andarsene a casa tardi dall’osteria cantando canti popolari bellissimi.

Non c’è più questa possibilità perché non c’è più popolo; non c’è più intesa tra me, bambino di sette anni che sto per dormire nel mio letto, e l’uomo che lascia l’osteria che sta sotto per andare a casa sua, cantando.

Non credo ci siano sintomi più gravi della distruzione di un popolo che l’assenza di canti popolari abituali.

Ma c’è un popolo che non tradisce mai, non viene meno mai: il popolo di Dio che siamo noi. Questo popolo è pieno di canzoni, pieno di canti per l’eternità.

Quelli che adesso si imparano sono soltanto incoativi, sono soltanto introduzioni all’eternità.

Ma sono così belli che, in tutti i canti popolari malinconici o memoriali, non c’è possibilità di uguagliare la pace che si ha quando si giunge all’«Amen».

493 – In un raduno come questo, allora, è più necessario che si cantino i canti del popolo di Dio in cammino verso la patria.

Questo popolo non dimentica i suoi canti.

Anzi, quanto più è ufficiale il raduno, tanto più è obbligatorio il canto; magari non preparato o cantato male, ma quanto più i raduni sono obbligatori, tanto più il canto è necessario.

La carenza dei canti del popolo che squalifica tutte queste generazioni, è un brutto indice: il popolo non esiste più se non nella casa si Dio, che è il mondo.

E anche il popolo nel senso carnale, dobbiamo rieditarlo noi, dobbiamo farlo rinascere noi, imparando, perciò, i canti popolari di qualsiasi tipo, basta che sian belli.

Ed è l’amara differenza tra la GS dei primi dodici anni e la GS degli anni dopo, che si chiamò ad un certo punto CL: i primi dodici erano pieni di canti popolari, che cessarono ad un certo punto; adesso più nessuno canta canti popolari, salvo qualcheduno.

È un compito innanzitutto vostro, che avete questa vocazione, quello di ridestare il cuore umano dei vostri compagni!

E lo strumento per ridestare il cuore, lo strumento principale è il canto.

Ma da che cosa sorgono i canti? Dal bisogno umano: bisogno di amore, bisogno di giustizia, bisogno di salute, bisogno di bellezza, bisogno di primavera.

Riesumarli o inventarli, prima riesumarli che inventarli: se i canti si riesumano si ha tutto il sapore dell’antico, del tradizionale che, per sua natura, essendo più sperimentato, è più profondo di ciò che è inventato ora.


(Cfr. anche: comprendere, conoscere)

26 – Allora, avete capito? Si capisce solo quello che si riesce a dire in poche parole.

58ss – Intervento: «Voglio sapere che cosa vuol dire capire».

Cosa vorrà dire capire? Questa è una tentazione troppo grande per resistervi! Nessuno capisce che cosa vuol dire capire. Per favore chi lo sa lo dica.

Intervento: «Capire una cosa è quando si coglie il nesso della cosa con la realtà».

Questa è la risposta giusta; bisognerebbe cercare di esplicitare che cosa voglia dire.

Cogliere il nesso tra una cosa e la realtà: questo è capire. Ma, prima di tutto, deve essere la realtà totale; il nesso tra una cosa e la realtà totale: questo è capire la realtà.

59 – «Per conoscere una cosa bisogna attraversarla, il che significa che per capire il mondo bisogna ammettere Dio. Possibile?» [C.Pavese, Il mestiere di vivere].

E questo interrogativo è l’amarezza della vita di Pavese.

Capire, dunque, implica innanzitutto la percezione del nesso tra una cosa e la realtà tutta.

Siccome la realtà tutta non la conosciamo, per capire la cosa bisogna inoltrarsi in una ricerca lunga, lunga, lunga tutta la vita, finché si raggiunge quella soglia dalla quale – partecipando all’occhio di un Altro, al cuore di un Altro – si vede e si ama tutto.

60 – Capire vuol dire conoscere.

Capire, nella domanda posta, è sinonimo di conoscere, conoscere giustamente, adeguatamente.

Conoscere vuol dire che la realtà passa davanti allo specchio dei nostri occhi.

La conoscenza implica un riflesso della realtà sullo specchio della nostra coscienza, e questo è l’inizio della ragione.

138 – Deve essere il dire qualcosa per cui e di cui uno vive, altrimenti non si capisce.

Non si può capire se non quello che un altro vive; e anche se non si capisce, si sente che l’altro vive, perciò si sente che c’è.

Se uno dicesse: «Sono felice», tu non capisci, ma capisci che c’è un modo di vivere che è quasi come la felicità; e se c’è, lo devi rispettare, non ti puoi esonerare dall’ospitarlo nel lessico della tua mente, dal vocabolario del tuo cuore.


481 – «Pur vivendo nella carne, io vivo nella fede del Figlio di Dio» [Gal 2,20]: bisogna essere nella carne per capire Gesù.

È un’esprienza che ci fa capire Gesù. Se Dio, il Mistero, è diventato carne, nato dalle viscere di una donna, non si può capire niente di questo Mistero se non partendo da esperienze materiali.

Se per farsi capire è diventato carne, bisogna partire dalla carne.


46 – Si è costretti a ritornare sempre da capo: per capire Dio bisogna essere uomini, e per amare Gesù – Dio fatto uomo – bisogna essere uomini.

Essere uomini vuol dire avere verso Dio lo stupore e la dipendenza; avere verso Gesù lo stupore e la confidenza; avere verso gli altri la rassegnazione e la pietà che si ha per se stessi.


159 – Intervento: «Cosa vuol dire assimilarsi a te?»

«Assimilarvi a me» non significa assimilarvi a me come «io, tal dei tali», ma entrare nel gioco dell’esperienza che faccio, comprendendo queste cose.

Ciò che mi fa capire queste cose è una esperienza che fa scaturire un giudizio al quale consegue un affetto, un affectus, come abbbiamo già spiegato.

191 – Perché ho insistito sulla necessità di partire dall’esperienza? Per capire se io sono libero devo partire dall’esperienza in cui mi sento libero, e mi sento libero quando sono soddisfatto, quando un mio desiderio è soddisfatto.

405 – Intervento: «Non riesco proprio a capire questa cosa nella mia esperienza»

La difficoltà vostra è nel non ritrovare nell’esperienza un corrispondente a ciò che si dice.

In che cosa bisogna essere adulti per incominciare a capire queste cose?

Quando si parla dell’essere, perciò quando si parla delle cose più ultime e profonde di cui la vostra vita è fatta come la carne è fatta di tessuti vari, quando si parla dei tessuti della vita, c’è un solo tipo di esperienza riassuntivo, nel cui ambito si deve riscontrare qualcosa di ciò che sentiamo dire: l’esperienza dell’amore.

Tutta l’esistenza di ciò che c’è – filiforme per il grande pioppo o per il grande cipresso, totalizzante nel suo cerchio e nel suo abbraccio infinito per l’uomo -, tutto ciò che c’è si riconduce al rapporto con Gesù, con questo uomo.

Quello che nella nostra vita è simbolo, segno, riflesso – ma la parola più giusta è la parola segno – è ciò che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto con quest’uomo.

È dentro quello che nella nostra vita è più segno del nostro rapporto totalizzante – obiettivamente – con Cristo, è guardando all’esperienza che più è segno del nostro rapporto con Cristo, che si capiscono le cose, si incominciano ad intravedere le cose.

457 – Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere un fattore che si chiama carità.

Madre Teresa di Calcutta la si sente nell’esperienza, ma non capisci come fa ad essere così, proprio non riesci a capirlo: puoi solo ammirarla.

Cioè, questa stranezza di voce, questa stranezza di comportamento, questa diversità di comportamento è come incarnata, come una voce di cui non si vede l’origine, di cui non si vede la faccia, ma c’è.

510 – Purtroppo la grande regola resta: si capisce quello che si è già incominciato a sperimentare.


69 – Ascoltare, rivedere le note, leggere gli stampati; pregare Iddio per tutto quello che non si capisce.

E, oltre a Dio, domandare agli uomini che ci aiutino.

[…] Ma lì c’è la persona che ha già fatto questo percorso, è lì insieme: domanda a lui! Perché domandare a lui è dimostrare che quando si chiede a Dio, si chiede seriamente.

280 – Vedere una persona e capire una persona è un pò diverso; ma capire passa attraverso il vedere.

Itinerario dello sguardo, cioè il cammino che avviene dentro lo sguardo, che è quello che dicevo io: quando uno vede una faccia e […], stando a distanza si inoltra dentro la faccia, dentro lo sguardo, allora vede una cosa più profonda; e guarda, e guarda, e guarda, fin quando arriva là dove la faccia nasce da una fonte: springs.

394 – […] La posizione di Giovanni e Andrea verso Gesù: gli occhi aperti, la bocca spalancata, a sentirlo.

Il sì detto prima di capire vuol dire disponibilità.


393 – Intervento: «Si può dire che la povertà applicata al conoscere è anche il dire sì a Cristo prima che il capire

Il problema non è capire come Dio sia diventato uomo e morendo abbia salvato il mondo, come quell’uomo abbia imparato a dire le cose così bene che i dottori del tempio dicevano: «Ma chi è questo qui? Come fa a sapere queste cose, un bambino di dodici anni?».

Il problema non è capire come Lui dica così, non è capire come Dio fa universo anche le piccole cose.

Non è capire, ma dir di sì prima di capire: e questo è un distacco.

Parlando della ragione, a cosa corrisponde questo? Alla categoria della possibilità! Dir sì a Cristo vuol dire quello che Cristo diceva nel Vangelo: «Ti ringrazio Padre, perché hai rivelato queste cose, hai fatto comprendere queste cose a chi è semplice».


278 – Col tempo, se tu rimani – questa parola che Gesù negli ultimi capitoli del vangelo di Giovanni, ripete decine, decine di volte: «Rimanete», «Rimani» -, capisci.

Tutti coloro che nei quarant’anni di storia ho visto andarsene dal nostro movimento, per un’obiezione che avevano – un’obiezione anche giustissima -, non ha capito più nulla; chi è rimasto capisce, così che non dice più quello che diceva dieci anni fa.

341ss – Tutto il dialogo che facciamo tra noi nasce da alcune parole che io ho sentito fin da quando avevo dieci anni, che sono state poi ripetute poi tante volte, migliaia di volte.

Ma come le capisco, adesso! Credeve di capirle allora! Le capivo, le capivo come un ragazzo di undici o dodici anni che legga la Divina Commedia senza aiuti: o è un genio, oppure capisce quel che capisce.

Se siete d’accordo con quello che ho detto, siete d’accordo che il tempo c’entra con il capire le cose, siete d’accordo che occorre del tempo per capire le cose.

343 – […] Una delle parole che solo nel tempo, se riconosciute e considerate, cioè stimate, amate, solo nel tempo acquistano una imponenza, una forza, una grandezza… una di queste parole che maturano e impongono la loro grandezza di implicazioni e di evidenti derivazioni, che spostano sempre oltre il limite della loro applicabilità, della loro capacità di spiegare, una di queste parole è la parola povertà.

344 – La parola povertà è una delle tre, ma per capirla in modo tale da amarla, occorre una certa diuturnità, occorre un certo tempo.

544 – Seguire, che è guardare, muovendosi però, non stando lì fermo a dire: «Aaah!».

La meraviglia è frutto della ignoranza quando uno non capisce nulla; ma la meraviglia è il vero frutto di quell’iniziale capire che rivela tutta l’originalità e l’impossibilità di capire al momento, e la necessità che per capire totalmente occorre una storia.

E qui entra la grande parola tempo. Il tempo. Basta il tempo? No, occorre la pazienza.


279/280 – «La fede ci fa sperare di vedere che tutto quanto si muove, si muove per la gloria di Dio; la fede ci fa sperare di vedere questo. Il primo modo di vederlo, non è vederlo; il primo modo di vederlo è capirlo, è capire.[…] Capire è più che vedere[Si può vivere così? pg. 149]


133 – Spero che tutti siamo d’accordo che della maggior parte delle cose che accadono – perché accadono! Non sappiamo il perché.

Il disegno di tutte le cose, la storia di tutte le cose, non esce da una fabbrica umana, ma è espressione del Mistero divino.

Perciò, a priori, la maggior parte di ciò che c’è non sappiamo perché c’è; di quel che accade non sappiamo perché accade.

Eppure in questa compagnia, tutto questo diventa pacifico, di pace; addirittura si muta in una tenerezza lieta, in una letizia carica di tenerezza; addirittura qui esplode spesso in gioia.

135/136 – Intervento: «Pensando alla vocazione, alla strada, a tutto quello che mi ha portato qui, mi sono sentito quasi nella stessa situazione in cui si sono sentiti Pietro e gli altri, anch’io non riesco a capire, ma questa strada a me sembra come la risposta di Pietro: «Se andiamo via da te dove andiamo?».

Perfetto! Questa imperfezione del modo di dire è perfettamente espressiva di quel che è in tutti noi. Nessuno di noi sa come mai è qui, eppure capisce che non c’è niente di meglio, di più bello, di più ricco di promessa dell’esser qui; e capisce che non può andar via senza andar via da se stesso.


(Cfr. amore, gratuità)

450 – Per capire che cosa è la carità, non solo bisogna parlarne, ma bisogna continuamente parlarne.

Ed è soltanto attraverso questo parlarne che un filo d’oro può essere coniato, perché è attraverso parole e pensieri che esprimi qualcosa che non è parola o pensiero, che è più che parola, più di pensiero.

453ss – «La carità, questa terza colonna che tiene in piedi il grande tempio di Dio che è il mondo, indica il contenuto più profondo, scopre l’intimità, scopre il cuore di quella Presenza che la fede riconosce.» [Si può vivere così? p.270]

Già nell’esperienza umana la prima funzione della parola carità, quasi come premessa generale, è sottolineare quello che l’esperienza trova.

L’intelligenza riconosce che tutto quello di cui la realtà è fatta, anche messo insieme non basta.

La carità sottolinea il sentimento di insoddisfazione, parte del sentimento di insoddisfazione; la carità è quella che fa sentire la voce del bambino che era nascosto, la voce dell’uomo che era dolorante; indica il contenuto più profondo, indica l’intimità, l’ultima terra con cui l’uomo può mettersi in comunicazione, l’ultimo aspetto dell’essere.

454 – «Non basta» è facilitato da una affezione particolare che si chiama carità.

Il concetto di «Non basta» è dunque la premessa che rende possibile la vita, lo scopo positivo della vita, la grandezza della vita, la nobiltà della vita: di una vita dove tutte le cose che ci sono, più le conti e meno bastano.

C’è un altro fattore.

455 – Lo chiamo Mistero perché non misurabile, non è finito, non è decifrabile, non è pesabile.

Capisci allora che tu dipendi da quello: non c’eri, se ci sei perché dipendi da quello.

Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo; non posso trattarle da estraneo, con dispregio, giudicandole.

Ti livelli in modo diverso nel rapporto: così la carità c’entra con il Mistero; diventa possibile, in questo caso, la carità.

Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.

Come potrebbe l’Essere infinito, come potrebbe Dio, Come potrebbe lo Spirito di Dio, Spirito di vita, Dio che è carità, sopprimere uno che ha fatto un gesto veramente buono, un gesto di carità? Non può.

456 – Ma il modo di muoversi dell’essere è ancora più bello: se questo gesto di carità lo fa chi è padre, madre, parente, amico, e lo fa per te, lo offre a Dio per te perché ti salvi, Dio salva.

Perciò ha una duplice valenza la carità: è una affezione al più profondo, è una affezione al cuore, è una affezione all’intimo del tutto; che favorisce l’intelligenza ad ammettere che c’è qualcosa d’altro, che questo cuore, questa intimità, questo più profondo c’è oltre i suoi soliti metodi.

La carità è una vocina che porta l’intelligenza ad ascoltare con serietà la vocina “Non basta”.

Riassumendo: la carità entra in gioco già in qualche modo con la natura, in quanto la persuade ad essere fedele nella percezione del Mistero; ma poi entra a rivelare cosa sia il Mistero, il profondo del Mistero.

«La carità indica il contenuto più profondo e più intimo di quella realtà suprema che la fede ci fa riconoscere. […] È nell’esperienza, perché lo si sente e, se seguìto, produce effetto, cambia le cose, ma soprattutto dialoga imperiosamente con il cuore e risponde all’una, all’altra, all’altra esigenza: le esigenze costitutive del nostro animo. Non si può capire né come né quando, ma è lì la sua fisionomia eccezionale, la sua Presenza eccezionale; se non lo riconoscessi presente perché non lo capisco, perché non capisco come fa ad essere presente, andrei contro la ragione». [Si può vivere così? p. 270]

457 – Per poter parlare di una cosa, bisogna che quella cosa sia ragionevolmente visibile, possedibile, cioè ragionevolmente percepibile.

Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere un fattore che si chiama carità.

Madre Teresa la si sente nell’esperienza, ma non capisci come fa ad essere così, proprio non riesci a capirlo: puoi solo ammirarla.

458 – «Carità deriva dal greco Charis, che vuol dire gratis o gratuità. La carità, dunque, richiama l’espressione suprema dell’espressione amorosa» [Si può vivere così? p. 271].

459 – «La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma. La ragione di una azione è il ritorno che l’azione ha» [Si può vivere così? p. 271].

Questo fenomeno – la carità – a chi lo vede con lealtà, con sincerità, appare come un’azione senza ritorno: è un gesto senza aspettarsi niente di ritorno.

«…la carità agisce per puro amore, solo per amore. Solo per amore? Agisce per amore anche uno che dà i soldi a un altro calcolando un ritorno; la carità agisce per puro amore, nel senso che: dato, fatto. Non c’è più nessuna aggiunta, non c’è più nessuna appendice» [Si può vivere così? p. 271].

È nell’atto stesso che sono diverse le due azioni, l’amore umano e la carità; nell’atto stesso si vede che l’uomo è preso dal desiderio di avere un riscontro, mentre nella carità, no: dà e basta.

460 – «La carità è sostenuta anche essa da una ragione, perché se non fosse sostenuta da una ragione, sarebbe irragionevole; è un gesto umano la carità, se non fosse sostenuta dalla ragione sarebbe irragionevole. Ma la ragione che sostiene la carità è totalmente l’oggetto autentico dell’amore. L’oggetto autentico dell’amore cosa è? Il bene dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo. La ragione della carità, cioè della gratuità, è solo questa, che è la ragione più umana che esista, perché i calcoli li può fare anche una bestia» [Si può vivere così? p. 242].

461 – La ragione unica che può avere la carità per essere gratuità è il bene dell’altro. L’io è come cancellato, dimenticato.

Il bene dell’altro è che conosca e ami Cristo, il suo destino reale, il bene-bene.

Perciò la carità, come gesto umano, non esce dalla grande regola della ragionevolezza.

Il fenomeno che tu incontri è carità quando ha come unica ragione il bene dell’altro ed esclude – di fatto o anche come principio – ogni calcolo di ritorno.

462/463 – La carità ha una ragione: è proprio la natura di questa ragione che sconcerta, è una ragione che all’uomo appare senza ragioni, perché le ragioni dell’uomo sono tutte un calcolo per sé; lì non c’è calcolo per sé: c’è soltanto il bene dell’altro.

«Carità: dono di sé commosso. Siccome questo è il tema che deve dominare la nostra vita, ho detto che oggi facciamo i primi passi, che svolgerete voi nei raduni settimanali, nelle vostre conversazioni collettive o nella vostra meditazione personale, ma soprattutto nella mendicanza che vivrete verso Cristo.» [Si può vivere così? p.272]

Io capisco la difficoltà di queste frasi. Avete passato magari tanti anni senza guardare in faccia la parola carità, a maggior ragione lo specificarsi della carità in queste osservazioni.

464 – «Cos’è la carità senza della quale siamo nulla? È che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Gesù Cristo. Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo si chiama «Dio fatto carne per noi», ed è perché c’è questo Cristo che non c’è più nessun uomo che non mi interessi». [Si può vivere così? p.284]

465 – Intervento: « Io vorrei chiedere: cosa vuol dire che il primo oggetto della carità si chiama Gesù Cristo quando io amo una persona

Il primo oggetto della carità, per noi che viviamo nel tempo e nello spazio, è colui che è più vicino a noi, la persona che è più vicina a noi.

La persona più vicina a noi è chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare e camminare verso il Destino che è il mistero del Padre: chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare, a camminare verso il mistero del Padre, è Gesù.

L’oggetto principe dell’amore senza ritorno è Gesù.

Il mezzo per far diventare concreto il rapporto con Cristo, non è innanzitutto quello di ragionare insieme, discutere insieme, parlare insieme, ma è quello di chiederlo, di mendicarlo da Lui: si tratta della sua persona. Se una persona non si rivela, nessuno può sfondarla per conoscerla.

475 – Imitare Dio, imitare il Mistero, Colui che ti fa, nella carità: perché, come ti fa, come ti ha fatto e come si è comportato con te nella storia, ti ha fatto capire che la sua vita, la vita del Mistero, l’essenza del Mistero, la stoffa del Mistero, il sangue del Mistero, il cuore del Mistero, è amore.

Carità, cioè amore: Deus caritas est, Dio è amore.

Non lo potevamo capire da soli certamente, ma quando è nato dalle viscere di una donna è diventato grande, ce l’ha detto Lui.

477 – Intervento. «Cosa significa che la carità è muoversi per l’altro, quando uno fisicamente non può fare niente? Pensavo alla lettera di Andrea, che, pochi giorni prima di morire di AIDS, scriveva di sentirsi utile agli altri anche se poteva solo pregare e offrire la sua sofferenza: non poteva far niente, ma faceva del bene nel letto».

La carità è una mossa per l’altro senza ritorno. Per questo la puoi fare anche se sei come Andrea a letto, impossibilitato a muoverti nel senso cinetico del termine.

482 – Intervento: «Allora per la carità si vive sempre un apparente contrasto?»

Vivere la carità verso una persona significa sempre subire questo tipo di contrasto, proprio perché è la verità dell’affermare l’altro: affermare il suo aspetto materiale, concreto, l’apparente esistente, e affermare il suo eterno, appaiono in contrasto: devi esprimerli contrastandoli.

Ma quanto più li devi esprimere contrastandoli, tanto più senti l’unità che c’è dentro.

485 – Qualunque esistente è costruito su bisogni insoddisfatti.

Aiutare l’altro così che il giorno dopo abbia un pò più dei soldi di cui ha bisogno, questo è carità; o che sappia meglio il testo di religione o il testo di matematica che deve portare all’esame, questa è carità; e siccome è ammalato ed è lì tutto il giorno da solo, andarlo a trovare, questa è carità.

487ss – La carità è introduttiva alla conoscenza dell’intimo dell’essere.

È affezione a sentire il «Non basta»; perciò è introduttiva all’intimo dell’essere, rende l’uomo capace di introdursi nell’intimo dell’essere.

488 – Se la carità è affezione all’intimo dell’essere, te ne infischi ti tutto il resto, veramente te ne infischi di tutto il resto: se l’essere, attraverso un bambino che piange, ti chiede la vita, gliela dai; se una povera disgraziata, maciullata dalla vita, ti chiedesse di assisterla, tu lasci cinema e teatro per andare tutte le sere a trovarla.

La stessa affezione che ti introduce all’intimità con Dio, all’intimità con l’essere, ti spinge a farlo, a realizzarlo: si chiama gratuità.

La gratuità è la dote – non una dote, ma la dote -del Dio, la dote dell’Essere.

La gratuità è partecipare all’intimità di Dio, all’intima natura di Dio: non solo conoscerla, ma parteciparvi.

Dio è un uomo, è più uomo dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena di compassione.

Senza compassione non c’è carità, affettività vera promossa di fronte al problema dell’intimo dell’essere, dell’intimità dell’essere, del cuore dell’essere, dal profondo dell’essere.

489 – Primo, l’intelligenza diventa fede e ammette il Mistero.

