Temi di «Una strana compagnia» (82-86-84) – 2a parte

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ACDF GI LMOPRSTUV


Lettera «S»


Sacrificio

149-154 – (Cristo) Ha creato la Sua strada, il Suo metodo, e non lo contraddice. Bene, c’è una condizione di tutto questo, ed è il sacrificio. Insomma, passare dal sentimento della mia persona come amor proprio, come possesso di me, come voglia di me stesso, come legge a me stesso, al sentimento di appartenenza, che è il sentimento più liberante che ci sia, più liberante alla gioia – perché non esiste gioia più grande come quella del bambino che appartiene alla madre, neanche quella dei primi momenti in cui una donna appartiene a un uomo -, questo passaggio implica un sacrificio: sembra di perdersi.

150 –

«E Abramo tosto si alzò, sello l’asino, prese il figlio e si mise in cammino verso il luogo che Dio gli indicava»

Gen 22,1-3

Abramo se ne va così, senza neanche sapere dove andava, ma obbedendo al cenno di Dio, in quella mattina presto, in quell’alba, col cuore schiantato, perché doveva ammazzare il figlio che lo seguiva e non sapeva.

Quest’uomo è l’unico uomo, al di fuori di Cristo, con la U maiuscola, perché è l’uomo che è “di”, che ha capito chela propria persona è “di” un Altro, che la giustizia è la volontà di un Altro: non è la mia misura o il mio progetto o i miei paragoni.

153 – Allora, nel silenzio rendiamo il cuore disponibile perché i semi di queste parole, il seme della parola «appartenenza a Lui» entri dentro le zolle della nostra terra, in modo tale da non farne più deserto, ma terra promessa e piena di rigoglio. Nel tempo perché è tutta questione di storia.

È bellissimo, perché è Lui che la fa, se ci stiamo.

Stiamoci! Senza paura dello strappo, del sacrificio, ma imitando quella ragazza di quindici o sedici anni che ha detto «Sì»: è una cosa dell’altro mondo, ma che riecheggia nella nostra vita di tutti i giorni!

178-179 – Ecco, ascoltare le parole che ci vengono dette è come mangiare, perché la parola di Dio è cibo e bevanda, l’esempio degli altri è cibo e bevanda, la fatica della fedeltà è un sacrificio che si offre a Dio, «come sacrificio della sera», dice la Scrittura, come Cristo che ha offerto se stesso al Padre morendo.

Invece di morire, facciamo una cosa molto più piccola: andare una mezza giornata al Ritiro, oppure dare con sacrificio, sacrificare dei soldi del proprio budget per il fondo comune, vivere la carità verso gli altri, partecipare a delle opere che la Fraternità o il movimento fanno, perdonare all’altro.

296 – Abbracciare e accogliere una persona verso cui si sentirebbe antipatia, si sente antipatia, è realmente un sacrificio a Dio, un sacrificio a Cristo, ed è condividere il bisogno umano nel suo aspetto originale che è quello di essere accolti.

salvare/Salvezza

29 – «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli», dissero: «Ma chi potrà allora entrare nel regno dei cieli? Chi potrà salvarsi?». e loro erano gente povera in canna, quelle quattro cose che avevano le avevano lasciate.

49 – La Fraternità è una regola. Non è affatto necessaria per salvarsi o anche per essere cristiani avere una regola. Se però ci è stato, in fondo, richiesto dalla modalità storica degli incontri, dalla strada su cui il Signore ci fa trovare, allora essa diventa, a mio avviso, doverosa.

122-123 – La salvezza è entrata nel mondo come uno di noi – come uno di noi!.

Da questo ci è arrivato un avvertimento molto concreto: che il Signore viene nella nostra vita attraverso le circostanze quotidiane, attraverso la carne e le ossa del tempo e dello spazio. La salvezza ha come strada per entrare nella nostra vita l’ora, l’ora che stiamo vivendo, nella situazione in cui veniamo a trovarci.

Non c’è bisogno di altro. Nel Ritiro del Natale abbiamo visto che la salvezza della nostra vita passa attraverso l’ora quotidiana, le circostanze. Non esiste circostanza che non debba essere veicolo, portatrice di salvezza.

Perciò la nostra vita banale, quotidiana, è il passaggio del Signore, è il modo con cui il Signore penetra la nostra esistenza portandola, spingendola al suo destino e alla sua salvezza.

123 – Ma la Quaresima è come se volesse urgere, spingere al fondo, trarre le conclusioni di questa presenza del Signore, di questa presenza della salvezza nella vita nostra di tutti i giorni.

