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Lettera «P»
- Pace
- Peccato
- Perdono/perdonare
- Perfezione/ perfetto
- Persona
- Personalità
- Preghiera/pregare
- presenza /Presenza
- Promessa
Pace
244-245 – L’affezione a Cristo non lascia tregua mai, è una guerra, è una inquietudine, che è piena di pace e di letizia, come un bambino che è lieto pur essendo trafelato quando sta aiutando suo padre e sua madre o quando sta seguendo suo padre e sua madre!
254 – «Se non fossi tuo, o Cristo, mi sentirei creatura finita». Ma questa amore all’uomo traboccante di pace, che dovrebbe riportare innanzitutto ognuno di noi a se stesso, alla scoperta piena di tenerezza e di stima del vero se stesso, alla scoperta piena di tenerezza e di stima del vero se stesso, vale a dire di quel pezzo di noi che è rapporto con Dio, questo amore all’uomo traboccante di pace, per poco che noi riconosciamo quella Presenza, per poco che noi abbracciamo quella Presenza, per poco che noi ne viviamo la memoria, per poco che quella Presenza sia presenza, ha un risultato immediato – proprio immediato psicologicamente! -, che è l’amore agli uomini.
260-261 – […] e allora uno, pur con tutta la fatica possibile ed immaginabile, l’abbraccia (l’altro), cioè l’accetta così come è, l’accetta come parte del suo cammino: qualunque differenza ci sia, è parte di me. Ed ecco che cosa succede: «La pace di Cristo regna nel vostro cuore».
È un pezzo di umanità nuova.
Scatta quel fenomeno impossibile, umanamente che si chiama pace. La pace è un fenomeno in cui tutto diventa costruzione.
«La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo»
Col 3,15
Nella pace siamo chiamati a costruire una sola cosa
261 – Assimilare e rendere costruzione – un solo corpo -. assimilare e rendere pace quello che dovrebbe essere guerra e fastidio, è una capacità infinita, è imitare Cristo.
277 – La conversione è un avvenimento la cui natura è pace, allora uno è proteso ad ascoltare per poter cambiare, ad ascoltare per obbedire, a guardare per imitare, a seguire per costruire la cosa di un altro.
Peccato
37 – Io volevo soltanto ricordare che la questione di tutta la nostra storia, la nostra storia cristiana, la nostra storia di movimento, è come giunta al culmine, dove è costretta a semplificarsi totalmente.
[…] Ci siamo messi insieme perché questa semplicità avvenga in noi: da una parte deve essere incrementata una coscienza vivida del nostro peccato che si ramifica in noi; dall’altra parte deve essere incrementata la certezza, la sicurezza, la certezza e la sicurezza che tutto questo male che è in me è vinto -vinto! – da una presenza.
223 – Abbiamo fatto bene a invocare lo Spirito Santo chiedendogli di renderci sinceri – sinceri! -, perché il peccato, ce lo fa imparare san Giovanni, è la menzogna.
Chiediamo a Cristo che elimini tutta la menzogna dalla nostra vita e abbia misericordia per noi deboli, per noi smarriti.
278 – Egli, proprio per farci convertire veramente, permette alla nostra vita la lunga, altrimenti tristissima, umiliazione del peccato, dell’errore.
Ma Egli permette questo per rendere evidente e far capire al nostro cuore, così cocciuto nel porre la speranza nelle sue forze, che Egli solo è.
Ecco la conversione: Tu solo sei.
peccato originale
65 – Abbiamo addosso ciò che la Chiesa chiama «peccato originale»; il peccato originale è come una forza che attira a terra: il peccato vuol dire «venir meno», come uno a cui viene il collasso e poi crolla.
Abbiamo addosso questa inclinazione al nulla. Perciò bisogna contrastarla; e per questo occorre qualcosa che non è nostro – perché noi, per nostro conto, andremmo a fondo-: si chiama «grazia», qualcosa che ci è dato come dono.
Perdono/perdonare
55-56 – […] Il secondo sintomo è che questa semplicità incomincia ad avvenire nella compagnia: cioè incominci ad accettare, incominci a perdonare. E il perdono è innanzitutto l’accettare il diverso, l’abbraccio del diverso.
73-75 -Il minimo che deve derivare dal fare una Fraternità, è che il cuore si apra agli altri, si apra alla comprensione, al perdono, alla condiscendenza, alla pazienza e a tutto, altrimenti non saranno capaci di stare insieme tra di loro: staranno insieme per l’azione di guerra, per l’azione bellica, come un commando; ma il commando non dure tutta la vita, a meno che abbiamo venduto il cervello all’ammasso.
74 – (Intervento) «Proprio su questa capacità di prendersi sul serio nasce, tra le persone che così vivono insieme, la possibilità di aver fiducia l’una nell’altra. altrimenti non si ha fiducia, i rapporti soggiacciono o al carattere, che è diverso, oppure alla indifferenza e a tutte le cose che ognuno di noi conosce».
75 – È quello che abbiamo chiamato molto semplicemente perdono.
94 – È inutile per ora richiamare che una simile compagnia avrà bisogno innanzitutto – «innanzitutto» proprio nel senso materiale del termine – di capacità di perdono, cioè, come dico sempre, di capacità di abbracciare il diverso.
Occorrerà allora la capacità di accogliere il diverso, e quindi la correzione, che è la coscienza esplicitata d’essere in cammino, di avere un destino, e quindi un aiuto ad approfondire la coscienza, un aiuto all’approfondimento della conoscenza e della coscienza.
Perdono, correzione, approfondimento della coscienza..
Queste sono certamente le doti più necessarie per una compagnia come quella della Fraternità.
103 – Di fronte a Cristo […] le diversità non debbono diventare decisive per il riconoscimento dei nostri rapporti, perché il perdono è l’accettazione delle diversità: il perdono è la prima caratteristica fondamentale del rapporto fra Dio e noi – si chiama misericordia -, perciò è la prima condizione tra uomo e uomo, tra uomo e donna, tra la gente.
La prima condizione non è l'attrattiva, ma il perdono.
145 – […] riconoscere che io appartengo a Cristo e tu appartieni a Cristo.