Allora, secondo, la strada è così aperta che uno ci entra, arriva al cuore dell’essere e vi partecipa:

L’amore puro, la gratuità pura, l’amare senza nulla s’esiga venga restituito, senza calcolo, senza nessun tipo di calcolo, senza nessuna condizione, senza condizione: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente.

L’uomo diventa capace di questo.

E, terzo, si ritorna improvvisamente indietro, dall’intimità dell’essere, l’uomo vede Gesù, il Mistero, che parte, va, va, va… allora lo insegue: va,, ritorna a valle, tra gli uomini che mungono, che mangiano, che pisolano.

Senza questa commozione – mossa con, mossa in seguito a una Presenza-, senza questa commozione non c’è gratuità.

501 – L’amore nella sua realtà è affermare l’altro, affermare il bene dell’altro, volere il bene dell’altro, volere il destino dell’altro; chi non vuole il destino dell’altro, vuole una corrispondenza di «risonanza magnetica», vuole sentire molcere il cuore dal fatto che sono insieme.

Non è cioè carità, la carità essendo un dono di sé senza ritorno: un dono di sé senza ritorno.


458«Carità deriva dal greco Charis, che vuol dire gratis o gratuità. La carità, dunque, richiama l’espressione suprema dell’espressione amorosa». [Si può vivere così? p. 271]


457 – Per poter parlare di una cosa, bisogna che quella cosa sia ragionevolmente visibile, possedibile, cioè ragionevolmente percepibile.

In queste righe si dimostra in che senso la coscienza dell’uomo riesce a percepire che la carità è raggiungibile con la ragione; nella sua essenza non è conoscibile dalla ragione, ma è raggiungibile come dignità e ricchezza morale di risultato, come qualcosa che c’è: non ancora diagnosticabile, però qualcosa che c’è.

Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere un fattore che si chiama carità.

È dalla trama dell’esperienza che si capisce che c’è qualcosa d’altro.

Madre Teresa di Calcutta la si sente nell’esperienza, ma non capisci come fa ad essere così, proprio non riesci a capirlo: puoi solo ammirarla.


343/344 – Obbedienza, povertà e verginità: sono le tre virtù, cioè i tre modi con cui la fede, la speranza e la carità – che costituiscono la vita dell’uomo nuovo – si traducono in gesti, in progetti, in riprese, in pianto e gioia.


455 – Capisci che tu dipendi da quello (Mistero): non c’eri, se ci sei è perché dipendi da quello.

Allora io devo trattare queste cento persone in un altro modo; non posso trattarle da estraneo, con dispregio, giudicandole.

Ti livelli in modo diverso nel rapporto: così la carità c’entra con il Mistero; diventa possibile, perché è impossibile, in questo caso, la carità.

Se non in questo caso, la carità non diventa più possibile, perché è impossibile rassegnarsi alla carità.


502 – Senza sacrificio la nostra azione non c’entra con la carità, non c’entra con la carità, non ama mai!

Senza sacrificio il rapporto con l’uomo non è vero.

Senza sacrificio non si ama niente e nessuno, eccetto che la reattività ultimamente animalesca del proprio io.

503 – Il risultato è che, se si cerca questa carità, se il rapporto vive il sacrificio di sostituire alla propria immagine e al proprio progetto il misterioso progetto di Dio, scoprirai di amare molto di più quella persona vivendo obbediente alla tua strada, fedele alla tua strada, perché il tuo cuore si inerpicherà là dove ti sembra un sogno potere affrontare la roccia scoscesa, la strada in salita.


464 – «Cos’è la carità senza della quale siamo nulla? È che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Gesù Cristo. Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo si chiama «Dio fatto carne per noi», ed è perché c’è questo Cristo che non c’è più nessun uomo che non mi interessi» [Si può vivere così? p.284].

465 – Intervento: « Io vorrei chiedere: cosa vuol dire che il primo oggetto della carità si chiama Gesù Cristo quando io amo una persona

Il primo oggetto della carità, per noi che viviamo nel tempo e nello spazio, è colui che è più vicino a noi, la persona che è più vicina a noi.

La persona più vicina a noi è chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare e camminare verso il Destino che è il mistero del Padre: chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare, a camminare verso il mistero del Padre, è Gesù.

L’oggetto principe dell’amore senza ritorno è Gesù.

Il mezzo per far diventare concreto il rapporto con Cristo, non è innanzitutto quello di ragionare insieme, discutere insieme, parlare insieme, ma è quello di chiederlo, di mendicarlo da Lui: si tratta della sua persona.

Se una persona non si rivela, nessuno può sfondarla per conoscerla.


460 – «La carità è sostenuta anche essa da una ragione, perché se non fosse sostenuta da una ragione, sarebbe irragionevole; è un gesto umano la carità, se non fosse sostenuta dalla ragione sarebbe irragionevole. Ma la ragione che sostiene la carità è totalmente l’oggetto autentico dell’amore. L’oggetto autentico dell’amore cosa è? Il bene dell’altro, perciò il suo rapporto con Cristo. La ragione della carità, cioè della gratuità, è solo questa, che è la ragione più umana che esista, perché i calcoli li può fare anche una bestia» [Si può vivere così? p. 242].

461 – La ragione unica che può avere la carità per essere gratuità è il bene dell’altro.

L’io è come cancellato, dimenticato.

Il bene dell’altro è che conosca e ami Cristo, il suo destino reale, il bene-bene.

Perciò la carità, come gesto umano, non esce dalla grande regola della ragionevolezza.

Il fenomeno che tu incontri è carità quando ha come unica ragione il bene dell’altro ed esclude – di fatto o anche come principio – ogni calcolo di ritorno.

462/463 – La carità ha una ragione: è proprio la natura di questa ragione che sconcerta, è una ragione che all’uomo appare senza ragioni, perché le ragioni dell’uomo sono tutte un calcolo per sé; lì non c’è calcolo per sé: c’è soltanto il bene dell’altro.


459 – È nell’atto stesso che son diverse le due azioni, l’amore umano e la carità; nell’atto stesso si vede che l’uomo è preso dal desiderio di avere un riscontro, mentre nella carità, no: dà e basta.


134/135 – L’insegnante di religione – era il primo anno che si faceva scuola di religione in seminario -, don Gaetano Corti, ha spiegato la prima pagina del vangelo di Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne vuole dire che la bellezza si è fatta carne, vuol dire che il vero si è fatto carne, vuol dire che la giustizia si è fatta carne, vuol dire che la bontà si è fatta carne»

189 – Dio è venuto nel mondo non per la salvezza dell’uomo e del mondo, ma per la gloria di Cristo.

[…] È la gloria di Cristo, di Gesù figlio di Maria, quest’uomo che aveva i capelli di quel colore, gli occhi di quel colore e lo sguardo di quel tenore, ed era così alto, così uguale, così diverso, così incidente,, così tenero, così forte….quell’uomo – uomo ! – di carne ed ossa; così che «pur vivendo nella carne, noi viviamo nella fede» [Gal 2,20], vediamo oltre la carne (ma è partendo dalla carne che vediamo qualcosa d’altro).

197 – «Pur vivendo nella carne [pur non tralasciando neppure un capello – neanche un capello del vostro capo cadrà inutilmente -, pur vivendo nella carne: tempo e spazio], noi viviamo nella fede del Figlio di Dio, il quale mi ha amato [dal punto di vista poetico è colossale! Pur vivendo nella carne – la genericità dell’universo -, vivo nella fede di Uno, e questo si restringe all’attimo in cui Lui dà la vita per me] e ha dato se stesso per me» [Gal 2,20].

207Primo, la ragione è percezione della realtà secondo la totalità dei suoi fattori; secondo, a questa totalità dei fattori appartiene l’esigenza del vero, del bello, del giusto.

Del contenuto autentico di questo ci è data esperienza diretta attraverso la fede: l’esperienza della giustizia, della verità e della bellezza fatta carnecarne: Gesù – è la fede che ce la fa riconoscere.

«Pur vivendo nella carne, viviamo nella fede del Figlio di Dio» [Gal 2,20].

Se lasci via la carne, si distrugge il paradosso: questa fede non interessa più a nessuno.

348 – Per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una cosa sola con Cristo: con Lui, figli del Padre.

Devi volerlo, devidesiderarlo!

Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile nella giornata. E questa è la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.

È giusto, è vero, perciò deve superare, investire e travolgere la resistenza di quella insensibilità che è la carne. La carne è insensibile, eccetto che a punti; la carne agisce per aculei.

Invece la coscienza si dilata come un lago, come un mare, come un cielo pieno di stelle, come una terra piena di verzura.

481 – «Pur vivendo nella carne, io vivo nella fede del Figlio di Dio» [Gal 2,20]: bisogna essere nella carne per capire Gesù.

Se Dio, il Mistero, è diventato carne, nato dalle viscere di una donna, non si può capire niente di questo Mistero se non partendo da esperienze materiali.

Se per farsi capire è diventato carne, bisogna partire dalla carne.

571 – È proprio dall’esperienza che fai di una affezione il terreno di coltura: Cristo permette un sentimento amoroso per creare il terreno di coltura in cui possa attecchire il seme dell’amore a Lui, perché se Dio è diventato carne, è attraverso la carne che si sale a Dio, che si capisce Dio.


25 – La vocazione è la ricerca di una risposta alle esigenze del cuore.

La vocazione alla verginità non è una cosa astratta, non è un dimenticare nulla, neanche un capello della vita carnale; la vocazione assicura una corrispondenza alle esigenze del cuore, assicura una corrispondenza alle esigenze di questa vita: «Pur vivendo nella carne, vivo nella fede» [Gal 2,20].

348 – Per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una cosa sola con Cristo: con Lui, figli del Padre.

Questa ripresa di coscienza non è automatica, né è un circolo vizioso, che, per ricordarmelo, bisogna che mi venga in mente.

Devi volerlo, devi desiderarlo!

Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile nella giornata. E questa è la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.

È giusto, è vero, perciò deve superare, investire e travolgere la resistenza di quella insensibilità che è la carne.

La carne è insensibile, eccetto che a punti; la carne agisce per aculei. Invece la coscienza si dilata come un lago, come un mare, come un cielo pieno di stelle, come una terra piena di verzura.


274 – Dio si mette in rapporto con il mondo fissando un luogo, entra in rapporto con il mondo fissando un luogo, entra in rapporto con un luogo che si chiama tempio; questo tempio a un certo punto si è cambiato in una casa, la casa di Nazareth, per un uomo che vi stava dentro, Gesù.

Quello è il punto in cui il Mistero entra nel mondo: quel luogo, quella casa.

347 – Una libertà dalle cose.[…] Uno si sente compiuto, come quel tal mio amico che stava tornando dagli Urali a casa: ogni passo che faceva era come a casa, ogni sera che si fermava in un casolare a dormire era come se avesse raggiunto casa.

La letizia nasce esclusivamente sul terreno di questa coscienza di povertà. La povertà è la coscienza della vera ricchezza: stabile, certa, che sfida l’eterno, sfida il tempo e lo spazio, e costruisce, con tutto costruisce, non dimentica nulla.

578 – Quel luogo che è stato originalmente il seno della Madonna, è diventato un luogo più vasto, dove c’entravano anche gli zii e i parenti: era la casa di san Giuseppre. La casa.

La casa di san Giuseppe, con quelle mura, era come il mistero del seno della Madonna dilatato: tra quelle quattro mura anche gli amici anche gli amici più vicini, gli abitanti più vicini, anche i parenti potevano vedere quel bambino, stupirsi, di certe risposte che dava,, come si sono stupiti i dottori della legge a Gerusalemme.

E lì, dunque, si conosceva qualcosa attraverso le sue parole.

Dopo, Lui è uscito di casa e si è tirato dietro Giovanni, Andrea…quelli lì, quella dozzina lì erano diventati mura – le mura dilatate ancora – della casa di Nazareth.

Quelli lì, poi, andavano a casa, lo dicevano alle mogli, agli altri parenti, ai figli: sono diventati una settantina.


525 – Il paragone tra il possesso verginale e possesso non verginale è il paragone tra un possesso creativo, oggettivamente utile per il mondo intero, e un possesso che casualmente può essere creativo e, quando lo è, non è per il mondo: non è utile al mondo, se non casualmente (il concetto di casualità rende creativo, utile per il mondo, un gesto, per l’intervento di qualche cosa che non dipende dall’uomo, ma è fuori dall’uomo, l’uomo restando nel suo atteggiamento disgustevole); ognuno di noi ha provato questo per se stesso.


89 -L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza. Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.

171 – Iniziare aperti a tutte le possibilità – che è una delle caratteristiche della ragione: la categoria della possibilità – è l’unico modo di mettersi nel reale e poter scoprire e riconoscere il reale.

393 – Il problema non è capire come Lui sia così, non è capire come Dio fa l’universo anche le più piccole cose.

Non capire, ma dir di prima di capire: e questo è un distacco.

Parlando della ragione, a che cosa corrisponde questo? Alla categoria della possibilità!

394 – Il detto prima di capire vuol dire disponibilità.


531 – Il genio per eccellenza è l’architetto, l’architetto costruttore di cattedrali, perché la cattedrale costituisce il più grande simbolo dell’unità tra gli uomini.

(Pietro di Craon) disseminava la Francia di queste grandi cattedrali e stava lavorando in quel momento alla sua più grande opera,la cattedrale di Reims, dedicata alla santa Giustizia.


453 – (Dio) ha creato l’uomo come collaboratore suo e gli ha dato la coscienza per essere suo collaboratore.

La coscienza, per essere suo collaboratore, è proprio nella capacità di vedere i rapporti, i nessi, di unire le cose: dapprima provvisoriamente, poi sempre meno provvisoriamente, sempre più intensivamente, sempre più comprensivamente, finché si chiama «cattolico» o «ecumenico» chi abbraccia, chi tenta di abbracciare tutto.


151 – Noi ci accorgiamo che c’è la vita eterna per il centuplo dato quaggiù: che Gesù Cristo sia vero è dato dal fatto che seguirlo dà cento volte più gusto al vivere la vita.

«Questo vuol dire che vorrete bene a vostra madre e a vostro padre cento volte di più; che vorrete bene ai vostri fratelli cento volte di più, che vorrete bene al vostro ragazzo cento volte di più; che vorrete bene al lavoro, che gusterete lo studio cento volte di più; che gusterete la musica cento volte di più; che gusterete le cose belle cento volte di più. Fino a quando uno non sperimenta questo sovrappiù di umanità, questo compimento di umanità – tanto imprevisto prima, quanto grande diventa -, allora può capire che Cristo è Dio».

205 – Arrivando allo scopo che mi ha fissato Iddio, tutti gli strappi che ho accettato di fare me lo fanno vedere con più acume, con molta più attenzione, con molto più timore e rispetto, con molta maggiore intensità: è il centuplo quaggiù.

266 – Egli deve entrare a determinare tutti i tentativi in cui la speranza umana – è il motore, la speranza! – cerca l’esperienza suprema, ultima, che rende cento volte più esaltanti gli anticipi che sono le esperienze umane solite.

468/471- Intervento: «In quest’ultimo periodo mi viene spesso in mente quello che dicevi del “dono di sé commosso”, perché in me, invece della commozione, è come se prevalesse un sentimento di rinuncia. Tu dici che la sorgente di questa commozione è lo Spirito di Cristo. Vorrei capire meglio questa commozione»

[…] Non sono più commosso, perché non sperimento più che dover sacrificare qualcosa per l’altro è come avere il centuplo.

E il centuplo – perché il problema posto dalla tua domanda è il problema del centuplo! – si può sperimentare per tre anni, poi perdere per tre mesi, poi riavere per trent’anni.

Se il mio dono è commosso, capisco che mi dà il centuplo: è una commozione che altrimenti non avrei mai, è una esperienza di rapporto con la persona per cui do la vita – o la voce! – che altrimenti non avrei mai.

Ma se la sorgente si inaridisce e io debbo andare avanti solo con la forza della volontà per coerenza, perché non posso negare che le cose stanno così, il centuplo – che nella commozione si esemplifica – dove vado a prenderlo?

In quei momenti è la memoria storica che ti salva; ti salva l’esito di questa memoria storica, che è la compagni in cui sei.

Se ti vengono tre mesi di aridità, non puoi negare tre mesi di commozione per l’aridità che hai adesso.

524/525 – «Questo anticipo in questo mondo, questo pregustare, nel rapporto che io ho con te – anche avendoti visto una sola volta -, questo anticipo che presente nel rapporto con te come ti vedrò per sempre nella trasparenza eterna, nella trasfigurazione eterna, nella serietà dell’eterno, si chiama il centuplo quaggiù. Siamo chiamati ogni giorno, la sera, a domandarci quanto centuplo abbiamo vissuto. e non può essere – come vengono da me a lamentarsi – che non provano il centuplo quaggiù; certo non lo provi perché immagini il centuplo come lo vuoli tu, immagini il centuplo come un allargamento dell’istintività» [Si può vivere così? p.353].

In centuplo non vuol dire che l’«agognamento» istintivo che hai diventa cento volte tanto, anzi, da questo punto di vista, è tutto ostacolato e cancellato: la grazia eccita la forza di volontà che “la fa a pugni”, debellando il nemico.

Il nemico è proprio il modo con cui tu cogli l’occasione non nel suo senso vero, ma secondo la sua significanza equivoca che tu favoriresti.

Il centuplo è un altro modo di guardare, di essere commossi, si servire, di adorare, cioè di possedere.

554ss – In che senso aderire alla vocazione dà il centuplo quaggiù?

San Marco dice: «Se abbandonate vostra madre, avrete cento madri; se abbandonate il padre, avrete cento padri; se abbandonate le vostre sorelle, avrete cento sorelle» [Mc 29,30].

Infatti io ho cento amici che non avrei avuto.

Il centuplo quaggiù. Perché avete l’impressione, vi domina il sentimento tradotto in paura, senza ragioni – non me ne sapreste dare la ragione -, che il centuplo non ci sia? Dico così perché su cento amici che ho – ne ho più di cento, più di mille, più di diecimila…- quanti mi vengono a dire: «Ma il centuplo? hai ripetuto mille volte che chi sacrifica per Cristo avrà il centuplo quaggiù, ma dove è? Dove è il centuplo?».

555 – L’obiezione al centuplo viene da qui: che immagini il centuplo come il centuplo del sentimento che hai abbandonato.

Invece, il sentimento che hai è naturale, semplicemente constatabile come dinamica di bisogno che Dio mette nel cuore dell’uomo, di qualsiasi uomo, perché qualsiasi uomo, se non è eunuco, ha il piacere di vedere la faccia della donna, e certe prospettive, col tempo che cresce, nascono.

Prima di tutto per avere il centuplo non bisogna lasciare quel sentimento; anzi, il primo centuplo è riconoscere il valore di quel sentimento, che così come ti è venuto è provvisorio.

556 – Il centuplo riguarda l’avveramento, l’avverarsi, il diventar vero del sentimento umano.

557 – Cioè guardi la tua donna come segno del Mistero, il segno di un’altra cosa. Perciò mantieni il sentimento.

558 – Quel sentimento cresce ed è veramente il centuplo di prima.

Insomma, capite cosa è il centuplo? Il centuplo è lo stesso sentimento, ma come è stato voluto da Dio, come sua spia, come suo sintomo, come suo segno.

Uno che arriva a questo punto è capace di non arrabbiarsi più ed è capace di morire per l’altro.

561 – Il centuplo quaggiù significa un trasformarsi anche del tempo e dello spazio per cui la lontananza è un dolore, non una dimizione.

E il dolore appartiene al sentimento umano esattamente come la gioia e la letizia:

«La pace, chi la conosce, in parti uguali, di dolore e di gioia è fatta» [ P. Claudel, L’Annuncio a Maria].

Senza dolore non c’è verità, perché anche se fossi lì naso a naso non riusciresti ad esprimere quello che quella cosa lì è per natura, per grazia di Dio, per grazia creativa.

Il centuplo quaggiù fa accadere una metamorfosi, una tale trasformazione della tua capacità di captare e di essere in rapporto che, se sei in Australia e non vedi tua madre per dieci anni, quando dopo dieci anni la rivedi, non è solo emozionante il momento: è incomparabile la ricchezza di affezione che essa vedrà in te.


151 – «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» [Mt 19,29].

Noi ci accorgiamo che c’è la vita eterna per il centuplo quaggiù: che Gesù Cristo sia vero è dato dal fatto che seguirLo da cento volte più gusto al vivere la vita.


555 – L’obiezione al centuplo viene da qui: che immagini il centuplo come il centuplo del sentimento che hai abbandonato.

Invece, il sentimento che hai è naturale, semplicemente constatabile come dinamica di bisogno che Dio mette nel cuore dell’uomo, di qualsiasi uomo, perché qualsiasi uomo, se non è eunuco, ha il piacere di vedere la faccia della donna, e certe prospettive, col tempo che cresce, nascono.

Prima di tutto per avere il centuplo non bisogna lasciare quel sentimento; anzi, il primo centuplo è riconoscere il valore di quel sentimento, che così come ti è venuto è provvisorio.

556 – Il centuplo riguarda l’avveramento, l’avverarsi, il diventar vero del sentimento umano.

557 – Cioè guardi la tua donna come segno del Mistero, il segno di un’altra cosa. Perciò mantieni il sentimento.

558 – Quel sentimento cresce ed è veramente il centuplo di prima.

Insomma, capite cosa è il centuplo? Il centuplo è lo stesso sentimento, ma come è stato voluto da Dio, come sua spia, come suo sintomo, come suo segno.

Uno che arriva a questo punto è capace di non arrabbiarsi più ed è capace di morire per l’altro.


42 – Intervento: «Leggendo la lettera del nostro amico di Alessandria che ha perso la famiglia a causa dell’alluvione, mi ha confortato la certezza che aveva in Cristo. Come si fa ad amare Cristo in una circostanza così drammatica?»

Per un solo motivo può essere razionale; amare Cristo, che ha permesso una tragedia così grave nella sua vita, può essere razionale in un solo caso: l’aver già riconosciuto Cristo come il senso ultimo della propria vita e della vita del mondo.

Se quello è il senso ultimo della vita del mondo, allora ciò che esige – come disegno, come parte di un disegno – dalla mia vita è giusto.

300s – «La grande Presenza ha dato la promessa, dà la promessa che, nella misura in cui uno domanda, sarà esaudito. Qui sta la libertà, la libertà dell’uomo di fronte al destino è una domanda, che è la posizione del mendicante o del povero. Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così? p. 162].

Intervento: «È vertiginoso pensare che il punto di appoggio della certezza sia la domanda».

Sembrerebbe che la domanda sia indice di una condizione di impotenza e di povertà: non può fondare la certezza.

La domanda ha queste due valenze, e per questo è fonte ed è sostegno della certezza.

Ha da una parte la valenza del senso della nostra incapacità e debolezza: se la certezza dovesse fondarsi sulla nostra debolezza, su si noi, chi sarebbe certo? Nessuno: saremmo tutti scettici.

Un’altra valenza è che questa nostra debolezza è amata da un Altro, è amata dalla grande Presenza, […] è amata da quest’uomo che è Dio.

301 – Si capisce benissimo che la mia certezza è fondata su una domanda, non sulla domanda come tale, sulla domanda a Uno che mi ama, a una Presenza che mi ama.

La certezza è fondata sulla Presenza. Che cosa mi raccorda alla Presenza? la domanda.

Intervento: «Perché la certezza è data da una Presenza e non dal cuore? Perché soltanto la Presenza può sostenere questa certezza?»

Scusami: se la certezza fosse fondata su di te – fondata sul cuore vuol dire su di te – siamo a posto!

Il problema è se questo Altro è veramente presente o no. Se non lo è, la cosa si ribalta: la certezza può essere fondata solo su di te.

Tutto il fascino dell’esperienza cristiana sta qui: la scoperta che nella vita c’è un Tu – non tu, ma Lui -, ci sei Tu.