225 – «Tu mi salverai». Chi può salvare, se non chi dà la vita? Poiché la madre è la salvezza del bambino, il padre è la salvezza di suo figlio, fin là dove padre e madre sono la sorgente della vita e dell’essere. Per questo, per salvare bisogna amare, occorre poter dare la vita e amare. Solo chi dà la vita e chi ama salva; solo chi dà la vita, e perciò ama, salva.

237 – «Salvare» in latino vuol dire «conservare». Ciò che conserva la vita, ciò che la fa diventare vita, è la coscienza di questa presenza.

Scuola di comunità

62-63 – Io dico che innanzitutto, per esempio, quello che lui ha chiamato Scuola di Comunità può essere benissimo un punto della regola di una Fraternità: il raduno della Fraternità può benissimo coincidere con il gruppo della Scuola di Comunità.

Un gruppo di Scuola di comunità può entrare tutto in una Fraternità.

63 – Ricordatevi però che l’appartenenza alla Fraternità si realizza per il cuore con cui vivete i rapporti tra di voi.

L’importante non è innanzitutto che si faccia Scuola di comunità: non è Fraternità perché fa la Scuola di comunità, ma è Fraternità perché ci si riconosce fratelli sullo stesso cammino, gioiosi della stessa certezza, e perciò ci si aiuta.

E ritrovarsi a Scuola di comunità è un aspetto di questo aiuto.

167 – La Scuola di comunità è uno strumento che uno usa per approfondire l’esperienza del movimento.

La Fraternità è l’esperienza del movimento che diventa ambito di vita che tende a investire tutta la vita.

Perciò una Scuola di comunità è una Fraternità «mancata», cioè non è ancora Fraternità perché è più alla superficie del nostro impegno: è un esercizio, più che una vita.

Servo/servire/servizio

97 – Ogni gruppo, secondo la tradizione educativa del movimento, è bene – proprio dal punto di vista dell’ascesi – che abbia, che fissi una persona che svolga, per il tempo che il gruppo stabilisce, un’azione di richiamo, di coagulo e di servizio agli altri, cioè un responsabile.

Dico «secondo la tradizione educativa del movimento», perché è parte grave della nostra immagine la presenza di una funzione autorevole.

263 – Anche le differenze che mi scocciano, che scocciano la mia carne, in fondo sono un valore!

«Allora chi dà, lo faccia con semplicità», non dicendo «io», «io», alla farisea.

«Chi presiede, lo faccia con diligenza», con un servizio diligente: come è bello fare il cameriere, che fortunati sono coloro che fanno il cameriere o la casalinga! «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia».

282-289 – In queste ultime ore chiediamo alla Madonna la grazia della disponibilità a Dio, chiediamola con tutta l’umiltà del cuore, affinché Dio ci renda servi come lei.

Il servo non è chi pretende di stabilire lui come servire il padrone: il servo è chi è attento al cenno del suo Signore.

E il cenno del nostro Signore sono gli avvenimenti, i rapporti, gli incontri che ci fa compiere, le circostanze in cui ci fa imbattere.

283 -Si, diciamo: « Ecco la serva del Signore» (Si riferisce alla preghiera dell’Angelus), ma è come se fossimo servi del Signore fino a un certo punto in cui decidiamo noi o vogliamo; sappiamo noi come essere servi del Signore!

284 – Ed è per questo che riduciamo anche il significato della nostra compagnia, che è così caratteristica per uno che si sente povero, vale a dire quello di essere aiutati: anche qui, l’aiuto del movimento deve essere nei termini che stabiliamo noi.

285 – Dobbiamo aiutarci, con la presenza vicendevole, a non porre noi le condizioni al Signore per poterlo servire e, analogamente, educativamente aiutarci a non porre noi ai richiami che il movimento ci fa, alla direzione in cui il movimento ci fa muovere, le condizioni per poterli seguire, perché altrimenti impariamo solo noi stessi: se non obbediamo, impariamo quello che già sappiamo, cioè imponiamo a noi stessi e non cambiamo più!

Ora, mentre è impossibile servire il Signore e vivere la fede se non insieme ad altri – tanto è vero che il Signore ha creato la Chiesa come ambito dei suoi discepoli, li ha messi insieme -, ognuno però è certamente libero di scegliere la modalità della compagnia da cui si sente più aiutato.

297-307 – Per poter servire il movimento, per poter vivere la nostra responsabilità in questo spazio grande nel quale la nostra compagnia è potuta attecchire ed è potuta nascere, non è necessario essere capi di qualche gruppo, oppure fare chissà quali opere.