È una cosa dell’altro mondo, ma che si svolge in questo mondo con estrema tranquillità, come molte persone e taluni gruppi fra noi ci danno esempio.
Un rapporto talmente più profondo con la stessa carnalità, tant’è che il riconoscimento dell’appartenenza cambia il rapporto familiare: per esempio fa vivere il perdono, altrimenti impossibile – si può “passar sopra”, ma non perdonare – , fa attraversare ogni possessività.
259-281 – (NB – In queste 22 pagine Giussani elenca tutta una serie di riferimenti, esempi, situazioni che non ho riportato) Perdonare vuol dire abbracciare come parte di sé la differenza dell’altro. La parola «perdonare» vuol dir e abbracciare la differenza, qualsiasi differenza; e la suprema è quella di chi ti odia, del nemico.
Perdonatevi, cioè abbracciate come parte di voi e del vostro cammino, anche la differenza dell’altro.
261 – Da Cristo, dall’affezione a Lui nasce una realtà umana in cui la legge è il perdono, va a dire in cui la legge è quella di Dio, perché perdonare è una capacità solo di Colui che crea, è una capacità infinita: rendere positivo il negativo è una capacità infinita
263 – È lo schema del mondo che impedisce la carità, cioè quel rapporto con l’altro vissuto in modo totalmente gratuito.
264 – Lo schema del mondo è il sopravvalutarsi, lo stimare sé più degli altri
266 – C’è un miracolo che nasce in una realtà di uomini nuovi che non assumono, anzi che lottano contro lo schema della carne o lo schema del mondo, cioè lo schema della propria istintività e della propria opinione: il miracolo si chiama unità.
267 – Il veleno contro l’unità, il serpente: si chiama ira. L’ira!
269 – La comunità è, dunque, un luogo umano nuovo dove il perdono vive, dove tutto quello che abbiamo accennato viene desiderato e chiesto, viene perseguito in un lavoro quotidiano.
La comunità è la dove esprimi la tua fede, non là dove chiedi e pretendi.
273 – Bene, questo uomo nuovo ha una capacità impossibile, che è il perdonare, l’abbracciare come proprio il diverso.
280 – Per creare una cosa nuova nel mondo, per rendere possibile nel mondo la gratuità, l’amore gratuito, cioè il divino, per rendere possibile nel mondo il miracolo del perdono, noi non dobbiamo fare nessun preventivo, né armare la nostra volontà o la nostra immaginazione.
291 – Come quando san Paolo parlava del perdono; sembra di perdere quando si perdona, addirittura rimettendoci del proprio, ma questo è l ‘unico modo di vincere, vale a dire l’unico modo con cui la nostra vita cammina, e cammina l’umanità, facciamo bene il nostro e nel mondo, cioè diamo gloria a Cristo, diamo gloria a Dio.
307 – Le tenebre possono ancora prendere il posto della luce.
E, infatti, quando anche nel servire Cristo, anche nella nostra strada di fede, prevale il nostro pensiero, prevale quello che noi sentiamo, prevale il nostro calcolo, prevale la difesa di quel che vogliamo noi, di ciò che è nostro, allora i frutti della luce scompaiono. «Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità», ricordandoci che la giustizia suprema è il perdono. Ma la tenebra può prendere ancora il posto della luce.
Perfezione/ perfetto
230-234 –
«Siate voi, dunque, perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»
Mt 5,43-48
Ma come si fa ad essere perfetti come Dio? Siate perfetti come il Padre vostro celeste vuol dire siate perfetti come Dio.
Chi ha sconvolto la legge dei rapporti umani (amare anche i propri nemici) spalancando un abisso di – qui sì, è giusta la parola – perfezione?
231 – Chi ha portato quella legge è Cristo, vale a dire Cristo è l’immagine visibile, tangibile, seguibile, imitabile del Mistero, del Padre. «Siate perfetti come il Padre.»
Ma per il Padre il centro di tutto, ciò che spiega tutto, la perfezione di tutto cos’è? È _Cristo.
«Tutto il Padre gli ha dato nelle mani».
Perciò, «essere perfetti come il Padre» vuol dire riconoscere, accettare, abbracciare Cristo.
Essere perfetti come il Padre non è un seguito di leggi da assolvere, ma è una Presenza da accogliere.
C’è Uno tra noi! Essere perfetti come il Padre vuol dire riconoscere, accettare e abbracciare l’ordine con cui Egli ha fatto tutte le cose, uomini e cose.
La perfezione sta, dunque, nel riconoscere, nell’abbracciare, nel vivere la presenza di Cristo. Come dei bambini. Qual è la perfezione di un bambino? È che stia dietro a sua madre.
232 – «Essere perfetti come il Padre che sta nei cieli» significa riconoscere ed accogliere e abbracciare e vivere il più possibile la Sua presenza, come il bambino il più possibile vive attaccato a sua madre, o col pensiero di sua madre nel sottofondo, il pensiero più continuo possibile, il contenuto della nostra coscienza, di una coscienza la più viva possibile, la più continua possibile.
La moralità come osservanza delle leggi e la dignità come misura […] è ciò di cui sono capaci anche i pagani.
Invece qui è tutta un’altra questione, perché la perfezione della vita e della realtà è Dio che è diventato uno fra di noi, è Dio che è diventato un uomo fra noi, e perciò si è messo in compagnia nostra.
234 – Così tutto nella nostra vita cambia, deve cambiare, se incomincia a diventare normale la coscienza della Sua presenza: presenza, se non è presenza, noi neghiamo e soffochiamo Dio.
La bestemmia, la vera bestemmia, la vera negazione, la bestemmia che nega Dio, è quella che nega Cristo.
Questa non è una questione da suora o da prete: è una questione da uomo, perché Dio è diventato uno fra noi ed è rimasto tra di noi.
«Sarò con voi fino alla fine.»
«Siate perfetti come il Padre», il quale è perfetto, ed esprime la sua perfezione nel mondo, perché il mondo è un disegno che ha un nome e un volto: Cristo. «Il Padre è sempre con me e non mi lascia mai».