116ss – «Il secondo capitolo del vangelo di Giovanni termina dicendo: «Di fronte a quel miracolo, credettero in lui i suoi discepoli»; era il miracolo del cambiamento dell’acqua in vino. Ma come, non hanno già creduto nel capitolo precedente? E infatti questo è un ritornello che continua nel vangelo: quando c’è un grosso miracolo, ecco il ritornello che riprende: «Credettero in Lui i suoi discepoli». Molto giustamente questa ripetizione non solo non è inutile, ma conferma la veridicità di quello che si sta dicendo, di quello che il vangelo dice, perché è il gioco dell’approfondimento della certezza in noi» [Si può vivere così? p. 38/39]

Normalmente per avere ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.

117 – (Se convivo) Io ho raggiunto (per amicizia, per convivenza, per compagnia, per conoscenza) un giudizio di certezza su di lui (in questo caso uno scienziato).

118 – Come faceva a credergli quel gruppetto di aficionados che gli era andato dietro per tre anni? Come facevano a credergli?

Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, dopo il primo colpo che hanno avuto, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui si dovevano fidare: «Se non mi fido di quest’uomo, non posso credere neanche ai miei occhi». Più che ai loro occhi.

Questo è un modo ragionevole di procedere, è un modo ragionevole di credere: «credere», perché si afferma una cosa per testimonianza di un’altra persona; «ragionevole», perché si hanno motivi adeguati per fidarsi di lei.

I motivi adeguati sono indotti, sono scoperti dalla convivenza con Lui.

144 – Intervento: «Vuol dire, quindi, che nel tempo la certezza per fede può diventare più certa della stessa evidenza?».

Più certa della stessa evidenza, no, perché l’evidenza indica il massimo della connessione tra soggetto e oggetto: Il massimo della connessione è l’evidenza: «Questo è un libro», ma la certezza per fede diventa più ricca dell’evidenza solita.


23 – È un paradosso da cui non si può scappare: la ragione raggiunge la certezza o la pienezza di un «vero», attraverso approssimazioni, passi approssimativi. L’approssimazione non è una irrazionalità, perché l‘approssimazione pre-sente, anticipa, ha il presentimento di qualcosa di serio.

48 – Intervento: «Lei ha sottolineato che è attraverso una approssimazione che si giunge alla certezza. Io volevo fare una domanda su questa approssimazione, e cioè se è il metodo per conoscere, per immedesimarci».

Il tipo di rapporto tra la realtà, i nostri occhi e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è nebuloso. È soltanto attraverso una approssimazione sempre più grande che ciò che cosa è non «si vede totalmente», ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.


290/291 – «La speranza è la certezza nel futuro che si appoggia sulla certezza di un possesso già dato; possesso, perciò rapporto stretto, profondo con la tua persona; già dato, che ti viene dato da un altro, non lo conquisti tu» [Si può vivere così? p. 156]

Intervento: «La mia vita arriverà al compimento solo se si fonda su una presenza che riconosco e seguo. È nel seguire questa oggettività che è possibile la certezza, cioè l’atteggiamento positivo di fronte alla realtà?»

C’è una certezza che nasce dal giudizio.

L’esigenza del vero porta in sé la stima e la gioia dell’evidenza: «È evidente»(Di fronte a una bottiglia si dichiara che è una bottiglia): non c’è nient’altro da dire; «È evidente»: questa certezza è gnoseologica, di conoscenza.

La certezza di cui ha parlato la nostra amica è una certezza di diverso tipo, riguarda l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla realtà.

Di fronte alla realtà io posso avere un atteggiamento scettico, negativo, o un atteggiamento sempatetico, positivo.

291 – Lei ha chiamato certezza l’atteggiamento positivo.

Per natura l’uomo è posto in una posizione positiva di fronte alla realtà. Come si chiama? curiosità.

La curiosità non viene dalla compagnia, la curiosità viene dalla natura.

Però la certezza – cioè avere una posizione positiva di fronte alla realtà – c’entra anche con la compagnia: se la compagnia rispetta naturalmente le cose originali, favorisce in noi una posizione positiva e, perciò, istiga la curiosità verso le cose.

Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo? Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro una speranza.

Se nell’affrontare una cosa non hai speranza, non può essere positivo il tuo atteggiamento.

293 – La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo.

E la prima conseguenza di questa diversità è una speranza inesorabile come ultimo senso del rapporto con le cose, come ultimo senso del cammino tra le cose: è una positività che vince ogni avversità che si sperimenta.


143 – Intervento: «Che rapporto c’è fra l’evidenza e la certezza?»

Prima di tutto l’evidenza è un tipo di certezza, è un metodo per la certezza. (a+b) (a-b) = a2– b2 : questa è una certezza, è un tipo di certezza; il metodo con cui si ottiene questa certezza è un metodo matematico.

La certezza che come quell’uomo non c’era nessuno la gente l’aveva per esperienza diretta, per l’impressione di un immediato incontro.

149/150 – Intervento: «Hai detto che l’evidenza è il massimo della connessione tra soggetto e oggetto.»

Ho detto che l’America è evidente?

Della persona che avevo davanti avevo una certa evidenza, quella del bambino. Dell’esistenza dell’America ho un’evidenza che è dell’adulto, ma è evidenza anche quella.

Tu puoi tirare la conclusione «è vero», se non hai fatto le tre righe dell’identità: l’equazione va in identità, allora sei certo. Ma per giungere all’identità di certe equazioni, devi fare due pagine di lavoro.


285/286 – «La certezza del futuro è basata su una cosa presente che riconosci con certezza; la certezza di un presente ti rende certo di un futuro» [Si può vivere così? p. 152].

Intervento: «A me capita, rispetto al futuro, di provare a volte come un sentimento di paura di perdere le cose cui più tengo. Come sta questo con la certezza che ho di quello che ho incontrato?»

286 – La certezza che hai incontrato o è intelligente – cosciente dei suoi motivi, del suo valore, di quel che dice e di quel che vale – o è senza intelligenza – non sa il valore delle parole, non capisce-.

In questo secondo caso hai paura del futuro. […] Se vivi la compagnia come utopia, hai paura del futuro: «Chissà!», «Chissà se si avvera o no!».

Se invece vivi la compagnia come luogo riconosciuto, dove la ragione e la libertà trovano la loro difesa, il loro appoggio, la loro esplosione, allora no, anzi!

«Non avere paura piccolo gregge io ho vinto il mondo» [Lc 12,32 e Gv 16,33].

È una compagnia la cui certezza e la cui forza è Lui, è la Sua presenza: allora non teme di nulla.


291ss – «La speranza è la certezza del futuro che si appoggia sulla certezza di un possesso già dato; possesso, perciò rapporto stretto, profondo con la tua persona; già dato, che ti vien dato da un altro, non lo conquisti tu» [Si può vivere così? p.156].

Che cosa vuol dire certezza come posizione positiva, come atteggiamento positivo?

Vuol dire che tu speri qualche cosa: c’è dentro la speranza. Se nell’affrontare una cosa non hai speranza, non può essere positivo il tuo atteggiamento.

292 – L’uomo si pone di fronte alla realtà con una certa speranza «naturale».

368 – «Il povero è chi è certo di alcune grandi cose (per cui costruisce una cattedrale anche se vive in una catapecchia, essendo così cento volte più uomo di chi ha come orizzonte ultimo un appartamento confortevole). Perché essere poveri è essere certi? Perché la certezza implica l’abbandono e il superamento di sé: “Sono piccolo, sono niente, la cosa vera e grande è un’Altra”» [Si può vivere così? p. 221].


41 – Intervento: «Volevo capire se la mancanza di certezza deriva sempre da un uso scorretto della ragione

La mancanza di certezza, di fronte a un problema posto, può non dipendere dall’uso scorretto della ragione, ma dipendere dalla mancanza di cognizione dei fattori che costituiscono il problema e che vi rispondono.

Può dipendere anche dal fatto che all’uomo manchino gli strumenti o la conoscenza dei fattori necessari per capire la verità, riconoscerla e abbracciarla con certezza.


143ss – Intervento: «Leggendo i paragrafi sulla conoscenza per fede e quello sulla responsabilità di fronte alla domanda «Chi è costui?», mi veniva questa domanda: che rapporto c’è fra l’evidenza e la certezza

Prima di tutto l’evidenza è un tipo di certezza, è un metodo per la certezza. (a+b) (a-b) = a2– b2 : questa è una certezza, è un tipo di certezza; il metodo con cui si ottiene questa certezza è un metodo matematico.

La certezza che come quell’uomo non c’era nessuno la gente l’aveva per esperienza diretta, per l’impressione di un immediato incontro.

144 – Il fatto che un uomo sia grande è una esperienza, non immediata in senso cronologico, anzi dopo una certa convivenza, dopo un certo tempo: quanto più gli stai insieme, tanto più si fa; è una evidenza che si fa standoci insieme.

Il giudizio di forma quanto più vivi la convivenza. quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza: non si «complica», ma diventa evidente.

Intervento: «Vuol dire, quindi, che nel tempo la certezza per fede può diventare più certa della stessa evidenza?«.

145 – Più certa della evidenza, no, perché l’evidenza indica il massimo della connessione tra il soggetto e oggetto.

Il massimo della connessione è l’evidenza: «Questo è un libro», ma la certezza per fede diventa più ricca dell’evidenza solita.


361 – Per Giovanni e Andrea […] quell’uomo spiegava il passato (la parola «Messia» raccordava quell’istante, quelle ore che stavano passando sentendolo parlare, con tutto il passato del loro popolo); chiariva il presente, perché rappresentava una evidenza così limpida, le parole essendo dette con una superiorità eccezionalmente persuasiva; e non avevano neanche il problema del futuro, tanto era risolto.

Dove non c’è tempio – dove non c’è questa prospettiva di Cristo dietro la faccia, dove la contentezza del rapporto non è attraversata dalla sicurezza della Presenza eccezionale di gesù -, allora uno non può essere sicuro del futuro.


475 – La prima pace è la prima certezza assoluta che entra nel nostro spirito.

La prima certezza assoluta, a mio avviso, è questa: un adulto non può negare che in questo istante l’evidenza più grande che ha – non c’è altra evidenza più radicale e potente di questa – è che non si fa da sé.


92s – Chi è costui? Debbo ripetere le sue parole, sono costretto a ripetere le sue parole, perché non ho nessun dato di esperienza da contrapporre alle sue parole.

Ho soltanto dati di esperienza che preconfermano le sue parole: le confermano. E quanto più ripeto le sue parole, tanto più capisco.

93 – La ragione non sa «come»sia, nello stesso tempo uomo e Dio, ma risponde finalmente all’ultimo pertugio aperto, al sibilo: il Mistero è uno tra di noi.

La verità, il mistero è un uomo tra di noi: seguiamolo, e quanto più lo si segue, tanto più conosceremo la verità, la verità ci renderà liberi.

130 – d) «Chi è costui?» Quarto fattore. La fede incomincia esattamente con questa domanda: “Chi è costui?» [Si può vivere così? p.45].

Lo stupore può giungere a un punto tale per cui uno dice, come i suoi amici sulla barca quella sera: «Ma chi è costui? Chi è costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Se non ci fosse tutta l’esperienza precedente, anche quel gesto eccezionale li avrebbe stupiti, ma non gli avrebbe fatto dire: «Ma chi è, allora, costui?».

il problema della fede, il gioco della ragione nella fede, avviene con questa domanda: «Chi è costui? Come fa ad essere così?».

Siccome la fede cristiana si è diffusa nel mondo e nella storia – si diffonde nel mondo e nella storia – attraverso la testimonianza di chi crede, sempre essa sarà generata dal fatto che davanti a te uno si domandi: «Come fa uno ad essere così?».

Non con l’impressione formidabile che destava Gesù, ma come riflesso di quella.

141 – Intervento: «Mi chiedevo: tra il riconoscimento dell’eccezionalità e la domanda: «Chi è costui?» ci deve essere di mezzo una convivenza. La persona deve anche «volere» questa convivenza, no?»

La convivenza riesce ed è fatta, è realizzata da persone di buona volontà, dice il vangelo. Le persone di buona volontà sono le persone morali: la persona morale è chi continua, di fronte ad ogni cosa, ad avere l’atteggiamento con cui Dio l’ha messo di fronte al vulcano di Tenerife.

Intervento: «A me sembra che la libertà venga anche prima, cioè stia anche nella disponibilità che io ho di fronte a questo fatto.»

Di fronte a Cristo viene la domanda: «Chi è questo qui?» Davanti a questa domanda posso aderire o no: libertà.

La libertà viene dopo la proposta fatta.

La libertà, che vien dopo la proposta fatta, dipende – ma non è necessariamente identica -, dipende dalla semplicità con cui il cuore è cresciuto e cresce.

Semplicità vuol dire: dalla fedeltà con cui il cuore cresce secondo la posizione in cui Dio l’ha messo creandolo.

Non è un problema di fede, è un problema di moralità umana.


(cfr anche: vocazione, scelta)

155 – Uno che è chiamato ad incontrare, a scoprire, a guardare, ad accorgersi, a seguire, ad entusiasmarsi ogni giorno di più della presenza di Cristo, questo è un uomo che gusta la carne, è un uomo che gusta il tempo e lo spazio, è un uomo che gusta l’effimero.

E nell’istante c’è il profumo dell’eterno, e non perde neanche un capello del capo dell’altro.

Questo è un uomo che ha familiarità con il vero, familiare al vero, che dà del «tu» alla verità, e quindi alla bellezza, e quindi dal del «tu» alla gioia.

241 – […] È la vita come risposta a una chiamata, a un dovere, a un compito; e, infatti, hai lì nove figli…dunque, Dio ti ha fatta compiutamente per Andrea o ti ha fatto per un adempimento infinito della tua sete di amore?

Perciò, è giusto non quello che corrisponde al contenuto della tua esperienza immediata, ma alla esperirenza più profonda della radice del cuore.

È giusto quello che corrisponde all’esperienza elementare più che a una reazione attuale del tuo cuore.

320/321 – Sappiamo le condizioni cui noi siamo chiamati: partecipare alla croce di Cristo e offrire tutto a Cristo perché gli uomini siano salvi è la cosa più bella e più grande del mondo, e non può lasciarti triste.


352 – Aiutiamoci a chiarire, perché una cosa si può presentire, o intuire, o anche sommariamente capire, e non essere ancora chiara.

Quanto più, invece, è chiara, tanto più è permanente come memoria sia come possibilità di fedeltà da parte nostra, sia come sequela: se una cosa è chiara resta in mente e si sa di più cosa seguire.

Aiutiamoci, quindi, a chiarire quello che in qualche modo è già compreso, o presentito, intuito, perché anche la verità è come un bel panorama che si vede da un’alta montagna: ci si approssima; camminando più o meno faticosamente, ma ci si approssima.

La differenza è che non si è mai finito di approssimarsi! Un cosa, se è vera, è infinita.


449 – Non si può conoscere Dio, non si può riconoscere Gesù, se non attraverso la trafila di parole e di pensieri che l’uomo trova e dice.

Come non si può andare a Gesù, non si può andare al Padre, se non attraverso gli uomini che fanno una certa compagnia che si chiama Chiesa.

E non è detto nulla del loro carattere: possono essere tutti antipatici, oppure troppo simpatici!


100 – Il cielo è la profondità ultima che costituisce le cose. Se tu stringi una mano, il cielo di quella mano è il Mistero che la crea; per questo stringere la mano o è un atto religioso, oppure è una bugia o impazienza inutile o una formalità vacua.

Cosa implica innalzare nei cieli lo sguardo? Implica che, per sé, lo sguardo non è fisso in cielo, ma giù: è fisso giù.

I nostri occhi devono essere innalzati nel cielo, perché, per sé, nascono fissi sulla terra.

Abbiamo lo sguardo giù, non lo sguardo su; perciò bisogna tirarlo su.

Con questo particolare: innalzando nel cielo lo sguardo si vedono meglio, si conoscono e diventano più compagne, le cose della terra.

Mentre guardare giù vuol dire avere lo sguardo sotto i piedi delle cose: si vede soltanto palta e cuoio, cioè la coscienza della miseria in cui è l’uomo: peccato.

472 – Ma come dovremmo pregare questo Mistero? «Quando pregate dite: “Padre nostro che sei nei cieli“» (Lc 11,2): cielo è il profondo della terra, è la radice della terra, è lo spazio dell’orizzonte ultimo che è senza sponda.


42 – Intervento: «Leggendo la lettera del nostro amico di Alessandria che ha perso la famiglia a causa dell’alluvione, mi ha confortato la certezza che aveva in Cristo. Come si fa ad amare Cristo in una circostanza così drammatica?»

Per un solo motivo può essere razionale; amare Cristo, che ha permesso una tragedia così grave nella sua vita, può essere razionale in un solo caso: l’aver già riconosciuto Cristo come il senso ultimo della propria vita e della vita del mondo.

Se quello è il senso ultimo della vita del mondo, allora ciò che esige – come disegno, come parte di un disegno – dalla mia vita è giusto.

224 – Potrebbe non essere ragionevole obbedire alla tua preside, ma potrebbe essere ragionevole per te obbedire alle circostanze che la tua preside incarna.

Io non sono d’accordo che soltanto in campo soprannaturale, soltanto con Gesù entrano nel mondo questa intelligenza, questa disponibilità e questa generosità.

Ma è con Gesù che tutto questo si chiarisce.

284 – Intervento: «Come faccio, quando sono a Parigi dove le circostanze sono più difficili al lavoro e in famiglia, ad aiutare la memoria per la speranza?».

Io sono stato in seminario dodici anni. Bene, specialmente i primi cinque anni io non riesco a ricordarmi uno che abbia insistito sulla memoria di Gesù.

Ma io avevo trovato una immagine che rappresentava Gesù, del Carracci. Non era una grande opera d’arte, però serviva.

E io l’avevo messa sul banco e ci avevo scritto sotto una frase letta in un libro che riportava le lettere di Möhler. «Io penso di non poter più vivere se non Lo sentissi parlare».

568 – Lettera: «Carissimo don Gius, durante questi giorni molto faticosi per il molto lavoro, vivevo una discrepanza tra quello che diciamo, cioè che niente più divino delle condizioni inevitabili (Davanti alle circostanze inevitabili l’uomo diventa semplice, è sicuro di quel che vuole Dio; di fronte alle condizioni inevitabili bisogna che le faccia, e questa è sicuramente la volontà di Dio. Nella vocazione per la verginità, questo nuovo modo di amare, l’eterno modo di amare, il partecipare all’amore che il Mistero divino ha per l’uomo, stablisce un complesso di condizioni inevitabili) e la necessità di un tempo per Cristo».

570 – Come fai a capire che le circostanze inevitabili sono queste e non altre? Come fai a capire se le circostanze inevitabili chiedono alla tua vita la grandezza della verginità o di ritornare nei ranghi dei più?

Il contenuto dell’aderire è indicato dalla compagnia, che è Cristo presente. È la compagnia stessa che ti dice: «Devi andare».

571 – Intervento: «Che cosa fa crescere ili desiderio di riconoscere Cristo dentro la circostanza presente, qualsiasi essa sia?».

L’amore alla verità, la perfezione della cosa e, quindi, l’utilità della cosa per il mondo, per gli uomini e per il mondo e, quindi, la bellezza, che è lo splendore del vero.

Se una cosa non ha rapporto con l’infinito, non è; e, infatti, non sarebbe.


34/35 – La moralità cui si accenna non è la morale della coerenza.

Domandare a Dio di essere coerenti suppone – per lo meno – una parte importante che la volontà dell’uomo compie per completare l’opera di Dio in sé.

Non è una domanda per la capacità della nostra coerenza; non è la coerenza l’ideale morale.

L’ideale morale è il grido a Dio del bisogno supremo che sente, che è incapace di realizzare e di cui mendica il miracolo.

Perché è miracolo, la coerenza è miracolo, non capacità dell’uomo.

La suprema moralità è il grido che mendica la forza dell’essere nella propria vita

62 – Di per sé non sono chiamato neanche ad una coerenza.

Ha detto: «Senza di me non potete fare niente» [Gv 15,5]. E questo consola, spiega il perché della nostra incoerenza.

Allora possiamo essere incoerenti e ci freghiamo le mani? No, nossignore! Chiediamo a Lui la capacità, l’immaginatività, la generosità per essere coerenti.


11ss – Mi son detto: «Ma questi ragazzi (che sono qui per verificare un percorso vocazionale) non si sono mai posti il problema che una cosa per essere umana deve essere ragionevole». Il ragionevole è ciò che qualifica l’umano, che distingue l’uomo dalla bestia.

12 – Quando è ragionevole incominciare una cosa nuova, che come tale non si capisce ancora perché non si è mai fatta?

Quando può essere ragionevole, dunque, l’incominciare una cosa che non si sa ancora, perché totalmente nuova?

Intervento: «Perché quello che ho visto finora basta per incominciare».

Secondo me è una risposta molto giusta e ragionevole, ma forse potrebbe essere descritta o ridescritta in termini ancora più chiari, ancora più formalmente consapevoli.

Quello che lui ha detto può voler dire: «C’è stato qualche cosa per cui io mi sono sentito di incominciare».

E, secondo me, questa è proprio la risposta: è sua ma semplificata: c’è stato qualche cosa per cui ci sentiamo di incominciare.

13 – Dopo quel giorno a seguire Gesù erano sei o sette.

Perché hanno cominciato? C’è stato «qualche cosa» per cui hanno incominciato a vivere un orario di vita differente: qualcosa di diverso e di meglio.

Che caratteristiche deve avere quel «qualche cosa» perché tu possa prendere l’iniziativa di esser qui? Dev’esser qualcosa di diverso e di meglio.

14 – È stato un incontro: è stato un rapporto strano, non previsto, eccezionale.

Per ognuno di noi c’è statto un incontro, un qualche cosa per cui avete detto: «Incomincio»

55 – E tu, non avresti mai supposto di te questo, ma ci rimani, e incominci a godere di qualche cosa di cui prima avresti riso in faccia a chi ti avesse detto che ne avresti goduto, capisci? In somma, poi diventi don Pino! E anche come me!


468ss – Intervento: «In quest’ultimo periodo mi viene spesso in mente quello che dicevi del “dono di sé commosso“, perché in me, invece della commozione, è come se prevalesse un sentimento di rinuncia. Tu dici che la sorgente della commozione è lo Spirito di Cristo. Vorrei capire meglio questa commozione».

469 – Uno che entra in questa strada – la verginità è il simbolo supremo di tutte le vite degli uomini; tutte le altre vite realizzano quello che nella vita della vocazione alla verginità è la definizione stessa della vita: dono di sé commosso -, uno avendo riconosciuto questo come sua strada, e nel suo cuore per un certo tempo persiste la percezione del proprio sacrificio come commozione.

La ragione della commozione è come lo sguardo pieno di pietà per il bisogno dell’uomo che sta accasciato ai margini della strada, il bisogno che ogni uomo ha, analogamente al mio cuore, del Destino, di un Destino che sia dimora.

Dopo tre chilometri di questa strada, questo riverbero emotivo perde colpi, e allora questa commozione non c’è più.

In che strada sei entrata? Nella strada in cui la vita è una cosa da dare perché l’uomo sia salvo, ed è questo il modo in cui affermi te stesso; come Cristo, quando ha detto: «Nessuno ama gli amici come colui che dà la vita per i propri amici» [Gv 15,13].

Leggere questa frase del quindicesimo capitolo di san Giovanni, e rileggerla, e rileggerla, e rileggerla per settant’anni come l’ho letta io per settant’anni, commuove sempre.

Se fosse tutti i giorni potrebbe veramente commuovermi tutti i giorni.

470 – […] certamente viene quel giorno in cui l’emozione cade, e cade contemporaneamente al cadere della sperimentabilità della cosa: non sono più commosso, perché non sperimento più che dover sacrificare qualcosa per l’altro è come avere il centuplo.

Se il mio dono è commosso capisco che mi dà il centuplo.

Ma se la sorgente della commozione si inaridisce io devo andare avanti solo con la forza della volontà, per coerenza, perché non posso negare che le cose stanno così, il centuplo – che nella commozione si esemplifica – dove vado a prenderlo?

In quei momenti è la memoria storica che ti salva; e ti salva l’esito di questa memoria storica, che è la compagnia in cui sei.