302 – Che commozione mi faceva l’altra sera essere entrato in una casa, in una famiglia ospitale, che ha servito il movimento attraverso la sua ospitalità, molto seriamente, generosamente, liberamente; pensavo a quante famiglie ci sono tra noi che fanno così, ed è una sorgente di commozione grandissima.

307 – Le tenebre possono ancora prendere il posto della luce.

E, infatti, quando anche nel servire Cristo, anche nella nostra strada di fede, prevale il nostro pensiero, prevale quello che noi sentiamo, prevale il nostro calcolo, prevale la difesa di quello che vogliamo noi, di ciò che è nostro, allora i frutti della luce scompaiono.

«il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità», ricordandoci che la giustizia suprema è il perdono.

Mala tenebra può prendere ancora il posto della luce.

Solidarietà

65-66 – Intervento: «L’accoglienza, la solidarietà tra di noi è il punto da cui partire oppure l’opera comune da realizzare è qualcosa d’altro

La solidarietà tra di voi è la conseguenza dello scopo per cui vi mettete insieme. Lo scopo per cui vi mettete insieme è quello di essere aiutati a desiderare Cristo e a credere Cristo, e basta.

66 – Questo è lo scopo. La conseguenza di questo, immediata, è la fraternità tra di noi, cioè la solidarietà ecc…

Allora il vivere questa solidarietà crea un piccolo pezzo di umanità – che è la vostra compagnia – impostata in modo diverso, in modo più umano.

La solidarietà tra di noi non è lo scopo, perché non dura ed è subito piegata, strumentalizzata dai nostri progetti sociali, culturali e politici, o piegata ai progetti della nostra sentimentalità.

La solidarietà dura, ha durata, solo se è il corollario, come l’alone di una sorgente di luce, della nostra volontà di Cristo.

La solidarietà è l’esito, il primo istintivo corollario del fatto che la mia vita vuole Cristo, così come la tua vita – anche quando tu non te ne accorgi – vuole Cristo.

Allora io sono unito a te, ti sento come se fossi mia sorella, mio fratello. In secondo luogo, questo corollario di solidarietà tra di noi è il primo modo, la prima modalità con cui noi costruiamo l’opera, che è il movimento.

93-107 – L’amicizia vera deve essere la caratteristica di simili solidarietà, perché l’amicizia vera è una compagnia al destino, cioè a Cristo.

95 – Ma come conseguenza più clamorosa di quello che questa amicizia vuole essere – vale a dire impegno con Cristo secondo l’esperienza nota, secondo la grazia che ci è stata fatta – si deve stabilire una solidarietà reale fra tutti i membri.

È una solidarietà non sentimentale.

Una solidarietà è reale e non sentimentale quando il movente, la ragione che la determina è la persona nella sua totalità, cioè la persona nel suo destino. Questo è l’unico punto intero.

Se non c’è questo movente, neanche tra marito e moglie c’è la solidarietà!

Quindi è una solidarietà non sentimentale, che investe la totalità della persona, cioè la persona nel suo destino.

Il fondo comune verrà utilizzato di norma per i seguenti scopi: assicurare gli strumenti organizzativi necessari alla vita della Fraternità; sostenere importanti e significative attività missionarie e culturali del movimento; soccorrere le più gravi situazioni di bisogno che vengano segnalate alla Diaconia centrale.

107 – Quando al responsabile della Fraternità, questi ha una funzione di richiamo, di coagulo, cioè di sollecitazione alla solidarietà.

Speranza

28-30 – Il contrario della demoralizzazione (assenza e diminuzione della morale) qual è? Il contrario della demoralizzazione, per dirla con una parola breve e veloce, è la speranza.

La speranza è, immediatamente, la speranza su di sé, la speranza del proprio destino, la speranza nel proprio «ultimo»

E non esiste al mondo, non esiste; è solo dove Dio ha parlato all’uomo che questa speranza esiste.

È per questo che Péguy fa dire a Dio, ne Il portico del mistero della seconda virtù: «La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza».

Bene, la parola che definisce il contenuto di questa speranza è quella che ha detto l’angelo alla Madonna: «A Dio nulla è impossibile».

41-42 – La speranza è la fede che più piace a Dio, diceva Péguy, perché la speranza è la letizia nel guardare la vita che il bambino ha quando si accorge che c’è lì sua madre e nel primo istante la guarda, è la letizia con cui ognuno di noi è stato chiamato a guardare e ad affrontare il mondo nella certezza semplice che tutto è già compiuto, perché Cristo è risorto e Cristo risorto è in lui.

