Temi di «Una strana compagnia» (82-86-84) – 2a parte

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Lettera «M»


Maturità

174 – Quanto più è maturo un gruppo di Fraternità tanto più abbraccia.

La maturità spalanca: quanto più un uomo è grande come personalità, tanto più abbraccia e comprende, e sente come parte di sé anche gli altri.

189-201 – La Fraternità è il modo con cui Cristo ti ha raggiunto persuasivamente, come inizio di maturità, come coscienza della vita come vita, e questo modo continua, perché ciò che il Signore usa per iniziare qualcosa in noi Egli lo rende eterno.

Ti aiuta a vivere la vita in questa memoria ed evidentemente come un cammino di maturità.

190 – Ché l’esperienza del movimento ha come scopo la maturità della fede della persona.

La maturità della fede della persona è la conversione, vale a dire è realizzare la verità di se stessi, e la verità di me è che io Ti appartengo totalmente o Cristo, sono fatto di te.

191 -Un ragazzo diventa grande tanto più dignitosamente quanto più è colmo della presenza di suo padre e di sua madre, e la dignità e la nobiltà e la maturità di suo padre e di sua madre sono nel suo cuore richiamo e fattori di una costruzione che sarà egli stesso, ma quelli sono i fattori della costruzione.

200 – Scrive il Papa (GPII)

«Maturità è anche timore. Tutta la mèsse finale è racchiusa nell’inizio»

201 – Non dobbiamo temere: il timore iniziale si trasforma in amore e nella maturità che prosegue, l’amore ci fa inoltrare sempre più verso Colui in cui la vita trova tutto il suo domani, in cui anche ciò che abbiamo, ciò che possediamo, trova il suo domani.

235 – La maturità non è essere perfetti moralisticamente, come tutti noi penseremmo, la maturità è che questa coscienza diventi quotidiana: «O Cristo, se così posso dire, mio».

Memoria

54-55 – Ciò che ti alimenta è la parola di Dio, non come la intendono adesso – la “parola” di Dio -, ma come era all’origine, vale a dire il Fatto, l’avvenimento del Signore, e quindi la memoria di quello che era accaduto, la memoria del Signore; è proprio in questo senso che la vita della Chiesa nei sacramenti e nella liturgia ci aiuta.

55 – […] in secondo luogo, l’obbedienza a una compagnia in Suo nome, perché questo richiama a Cristo e il richiamo alla memoria diventa domanda, mendicanza, preghiera.

166 – La «memoria» vuol dire fedeltà alla compagnia. Non esiste memoria di Cristo, non esiste memoria dell’appartenenza a Dio, se non dentro alla fedeltà alla compagnia che Dio per storia ci ha data.

184 – Credere in Cristo vuol dire riconoscere che la mia esistenza Gli appartiene e che nel gioco con il bambino e nello sguardo all’aurora o nel rapporto con la moglie o nel giudicare il mio passato o nel progetto del mio futuro o nel trattare i soldi, io L’ho presente, io sono presente a quella Presenza, vivo la memoria, la Sua memoria determina il mio soggetto.

188-189 – La Fraternità è un aiuto a scoprire continuamente la verità in tutto quello che si sta facendo, e la verità di sé in tutto quello che stiamo facendo – a casa, in famiglia, nella comunità, al lavoro, nella società -, la verità di me stesso in tutto quello che stiamo facendo è la coscienza di quella appartenenza o, per dirla in termini cristiani, è la memoria di Cristo.

232 – Perché Dio è diventato compagno quotidiano a noi, e «essere perfetti come il Padre che sta nei cieli» significa riconoscere e accogliere e abbracciare il più possibile la Sua presenza, come il bambino il più possibile vive attaccato a sua madre, o col pensiero di sua madre nel sottofondo, così che Cristo sia come sottofondo, il pensiero più continuo possibile, il contenuto della nostra coscienza, di una coscienza la più viva possibile, la più continua possibile.

La questione è allora la memoria di questa Presenza. Sei una realtà familiare, Signore, oppure sei estraneo, che anche rispetto e temo, cercando laddove non sono troppo debole di rispettare certe regole?

Non esiste discorso sul cristianesimo, non esiste una parola sul cristianesimo, non esiste una parola sulla vita, su una esperienza di vita umana, della vita umana vera, se non parte da qui.

236 – Lui ha usato un’altra parola, che è la parola «memoria». È come quello che capita a te, o mamma, quando il tuo bambino va per la prima volta a scuola in prima elementare, e sei lì a casa, e aspetti che torni indietro: di che cosa è piena tutta la mattina? Ecco, questa è la memoria, che è l’affezione!

245 – L’idea cristiana di memoria, perché la conversione è la memoria di Cristo, cioè la coscienza della Tua presenza, o Cristo. La coscienza della Tua presenza, questo è ciò che cambia il mondo.

