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Lettera «R»
Rapporto
rapporto con Dio/con Cristo
24 – Questa lontananza di Cristo dal cuore, salvo che la Sua presenza sembri operare in certi momenti, genera anche un altra lontananza, che si rivela in un ultimo impaccio tra di noi – sto parlando anche di mariti e mogli -, in un ultimo impaccio vicendevole.
[…] C’è anche un rapporto, indubbiamente c’è un rapporto vicendevole, ma è solo in operazioni, in opere, in gesti comuni in cui ci si ritrovasse o vi ritrovaste.
93 – Quella dei gruppi della Fraternità è una amicizia formativa, diciamo ascetica, perché vuole essere un alveo che costringa alla verità di sé, cioè che costringa a un rapporto vero con Cristo.
In questo senso, una tale amicizia diventa come una regola di vita, una regola per la fede personale.
100 – Il rapporto con il movimento è dato dal fatto – e solo da questo – che il maturarsi ascetico della propria persona, il diventar più maturi noi nel rapporto con Cristo, non può che provocare un senso di responsabilità e di passione maggiore per la vita del movimento.
103 – Di fronte a Cristo, […] le diversità non debbono diventare decisive per il riconoscimento dei nostri rapporti, perché il perdono è l’accettazione della diversità: il perdono è la prima caratteristica fondamentale del rapporto tra Dio e noi – si chiama misericordia -, e perciò è la prima condizione per i rapporti tra uomo e uomo, tra uomo e donna, tra la gente.
127 – L’uomo non deriva totalmente da suo padre e sua madre, cioè dalla natura della realtà terrena, dal cosmo, dalla società e dallo stato, ma ha qualcosa che deriva direttamente da Dio, che è in diretto rapporto con Dio.
159 – Non è una «scelta religiosa» come quella che l’Azione Cattolica e altri, purtroppo, sostengono, quasi che il rapporto con Dio interessi un certo livello della nostra esistenza, un certo ambito della nostra presenza nel mondo, mentre tutto il resto non c’entra, in tutto il resto si fa quello che si può, mutuando l’atteggiamento dei criteri della società o della cultura in voga. No! La fede ci è data per una capacità di presenza. Se veramente investe la vita, la cambia, la tua presenza dovunque diventa diversa, cioè diventa una «presenza».
167-168 – La prossimità è ciò che il Signore ti mette vicino.
Se ti infischi di trattare con amore che Iddio ti mette vicino, anche se decidi – per amore dei venezuelani, poniamo – di andare a parlare ai poveri del Venezuela, anche se vai in Venezuela per i più poveri del Venezuela, non è vero che tu applichi la carità, perché la carità è amare l’altro per il mistero del suo rapporto con Dio.
189 – E la Fraternità è proprio la modalità con cui Cristo ti ha incontrato, si è fatto incontrare da te, si è fatto incontrare persuasivamente, facendoti intravedere che la fede non è accanto alla vita, facendoti intravedere che il rapporto con Lui coincide con la vita, è la vita, che in Lui è la vita.
193 – Il Dio puro che i musulmano hanno ereditato dagli ebrei e dai cristiani dei primi sei secoli, questo Dio, il rapporto con questo Dio non costituisce un dono alla natura dell’uomo, cioè non cambia l’uomo, non cambia la natura dell’uomo.
Perciò la vita cristiana […] è un miracolo che incombe sull’orizzonte di ogni ora, di ogni azione: se apriamo la porta, Cristo penetra e muta, cambia.
200 – Quello che stiamo descrivendo, che è proprio l’ABC del rapporto con Cristo, questo piccolo pertugio in cui uno è lì con gli occhi pieni di stima di questa Presenza, a cui non spalanca niente eccetto che un pertugio, attraverso cui Lo lascia entrare, questa è la maturità, è la maturità della fede.
209 – Che dalle spine e dalla aridità della vita di ogni giorno, in quest’ora e in quell’altra ora, in questo rapporto e in quell’altro rapporto, si sprigioni questo respiro che è il rapporto con Te, o Dio, il rapporto con l’Infinito – che non resta astratto, ma che diventa concreto e si pigia dentro il segno del mondo.