Vi assicuro che, dopo tre anni di emozione, tre mesi di aridità, trent’anni di aridità, tre mesi di riemozione o di rimozione dell’ostacolo alla commozione, a un certo punto: plaff, l’onda si spalanca davanti al buco immenso del mare e lo copre tutto, senza fine.

Se ti vengono tre mesi di aridità, non puoi negare tre mesi di commozione per l’aridità che hai adesso.

472 – Intervento: «Non so se è un paragone giusto, ma a Cristo sarà pur venuta meno la commozione quando si trovava di fronte al fatto che coloro per cui era venuto nella vita lo stavano tradendo. Da che cosa era sostenuta la commozione per quegli uomini».

C’è una piccola cosa, amici, che non vi ho ancora citato: la ragione, la coscienza del reale.

L’oggetto proprio della ragione si chiama verità;la verità è la realtà dell’essere in quanto esiste secondo una varietà che non contraddice, ma profetizza l’immensità del Mistero divino.

E Gesù si trovava di fronte all’infinito – di fronte all’infinito mistero del Padre, l’eterno generatore, l’eterno lavoratore – e la proiezione di Cristo era quella giovanissima donna che, diritta, stava in piedi; stava Cristo come lei, di fronte al mistero del Padre.

489Primo,l’intelligenza diventa fede e ammette il Mistero.

Allora, secondo, la strada è così aperta che uno ci entra, arriva al cuore dell’essere e vi partecipa: la carità è gratuità; la capacità di Dio diventa capacità dell’uomo, […] l’amore senza nulla s’esiga venga restituito.

E, terzo, […] senza che nesuno lo pensi o lo possa prevedere, d’improvviso, dall’intimità dell’essere, l’uomo vede Gesù, il Mistero, che parte, va, va, va… allora lo insegue: va, ritorna a valle, tra gli uomini che mungono, che mangiano, che pisolano.

Senza questa commozione – mossa in seguito a una Presenza, mossa per una Presenza -, senza questa commozione non c’è gratuità.


469La ragione della commozione è come lo sguardo pieno di pietà per il bisogno dell’uomo che sta accasciato ai margini della strada, il bisogno che ogni uomo ha, analogamente al mio cuore, del Destino, di un Destino che sia dimora: dove tutto sia per me, dove io sia fatto tutto compiuto da altro, così che l’altro afferma me e io affermo lui, io affermo lui e l’altro afferma me.


155 – «Filippo chi vede me vede il Padre» [Gv 14, 9].

Caspita, aver qui un uomo così! Lo abbiamo qui, l’abbiamo qui ed è in ognuno di noi che possiamo percepirlo, sorprenderlo, scoprirlo.

E solo quando ognuno di noi nell’altro scopre quell’uomo, si percepisce in una compagnia senza fine e senza bugia.

La bugia più malinconica, più triste, con le conseguenze umane più sottilmente amare, è l’amore dell’uomo alla donna senza che esso implichi questo affondarsi nel Mistero, senza Cristo.

200 – È giusto fidarti più del cuore, se per cuore intendi quella simpatia profonda che Simone aveva verso quell’uomo che era lì, e che dopo duemila anni è qui: siete voi per me, la compagnia in quanto ti raccorda alla presenza di Cristo.

La compagnia è il segno della Sua presenza; seguendo questa compagnia, fai sicura la strada.

223 – Intervento: «Io sul lavoro ho chiesto ad un mio amico di aiutarmi quando sbaglio. E lui mi ha detto: “No, queste cose devi accorgertene da solo». E lì io mi sono sentito solo perché.….»

Quello lì non è uno da seguire.

Dio ci ha messo insieme perché l’essere insieme indica il luogo che è somma di tutti gli aiuti che ci si possono dare; la compagnia in cui Dio ci ha chiamati indica il luogo, somma degli aiuti che possiamo avere.

È in questa compagnia che il nostro amico si sentirà dire: «Qui sbagli». «Fa meglio qui», e non si sentirà dire: «Arrangiati!», come si è sentito rispondere.

Nessuno di voi si sentirà mai dire questo.

Quando si sentisse dire questo, chi gli dice così, in quel momento, tradisce la compagnia; lo dice perché tradisce, non lo dice perché è della compagnia.

Fuori di questa compagnia tutti ti dicono: «Arrangiati!» tutti, compresi spesso padre e madre -, a meno che non ti vogliano imporre quel che pensano loro.

257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

È nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità di contentezza.

Per essere naturalmente fecondo, per essere naturalmente contento, l’uomo cerca l’appoggio di altri uguali a sé (come aveva detto Dio, in principio alla Bibbia, creando per l’uomo la donna come compagnia).

La definizione della donna per l’uomo è dunque innanzitutto compagnia; ma risulta un aspetto diverso, perché la compagnia deve avere qualcosa di diverso.

È un’altra cosa che compie, corrispondente a qualche aspettativa che nell’uomo è aperta.

È nella realtà soprannaturale, è nella realtò investita da Cristo, dove si è reso presente Cristo, dove è presente Cristo, che l’avvenimento dell’io supera la sua solitudine in tutti i sensi, come scopo stesso del vivere, dell’esitenza dell’io, e quindi della vita dell’io, della storia dell’io, del destino dell’io.

267 – Il luogo dell’avvenimento è una compagnia ecclesiale; ecclesiale vuol dire gente che si mette insieme per questo: per Cristo.

La nostra compagnia è solo amicizia e, con l’augurio che diventiamo sempre più amici, andiamo a mangiare!

286 – Se vivi la compagnia come utopia, come sogno, hai paura del futuro: «Chissà», «Chissà se si avvera o no».

Se invece vivi la compagnia come luogo riconosciuto, dove la ragione e la libertà trovano la loro difesa, il loro appoggio, la loro esplosione, allora no, anzi!

È una compagnia la cui certezza, la cui forza è Lui, è la Sua presenza: allora non teme nulla.

346 – Come si fa ad averne coscienza sempre? Ripetendo gesti di coscienza.

E stando attenti al luogo in cui Cristo ci desta la coscienza, che è la compagnia vocazionale.

349 – Allora, primo proposito: riprendere coscienza , che non è automatico.

Dio che fa il cielo con le stelle ha stabilito un luogo dove tu prendi coscienza.

Questo luogo che cosa è? La compagnia vocazionale, la compagnia vocazionale che ha come luogo, nel senso stretto della parola, l’ambito di tempo e di spazio dove questa compagnia si raduna, in cui la compagnia vocazionale si esprime.

La compagnia vocazionale è quella che, esprimendosi, ti richiama a questo.

Se tu sei distratto, non ti richiama nulla, ma se non sei distratto, se vuoi essere, diventare te stesso, riconosci che la compagnia c’è per richiamarti a questo.

350 -La compagnia ti richiama a un effetto mirabile, ti richiama lentamente che tutto ha questo significato, tutto è richiamo a questo, tutto: il fiore del campo, il frutto dell’albero, il pargolo che nasce…«Al Dio dei campi / e delle stirpi rendi grazie in cuore» [A.Negri, Mia giovinezza].

La compagnia vocazionale ti abitua a rendere ogni momento e circostanza – di lavoro, di cammino, di silenzio, di gioco, di tempo che passa, sul tranvai, sul treno – richiamo alla verità del tuo io, a questa partecipazione all’essere.

386 – «Non sapete che siete membra l’uno dell’altro?» [Ef 4,25].

Perciò, nella compagnia l’immagine esatta non è l’essere insieme, ma l’essere una cosa sola, perché l’essere insieme gioca fino a un certo punto, ma l’essere una cosa sola gioca sempre.

400 – Fare silenzio: il peso di prendere il libro e sentire le frasi più importanti pesare sulla nostra esperienza, il giudicare come viviamo, immalinconirci perché non lo pensiamo mai, chiedere come si faccia a ricordarselo, scoprire la compagnia e l’amicizia innanzitutto come sostegno in questa memoria, appoggiarsi a ciò cui Dio ci ha fatto appartenere: alla compagnia, che ci chiama, con proprietà di parola, communio, comunione, appoggiarci ad essa per riprendere.

470 – Ma se la sorgente si inaridisce e io debbo andare avanti solo con la forza di volontà, per coerenza, perché non posso negare che le cose stanno così, il centuplo – che nella commozione si esemplifica – dove vado a prenderlo?

In quei momenti è la memoria storica che ti salva; e ti salva l’esito di questa memoria che è la compagnia in cui sei.

Verso il contenuto di una memoria e verso la compagnia in cui sei, non hai l’emozione che avesti una volta, però ci sono: puoi straziare tra i denti le tue dita come ribellione, ma ci sono, son più forti di qualsiasi suicidio.

527 – L’uomo e la donna sono fondamentali per una funzione e un compito, una certa fondamentali utilità per il mondi, ma no per l’essenza della questione.

L’essenza della questione è quello che dice Dio nel paradiso terrestre: «Non è bene che l’uomo cammini da solo. Faremo una compagna degna di lui» [Gen 2,18]: il concetto è la compagnia al destino.

Fece l’uomo e la donna come compagnia al destino e a questa compagnia al destino affidò il compito più strettamente legato al cammino al destino che è la procreazione, perché la natura potesse continuare.


527 – L’uomo e la donna sono fondamentali per una funzione e un compito, una certa fondamentali utilità per il mondi, ma non per l’essenza della questione.

L’essenza della questione è quello che dice Dio nel paradiso terrestre: «Non è bene che l’uomo cammini da solo. Faremo una compagna degna di lui» [Gen 2,18]: il concetto è la compagnia al destino.

Fece l’uomo e la donna come compagnia al destino e a questa compagnia al destino affidò il compito più strettamente legato al cammino al destino che è la procreazione, perché la natura potesse continuare.


257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

È nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità di contentezza.

Per essere naturalmente fecondo, per essere naturalmente contento, l’uomo cerca l’appoggio di altri uguali a sé (come aveva detto Dio, in principio alla Bibbia, creando per l’uomo la donna come compagnia).

La definizione della donna per l’uomo è dunque innanzitutto compagnia; ma risulta un aspetto diverso, perché la compagnia deve avere qualcosa di diverso.

È un’altra cosa che compie, corrispondente a qualche aspettativa che nell’uomo è aperta.

È nella realtà soprannaturale, è nella realtò investita da Cristo, dove si è reso presente Cristo, dove è presente Cristo, che l’avvenimento dell’io supera la sua solitudine in tutti i sensi, come scopo stesso del vivere, dell’esistenza dell’io, e quindi della vita dell’io, della storia dell’io, del destino dell’io.


296 – […]Molto più facilmente diventiamo scettici e smarriti, ipocondriaci ed irosi, invece che lieti.

Questo dipende dalla libertà.

Se vivo sinceramente e seriamente la compagnia creata da Cristo, divento capace di far permanere questa positività.

Divento capace, tanto è vero che sono sereno e lieto in tante circostanze in cui gli altri mi dicono: «Ma come fai ad essere così lieto?»

Ancora una volta,la compagnia creata da Cristo interviene, non come origine della questione, ma in quanto rende l’uomo capace di corrispondervi, rende la libertà capace di essere libera, ci rende liberi.

«La verità vi renderà liberi» [Gv 8,31-32]: è una applicazione dell’aforisma di Cristo.


291ss – Lei ha chiamato certezza l’atteggiamento positivo.

La certezza che questa è una bottiglia da che cosa deriva? Da una compagnia? No: dalla natura mia.

L’atteggiamento positivo verso la realtà da che cosa deriva? Dalla compagnia? Qui siamo tentati di essere più cauti nel rispondere; ma non deriva dalla compagnia: deriva dalla natura..

Per natura l’uomo è posto in una posizione positiva di fronte alla realtà. Come si chiama? Curiosità.

La curiosità non viene dalla compagnia, la curiosità viene dalla natura.

Però la certezza realmente c’entra anche con la compagnia: se una compagnia rispetta naturalmente le cose originali, favorisce in noi una posizione positiva e, perciò, istiga la curiosità verso le cose.

292 – Ma la compagnia può favorire questa cosa, oppure sconsigliarla.

Perciò, riassumendo, una positività di fronte alla vita, alla realtà, non la induciamo dalla compagnia, ma ci è dettata dalla natura.

293 – La compagnia ci rende più facile accettare questo, anche attraversando condizioni brutte, situazioni complesse: la compagnia ci aiuta a sostenere questa positività.

Ma qui è il miracolo: viene uno che fa una compagnia tale – dodici o dodici milioni o 1200 milioni -, crea una realtà tale di unità tra uomini che tutto, nel rapporto con questa compagnia, ti spinge ad essere favorevole nel pronostico con cui guardi le cose, ad essere carico di speranza verso le cose, in qualsiasi caso.

La positività non nasce dalla compagnia, ma è solo nella compagnia creata da Cristo; non è l’ultimo aspetto di quella eccezionalità che ti obbliga a dire: «Ma come mai? Chi è questo qui? Chi sei tu? Di dove vieni?».

Non solo perché calma il mare e i venti, ma perché chi gli sta attorno con fedeltà è una compagnia diversa dagli altri.

E la prima conseguenza di questa diversità, è una speranza inesorabile come ultimo senso del rapporto con le cose, come ultimo senso del cammino tra le cose: è una positività che vince ogni avversità che si sperimenta.

Non esiste ideologia di qualsiasi tipo che possa ripetere questa frase, è solo la compagnia che nasce da Cristo che può dire questo: «ogni cosa è bene», anche la morte.


28 – La compagnia è opposta all’utopia.

Se vivi la compagnia come utopia, come sogno – cioè non con parole registrate nella loro ragione e nella loro condizione di sussistenza e nel loro valore concreto di edificazione, di cambiamento e di maturazione della tua vita -, se vivi la compagnia come utopia hai paura del futuro: «Chissà!», «Chissà, se si avvera o no».

Se invece vivi la compagnia come luogo riconosciuto, dove la ragione e la libertà trovano la loro difesa, il loro appoggio, la loro esplosione, allora no, anzi!

È una compagnia la cui certezza e la cui forza è Lui, è la Sua presenza: allora non teme nulla.


346 – Come si fa ad avernecoscienza sempre (della Presenza)? Ripetendo gesti di coscienza.

E stando attendi al luogo in cui Cristo stesso ci desta la coscienza, che è la compagnia vocazionale: attraverso l’autorità che non dovrebbe parlare se non provocandoci a questo; e attraverso tutte le forme del nostro stare insieme: innanzitutto la preghiera, che forma la regola; e, segnatamente, i momenti di passaggio (andare a casa, l’andar fuori, quando uno ci scoccia in modo particolare, quando uno ci piace in modo particolare, quando si sente la musica).

349 – Allora, primo proposito: riprendere coscienza , che non è automatico.

Dio che fa il cielo con le stelle ha stabilito un luogo dove tu prendi coscienza.

Questo luogo che cosa è? La compagnia vocazionale, la compagnia vocazionale che ha come luogo, nel senso stretto della parola, l’ambito di tempo e di spazio dove questa compagnia si raduna, ini cui la compagnia vocazionale si esprime.

La compagnia vocazionale è quella che, esprimendosi, ti richiama a questo.

Se tu sei distratto, non ti richiama nulla, ma se non sei distratto, se vuoi essere, diventare te stesso, riconosci che la compagnia c’è per richiamarti a questo.

350 – La compagnia ti richiama a un effetto mirabile, ti richiama lentamente che tutto ha questo significato, tutto è richiamo a questo, tutto: il fiore del campo, il frutto dell’albero, il pargolo che nasce…«Al Dio dei campi / e delle stirpi rendi grazie in cuore» [A.Negri, Mia giovinezza].

La compagnia vocazionale ti abitua a rendere ogni momento e circostanza – di lavoro, di cammino, di silenzio, di gioco, di tempo che passa, sul tranvai, sul treno – richiamo alla verità del tuo io, a questa partecipazione all’essere.


211 – L’amicizia è la passione per il destino dell’altro quando l’altro te la ricambia, ti accetta; riconosce e ti accetta.

Allora diventi amico, altrimenti è soltanto un compagno.

Cristo è fratello e compagno di tutti; amico di pochi, perché chi gli corrisponda, gli risponda, si trova raramente.

Allora fissa quelli che deve avere: siete voi! Dio se è bello!


257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

È nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto negala possibilità di contentezza.

Il sentimento contentezza è la condizione per cui il terreno umano può fiorire, può germinare: […] per essere naturalmente fecondo.

È nella realtà soprannaturale, è nella realtà umana investita da Cristo, dove si è reso presente Cristo, dove è presente Cristo, che l’avvenimento dell’io supera la sua solitudine in tutti i sensi, come scopo stesso del vivere, dell’esistenza dell’io, della storia dell’io, del destino dell’io.

583 – C’è una poesia di Pascoli poco conosciuta, Il focolare, dove si capisce ad occhio nudo la differenza fra la compagnia in senso naturale, naturalistico, e comunione cristiana.

L’umanità che c’è in tutte le esperienze dell’uomo, solo chi ha la coscienza, lo stupore e l’amore alla verità totale può valorizzarla.

Perché ogni esperienza umana ha dentro un pezzetto di vero: solo chi ha tutto il vero in mano è capace di valorizzare tutti i pezzetti che incontra.

Altrimenti chi ha un pezzetto insiste sul suo pezzetto, non esiste altro che il suo pezzetto.

Non può un pezzetto valorizzare tutti gli altri che non sono come sé.

Solo ciò che è tutto valorizza tutto, tutti i pezzetti.

E questo è il concetto nostro di ecumenismo, che è differente da tutto quello che dicono molti cristiani e non cristiani del movimento ecumenista di adesso: ecumenismo, cioè tolleranza universale, perciò tutte le idee.


488/489 – Dio è un uomo, è più uomo dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena di compassione.

Senza compassione non c’è carità, affettività vera promossa di fronte al problema dell’intimo dell’essere, dell’intimità dell’essere, del cuore dell’essere, del profondo dell’essere.


297 – Il Mistero ti ha fatto concentrando il tuo io sul alcune esigenze che si chiamano cuore.

Quanto più tu domandi al Mistero in base al cuore originale – quello che viene prima di tutti i preconcetti, che sta sotto tutti i preconcetti -, quanto più chiedi al Mistero, tanto più sei sicuro che quello che ti darà sarà il compimento di quello che ha iniziato: «Chi ha iniziato in voi questa opera buona la porterà a compimento» (Fil 1,6).

347 – E il segno di questa libertà dalle cose (povertà) qual’è? La letizia!

E, nello stesso tempo uno si sente compiuto.

La povertà è la coscienza della vera ricchezza: stabile, certa, che sfida l’eterno, sfida il tempo e lo spazio, e costruisce, con tutto costruisce, non dimentica nulla.

356 – Il Signore crea per compiere. Lo dice san Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porta a compimento nel giorno di Cristo» [Fil 1,6].

(Dio) il seme lo inizia per portarlo al frutto ultimo, al compimento.

Ora, Iddio, come porta a compimento quel che ha iniziato con me?

Mi ha iniziato in un certo modo, non mi ha fatto pioppo, mi ha fatto uomo, e non mi ha fatto uomo nato in una tradizione buddhista: grazie a Dio – grazie a Sé -, mi ha fatto cristiano.

Mi ha fatto cristiano, talmente con la volontà che io compia ciò che Lui ha incominciato a darmi, che mi ha mandato, ragazzino di dieci anni, in seminario.

359 – Se uno percepisce le cose e innanzitutto la propria esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità (e tutte le obiezioni della vita non riusciranno a fermare questa destinazione immanente al cuore stesso delle cose), allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.

477/478 – «Redimere vuol dire far essere, cioè salvare; salvare vuol dire in latino conservare. Conservarlo per che cosa? Perché si compia, perché sia completamentese stesso e perciò perché sia eterno: senza la parola eterno un io non diventa più se stesso e tantomeno di compie» [Si può vivere così? p.291]

Senza la dimensione dell’eterno un io non diventa più io: resta sempre bambino o scemo, manca di qualcosa, manca di qualcosa di essenziale a se stesso.


415 – Da questo sì(«Sì io Ti amo») può essere riconosciuto un compito nella propria vita, che è quello di aiutare il disegno di Dio a svolgersi, a procreare, a essere fecondo, a prolungarsi; o può nascere il compito più alto e sublime del comunicare a tutti lo stupore iniziale.

Chi come compito, ha la prima mansione, quella della famiglia, rischia di perdere la semplicità originale, perché è frenato, nella corsa è frenato.

Ma non importa, l’importante che dicano sì a Cristo, come lo dico io, vale lo stesso, è identico: non sono più grande io di loro.

È il mio compito che è più necessario del loro: senza il mio compito il loro non varrebbe la pena che ci fosse; senza il loro, il m io resterebbe, è un grido che sfida l’eternità: «Egli solo è».


519 – In fondo la differenza dell’amore alla donna di uno che la sposa (nel senso solito del termine) con uno che cammina con essa nella verginità, la differenza sta nel destino che il Padre ti ha chiamato a vivere: ti ha dato questo compito o te ne ha dato un altro.

Tutti i due sono compiti, tutti e due hanno, quindi, una fecondità, quella che il Padre ti ha assegnato: ti chiede la fecondità della verginità o ti chiede la fecondità della famiglia normale.

520 – Uno che è chiamato alla verginità è chiamato a vivere il rapporto che Cristo ha con questa donna nella sua completezza – che non è sposarla, come naturalmente avviene, anche se questo implica come compito la fecondità naturale (e la fecondità naturale tra l’uomo e la donna è Dio che l’assicura).


(Cfr. anche: capire, comprendere)

547 – Io vi ho detto che per comprendere il vero, per arrivare alla verità, il problema non è avere una ragione capace di svolgere in logica intuizioni nervosamente evidenti che si sono avute in principio.

Cosa c’entra? L’atteggiamento dell’animo: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» [Mt 5,8].

Dio è la verità ultima, è la verità; «puri di cuore» non vuol dire che sanno bene chi è Schleiermacher o Hegel.

È un problema di atteggiamento: «Beati i poveri in spirito», cioè beati coloro che di fronte alla proposta non hanno nulla da difendere, nessun preconcetto, non hanno nessun preconcetto, ma devono guardare in faccia alla proposta, devono capire cosa vuol dire.

Non basta dir sì: bisogna sapere perché la proposta esige il sì.


159 – La comunicazione tra gli uomini è essenzialmente sollecitare un’esperienza che si può riprodurre in te; quanto più è profondamente umana, cioè quanto più riguarda il destino e quanto è più evidente la sua promessa di compimento e di felicità, tanto più diventa evidente come esperienza.


256/257 – Intervento: «Mi può spiegare meglio queste due dimensioni della persona: quella solitaria, personale, e quella comunionale».

257 -La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo.

È nella naturalità di qualsiasi persona cercar l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, e soprattutto nega la possibilità di contentezza.

Il sentimento della contentezza è la condizione per cui il terreno umano può fiorire, può germinare.

258 – Naturalemente parlando, la compagnia è una esigenza che si affaccia, ma sempre incompiuta.

È solo là dove diventa presente Dio fatto uomo, dove diventa avvenimento la presenza di Cristo, che questa compiutezza di risposta all’esigenza comunitaria diventa comunione, cioè dimensione dell’io, parte integrante della definizione dell’io: non è io se non in comunione, e perciò non c’è comunione se non impegnata con la totalità dell’io.

Mentre nella compagnia naturale non è necessario che sia impegnato tutto l’io: è impegnato per il motivo per cui vi aderisce, che è sempre parziale e puntuale.

583 – Nella Chiesa, ognuno è responsabile di fronte a Dio, ma è legato a tutti insieme e il corpo misterioso di Cristo, la comunione fa liberazione.


274 – È stato il luogo dell’Uganda dove il cristianesimo fu predicato più intensamente ed ottenne la quasi totalità di adesione da parte della popolazione, la quale adesso è fatta di cattolici che vivono come i cattolici di oggi: senza Cristo e senza entusiasmo per la Sua gloria:

Però Rose può fare amicizia lì e Francis può lasciarsi ammazzare dai miliziani di Amin davanti a suo padre perché non vuole promettere di non andare più a Scuola di Comunità.