251 – La prima conseguenza della coscienza della Sua presenza, che è l’essenza della moralità (l’essenza della moralità è la memoria, e l’educazione alla fede è questa memoria, e la letizia della vita è in questa memoria: «Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»; la gioia della vita è “solo” possibile in forza di questo), la prima conseguenza è un scoperta strana, la scoperta dell’amore a sé.

Miracolo

82-84 – Allora noi che siamo stati afferrati dalla fede in Lui, compiamo le stesse opere.

Perché il miracolo – questa è la grande parola, non per nulla disprezzata dalla ragione mondana, non per nulla obliterata dalla saggezza mondana – è impossibile all’uomo, il miracolo è possibile solo a Dio.

E il miracolo non è il drizzare la gamba: in tre mesi invece che in un istante, l’uomo può anche rimediare a una gamba storta e addirittura ridare la vista, con accorgimenti speciali; il miracolo non è la montagna che si sposta da qui a lì: il miracolo è l’uomo diverso, è l’uomo nuovo!

È il cambiamento dell’uomo il miracolo: qualsiasi altro sconvolgimento lascerebbe intatta la tristezza delle cose e della vita.

Il miracolo è il cambiamento dell’uomo. Noi potremo compiere le opere che Egli ha compiute, anzi, ne potremo fare di più grandi, perché momenti ed esperienze come quelle che noi facciamo, come questa ora, allora, al Suo tempo, erano impossibili, erano inconcepibili.

144 – Qual è il miracolo da cui Cristo ha detto « il mondo capirà che sono Dio»? Non la risurrezione dai morti, non il tirare la gamba diritta a quello che l’aveva storta, non dare la vista ai ciechi, perché questi sono miracoli che servono a chi già crede, o a chi è sul punto di credere: il miracolo che travolge il mondo è della gente estranea che si tratti come fratelli.

Questo è il miracolo, e questo è ciò per cui siamo chiamati: una nuova generazione, un nuovo uomo nel mondo.

153 – La nostra compagnia è il frutto miracoloso, l’unico frutto veramente miracoloso: questo bruciarsi totale della estraneità, questa familiarità, questa consanguineità eccezionale, questa unità impossibile, è il frutto e nello stesso tempo lo strumento educatore alla nuova personalità cui siamo stati chiamati, quando, tra le braccia del padrino o della madrina, abbiamo ricevuto il Santo Battesimo.

210 – Che la passione per il mondo, la responsabilità verso il mondo, scoppi e incendi la banalità delle nostre giornate, questo è il miracolo – il miracolo!-. Il cui aspetto più impressionante, certo, è l’unità fra di noi, questo superamento dal profondo dell’estraneità, questo abbraccio del diverso, in cui vibra, sia pure come eco lontana, il mistero di Dio, cioè la misericordia.

266-278 – (NB: di queste 12 pagine ho raccolto solo pochi appunti in quanto per l’importanza don Giussani ha insistito moltissimo con esempi, conseguenze ecc. tutte cose che non potevo appuntare come ho fatto fin qui). Il terzo brano fondamentale è la Lettera agli Efesini, al capitolo quarto, che voi andrete a leggere.

Descrive il miracolo di questa umanità, di questo uomo nuovo, vale a dire l’uomo che riconosce la presenza di Cristo, l’uomo che è affezionato a Cristo, e che perciò ha riscoperto l’amore a se stesso e ha scoperto l’amore agli altri, l’amore gratuito, la carità, chàris, la gratuità, l’amore all’altro perché è rapporto con Dio, l’amore all’altro perché Cristo anche a lui ha detto: «Amico vieni!».

Ecco, c’è un miracolo che nasce in questa realtà di uomini nuovi che non assumono, anzi lottano contro lo schema della carne o lo schema del mondo, cioè lo schema della propria opinione e della propria istintività: il miracolo si chiama unità.

Questo è il miracolo che tutte le ideologie sognano, dimostrando immediatamente quanto sia impossibile, perché per affermarla – questa unità – tentano di distruggere gli avversari, creano la guerra, la violenza e la guerra.

274 – Infine il miracolo che nasce da questo uomo nuovo capace di perdonare, ed è l’unità, una unità che si deve vedere.

L’unità: per questo vinciamo ogni ira e viviamo fino in fondo una condivisione, la condivisione.

278 – Chi ha fatto un programma e un progetto, testardamente, cocciutamente porta avanti la sua dedizione a quello, mangia se stesso, distrugge se stesso.

L’esito della nostra vita, il miracolo della nostra vita, l’opera della nostra vita è talmente fattura di un Altro, è talmente un Altro, è talmente Cristo – cui il Padre ha dato tutto nelle mani – che la fabbrica, che non corrisponde mai alle previsioni della nostra immaginazione.

Misericordia

103 – Le diversità non debbono diventare decisive per il riconoscimento dei nostri rapporti, perché il perdono è l’accettazione delle diversità: il perdono è la prima caratteristica fondamentale del rapporto tra Dio e noi – si chiama misericordia -, perciò è la prima condizione per i rapporti tra uomo e uomo, tra uomo e donna, tra la gente.