251 – L’essere perfetti come il Padre vuol dire riconoscere e abbracciare la Presenza di Cristo, una Presenza; non il realizzare la misura di leggi, ma riconoscere e abbracciare una Presenza, sicura e certa, per cui la nostra vita compie – compie! – e compirà cose più grandi di quel che ha fatto Cristo stesso.
Perché è molto più grande il cambiamento che Cristo genera in noi che neanche una gamba rotta si raddrizzi all’improvviso! Molto più grande! E in secondo luogo, questa Presenza è familiare, c’entra dovunque, comunque, con tutto, con tutto!
Persona
27-34 – Padre, madre e figlio; ma quando il figlio diventa persona, diventa maturo, adulto, cioè diventa solo se stesso, deve decidere lui il suo destino e la sua strada. (Da qui in avanti Giussani scrive sette pagine di esempi, riferimenti, lettere che descrivono il percorso verso l’essere persona e quale aiuto in questo sia la Fraternità).
67-68 – L’idea centrale della Fraternità è che tutta la responsabilità, tutta l’iniziativa, sta nella persona, che è adulta e perciò responsabile del suo destino.
67 – Il creare la Fraternità, il contribuire a darle un contenuto ecc.., dipende totalmente dalla responsabilità della persona.
85-100 – «A ognuno di noi Cristo si sveli; c’incontri e ci chiami per nome»: diventi realtà personale quello che è accaduto.
86 – Allora ci siamo detti: chi nel movimento è diventato adulto, che è adulto nel movimento, perché non aiutarlo a vivere con responsabilità personale, come si addice a un adulto, nella libertà, come si addice a un adulto, con una creatività secondo la vocazione della sua persona, come si addice a una vita adulta?
87 – Perché c’è un punto in cui debbo dire «io» di fronte al mio destino che è Cristo.
89 – Abbiamo voluto, con la Fraternità, invitare a una forma di impegno che mirasse, innanzitutto, a un aiuto al cuore di ognuno, a un aiuto perché ognuno cammini di fronte a Cristo e, in secondo luogo, ad assicurare persone che costruiscano l’opera del movimento con una maturità di fede sempre più grande, perciò in un modo creativamente più sicuro.
90 – Dovete essere aiutati più direttamente al fondo del vostro cuore, alla radice per cui la vostra persona si impegna, in questa fatica.
Insomma, abbiamo voluto chiamare gli adulti che l’avessero voluto, chiamiamo gli adulti che lo vogliano a un aiuto più direttamente personale, che assicuri, proprio per questo, una presenza più liberamente matura nella vita del movimento.
92 – Lettera: «Carissimo don Giussani, siamo un gruppo di insegnanti che in questo anno ha cercato di vivere un’esperienza di Fraternità. ciò che inizialmente ci aveva spinti a metterci insieme era stato il desiderio di rendere accessibile ai ragazzi cui insegnavamo l’esperienza del movimento, ma poi ci siamo accorti che questo non bastava, o meglio, implicava molto di più: la totalità della nostra persona nella compagni tra di noi. Infatti il desiderio di verità di noi stessi cominciava a definire la nostra vita, fino a far sì che il movimento come tale fosse l’unico orizzonte educativo nostro e della gente che incontravamo».
93 – Chiunque, liberamente, può presentare la domanda di iscrizione, che deve essere poi accettata dalla Diaconia centrale, la quale cercherà di assicurarsi circa le persone che domandano. La responsabilità della domanda è personale.
92 – Come conseguenza più clamorosa si deve stabilire una solidarietà reale fra tutti i membri.
Una solidarietà è reale e non sentimentale quando il movente, la ragione che la determina è la persona nella sua totalità, cioè la persona nel suo destino.
100 – Coloro che non partecipano ad alcun gruppo si intenderanno con il responsabile regionale per partecipare a uno degli incontri così organizzati. Siccome alla Fraternità partecipa l’individuo, la persona, si sono tante persone che non sono ancora in gruppo.
L’indicazione è che si tenda a mettersi in gruppo, ma, almeno per il Ritiro – questa è l’unica cosa necessaria, perché è necessario avere un punto di riferimento -, chi è senza gruppo, d’intesa con il responsabile regionale, oppure sapendolo e scegliendolo, può andare a uno dei Ritiri organizzati.
127-131 – La verità della nostra persona è come quella del bambino, non mille volte di più, ma infinitamente di più: noi siamo “di” un Altro.
128 – Io sono di Te, o meglio, Tu sei me! Io sono “di” un Altro. Questa è la verità della vita, la verità della persona.
130 – La conversione sta nel rendersi vera della nostra persona, è la nostra persona che diventa vera, e diventa vera – la nostra persona – quando si accorge e riconosce che tutto – tutto! – gli appartiene, perché ciò di cui consiste, ciò di cui è fatto il suo tempo e il operare è il Signore.
131 – Allora rifletterete sul fatto che la conversione cui il Signore ci chiama è la verità del nostro io, della nostra persona.
E la verità della nostra persona è l'appartenenza, l'appartenere: noi apparteniamo.
145 – Quelle nuove forme di vita per l’uomo, come trama espressiva di una civiltà nuova della verità e dell’amore, nascono non dall’interesse, dal piacere, dalla convenienza, dalla coincidenza, ma da un’altra cosa: dal riconoscere che io appartengo a Cristo e tu appartieni a Cristo.
È una cosa dell’altro mondo, ma che si volge in questo mondo con estrema tranquillità, come molte persone e taluni gruppi tra di noi ci danno esempio.
149-150 – Passare dal sentimento della mia persona come amor proprio, come possesso di me, al sentimento di appartenenza, che è il sentimento più liberante che ci sia, più liberante della gioia – perché non esiste gioia grande come quella del bambino che appartiene alla madre, neanche quella dei primi momenti in cui una donna appartiene a un uomo -, questo passaggio implica un sacrificio: sembra di perdersi.