Francis può diventare martire solo per l’immanenza di una amicizia.

È un suolo strano il suolo di una umanità cristiana, che ha uno storia cristiana: sembra che tutto sia morto e invece c’è un fervore di possibilità che esplode dove è necesario, ed è necessario quando Dio vuole.

279 – La Chiesa è giunta a un punto tale, per il cedimento alla mentalità comune di tanti teologi e della stessa formazione del clero nei seminari, che ha addirittura affermato – e abbiamo sofferto noi più di tutti gli altri come GS come CL, – che il comunicare quello che noi conosciamo di Cristo è un delitto contro la coscienza dell’altro, è un tentativo di imporre.

Perché parlano così? Perché non hanno mai fatto loro testimonianza di esperienza; dai loro preconcetti teologici e filosofici proiettano sulla testimonianza le idee che vogliono.

Chi ha vissuto la testimonianza sa molto bene quanto la razionalità, la gratuità, la condivisione del bisogno e del dolore siano implicati nella missione.

493 – E anche il popolo nel senso carnale del termine, dobbiamo rieditarlo noi, dobbiamo farlo rinascere noi, imparando, perciò, i canti popolari di qualunque tipo, basta che siano belli!

Ed è l’ammara differenza tra la GS dei primi dodici anni e la GS degli anni dopo, che si chiamò ad un certo punto CL: i primi dodici anni erano carichi di canti popolari, che cessarono ad un certo punto; adesso nessuno più canta canti popolari, salvo qualcheduno.


(Cfr. anche: compagnia)

105 – Tra la volontà e la ragione sta un vuoto.

Adesso bisogna rispondere alla domanda: come si fa a superarlo?

Gli apostoli l’hanno superato: primo quando era presente Gesù; secondo, quando erano insieme.

Il superamento avviene quando è presente la personalità attraverso cui l’annuncio è fatto e quando la comunità, che l’annuncio crea tra quelli che lo ricevono, è ben costituita.

Presenza di autorità e di compagnia sono i primi due fattori che sperimentalmente fanno superare la paura.

Ma c’è una terza cosa […]La grazia.

106 – Ed è solo questo che ad un certo punto compie ciò che la compagnia non è riuscita a compiere e ciò che il grande uomo non è riuscito a compiere.

Quindi il grande uomo è grande perché è strumento del disegno del Mistero, del disegno del Padre; e la compagnia è un grande aiuto come strumento nel disegno di Dio.

202 – «La comunità è letteralmente, fisicamente Gesù che fa queste cose, Gesù presente; allora è nella comunità che impari cosa è il destino. E ti dà fede, ti sostiene nella fede, governa ed educa la tua fede, ti fa capire che cosa è la libertà ed educa la tua libertà, nella coscienza del senso religioso sviluppato e nella coscienza del sacrificio da fare e, quindi, nella consapevolezza umile e senza inutile disperazione del tuo peccato, del tuo peccare, della facilità del peccare. Della facilità del peccare, tanto più che nell’uomo c’è una ferita enorme, per cui il braccio che avrebbe potuto sollevare trenta chili non riesce ad alzarne tre, è come indebolito, è come una paralisi infantile: si chiama peccato originale». [Si può vivere così? pag. 76]


282 – Compiere un sacrificio è un test di concretezza molto più che qualsiasi emozione e «pianti e stridore di denti».

Cambiare in speranza l’esperienza di sacrificio è di rinuncia è di una concretezza sterminata, tanto è vero che agli uomini è impossibile, eccetto a chi si appoggia alla fede, a chi fa memoria di Cristo.

465 – L’oggetto principe dell’amore senza ritorno è Gesù.

Tanto è vero che riverbero di questo può essere l’amore che portiamo al papà e alla mamma, alla donna e all’uomo, ai figli o a qualunque altro uomo: le altre vicinanze sono riflesso di questa.

Dove sta l’inconveniente del mio dire? Che è astratto per chi non è concreto! Per tutti quelli per cui non è concreto, è astratto e l’astratto non serve a niente.

Il mezzo per far diventare concreto il rapporto con Cristo, non è innanzitutto quello di ragionare insieme, discutere insieme, parlare insieme, ma è quello di chiederlo, di mendicarlo da Lui: si tratta della Sua persona.

Se una persona non si rivela, nessuno può sfondarla per conoscerla.


485 – « Primo. L’affermazione dell’altro perché c’è e come è…[…] non per tornaconto nostro, per calcolo nostro; o come lo vorremmo noi. Affermazione dell’altro come è, perché c’è: questa è la vera stima dell’uomo. Secondo. La condivisione dei bisogni. È attraverso il bisogno che l’uomo è spinto al suo destino, attraverso il bisogno impara che gli manca qualche cosa. Condividere il bisogno vuol dire sorprendersi presenza amorosa a cui interessa il destino dell’altro come di se stesso» [Si può vivere così? p. 293].

486 – Per sentire mio l’uomo che mi è antipatico bisogna capovolgere la mentalità.

Così, Gesù, che era giudeo, nemico dei samaritani, di fronte alla donna samaritana, alla donna nemica, ha condiviso con essa un pezzo del suo tempo, ha condiviso con essa un pezzo della sua coscienza, ha condiviso con essa un input che l’ha travolta.


304 – Bisogna che una domanda non nasconda niente per essere semplice. Sembra che una domanda, per non nascondere niente, debba essere complicata.

E tutti si arrabattano a esprimere la domanda con tutta la complessità possibile, che non lasci via niente (come certa preoccupazione scrupolosa delle confessioni, atteggiamento che è il contrario di quello dell’abate del Miguel Mañara, che poi è una frase non di Miguel Mañara, ma di santa Teresa d’Avila)

386 – Intervento: «Si può uscire dal confessionale oppressi dai propri peccati esattamente come si è entrati[…]».

Uno si confessa ed esce dal confessionale ancora oppresso dal pensiero degli sbagli fatti, è realistico o no?

Tutti fanno così, nel senso che per una grande maggioranza la Confessione non vale, non ha consistenza esistenziale, non incide sull’esistenza, perciò, tantomeno, incide nella storia.

Domina di più la reazione che a un certo punto, magari, dopo un anno, si ha di fronte ai peccati fatti: l’umiliazione, il peso delle conseguenze, specialmente sociali.


259 – In qualche modo si insinua un’ì’altra ipotesi di invito, chiunque tra i presenti se ne andrebbe; è quel che accade a tutti, se in terza liceo dovevo dire: «Sono cinque anni che siete insieme nello stesso banco: non siete amici, al massimo siete conniventi, non amici».


(Cfr. anche: capire, comprendere)

15 – «Non siete d’accordo che non c’è nessuno di voi che sia qui per il quale non ci sia stato qualcosa per cui ha detto: “Incomincio”? Qualcosa…perciò, pur sapendo la strada, pur non conoscendo la cosa, l’avete incominciata. Anche perché dovete ammettere che questa è la norma generale: prima di conoscere, per conoscere, bisogna incominciare» [Si può vivere così? p.4]

51 – L’evidenza è quell’avvenimento che porta in sé esaurientemente tutte le ragioni del suo essere affermato.

Il dubbio sull’evidenza è immoralità.

C’è una osservazione fondamentale: la ragione è esigenza di conoscere la realtà sperimentata secondo la totalità dei fattori.

Questa clausola non è anticipatrice, ma indica lo sviluppo: non devi conoscere tutti i fattori per dire che lui è un uomo, non è necessario conoscere tutti i fattori inerenti all’esperienza di questo fatto – il fatto emergente è un uomo -, non è necessario conoscerli tutti prima.

Ma se tu parti e a un certo punto due, tre, quattro fattori indicano: «È un uomo», parti, non ti puoi più fermare, parti all’infinito.

Se non parti all’infinito sei un impostore da capo, non perché non sia vero che è un uomo, ma perché ciò che ti fa pronunciare la definizione non ti fa interessare al vero soggetto della definizione stessa.

58ss – Intervento: «Voglio sapere che cosa vuol dire capire»

Cosa vorrà dire capire? Questa è una tentazione troppo grande per resistervi! Nessuno capisce che cosa vuol dire capire. Per favore chi lo sa lo dica.

Intervento: «Capire una cosa è quando si coglie il nesso della cosa con la realtà».

Questa è la risposta giusta; bisognerebbe cercare di esplicitare che cosa voglia dire.

Cogliere il nesso tra una cosa e la realtà: questo è capire. Ma, prima di tutto, deve essere la realtà totale; il nesso tra una cosa e la realtà totale: questo è capire la realtà.

59 – «Per conoscere una cosa bisogna attraversarla, il che significa che per capire il mondo bisogna ammettere Dio. Possibile?» (C.Pavese, Il mestiere di vivere)

E questo interrogativo è l’amarezza della vita di Pavese.

Capire, dunque, implica innanzitutto la percezione del nesso tra una cosa e la realtà tutta.

Siccome la realtà tutta non la conosciamo, per capire la cosa bisogna inoltrarsi in una ricerca lunga, lunga, lunga tutta la vita, finché si raggiunge quella soglia dalla quale – partecipando all’occhio di un Altro, al cuore di un Altro – si vede e si ama tutto.

60 – Capire vuol dire conoscere. Capire, nella domanda posta, è sinonimo di conoscere, conoscere giustamente, adeguatamente.

Conoscere vuol dire che la realtà passa davanti allo specchio dei nostri occhi.

La conoscenza implica un riflesso della realtà sullo specchio della nostra coscienza, e questo è l’inizio della ragione.

61 – La conoscenza implica una affezione, implica un contraccolpo che si chiama affezione, affectus.

La nostra anima è toccata: la vera conoscenza è l’insieme di questi due fattori.

Allora si capisce – meglio, si è in grado di capire – l’oggetto.

Senza l’uno e l’altro di questi due fattori non si è in grado di capire l’oggetto.

81ss – Il contenuto dell’esperienza è la realtà.

Un uomo è innamorato della tal ragazza: questo è un fatto, un fenomeno.

Il poeta va in giro con le mani in tasca e giunge a questo fatto. Questo fatto entra sotto il giro d’orizzonte dei suoi occhi, cioè entra dentro l’ambito del suo conoscere.

Siccome è un fenomeno reale, diventa oggetto di conoscenza.

Questo è l’inizio del fenomeno, ma non è tutto.

Di fronte a questo oggetto di conoscenza, gli occhi del poeta di incendiano di curiosità.[…] vede qualcosa che garberebbe anche a lui.

Prova una nostalgia: prova, cioè reagisce con un senso di invidia e con un desiderio di avere anche lui quel fenomeno.

Fin qui non è esperienza, ma qualcosa che si prova: un oggetto di conoscenza, una presenza di una pezzo di realtà che si prova, che fa reagire.

82 – Il provare, il mero provare assurge alla dignità di esperienza in quanto il contenuto che uno prova viene giudicato dalle domande ultime del cuore: sono i criteri del vero, del vero uomo, della vera umanità, del vero destino dell’uomo.

83 – Qual’è il punto di partenza per una indagine umana, per una inchiesta sulla verità (Per conoscere)?

Il punto di partenza è l’esperienza.

Non quel che si prova, ma l’esperienza, che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri, non come giudizi: può essere una infallibilità applicata male).

84 -Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esperienza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da altro da sé per giudicare sé.

È vero che la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

85 – Se la ragione conoscesse tutti i fattori del mondo o tutti di fattori di cui una cosa è fatta, mancherebbe ancora un fattore, che è fuori dal numero, è fuori dai pezzi, e genera la forma unitaria di cui tutti i pezzi sono funzione, parte.

La ragione non è capace di fare la sveglia: è capace di analizzare tutti i fattori che la compongono; quando li ha lì tutti, anche se li contasse, capirebbe che non riesce a fare la sveglia perché manca un fattore: la capacità di farla, cioè l’idea della sveglia.

Questa è fuori dai fattori.

L’idea è un’altra cosa.

In tal modo la ragione implica l’affermazione dell’esistenza del mistero, intendendo per mistero un fattore presente in ogni esperienza che non appartiene ai fattori sperimentabili, numerabili, calcolabili dell’esperienza stessa.

87 – Se la tua natura è l’esigenza di conoscere tutti i fattori della realtà, anche l’esistenza di questo inafferrabile è fattore della realtà.

È fattore della realtà e io non lo conosco.

Cioè: io non riesco a conoscere tutta la realtà, la realtà nella sua interezza.

Capite come la ragione si incaglia e sbaglia? La ragione, anche quando coglie questa fuoriuscita, anche quando coglie che non riesce a spiegarsi tutto:

  • o pretende di affermare: «Se io avanzo, riesco a conoscerlo, presto o tardi, se avanzo lo conoscerò». E questo è contraddittorio con la natura dell’operazione con cui la ragione si scontra con la realtà. In qualsiasi modo si scontri con la realtà, deve ammettere che c’è un punto in cui essa non si può muovere: è il Mistero, Dio, chi fa la realtà.
  • oppure dice: «Ma no, sarà una illusione»

88 – Comunque, di fronte al Mistero, la ragione non può dire: «Se io ci do dentro, lo conosco».

La ragione di fronte al mistero rimane limitata.

Di fronte alla totalità del reale la ragione è impotente ad esaurirla: l’esperienza non è fine a se stessa, non è compiuta.

Cosa deve fare allora la ragione di fronte al Mistero?

89 – L’ultima posizione della ragione, l’ultimissima, si chiama, conoscitivamente, categoria della possibilità e, esistenzialmente, mendicanza.

Cioè la mendicanza implica la categoria della possibilità.

È solo se il Mistero di comunica che l’uomo incomincia a conoscere qualcosa che non aveva mai conosciuto.

Ed è conseguenza, allora, non dell’uso scaltro della ragione, ma dell’uso umile della ragione, del più umile uso della ragione che è la dove la ragione diventa bambino: frigna, chiede, domanda, cioè prega.

La preghiera è domanda del Mistero: che si faccia vedere, che si dica, che si faccia conoscere.

E l’atteggiamento dell’uomo, per cui accetta e capisce sempre di più la risposta, si chiama fede.

92 – Se il Mistero è la verità dell’uomo e come Mistero la verità non si può conoscere, se il Mistero coincide con quell’uomo lì, la verità è quell’uomo lì.

È questo uomo presente.

Questo è il salto mortale contro cui tutti gli uomini di questi secoli si sono ribellati.

93 – La ragione non sa “come” sia, nello stesso tempo, uomo e Dio, ma risponde finalmente all’ultimo pertugio aperto, al sibilo: il Mistero è uno tra noi.

La verità, il Mistero è un uomo tra noi: seguiamolo, e quanto più lo si segue, tanto più conosceremo la verità, e la verità ci renderà liberi.

96 – E se nell’esperienza dell’amore in humanis sembra avere nel rapporto uomo-donna la sua espressione più suggestiva, non ultima ma più suggestiva, io debbo poter conoscere e approfondire il mio rapporto famigliare con Cristo e la mia affezione a Cristo così da ritrovarci dentro a un altro livello, più profondo e suggestivo, la suggestività dell’amore dell’uomo e della donna.

Una volta arrivati alla fede è ancora attraverso il meccanismo della ragione che la grazia dell’Essere agisce.

È grazia questo potenziamento della capacità di conoscere della ragione che non è più come prima, è tesa da qualcosa d’Altro che la fa diventare capace di penetrare anche quest’Altro.

97 – La fede è un metodo della conoscenza.

Qual’è lo strumento di conoscenza che ha l’uomo?

La ragione: la ragione è il mezzo di conoscenza che ha l’uomo.

Perciò la fede è un metodo di conoscenza della ragione.

Non è un sistema di pietà, non è una devozione a Dio, non è un sentimento verso Gesù Cristo: è un metodo di conoscenza della ragione.

È un metodo di conoscenza della ragione per via indiretta, attraverso un testimone.

Se la fede è un metodo di conoscenza della ragione attraverso un testimone, il problema è che questo testimone sia credibile, cioè che questo testimone parli con verità per me sicura: il problema è la credibilità del testimone.

98 – Se la fede è un metodo di conoscenza, non c’entra con il cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.

C’entra con il cristianesimo questa idea di conoscenza indiretta? Sì, perché il cristianesimo parla al mistero di Dio.

99 – Il cristianesimo è la conoscenza attraverso un testimone umano, di una cosa che umanamente non si può sapere: la natura di Dio e la vita di Dio, la natura del Mistero e la vita del Mistero.

109 – Ma, dopo, Giovanni e Andrea hanno domandato a Lui: «Dove sei nato?», e Lui glielo ha spiegato.

Così hanno saputo anche loro dell’avvenimento di Betlemme, ma lo hanno saputo per via indiretta.

Lì era per via diretta che capivano che c’era qualcosa di eccezionale – cioè un miracolo -, c’era un mistero dietro, perché loro non se lo potevano spiegare.

Si chiama avvenimento. La parola avvenimento è una parola importantissima del vocabolario della conoscenza. Perché un avvenimento porta novità.

192 – Per conoscere la realtà, l’uomo parte dal presente e s’accosta alla realtà nella misura in cui, in questo presente, coglie aspetti della realtà; cogliendo quegli aspetti della realtà che sono dentro la sua esperienza presente, allora conosce la realtà; incomincia, è un incominciamento che andrà avanti per sempre.

Per favore, provate ad immaginare da quale altra cosa si parta per conoscere se non dal presente: ditemi un’altra cosa!

Uno potrebbe dirmi: «Uno parte da quello che ha già in testa».

Questa è la condizione con cui accosta il reale nel presente.

Ma, oltre a quello che ho in testa, conoscere vuol dire aggiungere qualcosa di nuovo; la conoscenza mi è data da uno sguardo che io porto sul presente, condizionato da quello che io ho già dentro la testa: dall’avvenimento!

357 – La conoscenza dell’uomo ha una infinita novità davanti, è sempre novità, sarà sempre novità, è eterna.

Tanto è vero che la parola che veramente dice che cosa è la conoscenza è la parola avvenimento; l’oggetto della conoscenza è avvenimento.

359 – Se uno si conosce, se uno conosce l’essere, se lo comprende, se lo conosce percependo in modo adeguato i motivi ultimi, le ragioni ultime che lo costituiscono, capisce prima di tutto che l’essere c’è perché un altro gli dà l’essere.

Nella misura in cui stima questo essere, partecipa alla gratitudine che esso ha verso chi lo fa.

391 – Non si conosce una cosa se non si cerca di conoscerla secondo la totalità dei suoi fattori, e probabilmente il fattore più interessante è l’ultimo a potersi trovare.

572 – Si impara ad amare Cristo riconoscendone la presenza.

È una grazia: come la presenza, così il riconoscerlo. Lo sviluppo di questa grazia si chiama domanda.

Non è conoscendo la realtà che si conosce Cristo, perché non si ha il nesso.

È conoscendo Cristo che si conosce la realtà.

E si riconosce di più Cristo domandandolo.


96 – Se l’esperienza dell’amore in humanis sembra avere nel rapporto uomo-donna la sua espressione più suggestiva, non ultima ma più suggestiva, io debbo poter conoscere e approfondire il mio rapporto familiare con Cristo e la mia affezione a Cristo così da ritrovarci dentro a un altro livello, più profondo e più suggestivo, la suggestività dell’amore dell’uomo e della donna.

448 – Non si può pensare di conoscere Gesù senza passare attraverso la trafila scolastica di pensieri espressi, di parole spiegate e rispiegate, non capite e rispiegate; perché poi la conoscenza e la spiegazione diventano luce in me quasi d’incanto, non perché le parole sono spiegate, non perché i punti sono razionalizzati.

466 – Forse che leggere le vite dei santi non è conoscere di più Gesù? Ma chi non è semplice non sa riconoscere i santi; per un semplice tutti sono santi, o tutti sono facilmente santi (eccetto lui stesso).

572 – Si impara ad amare Cristo riconoscendone la presenza.

È una grazia: come la presenza, così il riconoscerlo. Lo sviluppo di questa grazia si chiama domanda.

Non è conoscendo la realtà che si conosce Cristo, perché non si ha il nesso.

È conoscendo Cristo che si conosce la realtà.

E si riconosce di più Cristo domandandolo.


270 – Secondo me, non è del tutto vero che prima c’era la definizione, adesso c’è il senso del Mistero e perciò si conosce di più.

La definizione riconduce a parole note, ma tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che ne ha la chiave, solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero.

Nascendo l’uomo dal Mistero – cioè da Dio -, «quello che è, è incommensurabile con quello che sa», diceva Ricoeur.

447ss – Mi veniva in mente mentre cantavate poco fa: «E nel tramonto fulgido i cuori in Te si immergano»:questo fa conoscere di più Gesù o no? Dipende tutto dal cuore di uno.

448 – Chi ci pensa, ogni parola, ogni frase, ogni nesso illumina la conoscenza di quest’uomo.

Non si può pensare di conoscere Gesù senza passare attraverso la trafila scolastica di pensieri espressi, di parole dette, spiegate e rispiegate, non capite e rispiegate, perché poi la conoscenza e la spiegazione diventano luce in me quasi d’incanto, non perché le parole sono spiegate, non perché i punti sono razionalizzati.

449 – Non si può conoscere Dio, non si può riconoscere Gesù, se non attraverso la trafila di parole e pensieri che l’uomo trova e dice.

La parte che faccio io, quando vi predico, è quella di una controfigura.

Proprio perché non si ascolta Dio se non attraverso uno, un uomo che parla e dice i suoi pensieri: proprio perché non si ascolta Dio e non si conosce Dio se non attraverso degli uomini, questi uomini possono essere percepiti come controfigure.

474 – Come fai ad imitare il Mistero se neanche lo vedi, se talmente non lo conosci che non hai mai avuto un solo sentimento verso il Mistero?

La morale è imitare il Mistero. E qualche cosa del Mistero possiamo saperlo, perché ci ha fatti.

La morale è imitare Dio.

Ma come fai, se è Mistero e tu non lo conosci, non ti ha provocato né un sentimento né una immagine, niente, niente, zero al quoto.

C’è un nesso che non puoi sfuggire: ti ha fatto: anzi ti fa.

476 – La conoscenza del Mistero è tale quando incide e decide, diversamente da prima, sul come noi guardiamo, udiamo, sentiamo, tocchiamo la realtà creata del mondo.


48 – Intervento: «Io volevo fare una domanda sull’approssimazione, e cioè se è il metodo per conoscere, per immedesimarsi».

Approssimarsi vuol dire avvicinarsi.

L’uomo vive la realtà come uno che entra nella nebbia.

Questa nebulosità è propria del rapporto tra gli occhi dell’uomo e il cuore dell’uomo.

Il tipo di rapporto tra la realtà e i nostri occhi e il nostro cuore – conoscenza e affezione – è nebuloso.

È soltanto attraverso una approssimazione sempre più grande che ciò che la cosa è non «si vede totalmente», ma «si può capire che è realmente la tal cosa»: si individua anche senza vederla del tutto.

58ss – «Volevo sapere che cosa vuol dire capire».

Cogliere il nesso tra una cosa e la realtà: questo è capire.

Ma prima di tutto deve essere la realtà totale; il nesso tra una cosa e la realtà totale: questo è capire la realtà.

59 – Pavese nel suo Diario: «Per conoscere una cosa bisogna attraversarla – cioè superarla, il che significacontinua Pavese – che per capire il mondo bisogna ammettere Dio. Possibile?» [Il mestiere di vivere]

Capire, dunque, implica innanzitutto la percezione del nesso tra una cosa e la realtà tutta.

Siccome la realtà tutta non la conosciamo, per capire la cosa bisogna inoltrarsi in una ricerca lunga, lunga, lunga tutta la vita, finché si raggiunge quella soglia – partecipando all’occhio di un Altro, al cuore di un Altro – si vede e si ama tutto.

60 – Capire vuol dire conoscere. Capire, nella domanda posta, è sinonimo della parola conoscere, conoscere giustamente, adeguatamente.

Conoscere vuol dire che la realtà passa davanti allo specchio dei nostri occhi.