222 – Convertirsi vuol dire tirare via gli occhi dalle cose che ci appaiono o che noi rendiamo grandi, quando in realtà sono piccole e valgono solo in funzione di una cosa grande, che è la vita, cioè i l rapporto tra me e Dio, perché l’uomo è quel punto della natura in cui la natura vive il rapporto con l’infinito, con Dio.
255 – È il rapporto affettivo con la presenza di Cristo che cola – “sola” nel senso assoluto del termine – rende capaci di affezione verso gli altri.
257 -Quando mente lo sguardo che dai a tua moglie e a tuo figlio? Quando non la guardi o non la guardi secondo quello che veramente è, secondo la sua dignità e il suo valore, che è il rapporto con Cristo – rapporto con l’infinito e perciò rapporto con Cristo -, quando non guardi il cuore, quando, guardando la faccia e la persona, non arrivi al cuore.
260 – «La pace di Cristo regna così nel vostro cuore».
È un pezzo di umanità nuova, si tratti di una famiglia, del rapporto tra madre e figlia, o del rapporto tra moglie e marito e figli, si tratti del rapporto di un gruppo di amici, come è una fraternità, un gruppo di Fraternità.
266 – (Lettera agli Efesini capitolo quarto): descrive il miracolo di questa umanità, di questo uomo nuovo, vale a dire l’uomo che riconosce la presenza di Cristo, l’uomo che è affezionato a Cristo, e che perciò ha riscoperto l’amore a se stesso e ha scoperto l’amore agli altri, l’amore gratuito, la carità, la gratuità, l’amore all’altro perché è rapporto con Dio, l’amore all’altro perché Cristo anche a lui ha detto: «Amico, vieni!»
276 – Se il nostro rapporto con Cristo, vale a dire se il nostro atteggiamento verso il destino, se il valore della vita lo concepiamo come risultato di nostre azioni, di nostre opere, di un nostro progetto, allora tutto è vano.
300 – È soltanto nel rapporto con Cristo che non c’è un metro: il metro non c’è, c’è soltanto il cuore!
rapporto con l’infinito /Infinito
187 – […]Quello che sfonda il limite non è l'eliminazione del limite, è il rapporto con l'infinito che il limite ha.
197 – Qualsiasi punto dell’universo è apertura all’infinito, è partenza per l’infinito, è rapporto con l’infinito; non esiste un punto più bello e un punto meno bello, un punto più grande e un punto meno grande: esiste il rapporto con l’infinito o no, esiste la verità di me stesso oppure no; e se non esiste la verità di me stesso, io sono soffocato dal cinismo, nella superficialità soddisfatta o nella disperazione della noia.
209 – Che dalle spine e dalla aridità della vita di ogni giorno, in quest’ora e in quell’altra ora, in questo rapporto e in quell’altro rapporto, si sprigioni questo respiro che è il rapporto con Te, o Dio, il rapporto con l’Infinito – che non resta astratto, ma che diventa concreto e si pigia dentro il segno del mondo.
222 – Convertirsi vuol dire tirare via gli occhi dalle cose che ci appaiono o che noi rendiamo grandi, quando in realtà sono piccole e valgono solo in funzione di una cosa grande, che è la vita, cioè il rapporto tra me e Dio, perché l’uomo è quel punto della natura in cui la natura vive il rapporto con l’infinito, con Dio.
249-250 – Chi è fondato sull’amor proprio l’ultimo pensiero che ha è l’amore a se stesso, è lontanissimo da quell’io timido e povero e bellissimo che gli crea Dio, quell’io povero e bellissimo che nell’oceano della vita umana, della natura, si esprime con quelle domande che indicano il suo rapporto con l’infinito, cioè il cuore: qual è il senso della vita, qual è la felicità, la giustizia, l’amore, la verità?