150 – Abramo se ne va così, senza neanche sapere dove andava, ma obbedendo al cenno di Dio, in quella mattina presto, in quell’alba, col cuore schiantato, perché doveva ammazzare il figlio, il figlio che lo seguiva e non lo sapeva. Questo è l’unico uomo, al di fuori di Cristo, con la U maiuscola, perché è l’uomo “di”, che ha capito che la propria persona è “di” un Altro; che la giustizia è la volontà di un Altro: non è la mia misura o il mio progetto o i miei paragoni.
174 – La serietà di una persona si misura dalla volontà di andare a fondo al compito della sua vita.
190 – La maturità della fede nella persona è la conversione, vale a dire è il realizzarsi della verità di sé stessi, e la verità di me è che io Ti appartengo totalmente o Cristo, sono fatto di Te, Ti appartengo totalmente, o Cristo, sono fatto di te, Ti appartengo più di quanto il bambino nel seno di sua madre appartenga a sua madre, infinitamente di più!
220 – Il Signore è il cuore della persona e della vita, è il cuore della vita. Questa sarebbe, allora, la grande iniquità: che il Signore non sia il cuore della vita.
Personalità
48 – Lettera: «[…]Credo che la cosa più dura da accettare sia l’essere liberi: in fondo le cipolle d’Egitto sono più immediatamente concrete e più immediatamente consonanti alla nostra meschinità».
Il soggetto di cui la Fraternità ha bisogno è proprio questo. Dove tutto sta, come dice la lettera alla fine, nella libertà, perciò nella responsabilità che costituisce la nostra personalità, nella responsabilità di fronte a Cristo, in cui consiste e si esaurisce la nostra personalità.
117 – Ma , ogni volta che ci raccogliamo severamente, seriamente, come dobbiamo riconoscere che in molta parte del territorio della nostra personalità avviene quello che il Vangelo dice dei vignaioli della parabola: dimentichiamo, emarginiamo, rinneghiamo la fede!
Negli atteggiamenti di fronte al mondo, nei rapporti personali, quanta dimenticanza!
131-154 – La verità della nostra persona è l’appartenenza, l’appartenere: noi apparteniamo.
Anche psicologicamente e sociologicamente un uomo è forte, una personalità è attiva, è generativa, un gruppo, un popolo – una unità di popolo – è forte e creativo solo se la gente sa a chi appartiene, a che cosa appartiene.
132 – Un bambino che non appartenga a nessuno è un povero bambino e anche la sua personalità si sviluppa molto più lentamente e molto più piena di errori: non acquista l’identità della sua persona!
Al contrario la creatura uomo è nella posizione di vivere serenamente solo nella coscienza di appartenere.
133 – Se facessimo crescere in noi questo sentimento che io sono appartenenza a Te, Ti appartengo, che questa è la mia natura e la mia essenza di uomo, la nostra vita respirerebbe.
Se questo si ingrandisse, amici miei, realmente la nostra vita, immediatamente, avrebbe un respiro e acquisteremmo una personalità diversa, per la quale tutto incomincia a diventare diverso.
(Qui inizia una longa carrellata di esempi e citazioni bibliche che parlano di appartenenza).
141 – Quando una ragazzina è sbandata, smarrita, depressa e inquieta, e incontra un ragazzino che le dice: «Io ti voglio sposare», quella stessa ragazzina da un giorno all’altro e un’altra, è un altro essere, è un’altra persona; da quando percepisce che la sua vita appartiene a un altro, la sua vita, la sua personalità cambia, cioè manifesta la potenzialità che prima era come bloccata nel profondo.
Bene è una lontanissima analogia di quello che capita all’uomo che ha coscienza d’appartenere a Cristo, a Dio; «io» vuol dire «appartenenza a te».
152 – Il Signore preme perché entri nel mondo, attraverso noi, una nuova personalità: si deve sfondare la porta. L’uomo che riconosce finalmente che la sua natura è di appartenere a un Altro è un uomo sempre positivo: è sempre positivo perché appartiene a un Altro.
153 – La nostra compagnia è il frutto miracoloso, l’unico frutto veramente miracoloso: questo bruciarsi totale della estraneità, questa familiarità, questa consanguineità eccezionale, questa unità impossibile, è il frutto e nello stesso tempo lo strumento educatore alla nuova responsabilità cui siamo stati chiamati quando, tra le braccia del padrino e della madrina, abbiamo ricevuto il Santo Battesimo.
159 – Ma l’esperienza nostra, l’esperienza di Comunione e Liberazione o l’esperienza della Fraternità, se vuole identificare, se intende vivere la fede come la vita, la si giudica, come la vita di una personalità, anche da punto di vista morale, dalla utilità che ha nel mondo, vale a dire, dalla passione che vive per la diffusione del regno di Dio: «Venga il tuo regno».
161 – […] per una missione, per una comunicazione al mondo, per una testimonianza agli uomini; esserci in un posto per essere personalità cristiane e personalità umane.
Una personalità, in qualsiasi posto vada, è presente, è una presenza. Non è questione di doti.
Per quanto riguarda la testimonianza a Cristo, non è questione di particolari doti, ma della fede: che diventi la regola della vita, cioè di me, di me!
Preghiera/pregare
55 – Intervento: «Quali sono i passi per sviluppare questa familiarità (con Cristo)?»
In primo luogo la domanda, la mendicanza a Cristo, o preghiera; in secondo luogo, l’obbedienza a una compagnia in Suo nome, perché questa richiama a Cristo e il richiamo alla memoria diventa domanda, mendicanza, preghiera.
84 – È questa obbedienza al segno, che ha una voce e che ha una espressione tipica: l’obbedienza al segno ha come voce o espressione sua tipica il grido a Cristo, la preghiera.
Se noi chiediamo la fede e se noi chi Cristo dimostri, manifesti la Sua vittoria, che ha già attuato e partecipato alla nostra carne nel Battesimo, si manifesterà: la fede diventerà luminosa, comunicativa, creativa, poetica, ed Egli si manifesterà nella nostra vita agli occhi di tutti.
96 – Noi, come guida della Fraternità, chiediamo che siano salvati tre punti, tre fattori in questa regola: primo la preghiera, in secondo luogo, come simbolo e segno di povertà, l’adesione, la partecipazione al fondo comune della Fraternità, e terzo, come un’ultima obbedienza alla Diaconia centrale che dirige la realtà della Fraternità e ne ha la responsabilità di fronte all’autorità ecclesiastica, di fronte alla Chiesa.