La conoscenza implica un riflesso della realtà sullo specchio della nostra coscienza, e questo è l’inizio della ragione.

61 – […] Passa davanti a degli occhi vivi, perché ci lascia un segno, shocca la nostra coscienza.

La conoscenza implica una affezione, implica un contraccolpo che si chiama affezione, affectus.

La anima è touchée, toccata: la conoscenza è l’insieme di questi due fattori.

Allora si capisce – meglio, si è in grado di capire – l’oggetto.

Senza l’uno o l’altro di questi due fattori non si è in grado di capire l’oggetto.

140 – La nostra partecipazione […]è cuore, volontà, affettività, adesione (che è sempre la conclusione di una conoscenza, come abbiamo detto in principio all’anno).

La conoscenza non è puro riconoscimento di ciò che passa.

Non esiste il puro riconoscimento di ciò che passa, senza il contraccolpo che ci dà, e il contraccolpo è affettivo.

La lealtà con la nostra affezione, cioè l’unità dell’io, la lealtà con me stesso, mi deve far dir di sì.

227 – Dovete prepararvi all’assemblea.

Chi non si prepara, non è degno di partecipare all’assemblea; non capirà, capirà un centesimo di quello che potrebbe capire, perché non ha affezione: senza affezione non si può comprendere, non si può capire (come ho tentato di spiegare quando ho descritto la dinamica della conoscenza).

230ss «La fede è un atto di conoscenza; la libertà è condizione perché essa avvenga. Questo atto di conoscenza, come ogni altro atto di conoscenza, che sentimento genera? Che tipo di affettività genera? A ogni conoscenza consegue una affettività: che tipo di affettività consegue alla conoscenza per fede?» [Si può vivere così? p.110].

231 – Intervento: «Mi puoi spiegare questa frase: “A ogni conoscenza consegue una affettività?».

È opportuno la domanda perché non si sa che cosa vuol dire conoscenza.

Perché la conoscenza è innanzitutto riconoscere qualcosa che c’è; ma che, mentre passa davanti agli occhi, percuote gli occhi, stampa negli occhi se stesso, cioè shocca gli occhi.

232 – Questo è il concetto di affectus: l’occhio è “affettato” dall’oggetto, ha l’affezione dell’oggetto.

Se questa affezione è grande e positiva, tu ti fermi, comperi l’oggetto, te lo tieni lì, lo studi. Non ti piace? Lo lasci andare.

Occorre un desiderio del vero e del bello assoluto per interessarsi veramente di tutto quel che accade, di tutto quel che passa davanti ai nostri occhi.

La conoscenza non è mai tale se non termina in una affezione.

Intervento: «Che ad ogni conoscenza consegua una affettività è una evidenza. Ma perché oggi più nessuno dice così?».

Perché oggi non si ha passione per l’essere, non si ha passione per il vivere, tanto è vero che non si mettono più al mondo neanche i figli; non si ha passione per l’essere, non si ha passione per la vita, non si ha passione per il destino, non si ha passione per niente.

233 – Si ha passione per i soldi: «L’usura, la lussuria e il potere» [Eliot, Cori da “La Rocca”].

«L’atteggiamento giusto verso l’oggetto conosciuto, l‘affezione giusta che nasce da un oggetto conosciuto si chiama virtù» [Si può vivere così? p. 111]).

288 – Un certo tipo di emozione sarebbe l’esito naturale del comprendere: se una madre, tra tanti bambini, comprende che il suo bambino è là, nel punto più pericoloso, corre a riprenderlo emozionata, vale a dire con affetto.

Il secondo strumento per possedere è l’affetto, l’affezione.

550 – La commozione in cui termina la conoscenza è il superamento dello shock iniziale.

L’affetto appartiene alla definizione di conoscenza, cosa che nessun altro vi ha mai spiegato.


227 – Dovete prepararvi all’assemblea. Chi non si prepara, non è degno di partecipare all’assemblea; non capirà, capirà un centesimo di quello che potrebbe capire, perché non ha affezione: senza affezione non si può comprendere, non si può capire.


15 – «Non siete d’accordo che non c’è nessuno di voi che sia qui per il quale non ci sia stato qualcosa per cui ha detto: “Incomincio“? Qualcosa…perciò pur non sapendo la strada, pur non conoscendo la cosa, l’avere incominciata. Anche perché dovete ammettere che questa è una norma generale: prima di conoscere, bisogna incominciare». [Si può vivere così? p.4]

115 – Arrivati al fondo dell’esperienza umana o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.

La fede ci porta più in là, varca la soglia.


115 – Intervento: «Vorrei capire meglio cosa vuol dire che la fede è un modo di conoscere più grande».

Il modo di conoscere dell’intelligenza giunge sulla soglia di un orizzonte misterioso e il suo significato noi lo conosciamo bene, perché si identifica con la natura del nostro cuore.

Arrivati al fondo dell’esperienza umana o della conoscenza possibile a noi, è come se tutto incominciasse: di lì incomincia.

La fede ci porta più in là, varca la soglia.

Non perché noi diventiamo capaci di varcare la soglia, ma perché uno, che vien dal di là della soglia, si siede con noi a mensa e ci racconta quel che c’è al di là della soglia: Dio diventa compagno all’uomo.

Per cui la nostra conoscenza viene potenziata.

116 – È una parola misteriosa, ma non estranea: uno si sente più a casa sua con quella parola misteriosa che neanche con le parole che capisce.

La fede come conoscenza nuova.

La fede nasce da un caso, da un avvenimento che ha la forma di un incontro.

Occorre che incontrata quella persona, io capisca se ho ragioni sufficienti per fidarmi.

Normalmente per avere ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.

E qui, quanto più uno ha personalità umana, tanto più in fretta capisce di potersi fidare dell’altro; quanto meno una ha umanità in sé, tanto più dubita facilmente dell’altro.


359 – Se uno si conosce, se uno conosce l’essere, se lo comprende, se lo conosce percependo in modo adeguato i motivi ultimi, le ragioni ultime che lo costituiscono, capisce prima di tutto che l’essere c’è perché un altro gli dà l’essere.

Se uno percepisce e innanzitutto la propria esistenza come qualcosa di dato, che un altro fa per un compimento e un destino di felicità (e tutte le obiezioni della vita non riusciranno a fermare questa destinazione immanente al cuore stesso delle cose), allora dominano gratitudine, certezza e fiducia.


97 – La ragione è il mezzo di conoscenza che l’uomo ha.

Perciò la fede è un metodo di conoscenza della ragione.

Non è un sistema di pietà, non è una devozione a Dio, non è un sentimento verso Gesù Cristo: è un metodo di conoscenza della ragione.

Come mai se è un metodo di conoscenza della ragione, si chiama fede? Che metodo di conoscenza è? È un metodo di conoscenza della ragione per via indiretta, attraverso un testimone.

98 – Il problema è che questo testimone sia credibile, cioè che parli con verità per me sicura: non dica balle!

Se la fede è una metodo di conoscenza, non c’entra con il cristianesimo, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.

144 – Mentre negli altri metodi usati per la conoscenza quanto più li usi e li sviluppi tanto più si complicano, questo, quanto più stai insieme più si semplifica.

Il giudizio di forma quanto più vivi la convivenza.

Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza: non si “complica”, ma diventa evidente.

Il rapporto tra persona e persona tocca il massimo della sua complicazione o problematicità all’inizio.


272 – Se tu pretendi di esaurire la conoscenza prima di seguire, ti metti in una prigione da cui non uscirai più. Invece è l’inverso: appena c’è uno spunto che tu riconosci, segui.

Cosa vuol dire seguire? Guardare. Secondo il linguaggio oggettivo degli uomini, seguire vuol dire guardare. Che verbo abbiamo usato per Giovanni e Andrea? Lo «guardavano» parlare!

341ss – Una parola parola vera non si può sentire neanche una volta senza sentirsi attaccati un pò ad essa.

E quanto più la ripeti, tanto più ti interessa e piace. Siete d’accordo che il tempo c’entra nel capire le cose, siete d’accordo che occorre del tempo per capire le cose.

344 – La parola povertà per capirla in modo tale da amarla, occorre una certa diuturnità, occorre un certo tempo.


385 – Di riconoscere l’esistenza dell’altro come parte del significato di sé, di questa autenticità di conoscenza, di questo amore nella conoscenza e di questa povertà nell’identificare il suo calore di significato, noi non siamo capaci.

465 – Il primo oggetto della carità, per noi che viviamo nel tempo e nello spazio, è colui che è più vicino a noi, la persona che è più vicina a noi.

La persona più vicina a noi è chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare, e a camminare verso il Destino che è il mistero del Padre: chi ci aiuta di più a conoscere, ad amare, a camminare verso il mistero del Padre, è Gesù.

Il mezzo per far diventare concreto il rapporto con Cristo, non è innanzitutto quello di ragionare insieme, discutere insieme, parlare insieme, ma è quello di chiederlo, di mendicarlo da Lui: si tratta della sua persona.

Se una persona non si rivela, nessuno ppuò sfondarla per conoscerla.

Però, se incomincia a farsi conoscere, per poco che si faccia conoscere, fa venire voglia di dilatare questa conoscenza, e questo avviene attraverso il dialogo, la discussione, la lettura, il sentir dire quel che uno pensa, quel che uno sente, l’esperienza dell’uno, l’esperienza dell’altro.

576 – Se l’oggetto è il Mistero, per conoscerlo c’è solo un metodo: che esso si sveli, che esso si dica.

L’analogia più impressionante è l’io dell’uomo, è il nostro io, che non si fa conoscere se non si svela, se non si comunica, se non si dice.

Perché dell’io altrui noi conosciamo, con la nostra indagine, solo quello che c’è di meccanico, cioè di meno interesante, di marginale all’io.

Perciò non sarà mai con la psicologia, neanche con la psichiatria, che Teresa potrà conoscere il mio io: potrà dire che sono schizofrenico, potrà dire tutto quello che vuole, ma non mi conosce.

Invece, se io le parlo, un pò di più mi conosce.


378 – Per afferrare interamente, in modo tale da poter partire per l’avventura della conoscenza infinita, devi distaccarti.

Chi non si distacca non parte più per l’avventura della conoscenza, non conosce l’avventura della conoscenza infinita, e tutto diventa immediatamente arido.

379 – Per afferrare, comprendere tutti i fattori in gioco e da questo spalto lanciarsi nell’avventura dell’eterna conoscenza, dell’infinita conoscenza – che vale per il mistero di Dio, come vale per il piccolo fiore del campo cui dà vita -, per realizzare questo scopo del nostro vivere cosciente e amante, bisogna distaccarsi.

383 – «La povertà appartiene dunque al dinamismo della conoscenza, per cui occorre un distacco per vedere le cose e quindi usarle e goderne di più. Allora capite come si possa parlare di distacco intelligente e pieno di affezione. Senza questo distacco non ci sarebbe tale esigenza e tale affezione» [Si può vivere così? p. 224].

Dico che per conoscere una cosa, o per conoscere l’essere di una cosa, occorre prima di tutto riconoscerla parte di un disegno, parte del disegno di Dio: ha una radice che nasce dal Mistero, fatta di Mistero.

Perciò affermare l’altro è già un iniziale dimenticare se stessi.

385 – Di riconoscere l’esistenza dell’altro come parte del significato di sé, di questa autenticità di conoscenza, di questo amore nella conoscenza e di questa povertà nell’identificare il suo calore di significato, noi non siamo capaci.


128 – Io dico a scuola, quando parlo della preghiera, che la preghiera è sempre una domanda, anche la preghiera di contemplazione è una domanda.

Stupirsi e contemplare sono la forma più acuta e più pura della domanda.

Lo stupore, o contemplazione, è una domanda che l’oggetto esista, continui ad esistere, continui ad esistere per me, ci sia per me, sussista per me.


257 – La dimensione comunionale è il termine portato dalla realtà umana vissuta da Cristo; è nella naturalità di qualsiasi persona cercare l’appoggio di una compagnia, senza della quale la percezione solitaria del proprio essere non può che risultare ultimamente deprimente, non può che negare ogni creatività, soprattutto nega la possibilità della contentezza.

Il sentimento della contentezza è la condizione per cui il terreno umano può fiorire, può germinare […]

Così, per essere naturalmente fecondo, per essere naturalmente contento, l’uomo cerca l’appoggio di altri uguali a sé.

294 – Essere contenti dentro una realtà negativa viene da un altro principio, viene da un’altra realtà, viene da un altro fattore di presenza.

Scusami, devi ammetterlo: non puoi essere contenta di ciò che è male, di ciò che è peso.

Se in tutte queste realtà davanti alle quali sei negativa, sei incerta, stai all’erta, ti devi difendere perché ti pesano, se in tutta questa realtà che ti pesa sei contenta, questo proviene da un altro principio, da un’altra realtà. dicevi?

295 – Intervento: «È forse questa contentezza il riverbero in lontananza della positività della realtà?»

Dunque tu dici che se c’è questa contentezza, vuol dire che c’è un’altra cosa, che la negatività della realtà non è l’ultimo: c’è qualcosa d’altro.

È forse questa contentezza il riverbero della positività? Certo! Questa contentezza è il riverbero della positività del reale.

È esattamente l’eredità, o la testimonianza, che Gesù ha lasciato agli apostoli prima di morire: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» [Gv 15,11].

497 – Voi nel ballare, non pensate che al vostro ballare. Per essere veramente espressione di gioia, manca qualche cosa.

E tutti andrete a letto non contenti del ballo fatto.

Invece io durante questa bella festa dove ballate così bene, dove la musica è così bella, gioisco della vostra gioia, ma in me c’è qualcosa che giudica questa gioia, ne fissa i confini.

Sentendo quel che sento e vedendovi ballare, la gioia che mi destate va al di là di quel che vedo. Perché quel che vedo è un simbolo, è un segno: la bontà di quel che vedo, la verità di questa gioia è di essere segno di un altro.

Neanche a uno tra voi viene in mente di pensare ad altro, o a questo altro.

Perciò il ballo che state facendo ha un margine di impostura, di negatività: va contro il fine intero.


487 – Ma perché io a dieci anni dovevo avere quella tensione lì, e voi no? È l’attaccamento a voi che mi fa dire così, non è l’ira di un contestato! Anzi, mi contestaste un pò di più!

Non «contestare dialetticamente» – questo non vale niente, è perder tempo, è superficialità -, Ma per esperienza sentita, subìta, o per incapacità a capire dolorosamente sofferta.


229 – Voi non avete quello scenario di contesto che è Pianazze.

Scenario di contesto vuol dire che tutti i fattori attivi, più o meno drammatici, della memoria che si deve imparare a vivere hanno un luogo che, anche fantasiosamente, diventa un palcoscenico; tutto ciò che s’ha da imparare o di cui si sente bisogno o a cui si sente necessaria la risposta, si situa in quel palcoscenico.

Voi non avete questo punto di riferimento fisico unitario, geografico, di luogo, di tempi stabiliti, in cui le cose si svolgono in un certo modo.

395 – «“Dopo Dio e il firmamento, Chiara” (San Francesco): una esaltazione amorosa più grande di questa è difficile concepirla [.] l’oggetto, Chiara, agli ochi di Francesco era collocato nella grande compagnia dell’universo – non è questione di misura, ma di compagnia e, ultimissimamente, di amore, cioè di abbandono di sé di dono di sé» [Si può vivere così? p.24-25].

397 – Il distacco si chiama rispetto, che deriva, se ho capito bene, da aspicio (guardare verso qualcosa) e da respicio (guardare indietro), che dilata e rafforza il significato di aspicio, rivelando che ciò che si guarda è dominato da qualcosa d’altro, che si intende, che si pensa, o che può essere pensato.

Sembra tante volte un gioco di parole, proprio perché ogni parola rivela l’altra: è un con-testo.

Non sono testi ravvicinati, è un contesto, è una unica cosa che sussiste attraverso l’esistenza di molte cose, che è il disegno di Dio.


358 – Bisogna esere estremamente leali e autentici nel vivere la contestualità per cui la nostra vita passa.

«Dalla libertà delle cose – che nasce dalla certezza che Dio compie – un condizione di letizia: è qui che la fede fa nascere la letizia» [Si può vivere così? p. 217].


410 – Abbiamo già detto che non è mai contraddittorio, ma è paradossale ciò che diciamo.

La spiegazione della realtà non è contraddittoria, ma è paradossale.

Contraddittoria è una cosa contro un’altra, paradossale è una cosa accanto all’altra: non si sa come facciano a stare insieme, ma di fatto sono una cosa sola.

E ciò che vince è il fatto.


449/450Controfigure: la parte che faccio io, quando vi predico è quella di controfigura.

Proprio perché non si ascolta Dio se non attraverso uno, un uomo che parla e dice i suoi pensieri; proprio perché non si ascolta Dio e non si conosce Dio se non attraverso degli uomini, questi uomini possono essere percepiti come controfigure.

La controfigura, nelle riprese dei film, sta al posto dell’attore principale, dell’attore reale.

La gente che non lo sa, guarda la controfigura con lo stesso entusiasmo con cui altri, che lo sanno, pensano all’attore che viene sostituito.

Ora, quando pensieri e parole sono dette quasi per modo di dire, chi si impone usando questi pensieri e queste parole, si impone come controfigura.

L’attenzione, cioè, che queste parole e questi pensieri destano verso Cristo, si sofferma su questa controfigura.

Quindi, invece che tramite, punto di passaggio obbligatorio, invece che un punto di passaggio, è punto di arrivo.

La controfigura è un punto di arrivo o, almeno, su di essa ci si sofferma troppo; si indentifica troppo il nome di Gesù con nome e cognome della controfigura, o si identifica Dio con l’effetto che la controfigura fa sul temperamento o sullo stato d’animo.


250ss – Gesù diceva nel vangelo: «Non vi conviene fare quello che fate. Anche se vi pare di essere intelligenti, non vi conviene fare quello che fate» [Mc 9,43 – Mt 18,8].

251 – Però uno deve, primo, aver identificato ciò che è conveniente alla sua vita, ciò che è giusto per la sua vita, ciò che è bene per la sua vita.

E, secondo, deve calcolare che, allora, ragionevolmente gli conviene non far certe cose o farne altre: gli conviene!

E se è in confusione o non sa cosa fare, allora ancora di più chiede.

252 – Prima di tutto vedere in cosa consiste il nostro bene.

E, secondo, fissato quale sia il bene della vita, è conveniente fare quello che questa cosa esige.

Stabilire cosa è il bene della vita e, allora, quel che sia conveniente per averlo.


441 – È un Tu che domina, non delle cose da rispettare; non delle leggi da rispettare, ma una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.


559 – Questo rapporto se non posso censurarlo, lo devo cambiare, cioè trasformare: si dice convertire.

Come faccio a convertirlo? È proprio attraverso di esso che scopro il traguardo a cui il mio cuore mirava facendo l’occhiolino a lui.

La misura della cosa è stabilita da ciò da cui essa nasce – dalla natura, che è creatura di Dio; dal cuore, che è il comunicarsi del Mistero alla creatura – ed è fissata, come termine: il Mistero diventato destino, il Mistero cui quel desiderio è destinato.

Inverare (quel rapporto)vuol dire guardare la cosa non così come ti sollecita nell’apparenza immediata, ma, trattenendoti dal scivolare dentro come sei attratto, scoprire quale verità ci sta dentro a quella faccia, che non è lui (come diceva Leopardi).

Andare a leggere Aspasia: quello che l’uomo cerca nella faccia della donna non è la sua faccia-la donna crede che sia la sua faccia, ma non è la sua faccia-, è ciò da cui quella faccia si genera e a cui l’individuo che la vede è attratto, ultimamente: il destino dell’individuo.


116ss – La fede nasce da un avvenimento che ha la forma di un incontro.

Occorre che incontrata quella persona, io capisca se ho ragioni sufficienti per fidarmi. Normalmente, per avere questa ragioni sufficienti, occorrerà una certa convivenza, occorrerà del tempo.

E qui quanto più uno ha personalità umana, tanto più in fretta capisce di potersi fidare dell’altro; quanto meno uno ha umanità in sé, tanto più dubita facilmente dell’altro (il contrario del famoso proverbio).

117 – Io faccio l’incontro con una certa persona, una certa personalità: un astronomo che ha scoperto la distanza della galassia più vicina a noi che è Andromeda: «Due milioni di anni luce» dice.

Lì giocoforza ti fidi, altrimenti non va più avanti l’astronomia. Per essere certo non dovrai misurare anche tu la distanza tra Andromeda e la terra.

Io ho raggiunto (per amicizia, per convivenza, per compagnia, per conoscenza) un giudizio di certezza su di lui.

118 – Ma come faceva a credergli quel gruppo di aficionados (gli apostoli) che gli era andato dietro per tre anni?

Perché di settimana in settimana, di giorno in giorno, dopo il primo colpo che avevano avuto, andandoli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi cosa che di Lui potevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neppure ai miei occhi»

Questo è un modo ragionevole […] perché si hanno motivi adeguati per fidarsi di lui.

I motivi adeguati sono indotti, scoperti dalla convivenza con Lui.

119 – Chi non ha convissuto con Lui non poteva dire come san Pietro: «Tu solo hai parole che spiegano la vita»[Gv 6,68].

È un fattore ultimanente tanto più necessario – perché sia ragionevole il nostro assenso, il nostro affidamento al testimone – quanto più il testimone dice una cosa grossa.

Quanto più è grave la testimonianza, quanto più è grosso quel che dice il testimone, tanto più occorre convivenza con lui per credergli.

Perché? perché è solo la convivenza che ti forma un giudizio fatto di ragioni adeguate per fidarti di lui.

141 – Intervento: «Mi chiedevo: tra il riconoscimento dell’eccezionalità e la domanda: “Chi è costui?” ci deve essere di mezzo una convivenza. La persona deve anche “volere” questa convivenza, no?».

La convivenza riesce ed è fatta, è realizzata da persone di buona volontà, dice il vangelo.

Le persone di buona volontà sono le persone morali: la persona morale è chi continua, di fronte ad ogni cosa, ad avere l’atteggiamento con cui Dio l’ha messo di fronte al vulcano di Tenerife. Come Dio l’ha messo di fronte al vulcano di Tenerife? «Ah…», così. Chi va avanti «Ah…», così, lo trova.

La convivenza vuol dire questo.

578 – Quello che era il corpo di un bambino, quello che era la figura di un giovane e di un uomo, comunicava se stesso, si faceva conoscere e stupiva dapprima i seguaci permanenti, quel gruppo di fedeli.

Fedeli, perché di una convivenza la caratteristica suprema è la permanenza, altrimenti non è convivenza.

Questa convivenza si è dilatata fino alla casa di mia mamma, la quale l’ha detto a me: si è dilatata fino a me. E l’affare continua, e continuerà fino alla fine del mondo!


260 – Tra gli amici di scuola – dopo cinque o nove anni di convivenza – resta il risultato amaro di una estraneità che fondamentalmente è rimasta, tanto che domina e rende anche più facili le inevitabili lontananze, con le più brutte o inevitabili dimenticanze.


144 – Il giudizio si forma quanto più vivi la convivenza.

Quanto più vivi insieme a quella persona, tanto più diventa semplice e chiara la persuasione, tanto più diventa evidenza: non si «complica», ma diventa evidente.

Il rapporto tra persona e persona tocca il massimo della complicazione o problematicità all’inizio.

146/147 – L’evidenza non indica immediatamente e soltanto quello su cui mi sbuccio il naso e ci picchio contro […]; questo è il meno, è l’oggetto più quallido dell’evidenza.

147 – Ma pensate che evidenza viene all’uomo quando, volendo veramente bene alla sua donna, ha fatto una famiglia e ha portato avanti con fatica la vita insieme…come la può conoscere di più, come è più evidente ciò che è lei.

È più vera l’evidenza come oggetto della conoscenza quanti più fattori di umanità e di realtà c’entrano.


121 – Intervento: «Cosa c’entra la memoria con la convivenza

La presenza al suo fatto, la coscienza che il suo fatto è una cosa presente, si chiama memoria.

Perciò, è la memoria la condizione per la convivenza.