[…] Anche se le circostanze non sono favorevoli, anche se tante cose non riescono, perfino se non riesce come bene; è libero anche di fronte al suo male: è nel dolore ma è lieto. Perché non ci può essere dolore dei propri peccati, se non nella letizia della certezza, della sicurezza e dell’amicizia di Cristo: se non nella misericordia.
258 – Che cosa c’è di nuovo nei rapporti? Quello sguardo diverso che non mente, che non guarda l’altro in funzione di una propria strumentalizzazione, in funzione di un proprio progetto, di una propria tendenza o istintività, in funzione di una propria opinione – impostore! -, ma guarda l’altro per quello che veramente è: un essere fatto per l’infinito, un essere che è rapporto con l’infinito, che l’infinito ha chiamato a sé, a cui Cristo ha detto «amico», come a me, come a me!
Regola/canone
regola di un gruppo
48-49 – Io dico sempre al Gruppo adulto che la regola è una compagnia guidata al destino.
49 – La Fraternità è una regola. Non è affatto necessario per salvarsi o anche per essere cristiani avere una regola.
La Fraternità è una regola. Entrare nella Fraternità vuol dire entrare in una regola, e la regola è seguire una compagnia guidata al destino che è Cristo.
Lettera: «Ho pensato a lungo alla regola per la Fraternità e ho individuato una piccola cosa, che quando veniva osservata cambiava la mia giornata: il momento di preghiera breve, ma insieme a mio marito, al mattino. La regola consiste in questo, io propongo questa preghiera. È una regola per me prima di tutto. La cosa impressionante è che questa breve cosa cambia la giornata».
67-68 – Intervento: «In che termini la regola dovrebbe essere vissuta tra di noi per essere un incentivo alla Fraternità e non un capestro oppure una discriminante?»
Questa è una domanda grossa perché è pertinente alla struttura stessa della Fraternità. Io lo ridirò domani mattina, ma la regola di ogni Fraternità se la crea, e la deve creare secondo il consenso, non artificioso e non forzato, di coloro che ci stanno.
Perciò ci può essere una Fraternità la cui regola contempla due o tre cose piccole e una Fraternità la cui regola prevede una cosa più grossa.
Dico che la regola deve essere fissata liberamente da ogni Fraternità.
Perciò se coloro che vi partecipano non sono consoni, in immediata comunione, nel fissare la regola, non sono più liberi, e allora è inutile farlo.
Potrebbe anche essere, al limite, che la regola di una Fraternità implichi il vedersi una volta al mese alla Santa Messa insieme, per modo di dire, mentre per altri implichi il vedersi una volta a settimana.
Esemplifico in modo banale per sottolineare l’assoluta libertà che ogni Fraternità deve avere.
L’idea centrale della Fraternità è che tutta la responsabilità, tutta l’iniziativa, sta nella persona, che è adulta e perciò è responsabile del suo destino.
68 – Anche nell’aiuto a mantenere la regola deve essere estremamente discreta e rispettosa della libertà
93-94 – Perciò quella dei gruppi della Fraternità è una amicizia formativa, diciamo ascetica, perché vuole essere un alveo che costringa alla verità di sé, cioè che costringa a un rapporto vero con Cristo. In questo senso, una tale amicizia diventa una regola di vita, una regola per la fede personale.
165-177 – Intervento: «Secondo me, lo dico in rapporto alla regola, l’ubbidienza alla regola è come una domanda cosciente di questa grazia e la domanda cosciente di questo abbandono.»
La regola non è innanzitutto la «regola», la regola non sono i punti che fissate – anche tutte le religioni del mondo del mondo hanno gruppi che fissano delle regole, si danno delle regole -; la regola (in greco si chiama anche «canone») è la modalità sicura con cui si arriva alla meta, la regola è la compagnia al destino, è la compagnia nell’esperienza.
Perciò la regola è perfino libera anche dai punti che fissate, per quanto i punti che fissate siano come dei pali che sostengono o come pietre miliari.
292 – È molto importante che nella regola di un gruppo o nella regola personale sia fissata la preghiera, ma anche che sia fissato il momento in cui si ripensa a quello che ci viene detto, alle direttive che ci vengono date.