107 – Vorrei richiamare ancora che la Fraternità è stata creata per darci un aiuto nel cammino della conoscenza vera di Cristo. La Fraternità darà questo aiuto se noi vi parteciperemo con obbedienza.
Parte essenziale di questa obbedienza è la preghiera.
126 – Io non so proprio, obiettivamente, come si riesca a pregare Dio o a pensare a Dio, se non ci si riferisce a queste immagini (dei bambini), di cui Cristo stesso ha fatto uso.
246-247 – Che bello quella sera, quando i suoi discepoli l’hanno seguito, mentre si ritirava a pregare, come faceva tutte le sere. Le città e i villaggi erano ai margini del deserto e allora lui, a un certo punto, sfuggiva alla gente e si ritirava un po’ in là a pregare.
247 – I discepoli, che, i primi tempi, mentre Lui pregava si addormentavano, sempre più spesso si mettevano a guardarlo, a guardare da lontano come faceva.
Una sera Pietro gli dice: «Maestro, insegna anche a noi a pregare».
Badate che i discepoli erano gente ebrea purosangue, andavano alla sinagoga tutti i sabati, dicevano le loro preghiere tutti i giorni.
Ma quell’uomo faceva capire che pregare era un avvenimento – così come la fede: se si capisce che è la coscienza della Tua presenza.
292-293 – È molto importante, allora, nella regola di un gruppo o nella regola personale sia fissata la preghiera, ma anche che sia fissato il momento in cui si ripensa a quello che ci viene detto, alle direttive che ci vengono dare.
È importante che ci sia la preghiera quotidiana, ma anche l’attenzione a ricuperare sempre la direttiva che è data dalla nostra compagnia, che è data dalla Fraternità.
304-306 – (Per la Fraternità) questi punti sono: il Ritiro mensile e, più immediatamente e quotidianamente, per chi ha un gruppo, il gruppo; un gruppo che abbia un minimo di regola, di cui il punto fondamentale è la preghiera, perché dobbiamo rendere giustizia a Dio che è fra noi.
La preghiera, tra cui innanzitutto il sacramento, perché la Sua presenza urge questa unità profonda che è la comunione con Lui, perché quella è la sorgente anche della comunione tra di noi.
305 – Il minimo di regola deve implicare la preghiera, specialmente il sacramento.
Perciò, dicevo, la preghiera e – nella regola – l’attenzione, l’obbedienza alla nostra compagnia.
presenza /Presenza
21-42 –
«Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? Che colmi tutta la terra della tua assenza?»
(P.Lagerkvist «Uno sconosciuto è il mio amico»)
Ecco, io volevo innanzitutto dire che la situazione in cui versiamo è troppo probabile che renda intellettuali o intenzionali i nostri “credi”, renda intellettuali e intenzionali le nostre parole, le parole dei nostri discorsi.
Non che il cuore sia lontano da esse, ma certamente è come se fosse lontano dal cuore, cioè non fosse presenza.
Questa lontananza di Cristo dal cuore, salvo che la Sua presenza sembri operare in certi momenti, genera anche un’altra lontananza, che si rivela in un ultimo impaccio tra di noi, un ultimo impaccio vicendevole.
23 – C’è un impaccio che è lontananza Sua, che è come una non presenza Sua, un essere non determinante il cuore.
24 – La nostra compagnia vuole non permetterci più che il tempo passi senza che la nostra esistenza chieda, rincorra, voglia il rapporto con Dio presente e senza che la nostra esistenza voglia o accetti quella compagnia senza la quale non sarebbe vera neanche l’immagine della Sua presenza,
Io non ritengo che sia caratteristica statisticamente normale che il diventare grandi ci abbia reso più familiare Cristo, ci abbia reso più presenza quella «grande assenza», ci abbia reso più familiare la risposta alla domanda con cui abbiamo sentito la proposta venticinque anni fa.
26 – Come l’io non può sospendere il suo vivere, così, quando il cuore è morale, quando il cuore non è demoralizzato, allora quella tensione al “più”, al qualcosa di più, è come se non venisse mai meno.
È come, per i bambini, la vostra presenza materna e paterna: mentre vostro figlio gioca è come se non ci pensasse, ma se voi andate via se ne accorge, sospende il gioco.
31 – […] È proprio questa la strana radice che io ho chiamato «cuore»: e la vicinanza di Cristo al nostro cuore, questa presenza di Cristo al nostro cuore è ciò che deve produrre il cambiamento profondo del nostro soggetto; e strano a dirsi, allora programmi, operazioni nostre, impegni nostri acquisteranno una energia, una capacità di consistenza, una utilità che noi non ci saremmo mai aspettati.
33 – Lettera: «A volte è come se nessuno riconoscesse il Signore, perché tutte le teste sono ripiegate sugli errori propri e altrui, sui propri problemi e progetti. Sembra insostenibile la fatica di rialzare lo sguardo da sé a quella Presenza. Così Cristo non riesce a mobilitare niente veramente di noi, non gli diamo gloria. Si pensa a Cristo, ma non si riconosce il Signore risorto, vittorioso e presente.»
34 – L’avere un cuore bambino vuol dire tirare su la faccia dai propri problemi, dai propri progetti, dai propri difetti, dai difetti altrui, per guardare Cristo risorto. «Rialzare lo sguardo da sé a quella Presenza».
Senza questa semplicità, senza questa povertà, senza che abbiamo la capacità di rialzare lo sguardo da noi stessi a quella Presenza, è impossibile una compagnia che levi da sé quell’impaccio ultimo, per cui essa diventi veramente cammino.
Occorre rialzare lo sguardo da me a questa Presenza, alla presenza di Cristo risorto.
37 – «Rialzare lo sguardo a quella Presenza». In altri termini, liturgicamente, potremmo dire: «Vivere la Sua memoria».
Deve essere incrementata la certezza, la sicurezza che tutto questo male che è in me è vinto – vinto! – da una presenza. Come per il bambino: in qualunque condizione sia. La presenza della madre o del padre è la sicurezza che tutto andrà a posto, che tutto è bene.