La prima condizione non è l’attrattiva, ma il perdono.

141 – Tu sei tutto di me, sei il Signore, io Ti appartengo anche con tutto il seguito doloroso dei miei errori e dei miei tradimenti, e questo si chiama misericordia e perdono, perché Tu li bruci continuamente e li distruggi e io sono continuamente nuovo in questo riconoscimento di Te, o m io Signore, cui appartengo, tutto, anche dunque nei miei errori.

210 – […] che la passione per il mondo, la responsabilità verso il mondo, scoppi e incendi la banalità delle nostre giornate, questo è il miracolo – il miracolo!.

Il cui aspetto più impressionante, certo, è l’unità fra di noi, questo superamento dal profondo dell’estraneità, questo abbraccio del diverso, in cui vibra, sia pure come eco lontana, il mistero di Dio, cioè la misericordia.

250 – Non ci può essere dolore dei propri peccati, se non nella letizia della certezza, della sicurezza e dall’amicizia di Cristo: se non nella misericordia.

Non si può dire: «Io riconosco di essere peccatore», se non dentro la misericordia. Senza essere dentro la misericordia, non si può dire «sono peccatore»; sarebbe cinismo.

259 – «Siate pieni di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza»

Col 3,12

Perdonare vuol dire abbracciare come propria, come parte di sé, la differenza dell’altro.

Perché la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza vogliono dire questo: l’atteggiamento di adesione, di abbraccio, come quello della madre verso il bimbo.

Morale/moralità/moralismo

26-30 – Se la moralità è tendere a qualcosa di più grande di noi, la demoralizzazione vuol dire l’assenza di questa tensione.

Come l’io non può sospendere il suo vivere, così, quando il cuore è morale, quando il cuore non è demoralizzato, allora quella tensione al “più”, al qualcosa di più, è come se non venisse mai meno.

Ecco voglio dire che c’è una demoralizzazione in noi, una demoralizzazione che caratterizza il diventare grandi. La nostra compagnia deve innanzitutto farci lottare contro questa demoralizzazione; essa vorrebbe essere lo strumento principale contro questa demoralizzazione.

28 – Il contrario della demoralizzazione qual è? Il contrario della demoralizzazione, per dirla con una parola breve e veloce, è la speranza. La speranza è, immediatamente, la speranza su di sé, la speranza del proprio destino, la speranza del proprio «ultimo».

30 – Alla demoralizzazione del diventare grandi, che è impossibile che non venga, per poca sensibilità che rimanga – perciò, se non viene, a mio avviso, è segno di ottusità della sensibilità morale -, alla demoralizzazione che avviene nel diventare grandi, non nel senso banale del termine, ma rispetto a quella famigliarità con Dio in cui sta l’essenza della vita dell’uomo, l’essenza della vocazione umana, a questa demoralizzazione la nostra compagnia deve sostituire un aiuto, affinché la nostra vita porti, nel tempo e nello spazio, la speranza, perché la nostra vita sia definita dalla speranza.

52 – Quello che manca è, diciamo pure, la moralità, la moralità come reale e semplice desiderio del cammino, della strada.

110 – Anche tutta la coerenza morale è una Sua grazia alla nostra vita, non una pretesa o un progetto della nostra forza di volontà.

147 – La moralità è appartenere. Se quel ragazzo (il giovane ricco) avesse avuto la coscienza di appartenere, che apparteneva a Dio, al Signore, che apparteneva a quell’uomo che aveva lì davanti, allora avrebbe lasciato tutto, gli sarebbe andato dietro; invece per lui la morale erano le leggi, e lui le aveva rispettate tutti – il fariseo -. La moralità è appartenenza.

175 – Intervento «Ci è chiaro che quel lavoro, proprio nella materialità e nel modo in cui viene fatto, non può essere estraneo al fatto della costruzione della Chiesa. Ci sembra che questo non debba limitarsi solo a un risvolto moralistico – l’esser buoni -, ma riguardi il senso di quello che facciamo, perciò l’uso dei soldi e delle nostre energie».

194 – È come se non congiungessimo mai questi due momenti di pensiero e di sguardo a noi stessi, se non dall’esterno, moralisticamente, nel senso che, siccome abbiamo la fede, certe cose non si possono fare, certe altre cose bisogna farle.

200 – Quello che stiamo descrivendo, che è proprio l’ABC del rapporto con Cristo, questo piccolo pertugio, attraverso cui la lascia entrare, questa è la maturità, è la maturità della fede.

Al di qua di quello che stiamo dicendo, infatti, la fede è solo «credenze e rituali» o moralismo, vale a dire l’osservanza di certe leggi.

232- La moralità come osservanza delle leggi e la dignità come misura, come misurarsi in base al fatto che le abbiamo rispettate o no, è ciò di cui sono capaci anche i pagani.