304-305 – Questi sono i punti: il Ritiro mensile e, più immediatamente e quotidianamente, per chi ha il gruppo, il gruppo; un gruppo che abbia un minimo di regola, di cui il punto fondamentale è la preghiera, perché dobbiamo rendere giustizia a Dio che è tra noi!
305 – Chi è da solo cerchi di darsi il minimo di regola, e durante il giorno di Ritiro giochi tutto se stesso.
Il minimo di regola deve implicare innanzitutto la preghiera, specialmente il sacramento.
regola personale
93-94 – Perciò quella dei gruppi della Fraternità è una amicizia formativa, diciamo ascetica, perché vuole essere un alveo che costringa alla verità di sé, cioè che costringa a un rapporto vero con Cristo. In questo senso, una tale amicizia diventa una regola di vita, una regola per la fede personale.
156-161 – Il nostro scopo è una presenza nel mondo, non una regola: la regola penso sia il mezzo di questa presenza, sia lo strumento di aiuto a questa presenza. Altrimenti è come se la propria crescita personale, cioè la propria crescita personale, venisse sentita opposta a movimento.
Invece io capisco che stare nella Fraternità significa significa decidere che la crescita della mia persona sia corrispondente allo scopo del movimento e lo scopo del movimento è la testimonianza di Gesù Cristo nel mondo. Altrimenti la Fraternità rischia di essere un rifugio.
157 – Occorreva che quello che gli (a Giancarlo Cesana) piaceva diventasse veramente regola della sua vita, senza ritenere nessun punto di fuga, senza nessuna riserva, nessun spazio di riserva in cui quello che si operava si riferisse a criteri che col movimento non c’entravano.
[…] Dove per regola non si intende A,B,C,D, un calendario o un ordine del giorno; per regola si intende il cammino, le sponde di un cammino. Tutta la vita doveva essere investita dal criterio, dai criteri che generano e che sono generati dalla esperienza del movimento: occorreva che l’esperienza del movimento coincidesse con la vita, senza punti di fuga, senza riserve, senza salvare ambiti privati.
158 – Se l’esperienza di CL, se è questo, investe la totalità della persona.
161 – Non è questione di doti. Per quanto riguarda la testimonianza a Cristo, non è questione di particolari doti, ma della fede: che diventi regola della vita, cioè di me, di me!
Non concepisco, non dico più neanche «io» come lo dicono gli altri, come ho cercato di accennare stamattina, perché quando dico «io» implico la presenza di un Altro, di cui sono.
227 – Come sarà preziosa allora, la riscoperta del valore di un minimo di regola, che in fondo ha lo scopo di assicurare ogni giorno che queste radici, queste cose semplici e radicali, da cui tutta la nostra vita viene alimentata, siano presenti, almeno come ricordo, tutti i giorni.
Responsabilità/responsabile
8 – Alla Fraternità si era giunti attraverso un cammino che aveva preso rapidamente consistenza verso la fine degli anni settanta, quando avevano cominciato a formarsi alcuni gruppi di adulti, anche sulla spinta di positive esperienze vissute nel periodo universitario, con l’intento di assumersi una «responsabilità matura per la propria santità» secondo il metodo cristiano della «comunionalità».
15-16 – Il secondo fattore, che costruisce il nostro corso giusto, che dà consistenza al nostro cammino – se il primo è la serietà di una responsabilità di fronte alla strada -, questo secondo fattore vince la paura della nostra debolezza, vince la sfida dell’evidenza del nostro peccato con un’altra grazia, vale a dire con un fatto già compiuto, operato da Dio tra di noi.
16 – Se il primo fattore è la serietà di cuore, la responsabilità d’animo – la povertà dello spirito è una condizione per la verità umana -, il secondo fattore è la fede. La fede, che è riconoscere ciò che accade tra di noi, che Dio attua tra di noi: la forza, la potenza di Cristo risorto.