38 – Che Cristo diventi presenza al nostro cuore, alla radice di tutto ciò che esprime la nostra persona e il nostro essere: io credo che il cambiamento a cui dobbiamo aspirare sia questo.
39 – È anche vero che non si può stare in una compagnia che aiuti a questo, se già non si vuole questo, cioè se in qualche modo questa semplicità non è già preferita, se questa povertà del cuore non è già presente, se questa presenza di Cristo non è la cosa sommamente desiderata.
40 – Il problema è che le persone che vivono questa esperienza la vivano fino in fondo. Viverla fino in fondo non vuole dire di smettere di essere peccatori, ma essere veri: questa verità è nella fede, e la fede è riconoscere che Dio è diventato uomo, e che è risorto per noi, ha già vinto per noi, e che questo uomo che ha vinto è presente.
Ma non è presente se non penetra nel cuore.
80-90 – È nel Suo segno, nel segno che Egli ha costruito, che Egli ha creato come luogo della Sua reale presenza, la Chiesa, è nel Suo segno che noi possiamo capire, venire a conoscenza e capire e credere Cristo.
Chi vede noi, chi vede il mistero della nostra unità, chi vede il mistero della nostra comunione ha visto Cristo, vede Cristo, esperimenta Cristo, esperimenta Cristo risorto, Cristo che vince, la Sua parola che richiama, la Sua presenza che muta, che cambia, che sfida e cambia, la Sua compagnia che compie, che apre al senso di tutte le cose e che inizia, rende inizialmente vera, l’esperienza del compimento attraverso la pace.
81 – È nella nostra compagnia, è nella nostra unità, è nella nostra comunione, è in questa presenza dei fratelli che noi possiamo sperimentare la Sua presenza.
C’è un luogo, uno strumento, in cui questo Cristo vittorioso e riconoscibile, percepito, sperimentata compagnia che dà consistenza alla vita, presenza che è radice continua, fonte inesauribile della speranza: la comunione nostra, la compagnia vocazionale, uomini che insieme sono stati chiamati, non da altro, ma dal Suo Spirito.
82 – Noi siamo nel mistero della Sua persona, il mistero della Sua persona è in noi.
83 – Accogliamo con occhio attento e con cuore fermo la sfida della grande alternativa: il rifiuto degli ebrei, dei farisei, dei capi o il riconoscimento della sua presenza.
84 – È la sfida tra la scelta di una propria interpretazione, ultimamente di un proprio sentire, da una parte, e, dall’altra, l’obbedienza al segno, che è il miracolo più grande, perché è come realmente strapparsi l’animo.
L’obbedienza al segno ha come voce o come espressione sua tipica il grido a Cristo, la preghiera.
85 – Là dove due o tre si riuniscono Ti riconosciamo presente, ed è la Sua presenza che genera una umanità nuova. «A ognuno di noi Cristo risorto si sveli; c’incontri e ci chiami per nome»: diventi realtà personale quello che è accaduto; la presenza Sua, che continuamente accade, diventi me stesso, la mia realtà personale.
Sia la Sua presenza ciò che ci infiamma – ciò che infiamma la vita dell’uomo, infatti, è il movente, il motivo, la ragione del vivere.
86- Ogni volta che prendiamo coscienza di ciò che Lui è, di questa Presenza che accade continuamente oramai, siamo investiti da una purità, perché la purità è lì nella fede.
87 – È la coscienza della Sua presenza che mi rende improvvisamente e veritieramente presenti anche coloro che Egli mi ha fatto incontrare sul cammino.
88 – Nessuno giudichi sé, né tantomeno gli altri, ma ognuno rialzi ili suo sguardo, la sua faccia, alla presenza di Cristo, come bambini che guardano la loro madre.
89 – Per averla come abbandonata, essendoci attestati su una posizione che è stata innanzitutto, stare per dire, una “traduzione culturale” piuttosto che l’entusiasmo per una Presenza, noi non conosciamo – nel senso biblico del termine – Cristo, noi non conosciamo il mistero di Dio, perché non ci è familiare.
Abbiamo voluto con la Fraternità, invitare a una forma di impegno che mirasse, innanzitutto, a un aiuto al cuore di ognuno, a un aiuto perché ognuno cammini di fronte a Cristo e, in secondo luogo, ad assicurare persone che costruiscano l’opera del movimento con una maturità di fede sempre più grande, perciò in un modo creativamente più sicuro.
90 – Chiamiamo gli adulti che lo vogliano a un aiuto più direttamente personale, che assicuri, proprio per questo, una presenza più liberamente matura nella vita del movimento.
156-161 – Domando se la provocazione vera che abbiamo davanti, la provocazione vera, non sia proprio quella di dire se noi ci stiamo a questa legge, vale a dire a che la nostra vita sia determinata da questa appartenenza. Credo che questa sia la scelta fondamentale.
Se non fosse così sarebbe una «scelta religiosa» da Azione Cattolica, cioè un luogo di spiritualità, ma non l’occasione per una presenza, che credo sia la questione fondamentale.
Perché il nostro scopo è una presenza nel mondo, con una regola: la regola penso sia il mezzo per questa presenza, sia lo strumento di aiuto a questa presenza.
Per cui io mi domando se, il nostro ritrovarci insieme alla fraternità non debba avere, in fondo, come ottica, come prospettiva, come scopo, la presenza, cioè esserci in un posto per poter essere, per poter vivere, che è la cosa che dà più gusto alla vita; almeno nella mia esperienza, vivendo così, uno si sente non uno qualunque nel vortice della realtà che lo circonda, ma un uomo che può essere protagonista della storia.
160 – La fede ci è data per una capacità di presenza. Se veramente investe la vita, la cambia, la tua presenza dovunque diventa diversa, cioè diventa una «presenza».
La fede è l’occasione per una presenza, cioè per una testimonianza.
Il sintomo più grande che noi maturiamo nella vita della Fraternità e chela vita della Fraternità è centrata è che cresce in noi la passione per il mondo, per gli uomini. .