234 – Tutto cambia nella nostra vita, deve cambiare, se incomincia a diventare normale la coscienza della Sua presenza: presenza, perché se non è presenza, noi neghiamo e soffochiamo Dio. La bestemmia, la vera bestemmia, la vera negazione, la bestemmia che nega Dio, è quella che nega Cristo.

235 – La maturità non è essere perfetti moralisticamente come tutti noi penseremmo, la maturità è che questa coscienza diventi quotidiana: «O Cristo, se così posso dire, mio».

243 – Allora tutta la nostra morale che cosa è? La nostra morale non è più morale, cioè non è più il comportamento vero; la nostra morale è il pagare il pedaggio auna paura o a una presunzione o a un mettere a poste le cose, cioè a un contratto, a un calcolo, vale a dire è il moralismo.

269 – Nasce una condivisione profonda fra l’uno e l’altro di noi ed essa diventa legge della vita, diventa una clausola così radicale che la tensione a spezzare il proprio schema coincide con il valore tout court della vita morale.

Movimento

37 – Io volevo soltanto ricordare che la questione di tutta la nostra storia, la nostra storia cristiana, la nostra storia di movimento, è come giunta al culmine, dove è costretta a semplificarsi totalmente.

Ci siamo messi insieme perché questa semplicità avvenga in noi: da una parte deve essere incrementata una coscienza vivida del nostro peccato, che si ramifica in noi; dall’altra parte, deve essere incrementata la certezza, la sicurezza, la certezza e la sicurezza che tutto questo male che è in me è vinto – vinto! – da una presenza.

42 – Sapete perché è iniziato il movimento? Il movimento è iniziato perché erano dei «ragazzi»: bisogna ritornare ragazzi per fare la Fraternità, altrimenti è impossibile che avvenga.

Ma questo «ritornare ragazzi», a quarant’anni, a cinquant’anni o a sessant’anni, è realmente il culmine della vita e la sorgente di quella giovinezza, di quella giovanilità, che permette di agire, cioè di creare: è sorgente della fecondità.

47-48 – Non tutti tra noi vengono dalla stessa esperienza nello stesso ambito del movimento.

L’unica vera condizione per superare la diversità di accenti è non pretendere che la propria esperienza diventi automaticamente quella dell’altro. Ma il rispettare ognuno la libertà del compagno di strada è obbedire al movimento, cioè obbedire alla strada comune, perché il movimento è quella occasione che, in tempi e modi diversi, ci ha comunque raggiunti tutti.

La mortificazione, io credo, non deve essere la rinuncia alla propria esperienza per lasciare che si affermi l’altro, ma la comune volontà di seguire il cammino della nostra comune amicizia, cioè il movimento, e questa è la cosa più difficile.

Perché è facile quando il movimento chiede cose eccezionali; è facile in fondo anche rinunciare a quei quattro soldi che la nostra meschinità toglie con soddisfatto compiacimento al gruzzolo del superfluo.

48 – Ma seguire il movimento nella concretezza del quotidiano, senza ruoli o maschere in cui identificarsi, questo suona come uno scandalo per la nostra intelligenza.

Credo che la cosa più dura da accettare sia l’essere liberi: in fondo, le cipolle d’Egitto sono più immediatamente concrete e più immediatamente consonanti alla nostra meschinità.

56-57 – L’opera che ci è chiesta nella Chiesa di oggi si chiama “movimento“, movimento di Comunione e Liberazione, e basta.

Una madre con quattro figli, la nonna vecchia e la ragazza madre affidata vive il movimento fra le quattro mura della sua casa e, se ha questa coscienza, appartiene alla nostra compagnia più profondamente che neanche tutti i responsabili con il loro indaffararsi.

Comunque, l’opera che ci è chiesta è il movimento. Questo si può concretare come il Signore ispira o come, attraverso le circostanze, ili Signore chiama.

57 – Perché realizzare un consultorio o creare una scuola per i propri bambini sono aspetti, ma aspetti di quell’opera. L’opera è il movimento.

Abbiamo bisogno che realmente l’opera che Dio ci ha dato da vivere in questo momento del mondo e della Chiesa, cioè il movimento, sia più vissuta da noi. Per questo c’è la Fraternità. Perché senza che si costruisca un certo cuore, non si serve, anche agitandosi molto.

64-66 – La Fraternità ha lo stesso scopo del movimento, vale a dire, il maturare il cuore nostro, il maturare la nostra soggettività nella fede, e cioè nell’umano, nella sua umanità.

Per l’unità del movimento lo scopo è identico.

Una maggiore capacità di questi due fattori – la sincerità con Dio e la verità dell’imparare, cioè una obbedienza alle direttive del movimento, ai contenuti direzionali che il movimento dà – renderà quel punto che voi siete un punto pacifico in mezzo alla bufera, che lentamente assorbirà anche gli altri.