24 – Se pensiamo che il valore, la consistenza e il valore della nostra vita stanno nella responsabilità di questa vicinanza di Cristo e quindi di questa vicinanza tra uomini, di questa vicinanza tra di noi, dobbiamo allora capire che l’amicizia e la compagnia che intendiamo vivere sono per non permettere che abbiamo a sospendere o a lasciare sospesa la nostra iniziativa in tal senso.
48 – Lettera: «[…] seguire il movimento nella concretezza del quotidiano, senza ruoli o maschere in cui identificarsi, questo suona come uno scandalo perla nostra intelligenza.
Credo che la cosa più dura da accettare sia l’essere liberi: in fondo, le cipolle d’Egitto sono immediatamente concrete e più immediatamente consonanti alla nostra meschinità».
Il soggetto di cui la Fraternità ha bisogno è questo. Dove tutto sta, come dice la lettera alla fine, nella libertà, perciò nella responsabilità che costituisce la nostra personalità, nella responsabilità di fronte a Cristo, in cui consiste e si esaurisce la nostra personalità.
67-73 – L’idea centrale della Fraternità è che tutta la responsabilità, tutta l’iniziativa, sta nella persona, che è adulta e perciò responsabile del suo destino.
Il criterio della scelta della compagnia deve essere semplicemente quello di una facilitazione: mi metto con chi mi facilità di più, facilità di più questa mia responsabilità di fronte al mio destino.
70 – L’intimismo si evita attraverso tutto quello che abbiamo detto oggi, vale a dire realmente perseguendo, sentendo la strada come responsabilità di aiutare gli altri amici a camminare verso il loro destino, verso Cristo, perciò a vivere al loro storia di responsabilità di fronte a Cristo.
72 – La Fraternità esige una responsabilità. Non la proponiamo ai ragazzini del liceo e non la proponiamo neanche agli universitari: la proponiamo alla gente adulta, che è capace di responsabilità della propria vita di fronte a Cristo, e quindi di responsabilità di un aiuto e un’amicizia.
87-93 – Chi è diventato adulto, chi è adulto nel movimento, perché non aiutarlo a vivere con responsabilità personale, come si addice a un adulto, nella libertà, come si addice a un adulto, con una creatività secondo la vocazione della sua persona, come si addice a una vita adulta?
96-97 – Per la sua natura, la responsabilità della Fraternità è totalmente di coloro che la vivono. In particolare, il gruppo della Fraternità, è assolutamente indipendente dalla struttura del movimento. Badate, per favore, che non è indipendente dal movimento, ma è il vertice e il cuore del vero movimento, la verità del movimento.
La Fraternità è come il culmine del movimento e nello stesso tempo è il cuore o la radice del movimento.
Noi come guida della Fraternità, chiediamo che siano salvati tre punti, tre fattori in questa regola: primo, la preghiera; in secondo luogo, come segno e simbolo di povertà, l’adesione, la partecipazione al fondo comune della Fraternità; e terzo, un’ultima obbedienza alla Diaconia centrale che dirige la realtà della Fraternità e ne ha la responsabilità di fronte all’autorità ecclesiastica, di fronte alla Chiesa.
97 – La Diaconia centrale ha la responsabilità di tutti i gruppi di fronte alla Chiesa, perciò chiediamo una ultima obbedienza ad essa.
192 – Aderire alla Fraternità non è aderire a un’altra cosa, ma è prendere coscienza della propria partecipazione e della propria responsabilità nell’esperienza del movimento
205 – Che cosa significhi per la nostra vita l’esaltazione della responsabilità sociale che abbiamo della fede -perché l’incontro fatto ci rende responsabili di esso nella vita sociale -, quante cose implichi, dal sostegno agli strumenti di influsso sulla vita sociale, dal coraggio della testimonianza nel proprio ambiente, dall’accanimento con cui qualsiasi sacrificio deve essere fatto perché i nostri figli abbiano una possibilità di vita di fede libera, chiara, ragionevole, capace di verifica, quanto questo implichi anche la generosità di dare tempo ed energie alle strutture sociale e politiche, tutto questo è incluso evidentemente in quanto abbiamo detto.