161 – Esserci in un posto per essere personalità cristiane e personalità umane. Una personalità, in qualsiasi posto vada, è presente, è una presenza.
177-186 – Le iniziative, tutte, dal volantinaggio alla cooperativa che si crea, devono essere concepite e affrontate come strumenti per interessare di più sia le singole persone che vi partecipano, sia gli estranei che ne sono spettatori a questa cosa grande che è la presenza di Cristo, cui la nostra vita e del mondo appartiene.
178 – La domanda della presenza di Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita, questo è ascesi.
Che diventi familiare in noi la domanda della presenza di Cristo in ogni situazione e occasione della vita, questo è l’ascesi.
Chi trasforma la nostra vita, chi ci rende capaci di voler bene alla donna, chi ci rende capaci di voler bene ai figli, chi ci rende capaci di voler bene agli estranei, che ci rende capaci di voler bene a quelli della fraternità, chi ci rende capaci di voler bene, perdonando, a quelli del movimento, è Cristo: è Cristo, presenza che salva.
Allora a noi tocca domandarlo: la «domanda della presenza di Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita»: si può riassumere così in questa parola del Papa tutta l’ascesi.
182 – La mia esistenza gli appartiene, […] io l’ho presente, io sono presente a quella Presenza, vivo la memoria, la Sua memoria determina il mio soggetto.
186 – Chissà quanti, la mattina, quando dicono le Lodi, leggendo il Benedictus, sentono la propria vita umana come di nuovo risorgere, rinnovarsi! Perché «la conoscenza della salvezza, la remissione dei peccati, la bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui viene a visitarci dall’alto un sole che sorge», tutto questo è per la nostra vita quotidiana, è la verità della nostra vita quotidiana.
Non vale solo per i frati e i monaci, non vale solo per i preti e le suore: è per l’uomo chiamato a riconoscere Cristo, è per l’uomo che ha incontrato la presenza di Cristo, è per ognuno di noi.
191-193 – Se la verità della nostra vita è questa Presenza cui apparteniamo tutti, essa esalta, approfondisce, rende eterno l’amore alla donna e all’uomo, ai figli e alle cose.
193 – Il cristianesimo è l’annuncio di una Presenza che cambia la natura dell’uomo. Perciò la vita cristiana è un miracolo permanente in procinto o nell’incombenza di accadere, è un miracolo che incombe sull’orizzonte di ogni giornata; anzi è un miracolo che incombe sull’orizzonte di ogni ora, di ogni azione: se apriamo la porta, Cristo penetra e muta, cambia.
200-210 – […] Questo sguardo che stiamo dando a Cristo, alla Presenza a cui apparteniamo, questo sguardo di scorcio, questo riconoscimento appena appena accennato – perché non ci siamo abituati e perché siamo pieni di timore che ci porti via qualcosa, anzi, che ci porti via quello a cui siamo attaccati come possesso, quello che possediamo -; ecco, questo sguardo appena appena accennato, per cui Lui penetra, ed entra in noi più forte di noi, non è un impulso di fuga «è lo spazio su cui si misura la grandezza».
201 – La grandezza della nostra vita si misura su questo apparentemente piccolissimo spazio in cui Lui entra.
Lo sguardo alla Sua presenza, a cui non si osa neanche dare seriamente del tu, […] lentamente attraverso questo piccolo pertugio, quel piccolo riconoscimento […] noi rientriamo in Colui cui apparteniamo.
Noi abbiamo timore della Sua entrata e così Lo teniamo a distanza perché non ci porti via ciò che possediamo.
202 – Cristo, ciò a cui apparteniamo, la Presenza a cui apparteniamo, la nostra salvezza, è dentro i limiti delle cose di tutti i giorni.
203 – Cristo lo si ama nel limite, e il limite per eccellenza è l’uomo che ci è accanto, chiunque sia.
206 – Siamo in tempi tristi, e perciò è molto importante che la nostra risposta alla Sua presenza sia totale.
207 – Cristo investirà la tua vita di ogni giorno – di casa, di ufficio, di lavoro, di vita sociale -, se appena appena tu spalancherai gli occhi. Come il tuo bambino di fronte a te ammira e stima la tua presenza, così occorre che tu abbia a guardare, stimandola e riconoscendola la Sua presenza.
210 – Allora la conversione è come questa trasformazione del roveto in fuoco, del roveto quotidiano in fuoco di profezia eterna: «Io sono colui che è», in quel fuoco è l’affermazione della Sua presenza.
Perirà la mia vita, perirà il mio io, perirà la mia persona, perirà il volto dei figli, perirà il volto degli amici, perirà il volto del lavoro, perirà il volto del mondo, perché tutto è vanità ed è niente senza quella Presenza.
251-255 – La prima conseguenza del riconoscimento della presenza di Cristo, di Dio fatto uno tra noi, è l’amore e la tenerezza verso se stessi.
[…] per gridare al mondo che Dio è diventato uno fra noi, è qui compagno fra noi! Ma per poterlo fare uno deve vivere la coscienza della Sua presenza.
L’essere perfetti come il Padre vuol dire riconoscere e abbracciare la Presenza di Cristo, una Presenza; non realizzare la misura di leggi, ma riconoscere e abbracciare una Presenza, sicura e certa, per cui la nostra vita compie e compirà cose più grandi di quelle che ha fatto Cristo stesso.
E in secondo luogo, questa Presenza è familiare, c’entra dovunque, comunque, con tutto, con tutto!
La prima conseguenza di questo, della coscienza della Sua presenza, che è l’essenza della moralità, è una scoperta strana, la scoperta dell’amore a sé.
254 – «Se non fossi tuo, o Cristo, mi sentirei creatura finita». Ma questa amore all’uomo traboccante di pace, che dovrebbe riportare innanzitutto ognuno di noi a se stesso, alla scoperta piena di tenerezza e di stima del vero se stesso, alla scoperta piena di tenerezza e di stima del vero se stesso, vale a dire di quel pezzo di noi che è rapporto con Dio, questo amore all’uomo traboccante di pace, per poco che noi riconosciamo quella Presenza, per poco che noi abbracciamo quella Presenza, per poco che noi ne viviamo la memoria, per poco che quella Presenza sia presenza, ha un risultato immediato – proprio immediato psicologicamente! -, che è l’amore agli uomini.