Il che vuol dire che non bisogna mettersi a parlar male gli uni degli altri, perché è inutile, anzi, aggrava la questione: occorre essere sinceramente, il più sinceramente possibile, se stessi, cercando il più sinceramente possibile di obbedire al movimento, e basta.

«La cosa che quando ho incontrato il movimento più mi ha reso attento, mi ha scosso, è stata l’accoglienza che è stata fatta nei miei confronti all’inizio».

65 – Se siamo stati accolti, perché non dobbiamo anche noi partecipare accogliendo gli altri?

La solidarietà tra di voi è la conseguenza dello scopo per cui vi mettete insieme. Lo scopo per cui vi mettete insieme è quello di essere aiutati a desiderare Cristo e a credere a Cristo, e basta. La forza del nostro movimento nei primi anni è stata questa.

66 – […] Il punto di partenza era Cristo, era lo stupore, era la semplicità del riconoscimento di quell’Avvenimento, di quello che accadeva, che era accaduto e che accadeva nel mondo: Cristo.

Questo è lo scopo. La conseguenza di questo, immediata, è la fraternità tra di noi, cioè la solidarietà ecc…

Allora il vivere questa solidarietà crea un piccolo pezzo di umanità – che è la vostra compagnia – impostata in modo diverso, in modo più umano.

E questo è un piccolo pezzo della vera opera, che è il movimento.

Creare una realtà di movimento tra voi è il vostro primo modo di collaborare al movimento.

La solidarietà è l’esito, il primo istintivo corollario del fatto che la mia vita vuole Cristo.

Allora io sono unito a te, ti sento come se fossi mia sorella, mio fratello.

In secondo luogo, questo corollario di solidarietà tra di noi è il primo modo, la prima modalità con cui costruiamo l’opera, che è il movimento.

71-72 – Se la Fraternità è l’aiuto a una maturità di fede il movimento le delinea in un certo modo, allora la prima conseguenza della Fraternità è che ognuno che vi partecipa senta di più la responsabilità del movimento.

Se siete ingegneri della Brown Boveri e la gente non si accorge neanche che voi siete cristiani e non cercate di fare là quello che i ragazzi cercano di fare in quinta ginnasio nella loro scuola, allora dovete capovolgere la prospettiva, perché l’opera è il movimento.

Dico che tutti debbono innanzitutto vivere le caratteristiche fondamentali del movimento, come per esempio l’impegno nell’ambiente, l’impegno comunitario nell’ambiente. Questo è il primo aspetto dell’opera.

Se degli studenti fanno cooperative per le mense universitarie e poi in università non si vedono, mi spiace, quello non è movimento, perché la possono fare anche i pagani una cooperativa efficiente, soprattutto se hanno “foraggiamenti” dalla regione, essendo socialcomunisti.

77-78 – Possiamo aver preso spunto da Cristo, dalla Chiesa e dal movimento, per atteggiarci secondo le dinamiche etiche, morali, cioè atteggiamenti, che sono di tutti.

Questa è una mia convinzione molto profonda che vi affido, perché secondo me è una della cose più importanti per capire che cosa è il movimento, ciò che distingue il movimento così come è nato.

La partenza è la passione per Cristo, è lo stupore appassionato di quello che è accaduto e che accade. Questo è l’unico fattore di diversità, il resto ce l’ho in comune con tutti: «Io non conosco altro Che Cristo, questo Cristo storico, crocifisso, risorto».

85ss – «Dove due o tre si riuniranno nel Tuo nome: Ti riconosciamo presente, Signore, perdonandoci a vicenda e soccorrendo al bisogno di tutti. Ascoltiamo la parola e insieme spezziamo il Pane».

Ora, noi che cosa desideriamo, con l’impegno del movimento, se non che questo si realizzi?

86 – Ogni volta che prendiamo coscienza di ciò che Lui è, di questa Presenza che accade continuamente ormai, siamo investiti da una purità, perché la purità è lì, nella fede. Ma questa non è la descrizione dell’ideale del movimento?

Allora ci siamo detti: chi nel movimento è diventato adulto, chi è adulto nel movimento, perché non aiutarlo a vivere con responsabilità personale, come si addice a un adulto, nella libertà, come si addice a un adulto, con una creatività secondo la vocazione della sua persona, come si addice a una vita adulta?

87 – Per l’adulto, per chi è diventato adulto nella vita del nostro movimento, occorre come stringere con dolcezza il nodo e venire all’ultimo dunque, liberando il tutto dalla inevitabile strettoia di un organismo associativo: non strappandolo fuori, ma liberandolo, facendogli vivere la vita del movimento nella libertà dello spirito, liberando quindi anche tutti colore che sono, nel movimento, impegnati con responsabilità, liberandoli a un determinato livello, liberandoli dal peso o dalla fatica o dalla complicazione del loro servizio stesso.