La memoria è il riconoscere come presente quell’avvenimento che è iniziato nel passato.

E perché è giusto riconoscerlo come presente?

Intervento: «Perché cambia»

Perfetto! Ricordati queste parole, e prega la Madonna che te le faccia vivere e sentire addosso a te.

Allora non avrai più dubbi, perché è immediato: diventa una evidenza diretta.


98 – Se la fede è metodo di conoscenza della ragione attraverso un testimone («Me la detto la mamma», «Me l’ha detto papà», «Me l’ha detto Carlo» [persone con cui convivo, quindi]), il problema è che questo testimone sia credibile, cioè che questo testimone parli con verità per me sicura: non dica balle!

Il problema è la credibilità del testimone.

Se la fede è un metodo di conoscenza, non c’entra con il cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.


123 – Intervento: «Tu sottolinei l’importanza della convivenza e io sono in Germania da sola: non è una contraddizione?»

No: se non ci fosse alcun nesso possibile, se non ci fosse nessun cavo telegrafico o telefonico fra te e l’Italia, sarebbe un grave inconveniente.

Inconveniente, ma non impossibilità, perché per l’etere passano anche gli angeli di Dio e possono portarti intuizioni di chiarezze che le tue compagne pigiate insieme qui non si preoccupano neanche di avere.

C’è una connessione per cui in proporzione alla tua sensibilità e attenzione[…], puoi essere più unita.


120 – Perciò, la convivenza è un fattore ultimanente tanto più necesasrio – perché sia ragionevole il nostro assenso, il nostro affidamento al testimone – quanto più il testimone dice una cosa grossa.

Quanto più è grave la testimonianza, quanto più è grosso quel che dice il testimone, tanto più occorre convivenza con lui per credergli.

Perché? Perché è solo la convivenza che ti forma un giudizio fatto di ragioni adeguate per fidarti di lui.


24 – «Perché quello che incominciamo, lo incominciamo sinceramente: lo cominciate sinceramente, con un certo residuo di pigrizia, però lo cominciate sinceramente. Ma che coraggio occorre avere per sostenere lo sviluppo di questa speranza, di questa attesa!» [Si può vivere così?].

Coraggio in latino si traduce virtus, che vuol dire «forza», da vir (uomo): che forza occorre!

C’è già un miracolo in te, di cui non ti rendi neanche conto: se io non te lo dicessi, non ti accorgeresti.

Il coraggio è un miracolo dell’essere sul tempo, indica la capacità di vittoria dell’essere sul tempo.

140 – Allora il sesto (punto per la conoscenza di Cristo) è il coraggio di dir di sì; la nostra parte di coraggio; il sesto è cuore, volontà, affettività, adesione (che è sempre la conclusione di una conoscenza, come abbiamo detto in principio dell’anno).


23 – «Che coraggio ci vuole per sostenere la speranza degli uomini» [Si può vivere così? p. 7].

Noi vi diciamo: «Fà questa strada: ti accompagniamo su questa strada, ti aiutiamo su questa strada»

Questa strada non è un ricerca scientifica, non è un qualsiasi tipo di interesse, ma è l’interesse della vita, del senso della vita; perciò è una strada di speranza, per sua natura è di speranza, della speranza per cui val la pena di vivere.


(Cfr. anche: ragionevolezza)

217 – Come si fa a capire quando si hanno ragioni adeguate per seguire?

Intervento. «Quando la persona che ho davanti corrisponde a me, al mio cuore…»

Senti, amico, se la persona che hai davanti ti corrisponde al cuore tenerissimamente, perché è bionda, che ti garba (perché ci possono essere bionde che non ti garbano) e ti parla mellifluamente per portarti nel suo antro dove c’è il suo padrone che ti mangerà vivo, ti corrisponderebbe, ma non sarebbe giusto!

Prima di usare il termine «corrispondente al cuore», ci deve essere un dato di fatto, una fatto, qualcosa che non dipende da niente se non….

Intervento: «Devo aver sperimentato che di quella persona mi posso fidare»

222 – Aderire a se stessi vuol dire seguire l’altro: questo è un paradosso, è il paradosso che ha fatto cedere Eva.

Da quando c’è l’uomo, questo è il paradosso che è la prova della libertà: per essere me stesso devo seguire un altro.

Questa è la prima cosa che corrisponde al cuore: io non c’ero, se voglio esserci devo seguire un altro.


451ss – «La coscienza dell’uomo è quella capacità che l’uomo ha di radunare tutte le cose al loro destino, alla loro origine e al loro destino: unisce, per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera» [Si può vivere così? p. 269].

La coscienza è quella capacità che l’uomo ha di guardar le cose secondo tutte le qualità, ma, soprattutto e ultimamente, di individuarne la qualità suprema: in che rapporto sta questa cosa con il destino.

La coscienza dell’uomo raduna tutte le cose al loro destino; non l’occhio e il destino, non il naso e il destino: raduna occhio, naso, orecchio, cervello, epifisi, ipofisi (cioè l’umanità), poi l’umanità con gli alberi; raduna tutto il mondo e lo individua nel suo rapporto con il destino.

La coscienza vede tutte le cose e automaticamente sente l’urgenza di unirle, di radunarle, radunarle di fronte al loro destino comune, destino che è la loro origine.

452 – La coscienza unisce: coscienza di appartenere a un popolo vuol dire guardarsi sapendosi unire a tutti quelli che mi circondano.

La coscienza di classe…quando eravamo in seminario, ogni classe era un pò contro l’altra: nella forza di questo scontro era tutta la coscienza di classe.

La coscienza è una cosa che «prende coscienza», ma unisce anche: non può prendere coscienza dell’occhio se non in quanto è unito al resto.

La coscienza unisce.

Attenzione poi alla frase più importante: «Per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera».

Lo strumento che il Creatore ha per compiere l’opera del mondo è la coscienza dell’uomo.

La coscienza non l’hanno gli animali, non l’hanno i sassi, non l’hanno le piante, l’ha l’uomo.

453 – Chi ha creato il mondo, l’ha creato con un certo disegno che si svelerà ad un certo punto; ha creato l’uomo come collaboratore suo e gli ha dato la coscienza per essere suo collaboratore.


La coscienza, per essere suo collaboratore, è proprio nella capacità di vedere i rapporti, i nessi, di unire le cose: dapprima provvisoriamente, poi sempre meno provvisoriamente, sempre più intesivamente, sempre più comprensivamente, finché si chiama «cattolico» o «ecumenico» che abbraccia, chi tende di abbracciare tutto


201Coscienza del destino vuol dire che uno, usando la sua ragione, capisce che è costretto a dire: tutto ciò che si muove e si muove, si muove verso uno scopo, per attuare uno scopo totale, generale, un ordine determinato reso significativo da un’idea ultima, suprema, che si chiama anche volontà di Dio.

Coscienza del destino vuol dire riconoscere che tutta la realtà appartiene a un disegno unico nel quale l’attività decisiva è dell’uomo, signore del creato, per cui Dio ha fatto il mondo.

E non solo riconoscimento che c’è questa incognita ultima, questo destino ultimo, questo traguardo ultimo nel quale tutte le cose si ricompongono; ma affezione ad esso, perché uno per natura è spinto ad amare se stesso, e uno non ama se stesso se non ama il suo destino ultimo.

202Coscienza del destino e coscienza della realtà: il destino non è nient’altro che il significato ultimo della realtà, ciò per cui la realtà vale la pena che sia.

Allora uno è attaccato aquesto destino: ama. Amare il destino vuol dire amare se stessi.

521 – «Come Lui ha vissuto? Concependo la vita per il mondo, per il disegno di Dio nel mondo, e cioè per tutti gli uomini […] tutto quello che si fa è per la vita degli uomini, perché raggiungano il loro destino» [Si può vivere così? pp. 350-351].


122/123 – Intervento: «C’è perché cambia. Non devo immaginarvelo, devo riconoscere qualcosa di presente».

Cristo è presente, talmente presente che opera il cambiamento di una cosa presente e perciò memoria è riconoscere, come presente in un cambiamento, Cristo, che è incominciato duemila anni fa, ma rimane fino alla fine del secoli.

Ma si capisce che l’avvenimento di Dio fatto uomo è sempre presente quando si percepisce, quando si può riconoscere che questo uomo cambia me: cambia me, ha la forza per cambiare me.

Come fa Gesù ad essere presente? Innanzitutto attraverso le persone che lo sanno.

122 – Da che cosa si capisce che Lui c’è? Da una presenza umana cambiata.

Qual’è il primo cambiamento ragione di tutto il resto?

Che io so chi è! Io so con certezza che è e chi è!

Quanto più si ha coscienza di chi è, che è qui, tanto più si ha il dolore di quello che non è ancora cambiato, tanto più si ha la consapevolezza di quello che dovrebbe cambiare, tanto più si ha la certezza che cambierà. Forza!

283 – La coscienza di questa Presenza ti dà la ragione completa, sempre rinnovata, che spiega la grande importanza dell’istante che tu vivi e non ti lascia accasciare da nessuna suggestione, e ti fa camminare verso il punto a cui sei incamminato: il punto a cui sei incamminato è la tua felicità, cioè l’incontro con la gloria di Cristo.

Attraverso di noi quelli domani diranno: «Cristo è».

Attraverso di noi, se nella fede a Cristo, nella coscienza della Tua presenza, o Cristo, cambio: cambio i preconcetti, cambio il mio modo di fare, aspiro a cose migliori – se Tu hai compassione di me, perché da solo non cambierei niente.

«Riconoscere il contenuto di una Presenza che è incominciata duemila anni fa, riconoscerla presente adesso, come si chiama? Memoria, perciò la speranza ha un nesso radicale con la parola memoria, così che senza memoria non ci può essere speranza» [Si può vivere così? p.151].

346 – Come si fa ad averne coscienza sempre? Ripetendo gesti di coscienza. E stando attenti al luogo in cui Cristo stesso ci desta la coscienza, che è la compagnia vocazionale


80 – La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.

Nella totalità dei suo fattori, in primo luogo viene l’imponenza di criteri con cui la ragione giudica se stessi (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.

Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.


452 – La coscienza unisce: coscienza di appartenere a un popolo vuol dire guardarsi sapendosi unire a tutti quelli che mi circondano.

La coscienza è una cosa che «prende coscienza», ma unisce anche: non può prendere coscienza dell’occhio se non in quanto è unito al resto.

La coscienza unisce. Attenzione alla frase più i mportante: «Per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera».


348 – Primo proposito per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una sola cosa con Cristo; con Lui, figli del Padre.

Questa ripresa di coscienza non è automatica, né è un circolo vizioso che, per ricordarmenlo, bisogna che mi venga in mente.

Devi volerlo, devi desiderarlo!

L’uomo e l’universo sarebbero, alla coscienza dell’uomo, un enorme cumulo di pomice aride, se uno non chiedesse di sapere e di sentire, se uno non scrivesse come primo proposito: «Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile della giornata».

E questa è la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.

È giusto, è vero, perciò deve superare, investire e travolgere la resistenza di quella insensibiliità che è la carne.

La carne è insensibile eccetto che a punti.

Invece la coscienza si dilata come un lago, come un mare, come un cielo pieno di stelle, come terra piena di verzura.


457 – La coscienza dell’uomo riesce a percepire che la carità è raggiungibile con la ragione; nella sua essenza non è conoscibile dalla ragione, ma è raggiungibile come dignità e ricchezza morale di risultato, come qualcosa che c’è: non ancora diagnosticabile, però come qualcosa che c’è.

Senza poterlo capire, la nostra ragione è costretta ad ammettere una fattore che si chiama carità.

Madre Teresa di Calcutta la si sente nella esperienza, ma non capisci come fa ad essere così, proprio non riesci a capirlo: puoi solo ammirarla.


348 – Primo proposito per essere povero: riprendere continua coscienza di quello che si è, una sola cosa con Cristo; con Lui, figli del Padre.

Questa ripresa di coscienza non è automatica, né è un circolo vizioso che, per ricordarmenlo, bisogna che mi venga in mente.

Devi volerlo, devi desiderarlo!

L’uomo e l’universo sarebbero, alla coscienza dell’uomo, un enorme cumulo di pomice aride, se uno non chiedesse di sapere e di sentire, se uno non scrivesse come primo proposito: «Rendermi cosciente di questo; ricordare questo il più possibile della giornata».

E questa è la preghiera! La preghiera è domanda dell’essere, cioè domanda di questo.


515 – La verginità, secondo la tradizione cristiana, è la razionalità in atto, l’estrema razionalità in atto.

La verginità è guardare ogni realtà senza rompere il nesso che questa realtà ha con la totalità del significato, col cosmo, che vuol dire l’ordine della totalità del significato.


389 – L’immanenza di Cristo presente – che vuol dire Cristo riconosciuto come presente – costringe, non nel senso meccanico, ma morale del termine: ti obbliga ad abbandonare quello che vorresti prendere.

Gesù «immanente» vuol dire che è presente dentro il vivere. E ci obbliga a lasciare ciò che si vorrebbe avere: i soldi, la salute, la ragazza, la carriera, l’onore, la sedia politica.


435 – E la vecchiezza, essendo l’ultimo grado di questo sviluppo, facendo diventare abituale la coscienza di quella Presenza – come può essere diventata abituale la faccia della persona preferita – ti stabilisce, ti arrocca, ti fa costruire sulla pietra d’angolo disprezzata dagli altri.


240 – Dal paragone fra quello che ti senti dire in pubblico e quello che ti senti dire in privato, può stabilirsi una luce di conferma che ti porta ad una sicurezza realmente pacifica e utile, creativa (perché non c’è creatività se non nella pace, e la pace c’è dove tutti i fattori della realtà sono in «sospensione» giusta, nel rapporto giusto).


525 – Un ragazzo di avventa addosso alla ragazza. Perché? Sono raptus maniaci?

La moralità è la razionalità applicata alla dinamica delle cose. Dal che si vede che la verginità è l’amore alla creatività.

L’altro non è amore alla creatività.

Il paragone tra possesso verginale e possesso non verginale è il paragone tra un possesso creativo, oggettivamente utile per il mondo intero, e un possesso che casualmente può essere creativo e, anche quando lo è, non è per il mondo: non è utile per il mondo, se non casualmente (il concetto di casualità rende creativo, utile per il mondo, un gesto, per l’intervento di qualcosa che non dipende dall’uomo, ma è fuori dall’uomo, l’uomo restando nel suo atteggiamento disgustevole); ognuno di noi ha provato questo per se stesso.

527 – La verginità è l’esaltazione dell’amore come creatività per l’umanità, utile all’umanità.

La non verginità è un amore fittizio, nel senso che non è creativo in modo utile all’umanità.

Può essere creativo in modo utile all’umanità considerata come bestiame: invece di mille vacche, ce ne sono mille e una.


340 – Le creature amate, stimate, che ci attirano, non sono una indicazione di dove sia Cristo – la bellezza del mondo – ma sono luoghi dove Cristo si incarna per toccare te, per richiamare te, per essere servito da te, per essere amato da te, o per essere utilizzato per il tuo contributo alla salvezza del mondo.

Servire e guardare. Servire e guardare.


111 – (Quando Mounier invitava a casa sua artisti, politici, capi di partito ecc..) al posto d’onore nella tavola non era il ministro X, il capo di governo Y, il grande artista, il grande genio, il grande filosofo, ma la figlia idiota, perché quell’idiota era il segno dello spirito infinito, del rapporto con l’infinito, che è l’anima, nascosta come dentro la tomba di una materia resa opaca dalla malattia.

Riconosciuta e accettata e offerta a Cristo, con la sua Croce perché salvassse il mondo.

«Questa era la nostra partecipazione – dice alla moglie – alla grande sofferenza della seconda guerra mondiale» [E. Mounier, Lettere dal dolore, BUR]).

Le avete lette le lettere di Mounier? Leggetele.

Ragazzi, io credo perché so tutte queste cose, ma lo so perché ho voluto ascoltarle, leggerle, saperle, misurarle, giudicarle epregare Dio che mi facesse capace di mantenere fede al loro significato.

118 – Ma come faceva a credergli quel gruppo di aficionados che gli era andato dietro per tre anni? Come facevano a credergli? Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, dopo il primo colpo che avevano avuto, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui potevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi.» Più che agli occhi!

Questo è un modo ragionevole di procedere, è un modo ragionevole di credere: «credere», perché si afferma una cosa per testimonianza di un’altra persona; «ragionevole», perché si hanno motivi adeguati per fidarsi di lei.

I motivi adeguati sono indotti, sono scoperti dalla convivenza con Lui.

277 – La gloria di Cristo è quello che più immediatamente sente chi è fedele, chi crede.

Immediatamente chi crede capisce che il padrone del mondo, il Signore del mondo, è Lui, è Dio fatto uomo, e questo è ciò che immediatamente corrisponde al desiderio espressivo nostro: la gloria di Cristo, la parte di Cristo, la vittoria di Cristo.

Solo un lungo affiatamento con Lui, solo la fedeltà a pensarlo, la fedeltà a studiarlo, la fedeltà a conoscerlo, la fedeltà a sentirne parlare, la fedeltà alla compagnia che è tale se fatta in suo nome, fa diventare intima la cosa.

313 – È perché non crediamo – se non per una emergenza rara, di circostanze rare -, noi non crediamo che il disegno del mondo è di Dio, è volontà di Dio.

Non crediamo in Dio, non crediamo esistenzialmente in Dio: Dio è un fattore della meccanica universale come per il razionalismo dell’Ottocento.


118ss – Ma come faceva a credergli quel gruppo di aficionados che gli era andato dietro per tre anni? Come facevano a credergli? Perché di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, dopo il primo colpo che avevano avuto, andandogli dietro, diventò loro più evidente di qualsiasi altra cosa che di Lui potevano fidarsi: «Se non mi fido di questo uomo, non posso credere neanche ai miei occhi» Più che agli occhi!

Questo è un modo ragionevole di procedere, è un modo ragionevole di credere: «credere», perché si afferma una cosa per testimonianza di un’altra persona; «ragionevole», perché si hanno motivi adeguati per fidarsi di lei.

I motivi adeguati sono indotti, sono scoperti dalla convivenza con Lui.

120 – Perciò la convivenza è un fattore ultimamente tanto più necessario – perché sia ragionevole il nostro assendo, il nostro affidamento al testimone – quanto più il testimone dice una cosa grossa.

Quanto più grave è la testimonianza, quanto più è grosso quel che dice il testimone, tanto più occorre convivenza con luui per credergli.

Perché è solo la convivenza che ti forma un giudizio fatto di ragioni adeguate per fidarti di lui.


98 – C’entra con il cristianesimo questa idea di conoscenza indiretta? Sì, perché il cristianesimo parla del mistero di Dio.

Per esempio ci dice che Dio è uno e trino, e che la persona della santissima Trinità è diventato uomo.

Per sapere questi due misteri, l’uomo che fa? Scruta Dio? Studia Dio.

99 – No!

Attraverso un testimone; li sa in modo indiretto, attraverso un testimone che si chiama Gesù.

Ci si può fidare di Gesù? È fidabile?

Perché il problema è questo: se è fidabile o no.

Il cristianesimo è la conoscenza attraverso un testimone umano, di una cosa che umanamente non si può sapere: la natura di Dio e la vita di Dio, la natura del Mistero e la vita del Mistero.

Guardate ragazzi: i vostri genitori potevano essere delle ottime persone e ottimi cristiani anche senza sapere rispondere con precisione di dettaglio a queste nostre domandae.

Ma voi non potete vivere al tempo di oggi senza sapere con chiarezza – come diceva san Pietro «rendere ragione della speranza che è in voi» [1 Pt 3,15], senza sapere spiegare perché la fede dice così, così e così.

134 – Tante volte a scuola usavo questa formula per indicare il cristianesimo: il cristianesimo appare sulla scena del pensiero umano come una ipotesi senza paragone con tutte le altre, l’ipotesi meglio esplicativa di tutto ciò che è l’uomo.

235 – Questa è l’osservazione metodologica più importante che si possa fare: il cristianesimo non si aggiunge alla vita, ma nasce dentro i meccanismi in cui la vita normalmente nasce.

Ed è qui la cosa spettacolosa: li trasforma, le stesse parole hanno un altro senso; come la parola sulla bocca di Gesù acquistava un altro senso quando la manna diventava il suo corpo.

366 – Il cristianesimo è proprio rapporto, rapporto presente.

441/442 – È un Tu che domina, non delle cose da rispettare; non delle leggi da rispettare, ma è una Presenza che domina.

Questa è l’origine del dolore, questa è l’origine del cambiamento, questa è l’origine della conversione.

Il cristianesimo è qui, tutto: non delle cose da rispettare, non delle leggi da osservare, ma una Presenza da guardare, una presenza umana da guardare.

Il cristianesimo non sono delle cose da fare, delle leggi da rispettare, ma una presenza di cui stupirsi, una presenza da pensare, una presenza con cui parlare, una presenza da implorare: una Presenza. È un Tu che domina, non delle cose.

588 – Incontrando il Cristianesimo si incontra una cosa che c’è, un avvenimento.

Non si incontra un pensiero, cioè una interpretazione: si incontra un avveniemnto.


98 – La fede è un metodo di conoscenza della ragione attraverso un testimone, il problema è che questo testimome sia credibile, cioè che questo testimone parli con verità per me sicura: non dica balle!

Il problema è la credibilità del testimone.

C’entra con il cristianesimo questa idea di conoscenza indiretta? Sì, perché il cristianesimo parla del mistero di Dio.

Ci si può fidare di Gesù? È fidabile?

Il cristianesimo è la conoscenza attraverso un testimone umano, di una cosa che umanamente non si può sapere: la natura di Dio e la vita di Dio, la natura del Mistero e la vita del Mistero.


181 – Quando si tratti di Gesù o del cristianesimo, del fatto cristiano, c’è una tradizione lunghissima, che è cominciata proprio all’inizio: è un fattore importante da tenere presente per la spiegazione; una spiegazione non può prescindeere da questo.


301 – Tutto il fascino dell’esperienza cristiana sta qui: la scoperta che nella mia via c’è un Tu, ci sei Tu.

Su di Te io fondo tutta la mia certezza, la mia speranza è in Te.

La vita dell’uomo è dominata da un Altro.


53 – Quando sono stato invitato dai buddhisti giapponesi a parlare, nella città di Nagoya, sul confronto tra buddhismo e cristianesimo, io ho parlato per un’ora.

Ho parlato per 57 minuti di ciò che identificava l’esperienza della realtà per il buddhista e per il cristiano, ed ero tutto proteso a dimostrarne l’identità: sotto la diversità dei termini, l’identità del contenuto.

Ma quando, negli ultimi tre minuti, ho detto che questa armonia di cui tutto il reale è fatto, questa corrispondenza ultima di cui tutte le cose sono soggetto e contenuto di destino, è diventato uomo, è nato nel seno di una ragazza di 15-17 anni, capivo io, nel dire queste parole, l’impossibilità a dirle: era impossibile dirle, e io le ho dette!

Mi era impossibile come uomo, ma non mi era impossibile come uomo che ha fatto un certo incontro. Nessuno mi ha obiettato.


299 – Che il Mistero coincida con il segno è una cosa molto più grande e affascinante di quanto stiamo dicendo adesso.

Un Mistero che non coincida col segno è proprio di tutte le religioni del mondo, che sono tutte dualiste: il Mistero è una cosa astratta, lontana, misteriosa, spirituale; mentre a noi, quello che importa è il concreto.

E, invece, non possiamo stringere una mano amica se non stringendo il Mistero.

473 – Nessuno dei trecento ricercatori di Dio radunatisi a Milano, nessuno poteva dire: «Padre». Nessuno, non veniva in mente a nessuno.

Se qualcheduno l’avesse avuto in mente e l’avesse detto, non era il Padre, era l’origine (l’origine è un concetto più «razionale» che la parola Padre).

575 – I 350 che con il Cardinale di Milano sono stati scortati dalla polizia da san Carlo al Duomo, erano 350 rappresentanti di altrettanti tentativi di indagare su Dio; non solo tentativi di indagare su Dio, ma 350 tentativi di rispondere a che cosa è Dio, che cosa è il Mistero.