270-304 – Il primo aspetto – «aspetto» è ciò che si vede – della presenza di Cristo nel mondo è il crearsi di queste comunità, cioè di queste realtà di persone che sono insieme perché sono state chiamate da Lui, perché Lo riconoscono, perché ne vivono la memoria e incominciano a trattarsi diversamente.
272 – È da noi che dipende che Cristo vivente viva ora, sia visto vivere ora!
La faccia ora e le braccia ora sono la nostra compagnia, Mistero di Cristo nel mondo, Corpo misterioso di Cristo.
276 – Se il nostro rapporto con Cristo, vale a dire il nostro atteggiamento verso il destino, se il valore della vita lo concepiamo come risultato di nostre azioni, di nostre opere, di un nostro progetto, allora tutto è vano, tutto è precario e vano, non solo come tempo, ma anche come tempo, svanisce come la nube del mattino.
278 – È nella fede vissuta come memoria della Tua presenza, come sequela alla compagnia in cui Tu mi hai messo, al pezzo del Tuo corpo che mi hai dato di vivere, l’origine della novità e del miracolo nella mia vita.
La vera opera della nostra vita, non corrisponde mai al progetto e al programma che ne abbiamo fatto.
280 – La nostra grande ricchezza è quella di vivere la coscienza della Sua presenza, così da chiedere tutto alla Sua forza e da vivere il cammino che Egli ci fa compiere nella pazienza, vale a dire aspettando dalle Sue modalità quel miracolo che Egli ha incominciato a farci desiderare nel cuore dandoci la fede, o facendoci incontrare la fede in un modo maturo.
282 – E il cenno del nostro Signore sono gli avvenimenti, i rapporti, gli incontri che ci fa compiere, le circostanze in cui ci fa imbattere.
Nello sguardo a Cristo si opera una semplificazione della vita, che libera la nostra coscienza e la nostra anima dall’ira, dalla violenza con cui essa normalmente difende le cose che pensa o le reazioni che in essa si fanno strada.
288 –
«Egli è qui. / È qui come il primo giorno. / È qui tra noi come il giorno della sua morte. / In eterno è qui tra noi proprio come il primo giorno. / In eterno tutti i giorni. / È qui tra noi tutti i giorni della sua eternità. / Il suo corpo, il suo medesimo corpo, pende dalla medesima croce; / I suoi occhi, i suoi medesimi occhi, tremano per le medesime lacrime; / Il suo sangue, il suo medesimo sangue, sgorga dalle medesime piaghe; / Il suo cuore, il suo medesimo cuore, sanguina del medesimo amore. / Il medesimo sacrificio fa scorrere il medesimo sangue. / Una parrocchia (Betlemme) ha brillato di uno splendore eterno / Ma tutte le parrocchie brillano eternamente, perché in tutte le parrocchie c’è il corpo di Gesù Cristo. / Il medesimo sacrificio crocifigge il medesimo corpo, il medesimo sacrificio versa il medesimo sangue. / Il medesimo sacrificio sacrifica la medesima carne e il medesimo sangue. // È la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni in tutti i giorni di ogni eternità. / In tutte le parrocchie di tutta la cristianità.»
Ch Péguy, «il mistero della carità di Giovanna d’Arco»
289 – Quali sono le caratteristiche di una compagnia di gente che si raduna insieme, che si riconosce, che si mette insieme perché c’è Cristo, perché riconosce quella Presenza di cui abbiamo parlato ieri mattina, perché vuole vivere questa Presenza?
La prima caratteristica è quella di ricordarci della Sua presenza: non c’è altro primo scopo per cui ci mettiamo insieme.
290 – La prima caratteristica della nostra compagnia è il richiamo a Cristo.
291 – È attraverso una compagnia umana che Egli è qui, che la Sua carne è qui, che il Suo sacrificio continua, che la potenza con cui sta salvando il mondo opera: la potenza con cui sta salvando il mondo passa attraverso questa miserabile cosa che siamo tutti noi.
La cosa più inconcepibile è che Dio sia tra di noi, uomo tra di noi, e che noi viviamo come se non lo fosse; questa, diceva un grande pensatore, è la decisione di tutta la vita di tutti gli uomini, la grande decisione della storia, riconoscerLo o no.
296 – Non c’è nulla che possiamo dare ai nostri fratelli e al mondo più di Cristo! Ora, Cristo lo si dà attraverso una umanità nuova che si dimostra. Cristo si rivela attraverso l’umanità nuova che crea. così, Cristo lo si comunica attraverso una umanità nuova che noi viviamo con gli altri.
298 – Il movimento coincide con la nostra persona, se vive la coscienza di quello che è Cristo e la passione che tutta la gente cambi, sia cambiata da quella Presenza, e che tutti lo riconoscano.
299 – Egli è presente attraverso coloro che Lo riconoscono, e coloro che Lo riconoscono Lo rendono visibile mettendosi insieme.
Che Lui sia presente lo si vede, si dimostra dal fatto che ha una forza di mettere insieme.
204 – […] perché dobbiamo rendere giustizia a Dio che è tra di noi! La preghiera, tra cui innanzitutto il sacramento, perché la Sua presenza urge questa unità profonda che è la comunione con Lui, perché quella è la sorgente anche della comunione fra noi.
Promessa
14-15 – «Noi vi annunciamo la buona novella, la promessa si è compiuta», vi portiamo l’annuncio buono che la promessa è compiuta.
Quale promessa? La promessa fatta ai padri, la promessa che è nella struttura stessa dell’uomo, resa acutamente intelligente dall’incontro cristiano, ma pur iscritta già nella struttura stessa dell’uomo: la sete, il desiderio della strada e che essa conduca alla fine.
15 – Il compimento della promessa per cui ogni uomo viene in questo mondo, e per cui ogni uomo – riflettesse – può resistere in questo mondo, è stato attuato da Dio: il compimento è già realizzato con la risurrezione di Cristo; Dio l’ha attuato per noi risuscitando Gesù.
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