88 – L’altra sera, in un raduno a Milano, osservavo che, in questi anni, da una quindicina circa a questa parte, in tutti questi anni del nostro cammino, è come se Comunione e Liberazione, il movimento, avesse costruito sui valori che Cristo ci ha portato.

Così, tutto lo sforzo di attività associativa, operativa, caritativa, culturale, sociale, politica ha certamente avuto come scopo quello di mobilitare noi stessi e le cose secondo le idealità, secondo gli spunti di valore che Cristo ci ha resi noti.

Ma all’inizio del movimento non fu così.

All’inizio del movimento, nei primi anni, non si costruì sui valori che Cristo ci aveva portati, ma si costruì su Cristo, ingenuamente fin quando volete, ma il tema del cuore, il movente persuasivo era il fatto di Cristo, e perciò il fatto del Suo corpo nel m ondo, la Chiesa.

89 – Cristo ragione dell’esistenza, Cristo motivo della nostra creatività, non attraverso la mediazione dell’interpretazione, ma di schianto.

È come una appassionato desiderio di ricupero della purità originale della vita del nostro movimento, per moltissimi ignota.

Abbiamo voluto con la Fraternità invitare a una forma di impegno che mirasse, innanzitutto, a un aiuto al cuore di ognuno, a un aiuto perché ognuno cammini di fronte a Cristo e, in secondo luogo, ad assicurare persone che costruiscano l’opera del movimento con una maturità di fede più grande, perciò in un modo creativamente più sicuro.

Tutta la fatica, tutta l’energia, tante volte dolorosa, che moltissimi fra di voi usano, danno, subiscono, per il loro servizio al movimento, non può non essere sostenuta.

90 – È un inizio questo, perciò non restiamo confusi da quello che ancora non ci appare chiaro, da come i rapporti, specialmente con la vita del movimento, possono sembrare preoccupanti, non sufficientemente distinti o non sufficientemente uniti.

91 – La Fraternità ha lo scopo di proteggere, indirizzare e sostenere la volontà di chiunque intenda impegnarsi con l’esperienza del movimento fino in fondo.

Perciò non c’è bisogno d’altro che di questo, di persone che vogliano impegnarsi sino in fondo con l’esperienza del movimento, o meglio, che riconoscano nella esperienza del movimento l’impegno della loro fede, l’impegno della loro coscienza di uomini e di cristiani.

Dico l’esperienza del movimento, perché essa è quanto ho accennato prima, con quel breve richiamo storico: l’esperienza del movimento troverà allora proprio nel nostro radunarci, nelle lettere che ci scriveremo,, nei rapporti che stabiliremo, una sua chiarezza e la sua profondità.

92 – (lettera)«Carissimo don Giussani, siamo un gruppo di insegnanti che in questo anno ha cercato di vivere una esperienza di Fraternità. Ciò che inizialmente ci aveva spinti a metterci insieme era stato il desiderio di rendere accessibile ai ragazzi cui insegnavamo l’esperienza del movimento, ma poi ci siamo accorti che questo non bastava, o meglio implicava molto di più: la totalità della nostra persona nella compagnia tra noi. Infatti il desiderio di verità di noi stessi cominciava a definire la nostra vita, fino a far sì che il movimento come tale fosse l’unico orizzonte educativo nostro e della gente che incontravamo».

157-158 – (Note a seguito di un lettera di Cesana) vivendo la vita del movimento, l’esperienza del movimento, questa evidentemente influiva su tante cose che faceva, sulla sua professione di assistente universitario, di padre di famiglia; ma il punto realmente sostanziale era che questa esperienza diventasse finalmente, totalmente, la regola della sua vita.

Dove per regola non si intende A,B,C,D, un calendario o un ordine del giorno, per regola si intende il cammino, le sponde di un cammino.

Tutta la sua vita doveva essere investita dal criterio, dai criteri che generano e che sono generati dalla esperienza del movimento: occorreva che l’esperienza del movimento coincidesse con la vita, senza punti di fuga, senza riserve, senza salvare ambiti privati (“privati come criterio, come ispirazione, non come realtà).

158 – Perché? Perché l’esperienza del movimento non è nient’altro che la scoperta e la volontà di vivere l’esistenza come appartenenza a Cristo.

Allora se l’esperienza del movimento è essere educati a vivere, riconoscere e a vivere al vita come appartenenza a Cristo, è tutta la vita che appartiene a Cristo.

Perciò, la nascita della Fraternità coincide con la presa di coscienza che l’esperienza del movimento è la vita: è la vita!

Che cosa scatta subito fuori da questa genesi, da questo spunto originale? Che l’esperienza del movimento non è l’organizzazione di CL: l’organizzazione di CL è lo strumento complesso di aiuto perché il richiamo, il sostegno, la correzione continuino.

167 – La Scuola di Comunità è uno strumento che uno usa per approfondire l’esperienza del movimento.