Vorrei che voi, da soli, o con propria moglie o marito, o con il proprio gruppo, identificaste bene gli interrogativi teorici e pratici, che ognuno ha e formulaste le speranze che nutrite rispetto a questa esperienza della Fraternità, così che possano divenire motivo di dialogo che ci aiuti a chiarire l’iniziativa cui abbiamo dato vita.

76-84 – Se l’origine della vostra dedizione a quest’opera è un entusiasmo per Cristo, è una certezza della fede. Perché è questa la speranza che non fa decadere.

78 – Quello che rende possibile costruire è la certezza che la vittoria è già data, il compimento è già dato: deve manifestarsi in quello che facciamo, e si manifesta nella misura in cui Lo accogliamo, Lo riconosciamo.

84 – Se noi chiediamo la fede e se noi chiediamo che Cristo dimostri, manifesti la Sua vittoria, che ha già attuato e partecipato alla nostra carne nel Battesimo, si manifesterà: la fede diventerà luminosa, comunicativa, creativa, poetica, ed Egli si manifesterà nella nostra vita e agli occhi di tutti.

Questa è la certezza per cui l’uomo cristiano cammina, come diceva san Paolo, spe erectus, diritto nella speranza, come camminò Abramo, sperando contro ogni speranza: ritti nella speranza, contro l’evidenza della nostra mortale fragilità.

147 – Se Cristo, a cui appartengo, è risorto da morte, come si fa a dire che io non risorgerò dalla morte del mio male? Questo è l’uomo cristiano che cammina spe erectus, diritto nella speranza!

195-196 – L’obiezione della nostra carnalità, l’obiezione del peso sepolcrale dei limiti delle cose quotidiane, che ci fanno vivere nell’indifferenza, nel cinismo, o nel disgusto e nella noia, a seconda dei momenti, dello stato d’animo, tutto questo deve essere quotidianamente investito e trapassato, sfidato, sfidato ora, sfidato dalla speranza cristiana.

La prima cosa che volevo dettagliare è la speranza: la speranza della connessione con questa memoria, fra questa coscienza di essere posseduti da Cristo, si appartenere a Cristo, e le cose di tutti i giorni, la vita di tutti i giorni, le azioni di tutti i giorni, in famiglia, al lavoro, nel movimento nella società.

Anche se tutto è così pesante e sembrano due livelli totalmente diversi di cose – certi momenti in cui l’anima viene richiamata, il cuore viene richiamato, e poi tutti gli altri momenti così banali, grevi, che magari ci piacciono, perché a noi è facilissimo che ci piaccia la banalità -, in noi c’è la speranza che la memoria di Cristo investa noi nelle cose che facciamo, così che diventiamo veri, cioè che diventiamo noi stessi, veramente noi stessi, in tutte le cose che facciamo.

Questa speranza è la prima cosa in cui dobbiamo essere aiutati.

198 – Comunque sia, quello che importa è questo: che la speranza poggia sulla fede, perciò dobbiamo essere felici che Cristo si è fatto conoscere, si è reso noto a noi!

202-203 – Quello che possediamo trova il suo domani in Lui, altrimenti lo perdiamo. La speranza è nel fatto che, avendo Egli iniziato, porti sino in fondo la Sua opera in noi.

203 La prima cosa è la speranza che la nostra vita cambi: «Sperando contro ogni speranza» dice san Paolo, perché è Cristo che, avendo cominciato, ci porta.

231-232 – Ma ci sono bambini che lasciano tranquilli, perché sono veramente centrati e attaccati al loro padre e alla loro madre: hanno i difetti di tutti i bambini, ma è diverso, cioè hanno una speranza diversa, la loro vita “è” speranza diversa!

Questo è il punto: che la nostra sia centrata su Cristo, vale a dire che nella nostra vita Cristo non sia un estraneo o uno lontano.

Storia

45 – […] La grande occasione che Dio ha dato alla nostra vita: un compito nel mondo e nella Chiesa, secondo una particolare modalità di incarnazione storica, che è il nostro carisma così da renderlo non soltanto un momento della Chiesa di oggi, «ma già profezia e albore del mondo di domani».

86 – È proprio una novità, ogni istante, il prendere coscienza della Sua presenza che accade, di questa presenza che accade per tutta la storia.

146 – La testimonianza a Cristo è ciò per cui esiste il cosmo ed esiste la storia, e noi siamo chiamati coscientemente a renderla, diventando così gli attori della storia: nella piccolezza, nella “parvità”, nella meschinità, nella piccolezza delle nostre forze, nella meschinità del nostro cuore, siamo chiamati a questo.