Che differenza c’era tra il Cardinale e gli altri 349?

Il Cardinale avrebbe potuto dire: «Il Mistero si è rivelato a noi».


94 – Questo è il cristiano: il testimone di quel che dice Lui di sé.

Perciò non è il teologo, ma è l’amico di quello lì: chi gli crede.

151 – «Sappiate rendere ragione a chiunque della speranza che è in voi» è la prima condizione per essere cristiani» [1 Pt 3,15].

La prima condizione per essere cristiani è la ragione, che è la cosa che io ho confermata dalla prima ora di scuola che ho fatto.

234 – «È entrato nel mondo come un uomo, uomo come gli altri; perciò, come gli altri uomini suoi coetanei andavano al sabato alla sinagoga, anche Lui andava alla sinagoga, pregava con quelli della sinagoga, diceva i salmi che diciamo noi e che dicevano gli ebrei di allora. […] Le parole erano le stesse: era un nuovo modo di vedere le parole antiche. Insisto, perché questa è la vita del cristiano, essere cristiani è questo: una novità che si apre sempre il varco dentro le parole antiche» [Si può vivere così? p. 112/113]

Essere cristiani è questo: una novità che si apre il varco dentro le parole antiche, dentro i sistemi antichi che sempre hanno fatto vivere un uomo, dentro le abitudini solite dell’uomo.

Il fatto cristiano esiste dentro ili tuo rapporto con la madre, sussulta dentro il tuo rapporto con il ragazzo o con la ragazza, vibra dentro il tuo sguardo ammirato alla natura, coincide con la radice invisibile della musica.


(Cfr. anche: sacrificio)

523 – Non si può aderire a Cristo, venuto per salvare, se non partecipando a questa sua azione salvatrice.

Questa sua azione salvatrice come è avvenuta? Morendo.

Perché è avvenuta morendo? Questo sarebbe sbagliato pretendere di sapere.

Questo è il cuore stesso del Mistero nel suo rapporto con il mondo: la croce. Non la risurrezione(La potenza della risurrezione è ovvia per Colui che è l’Onnipotente), ma la croce.

La croce per l’Onnipotenza che muore..questo è una paradosso assoluto, assoluto.

È infatti, l’assoluto della gratuità; non si può concepire o immaginare una gratuità così, è impossibile.

La dedizione alla verginità partecipa si questa purità assoluta.


83 – Nella esperienza, la realtà di cui prendi coscienza e che provi ti fa balzare fuori i criteri del cuore, ti desta il cuore che prima era confuso e dormiva, perciò ti desta a te stesso.

Lì incomincia il cammino tuo, perché sei desto, critico.

580 – Ma come ha fatto Gesù, da Giovanni e Andrea e Simone, ad arrivare fino alla mia mamma? È arrivato alla mia nonna! Alla mia bisnonna.

È arrivato attraverso il flusso generativo e attraverso il flusso comunicativo di una cultura, di un pensiero, di una mentalità di popolo (mentalità di popolo: cultura); quindi attraverso una generazione che ha creato una certa storia, è arrivato ad un particolare, l’ha inglobato e si è comunicato ad esso.


98 – Se la fede è un metodo di conoscenza, non c’entra con il cristianesimo come tale, ma con l’uomo, con la natura umana.

L’uomo non saprebbe i nove decimi di quel che sa se non avesse questo metodo da usare.

È un metodo di conoscenza dell’uomo.

117 – Io faccio l’incontro con una certa persona, una certa personalità: un astronomo che ha scoperto la distanza della galassia più vicina a noi, che è Andromeda: «Due milioni di anni luce», dice.

Lì è giocoforza che ti fidi, altrimenti non va più avanti l’astronomia.

Io ho raggiunto (per amicizia, per convivenza, per compagnia, per conoscenza) un giudizio di certezza su di lui; di questa persona mi posso fidare.


106 – Che la venuta di Cristo inizi e continui la sua storia, il suo cammino, come lotta nel mondo, non dipende dalla sua natura, ma dipende dall’atteggiamento etico, morale del mondo.

Il mondo non vuole misure diverse dalle proprie, specialmente il mondo di questi quattro secoli: c’è, esiste quello che posso misurare io, quello che posso spiegare io, quello perciò che posso fare io.

232 – Intervento: «Che ad ogni conoscenza consegua una affettività è una evidenza. Ma perché oggi nessuno dice più così?»

Perché oggi non si ha passione per l’essere, non si ha passione per il vivere, tanto è vero che non si mettono più al mondo i figli; non si ha passione per l’essere, non si ha passione per la vita, non si ha passione per il destino, non si ha passione per niente.

Si ha passione per i soldi: «L’usura, la lussuria e il potere» [Eliot – Cori da la Rocca].

334 – Leopardi ha una descrizione della sua età che sembra la proiezione della vostra:

[...] Di questa età superba, / Che di vane speranze di nutrica [si nutre di vuote speranze], / Vaga di ciance [sempre in mezzo alle chiacchiere] e di virtù nemica;/ Stolta, che l'util chiede / E inutile la vita / Quindi più sempre divenir non vede; / Maggior mi sento [non mi sento come gli altri] [...] [Il pensiero dominante. G. Leopardi].

384 – Affermare l’altro – perché c’è – come parte del significato di me; e il significato di me mi è dato dal contesto, cioè dal disegno di Dio, cui l’altro che affermo appartiene.

E questa è povertà, perché è riconoscere che il significato di me non è in me stesso.

Tutta la cultura dal Trecento in poi, tutta la cultura europea si è ribellata proprio a questo.

Infatti – secondo la famosa frase di Cornelio Fabro – «Dio, se c’è, non c’entra», perché quello che c’entra sono io: io porto il mio significato, e lo porto perché sono il significato di me stesso.

L’uomo di ribella al fatto di affermar l’altro come parte del significato di sé; l’uomo si ribella a questo, che è in fondo povertà.

La povertà è, perciò, un ingrediente necessario alla conoscenza vera, alla conoscenza del vero significato del contesto di tutto.

Ma ho appena finito di dire che la società favorisce l’opposto di questo, che l’uomo di ribella a questo.

Fermarsi a comprendere in che senso l’altro è parte del significato di me, fino a che punto io devo rispettare l’altro, come posso usare della sua compagnia – non strumentalizzare lui, ma rendere utile al mio destino, al mio cammino la sua compagnia-; fare questo è difficile, l’uomo resiste a questo.

385 – Il che è diventato tema fondamentale della cultura, specialmente dalla fine del Trecento in poi, ma serpeggia in tutte le età della storia, particolarmente adesso che siamo all’ultimo passo della eredità della cultura moderna.

Quindi, non solo perché hai il peccato originale ti è difficile questo abbandono di te come significato di te, ma perché la società ha favorito questa menzogna.

552/553 – Intervento: «La semplicità a me sembra come una assenza di ragione, una ingenuità di fronte alla realtà quasi..

553 – È importante l’obiezione che ho sentito, perché suppone – con la superbia caratteristica della cultura moderna che ha recuperato tutta l’insipienza con cui Eva ed Adamo hanno creduto al serpente, alla menzogna, invece che al comando di Dio che è verità -, che l’uomo si autòctisis, si dice in greco: che pone se stesso, che inventa se stesso.

Uno che non c’era due minuti fa e adesso c’è, non può essersi dato lui quei due minuti, gli sono venuti da un altro luogo, da un altro sistema, per esempio dal ventre di sua madre resa incinta da suo padre.

Ma anche quello appartiene a un ordine di cose: questo ordine di cose non l’ha creato la cultura moderna.

Perciò la cultura moderna, tra l’altro, guarda le cose originali,che sono nella storia dell’uomo, con sospetto e con l’arma puntata, perché solo quello che essa crea sarebbe umano.

Semplicità è l’atteggiamento con cui Dio crea l’uomo di fronte alla realtà.

Non è un momento della vita, non riguarda un momento della vita: riguarda il metodo con cui l’uomo è stato fatto per incontrare la realtà, cioè per incontrare il vero, perché il vero è la realtà conosciuta secondo la totalità dei fattori.


(cfr. anche esigenze originali)

15 – Intervento: «Che cosa vuol dire “secondo la linea naturale del cuore»?

Che bello! Nessuno è così semplice e serio con quello che la vita esige nelle sue movenze normali: è venuto un amico ed è secondo la legge del cuore che anche io mi interessi della questione.

Il cuore si muove per un motivo, per una ragione.

C’è l’amico che va alla verifica: «Oh bella! chissà cos’è questa verifica!».

Nella misura in cui voglio bene a questo amico – lo stimo -, mi interesso, mi informo: prudentemente, ma mi informo… ma non mai così prudentemente, ché se sei destinato – tac – il colpo viene!

33 – Fino ad ora non abbiamo mai saputo che cosa era il nostro cuore e solo qui, in questa compagnia, abbiamo inteso che il cuore è – dal punto di vista strettamente filosofico-strutturale – un complesso di esigenze ultime, cui si ispira tutta l’esistenza.

Così scopriremo che la domanda a Dio non è nient’altro che l’estrema espressione di questa aspirazione del cuore: il cuore – che è aspirazione alla felicità – chiede la felicità.

80ss – La ragione è coscienza della realtà […] fa vedere i fattori di cui la realtà è composta.

Nella totalità dei suoi fattori, in primo luogo viene l’imponenza dei criteri con cui la ragione giudica se stessa (auto-coscienza), i principi a cui essa si affida per essere e per esistere.

Questi criteri sono quelli che abbiamo chiamato cuore.

Il cuore è automatico, sentire battere il proprio cuore è automatico.

Si chiama esperienza elementare questo cuore che si sente battere.

Ogni esperienza implica l’esperienza elementare, cioè ogni esperienza è giudicata da qualcosa che c’è in essa e che si chiama esperienza elementare.

Intervento: «Che cosa significa che i criteri con cui giudicare l’esperienza nascono dall’esperienza?».

Esperienza elementare che cosa vuol dire? La percezione inevitabile di ciò che l’uomo in tutte le cose cerca: per la soddisfazione di sé (satisfacere); per essere perfectus (perfetto, completo)[…]

83 – Il punto di partenza è l’esperienza.

Non quel che si prova, ma l’esperienza, che è quel che si prova giudicato dai criteri del cuore, i quali, come criteri, sono infallibili (infallibili come criteri, non come giudizi: può essere una infallibilità applicata male).

I criteri sono questi, non ce ne sono altri; o i criteri sono quelli del cuore, oppure noi siamo alienati, venduti sul mercato della politica o della economia.

La tua domanda indica la difficoltà che l’uomo ha a percepire come il principio del giudizio sull’esperienza sia nell’esperienza stessa: «Sto bene», «Sto male», «Mi fa crescere».

Se mi fa crescere vuol dire che mi arma e mi istiga verso queli ideali il cui desiderio costituisce il mio cuore.

84 – Ogni esperienza ha un cuore: il cuore dell’uomo.

Un cuore che è unitario in qualsiasi esperienza l’uomo faccia, che è principio dell’uomo stesso e principio di giudizio su tutto quello che l’uomo mangia, ingloba.

Se non fosse vero che i principi con cui giudicare la propria esistenza sono dentro l’esperienza stessa, l’uomo sarebbe alienato, perché dovrebbe dipendere da altri per giudicare sé.

271 – Se tu facessi una analisi di quel che desideri e lo scrivessi su un foglio di quaderno fino al punto in cui non ti viene in mente più niente, proprio niente, il tuo cuore non sarebbe la somma di quei desideri segnati: è infinitamente debordante.

300 – «Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza» [Si può vivere così? – p. 162].

304 – Se uno fa una domanda trattenendosi dentro tranti «ma», tanti «se», tanti «però», allora penetra nella domanda un fattore estraneo al contenuto della domanda.

Ed è impossibile che la domanda abbia risposta: cioè, il tecnico dà la risposta, ma il cuore resta anchilosato nel braccio del suo castello in cui si è asseragliato, nel «ma», nel «se», nel «però» in cui si è asseragliato.

«L’esigenza di felicità che ha il cuore dell’uomo si realizzerà secondo la forma che il mistero della grande Presenza stabilisce; e questa forma non è nient’altro che la grande Presenza stessa, la forma è Cristo stesso» [Si può vivere così? p. 163].

330 – Quello che nasce dalla contraddizione, il no, è la risposta della testa, ma il cuore è uno struggimento, non è un no.

Uno innamorato e non corrisposto, se potente è il suo cuore, non dice: «È uguale a zero».

Si dispera: è uno struggimento, la negazione lo domina, domina la sua vita.

544 – Che cosa è il presentimento del vero? Il cuore: il cuore dell’uomo è il presentimento del vero; la mano è un aggeggio per dare pugni o per brandire, il cuore è presentimento del vero.

Non è l’emozione di una carezza, ma è il presentimento del vero; è emozione per una carezza, tanto più grande – diventa il centuplo quaggiù – se è presentimento del vero, altrimenti la carezza è il tentativo di infliggerti una ferita, un coltello che ti apre la guancia.

548 – Ora, la natura, cioè il buon Dio, ha fatto il cuore dell’uomo come una attesa, una sete, una ricerca condotta via via dall’evidenza, da una evidenza.

E l’evidenza che cosa è? Ricordo quello che disse un mio carissimo alunno di prima liceo: «L’evidenza è una presenza inesorabile».

549 – «Curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero»: il presentimento del vero, così come l’uomo è stato fatto dal Mistero, si chiama cuore, questo palpito che tende l’orecchio a dire:«Qualcuno ha bussato alla mia porta».

«Curiosità desiderosa» è interessante che il cuore dell’uomo, di fronte alla realtà, è desideroso di capire.

559 – La misura della cosa è stabilita da ciò da cui essa nasce – dalla natura, che è creatura di Dio; dal cuore, che è il comunicarsi del Mistero alla creatura – ed è fissata, come termine: il Mistero diventato destino, il Mistero cui quel desiderio è destinato.


525 – Un ragazzo di avventa addosso a una ragazza. Perché? Sono raptus maniaci? No, non necessariamente.

La radice del suo errore sta in un grande desiderio di compimento, di soddisfazione, di possesso della bellezza, di bene compiuto, di bene realizzato: sono le esigenze del cuore, quello che fondano i criteri della razionalità, gli stessi criteri che fondano la moralità, gli stessi.

La moralità è la razionalità applicata alla dinamica delle cose.


34 – La natura del cuore ti sospinge sempre, finché ti sospinge a un punto in cui c’è un muro, come un muro, un apparente muro, e tu non sai andare più avanti: il muro della morte.

Dunque la natura mi spinge oltre il muro della morte; la risposta c’è oltre questo muro, la risposta c’è nell’aldilà.


20 – «È ragionevole che voi abbiate incominciato oggi, perché c’è stato qualche cosa che vi ha fatto presentire come l’esigenza del vostro cuore – l’esigenza di felicità, di giustizia, di verità e di bellezza del cuore – troverà risposta su questa strada. E la ragionevolezza è la risposta all’esigenza del cuore. Quando una cosa è ragionevole? Quando corrisponde alle esigenze del vostro cuore. Perciò, se su questa strada avete intuito di poter trovare la risposta alle esigenze del vostro cuore, fare questa strada è ragionevole, anche se non la si conosce ancora» [Si può vivere così?].

25 – «La ragionevolezza dello stare qui, è ragionevole che siate venuti qui. Perché è ragionevole? Si dice ragionevole ciò che corrisponde alle esigenze del cuore. Le esigenze del cuore sono ultimamente e profondamente esigenze di felicità, di compimento e di felicità, di perfezione e di felicità, esigenza del destino per cui si è fatti» [Si può vivere così? p. 8].

La vocazione è la ricerca di una risposta alle esigenze del cuore.

La vocazione alla verginità non è una cosa astratta, non è un dimenticare nulla, neanche un capello, della vita carnale; la vocazione assicura una corrispondenza alle esigenze del cuore, assicura una corrispondenza alle esigenze di questa vita: «Pur vivendo nella carne, vivo nella fede».

Pur vivendo nella carne: non lascio via nessun pezzetto, anzi, quello che gli altri trascurano, perché non lo vedrebbero, io lo vedo.

161 – «Le esigenze sono chiarissime, non è chiaro come le applichi, non è chiaro come applicarle e come usarle. Per giudicare che cosa devi usare? le esigenze che hai dentro; se usi un’altra cosa ti alieni, diventa un’alienazione; se usi altri criteri, sono i criteri della cultura che ti circonda e perciò sei alienata, sei schiava dei criteri altrui.

I criteri sono sempre ben chiari dentro di te: si chiamano cuore, esigenza di felicità, di verità, di bontà. Comunque ti senta verso chi incontri, queste esigenze ce le hai dentro, tu devi applicarle.

Questo incontro corrisponde alle mie esigenze di felicità, di verità,di bellezza, di bontà? Ci può essere una strada da compiere.

Puoi dire subito sì per impeto: allora l’emozione tende a diventare giudizio.

Per tutta la gente di adesso è così: l’emozione è uguale al giudizio (mi piace, non mi piace); e questo è la fine dell’uomo, è il prevalere, il predominio della bestia, dell’animale» [Si può vivere così? p. 52-53].

162 – Intervento: «Tu dici che le esigenze sono chiarissime, il problema è come applicarle. Invece a me spessissimo capita che proprio le esigenze non siano chiare. È come se ci fosse una crosta intorno al cuore; a volte c’è una fessura e riesco a capire, altre volte invece….»

Quella fessura è una ferita dentro il ferro che recinge il tuo cuore; è in quella ferita che intravedi la vita che c’è dentro.

Il problema, perciò, è: ritornare sempre a quella ferita, o farti ritornare sempre a quella ferita (questo si chiama amicizia), o qualcosa che irrompa nella tua vita e ti costringa a vivere quella ferita (e queste sono le prove che Dio manda alla vita).

O tu direttamente, per un momento di bontà di cuore, riconosci.

L’obiezione che hai fatto è più una specie di irritazione che neanche una ragione: è come un’ombra che passa, e non il sole.

192 – «E, infatti, il cuore è esigenza di verità, di giustizia, di felicità, e in tutto quello che l’uomo raggiunge non c’è mai questo. Perciò, ciò a cui l’uomo tende è qualcosa che è al di là, sempre al di là: è trascendente.

Così la coscienza di sé percepisce l’esistenza di qualcosa d’altro, cioè di Dio, del Mistero, Dio come Mistero.

Per adesso segnamo così: Dio è l’estremo limite a cui il desiderio dell’uomo tende.

La libertà è tanto più grande quanto più si avvicina all’infinito. Anzi, la libertà è il rapporto con l’infinito,la libertà avverrà, non c’è ancora; la libertà avverrà quando l’uomo sarà felice» [Si può vivere così, 68/69].

297 – Il Mistero ti ha fatto concentrando il tuo io su alcune esigenze che si chiamano cuore.

Quanto più domandi al Mistero in base al tuo cuore originale, quanto più chiedi al Mistero, tanto più sei sicuro che quello che ti darà sarà il compimento di quello che ha iniziato: «Chi ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento» (Fil 1,6).


200 – «L’attrattiva o l’emozione suscitata da una creatura che esercita un influsso immediatamente più forte di un’altra cosa che porterebbe la libertà più avanti, che farebbe camminare la libertà, questo è l’errore; non è un errore l’attrattiva che si sente, è un errore preferire questa attrattiva all’attrattiva più debole, ma più attiva e sicura verso il destino che qualche cosa inoltra nel cuore, propone al cuore» [Si può vivere così? pp72/73].

Intervento: «Io non riesco ancora a distinguere ciò che è più attrattivo e sicuro per il mio destino, per cui – in questo caso forse sbaglio – mi fido più del cuore, cioè del fatto che quello che mi affascina non mi porta fuori strada, ultimamente».

È giusto fidarti del cuore, se per cuore intendi quella simpatia profonda che Simone aveva verso quell’uomo che era lì, e che dopo duemila anni è qui: siete voi per me, la compagnia in quanto ti raccorda alla presenza di Cristo, in quanto è la modalità esteriore[…].

La compagnia è il segno della Sua presenza; seguendo questa compagnia, fai sicura la strada.


493 – In un raduno come questo, allora, è più necessario che si cantino i canti del popolo di Dio in cammino verso la patria.

[…] È un compito innanzitutto vostro, che avete questa vocazione, quello di ridestare il cuore umano dei vostri compagnia!

E lo strumento per ridestare il cuore, lo strumento principale è il canto.

Ma da che cosa sorgono i canti? Dal bisogno umano: bisogno d’amore, bisogno di giustizia, bisogno di salute, bisogno di bellezza, bisogno di primavera.


291 – […] Per natura l’uomo è posto in posizione positiva di fronte alla realtà. Come si chiama? Curiosità.

La curiosità non viene dalla compagnia, la curiosità viene dalla natura.

292 – L’uomo si pone di fronte alla realtà con una certa speranza «naturale».

E questo dovrebbe essere legge generale, tanto è vero che è legge generale la sua conseguenza, che rappresenta il dinamismo per cui l’uomo si muove e incomincia la sua avventura nel mondo: la curiosità.

549ss – «Curiosità desiderosa» destata dal presentimento del vero: il presentimento del vero, così come l’uomo è stato fatto dal Mistero, si chiama cuore, questo palpito che tende l’orecchio a dire: «Qualcuno ha bussato alla tua porta».

«Curiosità desiderosa»: è interessante che il cuore dell’uomo, di fronte alla realtà, è curioso di capire.

Il cuore dell’uomo, come è fatto da ciò che lo fa – perché non si fa da sé -, è curioso: qualsiasi bambino innanzitutto è curioso, di qualsiasi cosa.

550 – La mamma (del bambino) vede l’umanità che si esprime (da parte del bambino che domanda): curiosità desiderosa.

Il bambino desidera quel che domanda, domanda quel che desidera, è proteso a quel che desidera, non è passivo; la macchina fotografica, invece, è curiosa meccanicamente.

Il mistero non ti fa discutere, ti rende curioso, desideroso: qui può incominciare la complicazione che getta ombre sulla curiosità e sulla domanda, getta ombre sul cuore e non ti permette di capire, ti permette sempre più di non capire.

Si può riassumere dicendo: non è né la dialettica, né l’emozione, ma è la semplicità dello specchio di fronte all’oggetto, la povertà che non deve difender nulla di fronte alla Presenza, il seguire la curiosità secondo cui la natura – cioè Dio – mette in moto il cuore, l’inizio di quella versione della curiosità più umana, più matura, che è la domanda.


15 – «Qualcosa…perciò, pur non sapendo la strada, pur non conoscendo la cosa, l’avete incominciata. Anche perché dovete ammettere che questa è una norma generale: prima di conoscere, per conoscere, bisogna incominciare. Però qui non si tratta solo di curiosità, non si tratta neanche di una ricerca scientifica» [Si può vivere così? p. 4].

18 – «Il gesto che compite non ha un valore ipotetico, cioè «Vediamo se…», ma è profondamente ragionevole perché quello che capite che ci deve essere dentro qui è qualcosa che corrisponde profondamente all’esistenza del vostro cuore, alla sete e alla fame del vostro cuore, al destino della vita» [Si può vivere così? p. 6].

Dunque, non è ipotetico – come se prevalesse la curiosità; la prima volta può essere la curiosità, ma la seconda no: non vieni più -, non è ipotetico, ma ragionevole; in qualche modo ti provoca, in qualche modo ti suggestiona (nel senso che ti dà un suggerimento), in qualche modo ti obbliga, ti obbliga!


249 – Non dovete più venire all’assemblea con delle domande a guida si scimitarre sfoderate.

Le domande non devono essere espressione di una curiosità, di un tentativo di rivalsa contro il parere di chi ha parlato, scettiche, non devono essere domande inquisitorie; le domande debbono essere mendicanza – mendicare di capire il proprio volto, di capire il proprio cuore -, devono essere, cioè, vere domande o domande di verità su di sé.


ABCDEFG/HILMNOPRSTUV




Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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