209-210 – Che dalle spine e dalla aridità della vita di ogni giorno, in quest’ora e in quell’altra ora, in questo rapporto e in quell’altro rapporto, si sprigioni questo respiro che è il rapporto con Te, o dio, il rapporto con l’Infinito – che non resta astratto, ma che diventa concreto e si pigia dentro il segno del mondo -, che la passione per il mondo, la responsabilità verso il mondo, scoppi ed incendi la banalità delle nostre giornate, questo è il miracolo – il miracolo.
297 – Per poter servire il movimento, per poter vivere la nostra responsabilità in questo spazio grande nel quale la nostra compagnia è potuta attecchire ed è potuta nascere, non è necessario essere capi di qualche gruppo, oppure fare chissà quali opere.
La partecipazione alla vita del movimento coincide con la volontà della fede di ogni giorno, con l'offerta quotidiana a Dio di quello che si fa.
306 – Di tutto quello che ho ricevuto, volevo leggere soltanto questo: «È giusto dire che le Fraternità debbono innanzitutto aiutarci a vivere con responsabilità e serietà e profondità la proposta del movimento?». La Fraternità è solo questo!
Richiamo
59-61 – Io ho usato una parola, la parola «richiamo», che è una parola vasta. Quando i professori avevano l’intelligenza di far studiare a memoria, c’era la mamma che richiamava dal forsennato gioco al pallone perché bisognava studiare, e così dovevo andar su e la imparavo.
60 – Si va da questo aspetto banale, esteriore di richiamo, che è importante, anzi, decisivo, fino al richiamo che è dato dall’esempio, dallo spunto dell’esperienza altrui, dalla emozione e dalla tenerezza di una parola che viene detta in compagnia.
61 – Quanto più il tuo cuore matura, tanto più capirai quel che devi fare. Allora, la Fraternità ti aiuta – come richiamo, come sollecitazione, come insistenza e come esempio – a questa maturazione del cuore.
82 – Tutto quello che noi diciamo e siamo come richiamo, come segno di Lui, non lo diciamo da noi: «Le parole che io vi dico, non le dico da me: il Padre, che è in me, compie le sue opere in me»
284 – Non diciamo: «Eccomi!» di fronte a quel richiamo all’ideale che il movimento sempre fa, e che è autorizzato a fare addirittura – e questa è una grazia dell’altro mondo – dalla Chiesa di Dio.
290-292 – La prima caratteristica della nostra compagnia è il richiamo a Cristo.
Ma non un richiamo, diciamo, politico, come se fosse il titolo della nostra parte, il titolo del nostro partito: no! È il richiamo a Cristo come l’abbiamo sempre ricordato ieri mattina: il nostro destino, Dio, è diventato compagno della mia vita e la mia vita ne deve essere investita, ne deve essere determinata.
Signore, tu la devi cambiare e la stai cambiando tutti i giorni se io, tutti i giorni, con povertà di spirito, con umiltà di cuore, ascoltando il richiamo che mi viene dalla compagnia che mi hai dato, penso e guardo a Te.
Ecco, la prima condizione perché la nostra compagnia mantenga la sua promessa, cioè ottenga il suo scopo, è che noi abbiamo ad obbedire ai richiami religiosi della nostra compagnia.
Comprendiamo che si può fare Scuola di comunità o si può fare un gruppo senza che il richiamo religioso veramente ci tocchi.
Si può venire a fare gli Esercizi senza che il cuore sia toccato dal richiamo religioso- Perché si è toccati quando qualcosa cambia.
291 – Dico che l’obbedienza al richiamo religioso è la prima condizione perché la nostra sia una compagnia vera, per lo scopo che ha da vivere.
292 – È molto importante, allora, che nella regola di un gruppo o nella regola personale sia fissata la preghiera, ma che sia anche fissato il momento in cui si ripensa a quello che ci viene detto, alle direttive che ci vengono date. Per una Fraternità è estremamente importante, perciò, il ritiro mensile come richiamo: è come un punto di appoggio.
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