151-154 – Una ragazza di quindici o sedici anni, che faceva una vita comunissima, ma era abituata dalla lettura biblica, da buona ebrea, a sentire l’appartenenza totale del suo essere al Mistero di Dio, e perciò era tutta protesa a quello che doveva accadere, perché tutto il suo popolo, la sua storia, diceva: «Verrà, la salvezza verrà!»; era tutta protesa a questo dentro le sue cose quotidiane.

E chissà cosa sarà successo – io lo dico sempre, perdonatemi se lo ridico ancora, perché è il punto della storia di Dio nel mondo che più mi fa restare con il fiato sospeso – quando la Madonna disse: «”Sì. avvenga di me secondo la Tua parola” E l’angelo se ne partì da lei».

153 – Allora, nel silenzio rendiamo il cuore disponibile perché i semi di queste parole, il seme della parola «appartenenza a Lui» entri dentro le zolle della nostra terra, in modo tale da farne non più deserto, ma terra promessa piena di rigoglio.

Nel tempo, perché è tutta questione di storia.

È bellissimo perché è Lui che la fa, se ci stiamo. Stiamoci! senza paura dello strappo, del sacrificio, ma imitando quella ragazza di quindici o sedici anni che ha detto «Sì»: è una cosa dell’altro mondo, ma che riecheggia nella nostra vita di tutti i giorni.

154 – Per essere grande la vita non ha bisogno d’altro; per essere utile non ha bisogno di altro.

162-171 – Noi possiamo comprendere la nostra vita di fede, se la illuminiamo attraverso l’esempio che Dio ha creato apposta nella storia: ha preso un popolo minuscolo e lo ha tirato su, perché fosse profezia, esempio al popolo nuovo cui tutti apparteniamo: duemila anni fa erano dodici, adesso, soltanto qui, siamo in tremilacinquecento.

Allora dobbiamo illuminare, abituarci a illuminare la nostra vita con la storia del popolo ebraico, con la storia del popolo eletto: per noi – lo dice san Paolo – il Signore ha fatto quella storia, perché noi fossimo, leggendo quella storia, illuminati sull’esperienza della fede che ci fa vivere adesso.

163 – Da che cosa hanno derivato questa coscienza di appartenenza a Dio? Un angelo glielo ha detto? Macché! Una riflessione di filosofi? Ma neanche un po’! È lo stupore della storia che hanno avuto. Lo stupore della storia.

164 – Il figlio (di Abramo) Isacco e poi ancora Giacobbe, da che cosa hanno imparato che la loro vita personale apparteneva a Dio? Da tutta la storia che era iniziata con Abramo.

È stata una storia che ha dettato la chiarezza dei capitoli del Deuteronomio e che sono proprio l’espressione del sentimento di appartenenza, come di uno che è schiavo di un altro, o meglio, dirà Cristo: «Figlio» di un altro, come un bambino.

Tutto è nato da una storia. E così è per noi.

165 – La Fraternità è una, che vive in tanti gruppi – è una grazia, è frutto di una storia.

166 – Se uno è veramente fedele a questa compagnia, nonostante tutto, nonostante tutto di lui, nonostante tutto di quelli che ha attorno, arriverà buon fine.

191-192 – Perciò la Fraternità è un aiuto a vivere la conversione di noi stessi, perché l’essenza dell’esperienza del movimento è che la fede è tutto, è che il riconoscimento di Cristo è tutto nella vita, che Cristo è il centro del cosmo e della storia.

209 – Si è fatto conoscere da noi attraverso Abramo, Isacco e Giacobbe, attraverso una storia di gente che ci ha preceduti. E questa gente che ci ha preceduti, ci ha toccato con gente che ancora vive con noi, che ci stringe dappresso, una compagnia.

Ma questa compagnia è l’erede di gente che ci ha preceduti. Insomma, è una storia.

Egli si è fatto conoscere, si è reso noto a noi attraverso una storia. Egli si fa conoscere attraverso una storia.

Ma qual è la caratteristica di questa storia? La caratteristica è che il contenuto di questa storia, trasforma il presente: è il rovescio dell’ignobile presente, dell’effimero presente, del presente pieno di spine e di rovi, così disagevole, salvo che nei momenti di dimenticanza o di distrazione.

Questo presente diventa fuoco, questo presente spalanca ad un orizzonte di fede, a un impeto di speranza, a una capacità di tenerezza e di carità che non ci saremmo mai sognati.

289-305 – Dalle nostre mani e dai nostri piedi, dalla nostra persona, nella nostra persona Egli diventa presente nella storia.

296 – Cristo si rivela attraverso l’umanità nuova che si dimostra. Cristo si rivela attraverso l’umanità nuova che crea. Così, Cristo lo si comunica attraverso una umanità nuova che noi viviamo con gli altri.


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