La Fraternità è l’esperienza del movimento che diventa un’ambito di vita che tende a investire tutta la vita.

171-172 – L’esperienza della Fraternità ha i suoi strumenti: il principale è l’insegnamento del movimento, l’insegnamento centrale del movimento, perché è questa l’esperienza a cui vogliamo andare in fondo; Lo strumento è l’insegnamento centrale della vita del movimento, soprattutto le cose che ci diciamo nei Ritiri mensili.

Ma questo viene da ultimo, perché il singolo gruppo non è la sorgente del criterio: il criterio dato dal seguire le norme e le direttive che vengono dalla vita del movimento nei suoi insegnamenti centrali, le indicazioni che vengono dalla diaconia centrale (che è l’unico organo autorevole della fraternità, l’unico riconosciuto dallo Statuto) e dalla parola che ci viene detta nei ritiri mensili.

(Intervento) «Alcune volte con la questione della Fraternità si “ribattezza” una inadeguatezza con cui si vive il movimento. E il sintomo di questo è che ci si disinteressa sia della realtà e della storia del movimento movimento sia dall’ambiente in cui si è. Cioè, si vive la Fraternità, ma si diventa più disinteressati al movimento in quanto tale e all’ambiente in cui siamo, in cui lavoriamo e viviamo…..[…]»

172 – Per quanto riguarda il problema del movimento, se la Fraternità è lo strumento, è la compagnia, è la regola per andare più in fondo all’esperienza del movimento, la Fraternità viene prima della vita come opere del movimento. Viene prima perché è quella che mi fa andare più a fondo della coscienza del movimento.

Perciò, come conseguenza, ne deve venire che mi dà più passione per il movimento, magari mi darà anche più criteri per giudicare quel che si fa nel movimento.

La Fraternità dà più passione per la vita del movimento, non ci fa ritirare.

174 – Il nostro movimento è nato tra estranei: io non conoscevo quei ragazzi e la maggior parte dei ragazzi del primo e del secondo anno non si conoscevano tra di loro, ma la ragione del mettersi insieme era più profonda.

176-177 – Moltissimi di voi si impegnano anche a creare opere. […] Questo va benissimo. Dico semplicemente che il primo oggetto di questo impeto missionario è il movimento (il movimento è il pezzo di mondo che Iddio ci ha messo più vicino, a cui dobbiamo anche essere grati perché ci ha dato quello che ci ha dato; e poi, dobbiamo anche essere sinceri, è l’ambito più ricettivo, che riceve di più quello che noi possiamo comunicare).

177 – Badate che il movimento non si fa crescere con le iniziative; si fa crescere il movimento se crescono persone mature nella fede.

Le iniziative sono strumento per questa maturazione; se le iniziative non sono uno strumento per maturare nella fede, il movimento non cresce: saranno cose che fanno piacere e soddisfano l’amor proprio di chi le fa, ma non fanno crescere il movimento, tanto è vero che sempre, quando sono impostate in un certo modo, sono chiuse in se stesse e generano divisioni, o meglio, estraneità.

190-192 -La Fraternità altro non è che l’esperienza del movimento: è l’esperienza del movimento.

La Chiesa, ufficialmente, con il suo gesto formalmente e ufficialmente più grande, ha riconosciuto l’esperienza del movimento: l’ha chiamata «Fraternità», con parola molto adeguata al nostro programma, ma è l’esperienza del movimento.

Perciò, aderire alla Fraternità non è niente altro che prendere coscienza della propria adesione al movimento da persona matura.

Vivere la Fraternità è vivere l’esperienza del movimento: non le iniziativi A, B, C D, ma l’esperienza del movimento.

Ché l’esperienza del movimento ha come scopo la maturità della fede della persona, che è quello che abbiamo detto prima.

La maturità della fede nella persona è la conversione, vale a dire è realizzare la verità di se stessi, e la verità di me è che io Ti appartengo totalmente, o Cristo, sono fatto di Te.

191 – Perciò la Fraternità è un aiuto a vivere la conversione di noi stessi, perché l’essenza dell’esperienza del movimento è che la fede è tutto, è che il riconoscimento di Cristo è tutto nella vita, che Cristo è il centro del cosmo e della storia.

192 – Aderire alla fraternità, quindi, non è aderire a un’altra cosa, ma è prendere coscienza della propria partecipazione e della propria responsabilità nell’esperienza del movimento.

Iscriversi alla Fraternità è come dire: «Io sono del movimento, io vivo, intendo vivere l’esperienza del movimento».

225-226 – Il deserto è quel cambiamento di atteggiamento che ci fa resistere alla pura reattività, a essere determinati meramente dalla reattività; il deserto è quell’allontanamento dalla modalità istintiva che porta dentro il rapporto la luce della coscienza ultima, della coscienza del fatto che tutto è parte del disegno di Dio, che porta dentro l’azione la volontà di Dio.

Ci sono tante forme per imparare questa conversione, o questo deserto, e il movimento è la nostra forma.

Card. Deskur: «Nella Chiesa ci sono cose piccole e grandi. Il movimento è una cosa grande: voi dovete allargare il vostro cuore per accoglierlo, perché non stia alle strette dentro di voi».

226 – « Perché non stia alle strette dentro di voi» significa anche: significa anche: che voi non vi sentiate alle strette dentro il movimento! Se ci sentiamo alle strette dentro il movimento, è perché il movimento è alle strette dentro di noi.

Allora la Fraternità, che dovrebbe rappresentare il cammino maturo della educazione alla fede che il movimento evoca, istituisce e cura per diversi anni, deve essere vissuta come una cosa grande.

Allora – dico – la Fraternità, che è il cammino più maturo di questa esperienza, deve proprio essere vissuta come una cosa grande, deve essere vissuta allargando il cuore per accoglierlo.

297-298 – Ma noi abbiamo una parola che indica tutto quanto il grande spazio in cui Cristo ci ha chiesto di comunicare quello che ha dato a ognuno di noi: «Movimento».

Il movimento è il primo grande spazio per questa comunicazione e per questa dedizione missionaria, vale a dire è il grande spazio di questa umanità in cui Cristo è realmente parte della coscienza di sé, e in cui i rapporti e perciò il m odo di comportarsi diventano diversi, più umani.

Vale a dire, uno vive la compagnia in nome e in funzione della realtà tutta del movimento.

Se realmente viviamo Cristo nella nostra compagnia, non è possibile che noi non abbiamo la passione che tutto il movimento viva Cristo, lo conosca di più, che tutta la gente del movimento si tratti in modo diverso, si tratti come cerchiamo di trattarci noi, e che tutta la gente del movimento senta la passione di comunicare anche agli altri, nell’ambiente del lavoro, nel mondo esterno, quello che è stato accennato a loro.

Per poter servire il movimento, per poter vivere la nostra responsabilità in questo spazio grande nel quale la nostra compagnia è potuta attecchire ed è potuta nascere, non è necessario essere capi di qualche gruppo, oppure fare chissà quali opere.

298 – La partecipazione al movimento coincide con la volontà della fede di ogni giorno, con l’offerta quotidiana a Dio di quello che si fa.

Vivere nella vita quotidiana il senso della Sua presenza e l’impeto e il desiderio generoso che tutto il mondo Lo riconosca: questo è il movimento!

Cosa vuol dire che la Fraternità è l’aspetto più maturo del movimento? Vuol dire che oramai bisogna imparare, bisogna che noi impariamo l’esperienza del movimento, senza le oscurità e i limiti di quando eravamo più giovani.

È la definitività della vita, e perciò uno ci è buttato dentro e fa quel che può, perciò ci è buttato dentro.

Mortificazione

47-48 – Lettera: «La mortificazione, io credo, non deve essere la rinuncia alla propria esperienza per lasciare che si affermi l’altro, ma la comune volontà di seguire il cammino della nostra comune amicizia, cioè il movimento, e questa è la cosa più difficile. Perché è facile obbedire quando il movimento chiede cose eccezionali; è facile in fondo anche rinunciare a quei quattro soldi che la nostra meschinità toglie con soddisfatto compiacimento al gruzzolo del superfluo; ma seguire il movimento nella concretezza del quotidiano, senza ruoli o maschere in cui identificarsi, questo suona come uno scandalo per la nostra intelligenza.

Credo che la cosa più dura da accettare sia l’essere liberi: in fondo le cipolle d’Egitto sono immediatamente concrete e più immediatamente consonanti alla nostra meschinità».

Missione

160-161 – La fede è l’occasione per un presenza, cioè per una testimonianza. Il sintomo più grande che noi maturiamo nella vita della Fraternità e che la vita della Fraternità è centrata è che cresce in noi la passione per il mondo, per gli uomini.

Non la passione sociale, che è un problema temperamentale o di interesse suscitato in vario modo, ma la passione per gli uomini come esseri che hanno un destino, un destino verso una felicità che ignorano, come esseri che appartengono a Uno, presente tra di loro, cheignorano.

È la passione per la missione il sintomo della verità della Fraternità.

161 – Ma quanto detto non giudichi nessuno; soltanto stabilisca con chiarezza le due grandi direttive. LA prima è quella sorgiva, sorgente: che l’esperienza di fede cui il movimento ci ha chiamato investa la vita tutta; la seconda direttiva: per una missione, per una comunicazione al mondo, per una testimonianza agli uomini; esserci in un posto per essere personalità cristiane e personalità umane.

Una personalità, in qualsiasi posto vada, è presente, è una presenza.

296 – Oltre che richiamarci a Cristo e richiamarci all’amore tra di noi-, quello che ci è stato dato, ci è stato dato perché fosse dato, vale a dire è per un compito, per una missione.


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